
Dietro la maschera
Dopo pochi giorni era chiaro a tutti che Dolores Umbridge non fosse solo una zelante funzionaria del Ministero con una capacità di apertura e flessibilità mentale inferiore a quella di un vermicolo ma anche un’acida, passivo- aggressivamaniaca del controllo con una vomitevole fissazione con il rosa e secondo Ginevra Weasley una frigida stronza.
Per Hermione Granger tuttavia due erano le qualità peggiori.
Primo, era una razzista.
Secondo, una grandissima incompetente.
E tra le due non sapeva cosa fosse peggio.
Entrambe le cose erano state chiare sin da quando se l’erano ritrovate seduta sulla cattedra che era stata di Remus e di Tonks. Persino Lockhart e addirittura il finto Moody erano stati meglio.Almeno loro avevano provato ad insegnare. Certo Crouch Junior con una disgustosa predilezione per le maledizioni senza perdono e Gilderoy Lockhart… beh almeno era bello da guardare.
Davanti a lei invece, in un completo color rosa caramella avariata e con i piccoli piedi tozzi che battevano impazienti, la nuova Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, era stata da subito l’emblema della grettitudine mentale, nonostante il sorriso fintamente dolce con cui li aveva accolti.
Fino a quel momento in ogni lezione erano stati liberi di sedersi dove preferivano, le uniche eccezioni costituite da Piton e dalla Mc Granitt che esasperati dai loro litigi quando Draco invece di prendere appunti si metteva a tamburellare sulle sue gambe avevano imposto loro di mettersi ai lati opposti della stanza. Ma almeno durante gli intervalli delle lezioni potevano stare insieme senza problemi se non qualche occhiata esasperata.
L’Umbridge invece aveva imposto una rigidissima separazione tra le Case: secondo il memorandum che avevano ricevuto quella mattina era chiaramente indicato che ogni interazione con qualcuno che non fosse della stessa casa doveva essere approvato da un professore. Persino le aule studio erano state dedicate in base all’appartenenza e così i tavoli della biblioteca. Un livello che neanche Salazar Serpeverde in persona avrebbe raggiunto.
Ma se il primo punto aveva causato pochi malcontenti e principalmente tra le coppie miste, il secondo aveva causato un vero e proprio tentativo di rivolta che quell’odiosa donnetta aveva sedato senza battere ciglio mentre lei e i suoi assistenti lanciavano un immobilicorpus sugli studenti. Ora, a parte il fatto che nella sua prima ora da Preside aveva già usato degli incantesimi punitivi sugli studenti, cosa inimmaginabile, quello che aveva fatto aveva dell’incredibile: tutte le attività extra scolastiche dal Quidditch ai gruppi di lettura erano state bandite.
Infine il terzo punto, quello che aveva lasciato senza parole l’intero corpo studenti peggio delle caramelle attaccadenti dei fratelli Weasley: testuali parole ogni forma di fisicità interpersonale era proibita.
Addirittura, da brava bigotta qual era, ragazzi e ragazze dovevano stare ad almeno un metro di distanza, pena la perdita di punti per la propria casa oltre ad una punizione personale. Anche agli studenti dello stesso sesso non andava meglio, la Umbridge aveva detto con un tono di zucchero che avrebbe fatto vomitare anche un diabetico che chiunque fosse stato sorpreso in atteggiamenti sospetti sarebbe stato costretto a portare dei braccialetti respingenti, ogni volta che due portatori si fossero avvicinati troppo.
«Io non ci posso credere che quel imbecille di Percy sia davvero così imbecille. Ah quando lo diremo a mia madre lo rincorrerà con la scopa sino a Diagon Alley, garantito. Imbecille» aveva bofonchiato Ron, starnutendo rumorosamente. Dopo averli inzuppati, infatti, l’Umbridge aveva permesso loro di asciugarsi solo dopo aver finito il suo interminabile discorso.
Se fossero stati in una situazione normale si sarebbe girata e avrebbe riso con lui ed Harry, rincuorata dall’idea di una Molly Weasley che inseguiva inferocita il suo figlio finora impeccabile. E anche a quello che avrebbero escogitato Fred e George per fargliela pagare.
Ma ora, forzata a stare lontana dai suoi due migliori amici, incasellata in un posto assegnato tra le fila delle studentesse, tra Patil e la Reid, entrambe piuttosto determinate ad ignorarla, per la prima volta in vita sua si era trovata ad odiare Hogwarts.
Provò a girarsi per cercare lo sguardo di Draco, nella prima fila dei Serpeverde a sinistra della sala e quattro file dietro di lei. Era dalla mattina che non lo vedeva e anche lì non è che fosse stato proprio amichevole nei confronti della preside, ringhiando del fatto che a lui non gliene poteva fregare di meno della Corvonero morta. Io una ragazza. E il Quidditch… chi cazzo è così demente da cancellare il Quidditch? Erano state le sue quasi esatte parole che gli avevano provocato oltre che una doccia fredda, un silencioe un invito a raggiungere la preside quella sera stessa.
«Dieci punti in meno a Grifondoro, Signorina Granger. Guardi il foglio davanti a lei, dietro non c’è niente che deve interessarla la voce dell’Umbridge era ancora fintamente dolce, ma la forza con cui sbatté la mano ricoperta di pacchiani anelli sul tavolo non lasciava dubbi sulla sua reale natura.
Mordendosi la lingua Hermione si costrinse a guardare il foglio che aveva sul banco, con sopra il suo nome.
«È per conoscerci meglio» tubò l’Umbridge con un sorriso che non riusciva ad illuminarle gli occhi porcini.
Batté di nuovo le palpebre, incredula mentre la mano si alzava per un automatismo.
Ma evidentemente c’era stato qualcuno più veloce di lei.
«Status di sangue dei genitori? È seria?» il ringhio del bambino sopravvissuto dall’ultima fila non aveva nulla da invidiare alla sua forma di animagus.
«Come ho detto, Signor Potter, è per conoscervi meglio. E non sono tenuta a darvi spiegazioni sui miei metodi. Se proprio doveva fare un appunto inopportuno sarebbe stato meglio chiedere cosa scrivere alla domanda sulla professione dei genitori, non crede?» chiese premendo per un attimo le labbra tra di loro in segno di stizza.
«Eroi di guerra dice che va bene? » rimbatté Harry con stizza, gli occhi verdi che fiammeggiavano « O vuole che metta quella di Sirius Black, il mio padrino?»
La mascella della Umbridge si tese di nuovo, la faccia che sembrava sempre più quella di un rospo.
«Galeotto sfuggito alla giustizia non è una professione, signor Potter. E altri dieci punti in meno a Grifondoro»
Prima che Harry azzannasse sul serio la nuova preside emerse dal lato opposto la voce dal tono sempre vagamente annoiato di Draco quando si rivolgeva a qualunque adulto che non fosse persino sopra i borbottii e le imprecazioni non proprio trattenute di Ron ed Harry,
«E il suo?»
L’Umbridge si limitò a guardarlo, gli occhi che per un momento fiammeggiarono prima di inclinare con finta dolcezza la testa « Il mio cosa signor Malfoy? Il mio lavoro? Sono una funzionaria del Ministero addetto al controllo della Magia. Il mio compito è ripristinare l’ordine in questa situazione di caos»
«E non quello di proteggerci? Strano» non poté fare a meno di commentare Hermione « E sono certa che Draco intendesse il suo status di sangue visto che è così importante…»
La Umbridge batte di nuovo la mano tozza e ingioiellata sulla tavola «Basta con queste insolenze. Dieci punti in meno a Grifondoro per i commenti inopportuni della signorina Granger. E ora silenzio. avete mezz’ora per compilare il questionario. E non voglio sentire una parola…» sibilò, la sua vera natura sempre meno celata dietro la maschera di finta preoccupazione per gli studenti.
«Non si preoccupi, ho avuto la mia risposta» commentò acido, deciso ad avere l’ultima parola.
Ultima in tutti i sensi, visto che poi l’intera classe si trovò silenziata nuovamente.
***
Le lezioni non erano mai parse così lunghe e noiose. Aveva cercato in ogni modo di raggiungere la Granger ma ogni volta che provava ad avvicinarsi appariva una sorta di cherubino ciccione con elmo e uno strano pungolo che dava la scossa a dividerli. E decisamente quel giorno quel maledetto volatile obeso dalla forma umana aveva avuto un gran da fare.
Dopo la cena, silenziosa più per lo stress della giornata che per lo sgomento per la morte della Turpin, avevano dovuto riportare tutti direttamente nella sala comune. Già entrando con il gruppo del primo anno Draco aveva avuto l’impressione che c’era qualcosa, l’ennesima, che non andava.
No, quello stupido vecchio rospo non poteva averlo fatto sul serio: la loro bellissima sala comune con gli enormi divani di pelle scura davanti al fuoco e le nicchie dove si trovava sempre qualcuno appartato, ora era divisa in due da un orrido muro a sinistra del quale spiccava il disegno di una farfalla e a destra quello di un corvo. Persino il Barone Sanguinario che li attendeva all’ingresso sembrava sconsolato. Piton al contrario, nonostante si mantenesse impassibile, sembrava in grado di poter pietrificare qualcuno con il solo sguardo.
Draco si scambiò un’occhiata preoccupata con Blaise, appena entrato anche il gruppo del quinto anno. Si, non era sicuramente una questione solo di estetica: quel muro non stava solo spaccando quella che era sempre stata la loro casa, l’unico posto sicuro per molti di loro. Divideva la famiglia che si erano scelti: perché se lui, Theo e Blaise almeno potevano ancora contare gli uni sugli altri, ora Pansy era da sola dietro quella porta che rendeva la loro casa per la prima volta un luogo estraneo. Per fortuna che almeno c’erano Astoria e Daphne con lei… sempre che anche quelle due non decidessero di impazzire.
Vide Theo socchiudere gli occhi pensoso, l’ultimo del loro anno ad attraversare la soglia, dopo l’ennesimo sbuffo di Piton, raggiungendoli nel nuovo spazio comune, decisamente più angusto e persino più tetro del precedente.
Inoltre la compagnia non era di certo migliorata. Però se c’era una cosa che aveva imparato dai suoi era l’importanza di tenere stretti i nemici. E se c’era una viscida serpe su cui contare in un lavoro di pubbliche relazioni fittizie quella decisamente era Blaise Zabini, per questo mentre il suo suddetto migliore amico stava per rintanarsi nella loro stanza lo bloccò su un braccio e lo spinse senza troppe pretese sul divano, dove già un nutrito gruppo di Serpeverde del quinto e sesto anno stava bivaccando, con aria fin troppo soddisfatta.
«Era ora che finalmente questa schifosa scuola avesse una preside decente» commentò compiaciuto Atticus Flint lanciandosi sul divano«Anche a voi hanno fatto indicare se siete dei sanguemarcio?»
Fortuna che quei quattro zotici esplosero in una risata degna dei troll delle caverne che coprì l’imprecazione che gli era sfuggita dopo che Blaise, per farlo tacere, gli aveva rifilato una gomitata non troppo gentile al fianco. Forse però non fu abbastanza visto che poco dopo si trovò l’intera comitiva che lo fissava.
Si fermò per un attimo, chiedendosi come fosse possibile che solo poco un po’ di un anno prima sarebbe stato li su quel divano, a fare la stessa battuta di quel mago da strapazzo con i denti storti. O meglio, lui sicuramente l’avrebbe detta con più classe mentre dentro di sé la sola idea di non poter più rivedere la Granger lo faceva impazzire e al contempo avrebbe pensato che quello era davvero un segno del destino.
Spero che la prossima sia la Granger.
Le sue stesse parole gli risuonavano in testa, ancora più crudeli di quando le aveva pronunciate, la stessa sensazione di panico che lo attanagliava. Aveva ragione Potter quando gli diceva che era un dannato bullo senza cervello, ma era così che era stato cresciuto, con la sola idea di poter entrare in confidenza con un natobabbano più inverosimile di comprare abiti di seconda mano.
Respira, Draco, Respira.
La voce di Ted si faceva strada lentamente tra i suoi pensieri, come un’onda lontana che si infrange sulla sabbia. Istintivamente si trovo a giocherellare nella tasca del mantello con una delle rune che gli aveva dato il natobabbano marito della diseredata da usare come forma di meditazione quando si sentiva agitato o sentiva di perdere nuovamente il controllo. Accarezzo con un dito la forma ormai divenuta famigliare della runa
Protezione.
«Beh Malfoy, forse è la volta buona che ti dimentichi della tua nuova ossessione. Per Salazar Serpeverde, quando mi hanno detto che era al Galà di Natale dei tuoi ho faticato a crederci.Abbiamo sempre saputo che tua madre ti farebbe fare qualsiasi cosa…ma una sanguemarcio…. Beh diciamo che forse era impegnata a pensare ad altro, visto l’articolo sulla Gazzetta».
Forse era stato Flint. O Pucey. O Crabbe… beh no, forse lui no il concetto era troppo articolato per quel troglodita.
Non importava. E non importava quanto meditasse o quanto in passato fosse stato bravo a metter su una facciata di indifferenza. Prima la scoperta del tatuaggio su Hermione, poi la stupida Corvonero morta e quell’idiota dalle trecce di Tassorosso che accusava sua cugina, poi Dafne sparita ed Astoria in una crisi di nervi. E infine era dalla sera precedente che non poteva neanche avvicinarsi alla Granger.
Era stanco, nervoso e voleva solo rinchiudersi nella stanza delle Necessità con la ragazza. Non stare in quella stanza minuscola con quattro imbecilli che abusavano della sua pazienza.
E lui di pazienza non ne aveva mai avuta.
Forse il panciuto natobabbano Tassorosso marito della diseredata avrebbe dovuto dargli una runa che gli impedisse di tirare un pugno a Flint, senza che Blaise riuscisse a fermarlo. O convincerlo che iniziare a sbattere ripetutamente e violentemente la testa dell’imbecille contro il tavolinetto di ebano nero, prima che Vincent e Greg si buttassero su di lui per fermarlo.
Forse avrebbe davvero dovuto. Almeno avrebbe evitato che Blaise e Theo dovessero intervenire schiantando i due energumeni e portandolo via di peso, ancora recalcitrante.
«Cazzo Malfoy, ma sei impazzito? E dire che la Umbridge sta mettendo solo in pratica una proposta di tuo padre» sputò Flint cercando di rialzarsi in piedi, sorretto da Pucey.
In quel momento la porta sbatté di colpo e fece il suo ingresso Piton, ancora più cupo in volto. Li squadrò ad uno ad uno: Flint con un vistoso occhio nero e un rivolo di sangue che gli scorreva lungo il volto sino a insozzare il colletto una volta candido, i due scimmioni repliche degli scimmioni padri con cui aveva avuto il dispiacere di condividere qualche anno di scuola che guardavano inebetiti prima lui, poi Flint e poi il terzetto davanti a loro composto da un impeccabile Blaise Zabini che mostrava un sorriso smagliante a trentadue denti, falso come il tentativo di nascondere la bacchetta spianata nella manica del mantello, un Theodore Nott che lo guardava con quei suoi occhioni da orfano innocente come se davvero lui potesse cascarci e infine uno scarmigliato, digrignate e imbufalito Draco Malfoy. E se le ultime due cose ultimamente erano accadute spesso, la prima era davvero una rarità.
Non ci voleva di certo un genio a capire cosa fosse successo. Ventiquattrore lontano dalla Granger e già dava di matto: geloso come i Black e incauto come i Malfoy. Una pessima combinazione, e di certo lui l’aveva sempre detto.
«Problemi?» chiese alzando un sopracciglio, con un tono che non lasciava adito a dubbi.
Flint lanciò una breve occhiata a Draco, che nel frattempo stava ringhiando contro Blaise e il suo tentativo di sistemargli i capelli all’indietro. Per un momento era evidente che avrebbe voluto denunciarlo ma per una volta fu abbastanza intelligente da tacere, mugugnando invece qualcosa circa l’essere inciampato nel nuovo tappeto.
«Molto bene. Allora tu vieni in infermeria con me, mentre voi adesso andrete tutti nelle vostre stanze e il primo che fiata passerà la notte nella foresta proibita. E non tentatemi, questa sera davvero non sono in vena» commentò con tono glaciale. Poi di scatto prese il polso di Draco, tirandolo a sé «Tu no. La… Preside» e qui il tono di disgusto era evidente anche ai più sprovveduti «Vuole vederti.»
Finse di ignorare l’imprecazione del ragazzo. In fondo non poteva di certo dargli torto.
Quella psicopatica in rosa con l’ossessione per i gatti riusciva a spaventare anche lui che per anni aveva fatto il doppio gioco con Voldemort.
Già. Voldemort. Chissà in quale angolo si nascondeva. Perché se era certo di una cosa era che il Signore Oscuro aveva subito un terribile colpo con la distruzione dell’Horcrux della gemma, ma di certo non era stato sconfitto. Non ancora.
Deglutì. Non con il figlio di Lily ancora in vita.
E lui ancora una volta doveva rimanere nell’ombra, un testimone silenzioso, in attesa che il Signore Oscuro facesse la sua mossa. Silente era stato chiaro.
«Restate qui e fate tutto quello che vuole la Signora Umbridge», erano state le ultime parole prima di scomparire.
«Preside Umbridge»aveva rimbeccato subito uno dei suoi lacchè.
«Un titolo è solo un titolo Signor Weasley. È chi l’intenzione che lo rende tale», si era limitato a rispondere Silente con il suo sorriso fintamente svagato, mentre lui aveva dovuto trattenersi dallo schiantare quello stupido spilungone dai capelli rossi che a malapena aveva tollerato l’anno precedente come studente « Così come chiamare assassino qualcuno non lo rende tale.»
Ma qualcuno era morto e lui sentiva la magia oscura nell’aria.
Di nuovo.
E questa volta era rimasto solo. Busso tre volte velocemente alla porta della Umbridge, prima di spalancare la porta di scatto, giusto in tempo per vedere Potter alzarsi praticamente ringhiando. Per un attimo gli sembrò di rivedere quello stupido di James. Stesso atteggiamento strafottente, stesso mento alzato in segno di sfida, stesso sguardo di puro disgusto per l’autorità. Ma ad essere onesti questa volta non poteva dare torto al giovane Potter.
«Ah Signor Malfoy, eccola qui. Signor Potter può andare, sono certa che ci saranno altre occasioni per parlare» cinguettò con quella vocetta acuta. Severus Piton respirò profondamente, guardando la teiera di finissima porcellana che faceva bella mostra sul tavolo della Preside. La conosceva quella dannata teiera, anzi benissimo visto che un giorno una psicopatica bionda in tacchi alti e impeccabile vestito blu oltremare abbinato ai guanti e al cappellino si era presentata a casa sua , in uno dei pochi giorni che non passava ad Hogwarts, accompagnata da uno stupido elfo con un fiocco in testa con quella stessa teiera e un intero set di tazze abbinate, blaterando qualcosa sul fatto che non avrebbe più permesso che uno come lui bevesse il tè in una banale teiera da dieci falci. Dopo mezz’ora di rimbrotti reciproci e solo con l’idea che accettando quello stupido pezzo di ceramica la facesse finalmente smettere di parlare di banalità simili, aveva accettato il regalo. E a dire il vero da allora l’aveva usata ogni singolo giorno. Era il 31 ottobre del 1982, un anno esatto dalla morte di Lily Evans, il suo fiore reciso troppo presto, bellissima come quegli stessi gigli bianchi che ornavano delicati e meravigliosi la porcellana blu. Blu, il colore preferito di Lily.
Forse Narcissa non aveva mai approvata il suo amore per quella strega, nata babbana e grifondoro. E di sicuro aveva uno strano modo di comunicare che rasentava la follia, ma quello era il suo modo di chiedergli scusa e di stargli vicino in un momento così difficile per lui. Solo anni dopo, insospettito, aveva capito che quello stupido oggetto da corredo aveva una qualità davvero unica: riusciva a neutralizzare ogni tipo di veleno o pozione. Quando le aveva chiesto spiegazioni, Narcissa si era limitata a sbattere gli occhioni azzurri, versandogli il liquido caldo e aromatico nelle tazze abbinate, ciascuna con un fiore diverso che si apriva sotto i loro occhi, chiosando un «Con il caratteraccio che ti ritrovi, mi sembra poco probabile che nessuno tenti di ucciderti»
Certo, come se lui non sapesse riconoscere praticamente ogni tipo di veleni solo dall’odore. Ma non era questo il punto. C’erano due cose che lo infastidivano enormemente, in quella situazione. La prima erano le manacce tozze e grossolane su una cosa che gli apparteneva. La seconda che qualcuno fosse entrato nelle sue stanze e avesse preso qualcosa senza il suo permesso.
E c’erano solo due persone che potevano fare una cosa del genere. Entrambe legate con il suo figlioccio sbuffante e recalcitrante che non aveva fatto altro che lamentarsi nel lungo tragitto tra i sotterranei e il nuovo ufficio. Lo spinse dentro senza troppe cerimonie, mentre Harry Potter usciva sbuffando.
«Severus, forse vuoi provare a parlare tu con il giovane Signor Potter? Sembra che sia piuttosto … ostile alle mie richieste»
Severus represse l’istinto di lanciarle una fattura orcovolante, ammettendo che in fondo avrebbe avuto solo la conseguenza di migliorarla esteriormente e di fatto si sarebbe ritrovato solo con un mucchio di scartoffie da compilare, anche nel caso in cui fosse riuscito a far passare Draco o Potter come colpevoli. E tra l’altro doveva essergli sfuggito il momento in cui aveva detto a quel rospo vanesio vestito di rosa che poteva dargli del tu.
«Le posso assicurare che Potter non ha mai ascoltato niente di quello che io abbia detto in cinque anni… solo un cane può aiutare un altro cane» commentò trascinando dentro Malfoy. Un breve lampo in quegli occhi verdi come quelli di Lily gli diede un briciolo di speranza: forse aveva ragione Silente… qualcosa dell’intelligenza della madre doveva aver ereditato.
«Sfregiato» lo senti dire a mo’ di saluto, in un tono però che presupponeva molto di più del solito disgusto che vomitava addosso a chiunque. D’altronde tale madre tale figlio…Era un miracolo che Narcissa non gli avesse messo addosso degli incantesimi protettivi per evitare che chiunque lei non ritenesse all’altezza, ovvero il 98% della popolazione, gli si avvicinasse. E a pensarci ora forse sarebbe stato meglio. «Cos’hai fatto al polso?»
«Mi sono slogato il polso per le nuove regole, contento furetto? » sibilò quello di rimando, non mancando di spintonarlo passando. Severus fece finta di nulla, sperando solo che Potter salisse di corsa a contattare quell’altro degenerato di Sirius Black, prima che chiudessero anche le altre vie di comunicazione. Già posta e camini erano stati sigillati e lui non poteva rischiare di farsi scoprire, eppure non poté fare a meno di notare anche lui come il giovane Potter tenesse il polso rigido, né come si fosse affrettato a tirare giù il maglione della divisa appena aveva visto il suo sguardo posarsi un attimo più a lungo di quello che si sarebbe aspettato.
Se avessero cacciato anche lui non sarebbe rimasto nessuno ad Hogwarts a proteggere gli studenti dalla magia oscura che iniziava ormai a trasudare dalle pareti a parte Minerva. E anche per lei sarebbe stata solo questione di tempo.
«Ora puoi andare Severus, sono certa che io e Draco possiamo parlare da soli» - la voce fastidiosa gli penetrò anche dietro quel blando velo di occlusione che metteva su sempre in questi casi. E a giudicare dalla postura più rigida del solito e dallo sguardo più metallico che azzurro che gli rivolse prima che chiudesse la porta, non era il solo in quella stanza ad occludere.
«Ha dei gusti raffinati » si limitò a commentare il ragazzo, alzando appena un sopracciglio.
Severus chiuse la porta dietro di sé.
Doveva avere fiducia. Gli aveva insegnato bene. Fin troppo a dire il vero.
E ora doveva andare a parlare con Niamh. Non sapeva a che gioco stesse giocando quella squinternata ma era evidente che ben presto sarebbe finita anche lei sulla lista nera di Dolores Umbridge.
E sulla sua, visto che di certo c’era lei e quel dannato elfo che le squittiva sempre addosso dietro il furto della sua maledetta teiera.
Per Salazar…doveva smettere di pensare a quella dannata teiera... già c’erano abbastanza storie sul molliccio di Longbottom di qualche anno prima, non c’era certo bisogno di alimentarle con racconti di lui che borbottava come Augusta Longbottom.
***
Ognuno aveva il proprio stile e metodo preferito per occludere: c’era chi cercava di calmare la propria mente immaginando le acque limpide e calme di un lago, chi cantava la stessa canzone nella propria mente decine e decine di volte perdendosi nella melodia, chi ripeteva a memoria un testo sino a quando le parole perdevano di significato e restavano solo le singole lettere, chi immaginava il cielo d’estate sino a quando le stelle si spegnevano una ad una. Lui invece aveva sempre preferito l’idea delle pozioni per calmare la propria mente, soffermandosi sul bollore di un calderone immaginario sino a quando non sentiva più niente se non l’odore rassicurante così simile a quello del laboratorio di pozioni, mentre tutto ciò di cui nessuno doveva sapere veniva imbottigliato con cura in piccole ampolle colorate.
Per questo ora era lì con la sua migliore postura: la schiena ben eretta ma non rigida, le gambe rilassate e non perfettamente parallele e le mani morbidamente sul bracciolo della sedia, mentre con l’espressione più neutra che riuscisse a trovare osservava l’infinita serie di piattini in ceramica con gatti miagolanti che ornavano l’intera parete. Sua madre diceva sempre che bisognava trovare un argomento di conversazione cui aggrapparsi ogni volta che si incontrava qualcuno di nuovo. Beh di certo quello non sarebbe stato l’arredamento di interni. O la moda in generale, a quanto pareva.
E decisamente non sarebbe stato Harry Potter, era già chiaro che non fosse tra le fan dello Sfregiato Sopravvissuto.
Il che non era strano visto che quell’idiota era dall’estate precedente che continuava a sbandierare ai quattro venti che il Signore Oscuro era rinato, solo per garantire a quel cane del suo padrino la piena immunità. Ovviamente anche lui sapeva bene che lo psicopatico era risorto, tanto più che lui ci aveva quasi rimesso le penne nel processo. Ma quello che i dannati Grifondoro non sembravano capire era l’importanza della discrezione. L’aveva sempre detto lui che erano tutte fanfare e trombe squillanti e poca intelligenza.
Sentì l’incubo in rosa ripetere il suo nome e si costrinse a concentrarsi su di lei. Si chiese distrattamente quando fossero entrati così in confidenza da essere chiamato con il nome di battesimo.
«Scusi, stavo osservando tutte le migliorie apportate a questo posto» mentì, stupendosi quando il rospo con il rossetto sembro credere a quella che sembrava una cazzata troppo grossa anche per lui.
«Bello, vero? Si vede che hai gusto» tubò in risposta « Stavo leggendo il tuo questionario e ho alcune domande, se non ti dispiace»
Draco annuì, inarcando appena un sopracciglio.
«Qui c’è scritto che il tuo nome completo è Draco Lucius Malfoy, vero? E sei l’erede di Lucius Malfoy, quindi»chiese con la voce che scivolava appena su quella parola che l’aveva tormentato per tanti anni. Erede.
«Così dice mia madre. Narcissa Black, ha presente? Sono quasi certo che il mio secondo nome venga da li. Pensi che qualcuno dice anche che gli somiglio » disse con tono casuale, come se non le avesse appena dato dell’imbecille incapace anche solo di aprire la gazzetta del profeta.
L’Umbridge non perse un colpo, mentre uno dei gatti miagolava così forte da incrinare la porcellana.
«Si, l’ho vista di recente. Come tutti del resto. E pensare che sembrava una donna così …glaciale, direi» commentò con un tono che non riusciva a nascondere l’astio dietro quelle parole. Allora si era sbagliato... la Gazzetta del profeta l’apriva e come. «Quindi al momento è anche l’unico erede della famiglia Black, corretto? I Lestrange non hanno avuto figli a quanto mi risulta»
«Di una parte della famiglia Black, visto che Sirius è vivo e scagionato...» corresse meccanicamente. Evidentemente la parte mondana era di suo grande interesse.
«Per il momento» ribadì la Umbridge, in tono seccato. Quindi non era solo Potter il problema. Interessante.
«Quindi posso presumere che non abbia mentito sullo status di purosangue di entrambe i suoi genitori, vero?» continuò quella incrociando le dita tozze. Troppi anelli, troppo pacchiani. E decisamente non avrebbe mai potuto suonare il piano. Istintivamente si tocco i suoi, così in contrasto con l’oro e l’ambra di quelli della donna...Sanctimonia Vincet Semper.La purezza prima di tutto. La famiglia prima di tutto. La voce di Nicholas era talmente vicina che per un attimo ebbe la certezza che sarebbe entrato da quella porta per tirarlo fuori da quella situazione, per sempre sospeso nei suoi diciassette anni.
Rimase in silenzio, aspettando. Era evidente che c’era altro dietro quell’inutile sfilza di domande. Era evidente che già sapeva le risposte. Le sapevano tutti.
«Eppure non mi risulta ancora alcun fidanzamento ufficiale»
La domanda seguente lo spiazzò a tal punto che per un attimo quasi perse la concentrazione. Si focalizzò sulla scatolina di zucca con sonagli che ornava la scrivania, l’unico oggetto non pacchiano, rosa o ricoperto di merletti di quella bolgia di cattivo gusto.
«Come scusi? Credo che mi sia sfuggito il momento in cui la vita privata degli studenti è diventata affare della scuola» rimbeccò con uno sbuffo, incrociando le braccia davanti al petto.
«Il mantenimento dello status quo è sempre stato uno dei principali obiettivi del Ministero, mio Caro. E dove iniziare se non dalle fondamenta dell’istruzione?» continuò mentre le labbra dipinte di fucsia si stendevano in un sorriso inquietante.
«E il mantenimento dello status quo sarebbe quello di impedirci di socializzare? O di giocare a Quidditch? O..» cercò di scegliere accuratamente le parole «di frequentare chi vogliamo? Crede che sia una mossa saggia per l’elettorato?»
L’Umbridge scoppiò in una risatina simile a quella di un cavallo «Oh, per una certa parte dell’elettorato di sicuro. L’unica che conta. Guarda qui… in fondo ho solo deciso di dare finalmente spazio alle proposte di una persona che conosci molto bene. Sanctimonia Vincet Semper e Toujours Pur. Sono i motti della tua famiglia, o sbaglio?»
Incredibile, pensò Draco con un ghigno... era riuscita a storpiare tanto il latino quanto il francese in una stessa frase. Quella decisamente non proveniva dall’ambiente dove era cresciuto lui, nonostante tentasse disperatamente di dimostrare il contrario. Si sporse appena per prendere il foglio che gli stava porgendo.
Ed eccolo lì, nero su bianco, la madre di tutte le assurdità, quella che aveva sentito sin da quando era solo un bambino. Divisione tra figli di maghi e natibabbani. Supporto e sviluppo della storia e della tradizione del mondo magico. Eliminazioni di materie superflue e dannose. Rivalutazione del personale docente.
Si, in fondo era da lì che nasceva tutta quella serie di stupidaggini della Umbridge, solo che quel vecchio rospo in rosa aveva aggiunto il suo tocco di imperante bigottismo.
E poi capì perché gli era sembrato tutto così famigliare, come se l’avesse già sentito cento volte. Era perché in effetti l’aveva sul serio sentito cento volte. Perché la firma in fondo a quel foglio la conosceva bene, aveva addirittura cercato di falsificarla un paio di volte per autorizzare degli acquisti non proprio ortodossi, procurandosi un sacco di guai.
Lucius Septimus Malfoy
Quella era la dannata firma di suo padre.
Che davvero ci fosse lui dietro tutto questo? In fondo la purezza del sangue era sempre stata l’ossessione di tutta la sua famiglia. E ora che la figlia della diseredata era nei guai era molto probabile che i suoi stessero facendo quello che avevano sempre fatto: saltare sulla barca del vincitore. Sempre che prima non fosse tutta una recita.
« Ora che ci siamo capiti vorrei chiederti qualche informazione su quello che è successo lo scorso anno, durante la finale del Torneo Tre Maghi. So che sei stato vittima di un incidente»
Finalmente aveva smesso di girarci attorno, pensò Draco socchiudendo gli occhi.
«Quello in cui sono quasi morto, intende? Se ha letto i registri sa bene che non ricordo nulla, a parte essere stato rapito mentre andavo a vedere il Torneo. Da Barty Crouch Jr, ricorda? Il Mangiamorte che aveva preso il posto di Malocchio Moody per un anno… »
« E che ha ricevuto il Bacio del dissennatore per essere sfuggito.» tagliò corto, evidentemente in imbarazzo per quella cantonata gigantesca del Ministero che aveva messo tutti loro in tremendo pericolo « Quindi tu mi confermi che quello che dice il Signor Potter sono solo bugie»
Di nuovo Draco si trovò spiazzato dal cambio di attenzione. Ecco il perché di tanto astio nei confronti di Potter «Del fatto che l’hanno quasi ucciso per garantire la rinascita di V…»
«Non. Dire. Il. Suo. Nome» per la prima volta da quando era iniziata quella conversazione la preside sembrò lasciar cadere quella maschera da strega di mezz’età il cui unico obiettivo era garantire il benessere degli studenti. Si sistemò i capelli respirando affannosamente per calmarsi « Te lo richiedo di nuovo. Lo scorso anno qualcuno dice che c’è stata una cerimonia proibita con il vano tentativo di far rinascere Colui che non deve essere Nominato ovviamente fallito. E che ci fossero i tuoi genitori li. Capisci vero che nel caso tu decidessi di seguire questa linea le cose potrebbero diventare sgradevoli per tutti? Significherebbe che le voci su tuo padre e il suo coinvolgimento nei Mangiamorte erano vere… il che è assurdo, no? Sappiamo tutti che è stato scagionato perché sotto imperius… sarebbe un peccato finire ora ad Azkaban»
Nonostante all’esterno potesse sembrare impassibile, dentro di sé Draco si ritrovò ad essere il bambino di cinque anni terrorizzato dall’idea che potessero portare via suo padre. Era davvero troppo piccolo per ricordarsi davvero come si fosse sentito quel mese in cui Lucius era stato via per il processo, eppure era rimasto qualcosa dentro di lui, un grumo di terrore che un giorno gli Auror sarebbero venuti e avrebbero distrutto tutto. Come sempre.
Merlino ma perché la mezzosangue mutaforma aveva scelto di diventare un Auror? Non poteva fare un lavoro normale se proprio doveva? A dire il vero non era male come insegnante…ma Auror…
La donna sembrò scartabellare per un attimo in un altro faldone, quasi sovrappensiero «Sei molto amico della signorina Parkinson, vero?»
Perso nel filo dei suoi pensieri Draco per un attimo rimase senza parole, limitandosi ad annuire mentre il batrace colorato gli allungava soddisfatto una pergamena. La prese con riluttanza, mentre le lettere gli ballavano davanti gli occhi fino a perdere il senso. Quello non era un compito di uno studente ma una dichiarazione del Wizegamot.
La rilesse da capo, sperando che avesse smesso di aver capito male la sua lingua madre.
«Cosa vorrebbe dire, Preside? Il tribunale si è già espresso sull’emancipazione di Pansy» riuscì finalmente a dire.
La strega inclinò la testa con fare accondiscendente, socchiudendo le labbra sbordate di rossetto pacchiano mentre un gatto dietro di lei miagolava così forte da aver fatto venire gli incubi a tutti i topi nel raggio di cento miglia « Una decisione affrettata, a mio avviso. Come si fa a togliere una figlia alla madre? La povera lady Parkinson è cosi disperata…»
«Signora Parkinson» corresse in automatico Draco, rendendosi conto troppo tardi che era stato un modo della Umbridge per metterlo alla prova. Tutti sapevano che i titoli onorifici erano solo di poche famiglie e che di certo i Parkinson, per quanto ricchi non erano tra l’élite dell’aristocrazia purosangue del mondo magico.
«Già, perdonami, ho fatto confusione con tua madre…sai per me davanti alla legge siamo tutti uguali» ridacchiò soddisfatta «Ma come dicevo ho chiesto un riesame del caso e sembra che il nuovo consiglio sia d’accordo con me»
Draco digrignò i denti «E quindi vuole togliere l’eredità a Pansy e gettarla tra le grinfie di quell’arrivista alcolizzata della madre»
Aveva parlato in un modo che avrebbe dovuto farla infuriare, invece quella si limitò a sorridere ancora di più, uno strano lampo negli occhi freddi come quelli di un serpente « Oh ma quello dipende solo da te, mio caro. Come puoi notare non è stata ancora protocollata. Se farai il bravo e collaborerai farò in modo che quella lettera si perda e ci vorrà tempo perché qualcuno se ne accorga... oserei dire il tempo per la signorina Parkinson di compiere diciassette anni» tubò
Draco deglutì a vuoto, sentendo la gola riarsa come se non bevesse da mesi: era sempre stato un egoista viziato, ma ora stava a lui cercare di mettere insieme i pezzi. Riconosceva lo sguardo di quella donna. Non era ricca, non era affascinante, non era purosangue e a dirla tutta neanche particolarmente intelligente. Ma era affamata di potere, poteva quasi sentire il suo desiderio che la logorava ad ogni respiro.
E se c’era una seconda cosa che aveva imparato dai suoi genitori era quella di non attaccare mai direttamente chi era mosso da un odio e una motivazione così feroce. Diplomazia e politica in fondo gli scorrevano nelle vene, era solo il caso di mettere in pratica anni di insegnamenti. Aveva visto centinaia di volte i suoi in occasioni mondane, aveva visto come preparavano le loro strategie che fosse in politica, negli affari o in società. Tutti i balli, tutti gli incontri formali, tutte le colazioni di lavoro e le volte in cui aveva dovuto ascoltarenoiosissimi discorsi cercando di sembrare interessato… ecco forse finalmente avevano una ragione d’essere.
Non poteva tradire Pansy, non dopo tutto quello che aveva passato. Sanctimonia vincet semper. Pansy era la sua famiglia in fondo. E in passato aveva dimostrato che per proteggere la sua famiglia, da buon serpeverde e da buon Malfoy era disposto a calpestare chiunque. Potter incluso.
«Non ricordo niente, Preside. Ma dubito fortemente che ci sia mai stato nulla del genere. I miei erano ad una cena quella sera» mentì spudoratamente sfoderando il suo miglior sorriso, sicuro che ancora una volta le fossette e l’aria innocente che riusciva a mettere su lo avrebbero salvato.
L’Umbridge batté le mani, il metallo degli anelli che sbatteva insieme alle mani grassocce.
«Ne ero certa. E ora, mio caro Draco, vorrei parlarti di un’altra cosa. Che ne diresti di far parte della mia Squadra d’Inquisizione?»
Draco represse la nausea che gli era salita solo a sentire quel nome, costringendosi a mostrare invece il suo sorriso più accattivante «Mi sembra un’ottima idea, Preside»
E mentre quel rospo elencava tutto quello che avrebbe dovuto fare Draco Malfoy sperò solo di riuscire a spiegare tutto alla Granger, prima che qualcuno riuscisse a convincerla che l’aveva tradita.
Potentia Para Vis.
La potenza prima di tutto.
E lui a quel gioco di certo non avrebbe perso.