Moth Goth

Harry Potter - J. K. Rowling
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Moth Goth
Summary
Finalmente Draco ed Hermione sono pronti a rendere pubblica la loro relazione e a concludere in pace il quinto anno, schivando al massimo qualche gossip. Ma una maledizione sta per abbattersi su Hogwarts, tra succubi, omicidi, incubi in rosa...e ovviamente il tentativo di far fuori il Bambino Sopravvissuto.
Note
https://www.pinterest.it/Flo_flo_fy/moth-goth/ .Anche in questo caso ho fatto un'unica bacheca Pinterest dalla quale prendere ispirazione che ti lascio qui, nel caso ti venga voglia di capire un po' il mood di questa storia.Sarà anche questa decisamente Serpeverde e con un Draco infantile e capriccioso continuamente alla ricerca di conferme?Decisamente sì.Ci saranno morti e torture? Certo.Troverai mischiati elementi dei libri, dei film e riferimenti a head e fan canon in ordine sparso e assolutamente non coerenti con l'originale? Ovvio.Infine come sempre ci saranno rifermenti alla cultura celtica, alle saghe, al voodoo e tanto altro ma nessuno di questi va preso alla lettera e soprattutto non è inteso a sminuire alcuna filosofia, religione o tradizione. Semplicemente è un gran calderone in cui butto tutto quello che mi ispiraAl momento in cui sto pubblicando su ao3 su efp ho pubblicato sino al capitolo 10.Entro venerdi , quando ci sarà il prossimo aggiornamento, caricherò anche qui i capitoli mancanti.. poi i due siti saranno aggiornati contemporaneamente.
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Quello che non vorremmo vedere

Quando aveva visto Potter entrare rassegnato nello studio di Piton per un attimo, ma solo per un attimo, aveva temuto che quel grandissimo imbecille dello Sfregiato si fosse fatto scoprire e Piton stesse preparando un veleno per risolvere definitivamente il problema. Poi aveva riflettutto che sicuramente il padrino di Harry avrebbe fatto un casino infinito se il suo figlioccio fosse stato ritrovato cadavere e altrettanto sicuramente avrebbe accusato Piton, con cui sembrava avere il dente particolarmente avvelenato.

Ora, anche considerando che Severus avrebbe facilmente creato qualcosa che persino SIlente in persona avrebbe avuto difficoltà a rintracciare, conoscendolo era probabile che non si volesse trovare a passare il resto della sua vita a schivare i tentativi di vendetta di Sirius Black. E per esperienza personale, sapevano entrambi quanto qualcuno di quella famiglia potesse essere tenacemente rancoroso.

Quindi non era quello il motivo. Che la Umbridge avesse deciso di far divertire anche Piton nella tortura di San Potter? Altrettanto improbabile, quella era matta da legare e anche decisamente sadica,di certo non si sarebbe  persa lo spettacolo.

Ma non era stato un caso isolato. Ogni sera l’ex golden boy si avviava con la faccia da cane bastonato verso il laboratorio di Pozioni, fermandosi e sospirando ogni volta prima di bussare. Ad essere onesti il sopiro era condito da una serie colorita di improperi  a mezza bocca, però doveva concedergli che quando lo aveva visto fissarlo nel corridoio non aveva cercato di lanciargli una fattura stordente neanche una volta, limitandosa lanciargli uno sguardo disgustato a sua volta.

E ogni sera, alle dieci puntuale come il discorso di incoraggiamento della mattina del batrace color vomito, la voce altrettanto poco entusiasta di Piton annunciava: Entra,Potter

Maledetto Potter. Il giorno seguente aveva cercato di estorcergli che cosa diavolo stesse accadendo, ma non era stato abbastanza bravo per una votla a nascondere i suoi reali sentimenti.

«Sei geloso, Malfoy? Ti rode che il tuo professore preferito non ti tratti più come il suo cucciolotto adorato? Che peccato… vedi, guarda la McGranitt… di certo non spenderebbe dieci minuti da sola in una stanza con te neanche se dovesse insegnarti come non cadere dalla scopa»,aveva ghignato Potter soddisfatto, fremendo dalla voglia di andare a raccontare a tutta Grifondoro quello che aveva appena scoperto.

«Beh non è che i tuoi voti in Pozioni siano migliorati eh… schifo facevi e schifo continui a fare senza poter copiare dalla Granger»,ringhiò tra i denti, profondamente infastidito dall’espressione gongolante di Potter.

Impiegò i due giorni seguenti a fare congetture, pedinando Potter ogni sera e stressando Blaise e Theo fino allo sfinimento ad ogni ora del giorno e della notte. Ma ogni volta, invariabilmente, tutto terminava davanti quella porta ostinatamente chiusa. Aveva anche provato a scrivere alla Granger ma anche quella sembrava fare orecchie da elfo. Certo non si poteva lamentare di quello che aveva scritto, ma per Salazar Serpeverde era certo che Potter avesse parlato con la piccola Weasley e senza alcun dubbio lei ne aveva parlato con Hermione visto che per il resto era circondata da una massa di decerebrate. Ergo, ancora una volta si era trovato a chiedersi come diavolo avesse fatto ad innamorarsi di una grifondoro guerrafondaia, permalosa e dispettosa. 

Come se quelli fossero difetti poi…

«Io comunque non capisco cosa hai da scrivere su quel coso.»

Il grugnito di Greg lo fece trasalire. Quando diavolo era entrato nella stanza? E soprattutto perché non lo aveva fatto con il suo solito passo da erumpet ubriaco?

«Insulti per Potter: non voglio scordarmene qualcuno visto che ora ho poco tempo» rispose Draco, chiudendo velocemente il quaderno e facendo finta di non vedere l’occhiataccia che gli aveva rivolto Blaise, i cui occhi scuri lampeggiavano Quante stracazzo di volte ti ho detto di fare attenzione con quel dannato quaderno? in maniera talmente lampante che sarebbero state visibili anche dalla torre di Corvonero.

«Posso vederli? Sono certo che potrei utilizzarne qualcuno per gli altri Grifondoro…Per Salazar Serpeverde perché la Umbridge ha accettato questa stupida cosa del lavoro in coppie. Persino Piton ora ci si è messo.»

Greg si era seduto pesantemente sul suo letto cercando di prendergli il diario dalle mani. Fortuna che grazie alla pratica fatta nel passato, nonostante piuttosto che ammetterlo avrebbe pereferito cantare in rima l’amore per i Tassorosso davanti a tutti gli ospiti del Galà di Natale di sua madre, riuscì a lanciare una fattura gambemolli che fece caracollare il povero Gregory a meno di dieci centimentri dalle sue preziose lenzuola immacolate mentre il diario si sigillava e tornava in fondo al suo baule.

E tutti sapevano che sua madre aveva messo tanti di quegli incantesimi protettivi su quello che era meglio per tutti se neanche provavano ad avvicinarsi.

«Lo sai che ha una fobia per il suo letto… credo che a malapena sopporti che si sieda lui» Theo era rannicchiato in una delle poltrone immerso in un libro. O meglio era quello che sembrava voler far credere, visto che a Draco non era sfuggito che non girava una pagina da almeno dieci minuti. «E comunque non mi sembra che tu te la passi cosi male con Finnegan, no?»

Il tono era stato casualmente elegante, come sempre. Eppure c’era una strana sfumatura nella voce, appena una crepa subito camuffata.

«E poi diciamolo, non credo che saresti in grado di ripeterli. Nè quello stupido mezzosangue dalle orecchie a punta in grado di apprezzarli. Draco tende ad essere verboso sai? Glielo dico sempre che è uno spreco con Potter ma lui niente…» Blaise si era seduto accanto a Theo, le braccia incrociate e una smorfia di disgusto sulla faccia. «Tutti quei pomeriggi passati a leggere libri vecchi ed inutili… per cosa poi? Se lo chiedi a me uno spreco di tempo»

«Ma nessuno te l’ha chiesto»lo interruppe Draco lanciandogli un’occhiataccia.

«Vedi? Siamo migliori amici e tu non tieni mai in conto quello  delle mie opinioni nella maggior parte dei casi. Ed è un peccato, io ho delle meravigliosi opinione, lo sai», commentò serafico versandosi un liquido scuro da una fiaschetta d’argento con il suo monogramma sopra.

«Meravigliose come quelle che mi hai convinto a ripetere alla moglie dell’Ambasciatore Bulgaro alla Cena di Mezza Estate? No, perchè io ricordo che non è che siano state particolarmente apprezzate né da lei né tantomeno dai miei…» sibilò, grato del diversivo ma Merlino se se l’era legata al dito visto quello che era successo dopo.

«Sai bene che io non parlo bulgaro. Ringrazia la famiglia di tuo padre e i legami con Durmstrang… credo che sia l’unico che è stato costretto ad imparlarlo da piccolo. E poi se sei facilmente influenzabile non è mica colpa mia. Ed avevo ragione… quel vestito la faceva assomigliare ad un grosso ocamy che aveva ingurgitato un divano di dubbio gusto» sghignazzò al ricordo non solo della faccia della donna quanto del fatto che lui era riuscito a rimanerne fuori, sgattaiolando via da sua madre e facendo gli occhioni dolci quando Draco era stato così stupido da ripetere ad alta voce la sua similitudine.

Theo era rimasto in silenzio, sebbene ricordasse perfettamente il casino che era successo. Anche senza capire una parola di quello che aveva detto era evidente dalla faccia che aveva fatto Lucius a sentirlo che Draco si era messo in un mare di guai. E anche se erano solo bambini  non gli era piaciuto il modo in cui Blaise se l’era svignata, né il sorrisetto soddisfatto che aveva fatto lei .

«Beh sono certo che farai un bel discorso, allora»bofonchiò Goyle rimettendosi in piedi 

Draco alzò un sopracciglio chiarissimo « Quale discorso, scusami?»

«IL discorso» ripeté testardo il serpeverde altrettanto confuso

«Ripetere la stessa parola dando enfasi all’articolo non credo che aiuterà. Non è molto sveglio sai… forse è colpa di tutto il veleno che si è bevuto lo scorso anno come un idiota.. troppo presto per scherzarci su? Per Merlino sei permaloso come tutti i Black, sul serio… dovreste farlo aggiungere al motto di famiglia» ,Blaise continuava ad osservarli con un sorrisetto senza scomporsi, divertito da quello scambio tra due che sembravano non parlare neanche la stessa lingua. Guardando la faccia impassibile di Theo che continuava a scrutarli però, decisamente gli passò il buonomore che l’idea di stuzzicare Draco come ai vecchi tempi aveva suscitato.

«Ancora no… in fondo alla fine ti sei liberato della sanguesporco. E se va tutto va come deve andare ben presto ci libereremo di tutti loro.» Goyle sembrò per un attimo aver perso tutta la goffa confusione di poco prima, uno sguardo stranamente vivido che Draco non ricordava di avergli mai visto. Incassò il colpo, reprimendo l’istinto di lanciargli una maledizione ben più forte di quella che l’aveva fatto finire col grosso deretano in terra.

«Possiamo tornare al punto principale, per cortesia? Quale discorso?» ripeté, cercando vanamente di non farlo sembrare un ringhio quanto piuttosto un tono vagamente interessato. Come faceva prima? Non sapeva bene perché ma ora occludere gli era diventato estremamente faticoso. Forse perché doveva farlo quasi costantemente davanti alla Umbridge ma si sentiva talmente sfinito che l’idea di doversi preoccupare anche di fronte a quell’idiota gli faceva sanguinare il cervello.

Greg si avvicinò con fare circospetto facendo arricciare il naso a Draco. Non solo non gradiva l’intrusione del proprio spazio personale da qualcuno che non fossero pochissime, selezionate persone, ma in più c’era un odore strano nell’aria. Non era spiacevole,anzi, eppure sembrava totalmente alieno rispetto a quello che era stato fino ad un anno prima la sua ombra. Era qualcosa di umido, stantio, eppure con una nota dolce di miele che lo rendeva affatto sgradevole.

«La Preside sta organizzando una grande festa… una serata speciale, ha detto. Pensa che finalmente potrò stare un po' con Millicent… e dopo… dopo, sarà tutto diverso…» disse in tono cospiratorio, come se per gli altri fosse chiaro di cosa diavolo stesse parlando. Poi con un ghigno aggiunse: «Sono certo che ti toglierai delle belle soddisfazioni. Ah si, finalemente saranno fieri di te»

«Greg, quando Blaise ti offre da bere, ti prego, rifiuta. Lo sai che solo lui è in grado di reggere quell’intruglio. Si può sapere di cosa cazzo stai parlando?»

«Oh vedrai sarà divertente», gongolò Goyle mentre Draco sentiva un brivido freddo corrergli lungo la schiena. «Finalmente Hogwarts diventerà il posto che avrebbe sempre dovuto essere»
Lanciò un’occhiata ad un altrettanto sbigottito Blaise rimasto a mezz’aria con la fiaschetta in mano.
Theo al contrario non aveva mai alzato lo sguardo, continuando a fissare senza realmente vederla la stessa identica paggia su cui era fermo dall’inizio. Poi con un gesto stizzito scaccio una falena che si era posata sul bracciolo.

 

***

 

«Sbaglio o sul divano ci sono peli rossicci?» Elettra Furbisher guardava con disgusto il palmo della mano, seduta nella sala comune femminile, mentre Millicent sfogliava rumorosamente una rivista di moda. Pansy la degnò appena di un’occhiata, sperando che la Greengrass chiudesse la bocca sul fatto di aver visto più di una volta Grattastinchi entrare ed uscire indisturbato dalla sala comune e guardando invece con invidia le belle pagine patinate. Avrebbe potuto essere il secondo numero di Ambwitichious, o almeno la sua bozza, se quella dannata bigotta a forma di barilotto di burrobirra troppo truccato non avesse deciso di proibire qualsiasi attività extrascolastica, inclusa la direzione sua e della Granger del primo magazine per e di giovani streghe che aveva fatto tanto scalpore nel mondo magico.

Non è appropriato. E poi siete troppo giovani per avere opinioni aveva detto con un sorriso coperto da troppo rossetto rosa orchidea che la rendeva giallo ittero.

Oh io un’opinione piuttosto chiara ce l’avrei. Soprattutto in merito alla sua inutile presenza qui.O sul suo bisogno di trovarsi un hobby.

«Oh per la miseria, chi se ne importa. Sarannodi qualche stupido mezzosanguee» aveva commentato Millicent annoiata.

«Cerchi qualcosa per la promessa, Millie?» Daphne era in terra,, impegnata a rileggere i suoi appunti di Pozioni, la sua grande preoccupazione per i Gufo. 

«Non è un po’ presto? Comunque bella collana Millie. Non te l’ho mai vista…. un regalo di Goyle?» chiese la sorella strizzando gli occhi, smettendo per un attimo di giocare con le carte che aveva in mano e che continuava ad incastrare una sull’altra, in un equilibrio precario.

Pansy, che fino a quel momento era rimasta in un angolo, ostentando la solita aria annoiata troppo interessata a laccarsi le unghie di un tenue rosa, l’unico colore permesso dal batrace, per occuparsi di quelle discussioni, tanto più che probabilmente il suo unico commento sarebbe stato che neanche il vestito più costoso di Diagon Alley sarebbe riuscito a rendere un minimo elegante una festa di quei due. Con il padre di Goyle morto e la scarsissima propensione allo studio di quell’idiota del figlio e della di lui futura moglie già quell’estate ci sarebbero state le promesse e poi appena diciasettenni il fidanzamento vero e proprio. A quanto pareva tra le priorità del Ministero non c’era che gli studenti portassero a compimento tutti e setti gli anni di studio ad Hogwarts. 

Era tutto così squallido.

Certo quei due non erano due cime ma quale sarebbe stato il loro futuro? Erano entrambi più che benestanti ma avevano ben poco altro da offrire. Eppure entrambi sembravano così entusiasti.

Per un attimo sentì una nota sensazione di panico risalirle dalla bocca dello stomaco, che si affrettà a dissimulare annunciando di dover scappare perché in ritardo per il suo turno di ronda. 

«Sicura di stare bene? Sei molto pallida.» chiese Astoria cercando di seguirla ma Pansy minimizzò con un gesto della mano.

«Probabilmente mi sono rimasti sullo stomaco quei dolcetti alle mele.Se continuano a farci mangiare così probabilmente dovremmo ordinare le uniformi di due taglie in più» disse velocemente affrentandosi ad uscire.

La Greengrass aprì la bocca come per dire qualcosa ma evidententemente ci ripensò, riprendendo invece il suo posto accanto alla sorella maggiore.

Pansy chiuse la porta del dormitorio dietro di sé, immergendosi nel silenzio rassicurante del corridoio semideserto.

«E’ quasi l’ora del coprifuoco, cosa diavolo ci fate ancora in giro? Evaporate prima che vi tolga un punto per ogni stupido pois sulla tua stupida gonna»ringhiò nei confronti di due Tassorosso che le lanciarono un’occhiataccia prima di fare dietrofront e defilarsi nel loro territorio.

Stupidi Tassorosso. Era tutta colpo loro se si trovavano in quella situazione. Se quella imbecille della Abbott avesse tenuto la boccaccia chiusa a quest’ora lei sarebbe stata a fare il giro di ronda con Draco e non da sola come una sfigata, o meglio ancora a farsi esplorare dalle lunghe dita da elfo domestico di Weasley, Ecco questa era buona, doveva segnarsela per quando l’avrebbe rivisto. Era certa che l’avrebbe fatto infuriare. E quando si infuriava diventava appassionato. Doppio bonus per lei.

Il silenzio era l’unica cosa che ricavava dai suoi giri da Prefetto, minuti vuoti che si trasformavano in ore in cui cercaa di svuotare la mente al suono dei suoi passi lungo il corridoio di pietra.

Non avrebbe mai pensato di dirlo ma era felice di essere fuori dai sotterranei e soprattutto felice di non sentire più il chiacchiericcio noioso e sempre uguale delle sue compagne.

Ormai quei discorsi sui sanguesporco le facevano venire il voltastomaco.

SIcuro la Granger doveva averle passato qualche strano germe babbano che l’aveva fatta ammalare di una strana malattia per la quale non riusciva più a sorridere all’idea di una classe fatta di soli serpeverde. O al pensiero di Potter che per una volta non era il cocco dei professori.

A proposito di Potter… perché c’era un idiota stranamente somigliante a lui, quei capelli osceni visibili al buio, in piedi sulla balustra del corridoio del terzo  piano?

si avvicinò piano cercando di capire con chi diavolo stesse parlando visto che davanti a lui c’era solo il vuoto.

Non erano parole, però. Una serie di sibili e risucchi che risuonavano inquietanti nel buio della sera.

E poi lo vide avanzare: un piede nel vuoto,l’altro ancora sul marmo ma già proteso in avanti.

Fu il suo corpo a decidere per lei ancora prima della sua mente, il Levicorpus che usciva  dalla sua bacchetta senza che realizzasse che forse quella era la volta buona di provare a vedere se sul serio elimando lo Sfregiato le cose sarebbero tornate a com’erano in quel breve periodo di grazia in qui non aveva grifondoro tra i piedri ma una nuova vita davanti.

Potter si rialzò scomposto in aria, urlando di lasciarlo andare, nuovamente presente a sé stesso. Stizzita terminò l’incantesimo lasciando che il regale deretano del Bambino Spravvissuto sbattesse contro il freddo pavimento di pietra, lanciando un’imprecazione molto poco adatta a quello che veniva considerato il ragazzo d’oro.

Poi senza dire una parola si girò e tornò da dove era venuta.


 

***

 

Era rimasto davanti a quel cancello per un tempo che gli era parso eterno, un’ombra tra le ombre, cercando di intravedere nell’oscurità della notte i fantasmi del passato.

Quanti pomeriggi  aveva trascorso in quella casa? Molti, tanti, sicuramente troppi. 

Poteva sentirla ancora, imprigionata tra le mura esterne anonime, quella paura che lo divorava. Paura di non essere abbastanza, paura di perdere tutto, paura di non sapere mai chi fosse sul serio. Ed era per quello che aveva amato ritrovarsi li, le mattinate passate nel letto e i pomeriggi seduto ad ascoltare Lord Voldemort. Tutto era violentemente ammantato di dolcezza in quella casa: dalle labbra di Cassandra sulla sua pelle a quelle di Lord Voldemort che prometteva  a tutti loro un nuovo mondo fatto su misura per i suoi desideri.

Si sedeva sul divano accanto a Bellatrix e ai Lestrange, godendo di quella posizione di particolare rilevanza e inebriandosi di quell’energia selvaggia che riusciva ad instaurare in tutti loro con poche parole vellutate. Lord Voldemort non aveva mai urlato in quella casa, non aveva mai neanche alzato la voce, non ce n’era bisogno. Non c’era stata una singola volta in cui avesse usato la magia contro di loro: li vezzeggiava, li blandiva, li rassicurava, si proponeva allo stesso tempo come loro protettore e loro istigatore. Aveva sorriso conciliante quando avevano iniziato a parlare di uccidere i babbani. Aveva ridacchiato benevolo quando aveva saputo della babbana morta che Rodolphus e Bellatrix avevano prima torturato e poi portato fin dentro Hogwarts. Si era congratulato con lui e Bellatrix dopo la strage di quel buco dimenticato da Merlino di Babbanofili. Quando si era rivolto a lui per chiedergli aiuto si era dimostrato premuroso e disponibile, l’aveva salvato dall’ira di Abraxas, liberato dal fidanzamento con Cassandra e dato il suo benestare per poter frequentare Narcissa senza che ci fossero conseguenze.

Ricordava ancora come si sentiva quella sera, così leggero e felice come non era mai stato, convinto che se avesse seguito l’Oscuro Signore niente avrebbe mai potuto farlo sentire ancora inutile e spaventato come accadeva quando si risvegliava nelle segrete del Maniero dopo uno degli accessi d’ira di suo padre.

Ma mentre loro credevano di essere i nuovi padroni del mondo, in realtà l’Oscuro Signore li stava legando a sé con dei lacci invisibili e crudeli, pronto a smembrarli se avessero deciso di tradirlo. Aveva iniziato a tirare lentamente, così lentamente che neanche se n’era accorto.

Ma ora si sentiva soffocare.

Vedeva distintamente sé stesso seduto all’interno di quella casa a ridere e a scherzare, senza notare che i suoi fratelli si allontanavano pian piano da quel piano folle.

Non si era reso conto di come Nicholas fosse diventato sempre più cupo e schivo dopo la sera di dicembre in cui avevano preso il MarchioNero. Anzi, se voleva essere brutalmente onesto almeno con sé stesso sebbene gli provocasse un dolore tale da sentirsi esplodere in mille pezzi, non gli importava. Ricordava la litigata furiosa che avevano avuto proprio li. O meglio, ricordava di aver urlato come un folle,accusandolo di averlo tradito, dopo che Lord Voldemort aveva detto che ci avrebbe pensato ma non era il momento per rompere il fidanzamento tra Nichole e Narcissa. Ricordava Arael che cercava di farlo smettere, di farlo ragionare. E ricordava il silenzio di Nicholas, velato di una profonda tristezza.

Ci penserò io, aveva detto. Ma lui non ci aveva creduto, non aveva più fede in nessuno se non in Lord Voldemort.

L’ultimo sabato pomeriggio in quella casa prima degli ultimi esami, il silenzio rancoroso che aveva rivolto ai suoi fratelli quando aveva comunicato seccamente che sarebbe andato prima dai Lestrange, come desiderava lord Voldemort, una volta arrivati a King’s Cross.

E tu cosa desideri, Lucius? gli aveva chiesto Nicholas, scrutandolo. Ma lui non aveva mai risposto, si era limitato a girarsi a raggiungere Bellatrix e gli altri nel salone principale.

Non l’avrebbe rivisto mai più se non in una bara. Avevano detto che erano stati gli Auror ma dopo quello che gli aveva portato Andromeda aveva finalmente capito la verità.

Era stato Abraxas ad ucciderlo. Non era morto in quella casa, torturato da Malocchio Moody. Crouch e gli altri lo avevano portato li già cadavere, il monito che nessuno era intoccabile o un sacrificio per dare una scusa all’estate di sangue che avrebbero scatenato, chi poteva dirlo . E Lord Voldemort di certo aveva avallato il piano.

E poi c’era un altro fantasma, non un ricordo ma un’immagine che lo tormentava ogni volta che chiudeva gli occhi e provava a dimenticare.

L’idea di Draco che percorreva quella stessa strada, provando la stessa paura che provava lui da ragazzo ogni volta che tornava a casa gli era insostenibile. Aveva pensato di scappare qualche volta? Girarsi e correre a perdifiato sino alle carrozze per rifugiarsi al sicuro del castello? Sicuramente si. Eppure c’era stato qualcosa di più forte: paura, una paura ancora più grande di quello che sarebbe accaduto dietro quella porta: Draco aveva detto che Abraxas aveva minacciato di uccidere Narcissa, un incubo instillato sin da bambino e dal quale non si era mai distaccato, l’idea di essere il responsabile della morte di sua madre talmente inconcepibile da preferirgli la sicurezza del dolore di quelle ore. Poteva sentirlo ancora quel terrore ancestrale così chiaro quando l’aveva confessato sul divano del suo studio, i grandi occhi grigi striati dell’azzurro di Narcissa lucidi di febbre.

Ma c’era un’altra verità, quella che continuava a tormentarlo, qualcosa che aveva solo accennato. Draco era convinto di non aver un luogo sicuro a cui tornare, che se anche fosse sfuggito a suo nonno sarebbe stato del tutto inutile perché lui, suo padre,non gli avrebbe mai permesso di uscire da quell’incubo.

A ripensarci adesso c’erano stati tanti di quegli indizi, davvero come poteva essere stato così cieco? La verità era che non aveva voluto vedere, aveva ragione Draco quando l’aveva accusato di essersi sempre voltato dall’altra parte. Conosceva Cassandra, conosceva suo padre, come aveva potuto pensare che sarebbe bastato accontentarli e lasciare che si frequentassero in quell’isolamente imposto ad Abraxas?

Aveva chiuso gli occhi di fronte a quello che era successo a Nicholas, abbracciando tutto l’odio che provava e riversandolo contro tutti coloro che osteggiavano l’Oscuro Signore. Perchè in fondo era colpa loro se suo fratello era morto, di quella feccia della società che se l’era presa con un ragazzino appena uscito da Hogwarts.

Li aveva chiusi ai mezzi sorrisi sardonici e ai commenti accennati di Cassandra cui non aveva mai dato peso nel corso degli anni. Chissà quanto si era divertita negli anni a lanciare qui e là dettagli, parole, gesti che avrebbe potuto collegare così facilmente se solo avesse voluto. In quel momento l’unica cosa che desiderava con tutto se stesso resa che quello che aveva raccontato Abraxas prima che l’uccideseero fosse falso. Che non gli avessero davvero fatto quelle cose orribili.

E avrebbe davvero voluto chiuderli un’altra volta, rifugiarsi nel suo studio, nel vortice di strette di mano ed accordi da centinaia di migliaia di galeoni, chiacchiere vuote e di circostanza. L’ennesima cena di gala,l’ennesimo incontro al Ministero, una campagna di beneficenza di cui non avrebbe ricordato il motivo una volta tornati a casa. Avrebbe dato qualsiasi cosa per girarsi ed andarsene, dimenticare dove aveva già visto quel segno inciso in tutte le tavole di Diggory. Dannato Tassorosso, inutile come sempre.

Ma non poteva. Non quella volta.

Alzò la bacchetta, disegnando nell’aria lo stesso incantesimo di apertura che usava da ragazzo, in quella che adesso gli sembrava una vita talmente lontana da sembrargli finta. La porta si aprì docilmente sotto il suo tocco, come se lo stesse aspettando, come se non fosse passato un giorno da quegli ultimi giorni dei suo quindici anni.

La stessa età di suo figlio. L’età in cui aveva preso tutte le decisioni sbagliate.

A parte una, ovviamente. 

Salì lentamente le scale cercando di svuotare la mente, lasciando che le voci del passato gli scivolassero accanto senza distrarlo. Per un attimo si girò indietro, quasi dovesse chiamare qualcuno fermo all’inizio della scalinata ma ovviamente dietro di sé non c’era che il vuoto di una casa ormai disabitata.

La camera di Cassandra era al secondo piano, sulla destra,ma non era li che doveva andare. Ricordava bene di una stanza chiusa perennemente a chiave,in fondo al corridoio. C’era entrato solo una volta, quando, approfittando del fatto che lei dovesse essere in infermeria, era andato a cancellare qualsiasi traccia potesse aver lasciato quando erano andati a cercare il libro. Si era premurato di farsi vedere ai Tre mManici di Scopa e poi in silenzio, approfittando del tasso alcolemico di Tiger e Goyle, era scivolato verso la casa. Quando era entrato tutto era silenzioso, nessun segno di presenza. Tranquillo era quindi salito al piano superiore, deciso a passare meno tempo possibile in quella casa. Ma proprio quando stava per andarsene aveva notato quella porta stranamente aperta, e dentro quello che non aveva mai pensato di sentire. Si era avvicinato cercando di fare meno rumore possibile, seguendo quel suono sottile e così estraneo, fino a poter sbirciare nella fessura lasciata aperta.

Li, all’interno di una stanza senza luce, con le finestre coperte da spesse tendaggi rossi, Cassandra Carrow, la ragazza che sembrava non avere reazioni umane, stava piangendo di fronte ad un grande ritratto di una giovane donna che le somigliava terribilmente.

Era rimasto in ascolto, impacciato. Decisamente non era mai stato bravo a consolare qualcuno. Come avrebbe poi reagito Cassandra?L’aveva minacciata di una maledizione orribile e di certo entrambi sapevano che non stava scherzando. 

Eppure li in ginocchio, persa la solita algida compostezza, sembrava così indifesa e fragile.

Non ne sono capace.  La voce singhiozzante di Cassandra gli rimbombava in testa come se fosse ancora li, sulla soglia, indeciso ancora una volta se entrare o scappare e fare finta di nulla.

Forse si era mosso, forse aveva fatto rumore. O semplicemente lei aveva percepito qualcosa che non andava. Si era girata di scatto, alzandosi in piedi.

Ed era li che lo aveva visto.

Inciso sul pavimento di legno, quasi bruciato.

Un disegno intricato di linee e curve, che si intrecciavano tra loro. Una maledizione.

Anzi, un maleficio. Ne aveva visti altri, nei libri che Cassandra custodiva in camera sua, ricordi della madre morta in circostanze misteriose e dedita a quel tipo di magia.Evidentemente però qualcosa non aveva funzionato come doveva. Ecco perché stava piangendo.

La stanza ora era vuota, le tende tirate che lasciavano intravedere la notte cupa e densa dietro il vetro.

Entrò guardingo, i passi che scricchiolavano sulle centinaia di schegge argentee che costellavano il pavimento sino alla parete con il dipinto che ora lo fissava beffardo ed immobile. Poco sotto, su una credenza di legno scuro, una scatola squadrata con sopra lo stesso disegno La aprì titubante con la magia facendo attenzione a non sfiorarla a mani, rompendo il sigillo di ceralacca.

Le parole gli danzavano sotto gli occhi, confondendosi l’una sull’altra, i ricordi di quella sera che tornavano come un veleno acido, facendosi largo nella nebbia del confundo.

Ricordava il suo sorriso, il modo in cui aveva piegato le labbra soddisfatta quando aveva firmato. Troppo soddisfatta, come aveva fatto a non rendersene conto?

Come aveva potuto? Come poteva essere stato così stupido da non pensare che c’era di più da quello che aveva letto di sfuggita, troppo preoccupato per Draco?O solo troppo arrogante?

Era l’accordo con cui aveva concesso ad Abraxas di vivere nelle Ebridi e a Cassandra di occuparsi di lui. O almeno era quello che aveva creduto.

Perché di certo non ricordava quelle scritte che ora lo guardavano maligne. Se solo lo avesse saputo… 

Se solo avesse ricordato…

Avrebbe potuto e evitarlo.

Farò a pezzi quello che ami

Non era stata solo una vuota minaccia, una voce  fastidiosa che rimbombava nella sua testa.

Tornò ad essere quel ragazzino impietrito dalla paura che sperava di aver sepolto per sempre quando aveva preso il marchio nero. Ma questa volta neanche l’amore di narcissa l’avrebbe salvato. Perchè quella che era sembrata fino ad allora l’unica scelta giusta della sua adolescenza, ora sembrava condannare l’unica cosa che avesse mai amato. Proprio quella che pensava di non potersi mai creare sul serio.

La sua famiglia.

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