
Mai fidarsi di un grifondoro
«Ronald, è mai possibile che tu riesca sempre a fare tardi?» Hermione sbuffò sbandando sotto il peso dei libri che continuava a portare dietro, ormai arrivati ad un livello tale che neanche gli incantesimi sulla borsa potevano aiutare, avviandosi a passo svelto verso la sala nell’ala ovest dove ormai la riunione dei prefetti stava per iniziare.
«Non è colpa mia se ho fame… dillo a Tonks che ci ha mandato la sostituta e non ci ha fatto fare la solita pausa merenda, ormai mi sono abituato a fare lo spuntino quando abbiamo lei il pomeriggio» bofonchiò Ron spazzando via le briciole dello zuccotto dal mantello rischiando di far volare via la spilla da prefetto. Per fortuna che l’aveva magicamente ancorata al tessuto proprio pensando ad una tale evenienza «Per Godric Grifondoro, ma non poteva semplicemente rimandare la lezione? E poi si può sapere che fine ha fatto? Non è che ha problemi con il…si insomma lo sai»
«Non credo, sembrava stare bene l’altra sera. E voglio sperare che qualcuno ce lo avrebbe detto da casa. Dici che è il caso di preoccuparci?» la ragazza si mordicchiò il labbro pensierosa. Da quando il giorno prima era andata via di corsa insieme a Peeves non l’avevano più vista... E non era da lei farsi sostituire… da chi poi. Anche se doveva ammettere che la lezione sui loi della Montemorcy era stata interessante, fin troppo...
Le sue riflessioni su Tonks, tuttavia, da una serie emozioni contrapposte che l’assalirono appena la porta si aprì davanti a lei.
Stizza per essere ultimi, grazie a Ron, visto che lei era pronta da almeno dieci minuti e aveva anche già finito il compito per il giorno dopo.
Gioia nel notare l’elegante figura di Draco seduto ordinatamente al suo posto tra i prefetti del quinto anno, come sempre senza un capello fuori posto.
Rabbia nel notare quanto sembrasse stare bene per uno che era stato rinchiuso da due settimane e che qualche sera prima non aveva risposto quando gli aveva mandato un messaggio più che sexy. Per fortuna che poi c’era stato tutto il casino con Harry e Ginny a distrarla, ma LUI non poteva di certo saperlo. Ed era sicura, conoscendolo, che fosse sveglio e annoiato.
Furore omicida quando notò l’atteggiamento più che amichevole con cui quello che era il suo fidanzato, noto per essere lo studente più snob e insofferente verso chiunque non fosse della sua casa che avesse mai messo piede ad Hogwarts negli ultimi vent’anni, chiacchierare amichevolmente con Marietta Edgecombe.
E sorrideva persino, rivelando quelle fossette impossibili che riuscivano a farla capitolare ogni volta. Lo sapeva perfettamente anche se era di tre quarti, riconosceva il modo rilassato in cui il suo viso si muoveva le rare volte in cui lo faceva.
Sorrideva mostrando le fossette e i denti perfetti a Marietta Edgecombe. Marietta Edgecombe che a detta di Pansy profumava di lavanda e da come lo guardava in quel momento avrebbe tanto voluto essere sbattuta contro il muro davanti all’intera rappresentanza dei prefetti di ogni casa.
Marietta Edgecombe che se continuava a fare la svenevola con il suo ragazzo si sarebbe trovata trasformata in una lumaca cornuta. Una sorta migliore comunque di quella che sarebbe toccata a lui, poco ma sicuro.
«Quando te lo dico io che è un deficiente tu sei tutta un ma cosa dici, non lo conosci… è cambiato» bofonchiò Ron che stava evidentemente valutando le possibilità di lanciare una fattura orco volante su Malfoy e farla liscia in una stanza piena di professori. Dallo sguardo che si scambiò con la McGranitt era evidente che la professoressa di trasfigurazione sarebbe stata più che felice di lasciar correre.
Hermione marciò a passo di carica in direzione del serpeverde lasciando cadere con molta poca grazia la borsa ad un centimetro dal braccio pigramente piegato di Draco che sobbalzò girandosi di scatto con un’imprecazione neanche troppo trattenuta visto lo sbuffo di Piton.
Quando però la riconobbe fece quella che secondo lui era la sua irresistibile faccia da cucciolo felice, sgranando gli occhi grigi come se gli avessero appena dato il miglior regalo di Natale di sempre. Che, nella contorta mente di Draco Malfoy, era probabilmente la notizia che Harry Potter si fosse trasferito in Nuova Zelanda con tutta, o quasi, Grifondoro.
«Granger, finalmente! Iniziavo a pensare che ti fossi persa dietro qualche elfo domestico» le disse alzandosi per darle un bacio sulla guancia.
Piton sbuffò più forte, insensibile allo sguardo di pura innocenza del suo studente preferito, mentre alla Montmorency sfuggì una risatina neanche troppo contenuta. Non servivano parole, ma era evidente a tutti che era il caso che Malfoy non tirasse troppo la corda se non voleva essere chiuso nella sala Comune sino al giorno in cui avesse preso il M.A.G.O, sempre che fosse sopravvissuto abbastanza a lungo.
«E ora se ci siamo tutti vi pregherei di fare silenzio e prestare attenzione. Molta attenzione» quando Silente fino a quel momento rimasto in silenzio, parlò sull’intera stanza calò il silenzio. Con un tocco leggero del polso il preside disegnò in aria una serie di segni, un misto indecifrabile tra le rune che erano abituati a studiare e le forme distorte che la Montemorcy aveva mostrato poche ore prima e che li osservava in silenzio, squadrandoli.
«Nei vostri turni di ronda dovete fare molta attenzione se vedete segni come questi, o anche vagamente simili. Non toccateli, non provate a lanciare incantesimi, non vi avvicinate troppo. Se ne avvistate uno dovete immediatamente avvisare un professore, sono stato chiaro?» Piton si prese il suo tempo, assicurandosi che le sue parole e il loro sotteso minaccioso si sedimentasse nelle loro menti.
Hermione sentì uno strano pizzicore al braccio, lì dove il fiore nero ancora faceva bella mostra di sé nonostante gli incantesimi che avevano provato. Aveva pensato di parlarne con Tonks ma aveva paura di darle un ulteriore e inutile motivo di preoccupazione, e di certo non ne aveva bisogno, tanto più che era ancora nel primo trimestre della gravidanza. E poi l’Auror era sparita. Lei, Ginny e Pansy avevano tutte e tre quello strano segno e l’unica cosa che avevano in comune era aver partecipato al rituale di Imbolc.
Per questo se c’era una persona che doveva sapere cosa fosse successo quella era la Montemorcy, visto che aveva guidato il rituale. Eppure quella donna la faceva sentire a disagio, anche adesso sentiva il suo sguardo caustico e penetrante addosso, uno specchio che non permetteva mai di capire cosa stesse pensando.
No, di certo doveva esserci una spiegazione logica. E c’era un unico posto in cui avrebbe potuto trovarla.
Silenziosa prese la mano di Draco trascinandolo fuori appena Silente disse che potevano andare. Quella sera erano entrambi di turno ma avevano qualcosa di più importante da fare. Per fortuna che c’erano un grifondoro e una serpeverde pronti e volenterosi di prendere il loro posto.
Beh, più o meno.
Ma almeno avrebbero avuto modo di smetterla con quell’assurdo tiramolla o schiantarsi definitivamente a vicenda, ormai erano rimaste solo due opzioni. E al momento ad Hermione G ranger andavano bene entrambe.
***
A migliaia di chilometri di distanza, ignari degli oscuri presentimenti che gravavano sulla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts Lucius e Narcissa si stavano godendo una tranquilla cena nella sala da pranzo più piccola, con le pareti color ghiaccio e le tende cerulee che risaltavano il legno lucido e scuro del tavolo, sopra il quale un grande candelabro in vetro soffiato diffondeva magicamente una piacevole luce morbida.
«Sai amore, oggi ho incontrato Proust» il tono di Narcissa era casuale, un’informazione come un’altra durante una serata finalmente serena tra coniugi dopo un periodo di tensione «Ero al Magisters per un sopralluogo per la raccolta fondi per il San Mungo e lui era lì per una colazione di lavoro»
Ma venti anni di relazione avevano allenato anche il ben poco empatico Lucius Malfoy a sapere che raramente sua moglie lasciava cadere parole a caso, anche in una tranquilla situazione domestica.
Una parte del suo cervello gli diceva che sarebbe stato meglio confessare subito, o seguire l’esempio di suo figlio e iniziare a dire cose a caso e a divagare talmente tanto da far perdere il filo a chiunque. Anche se dubitava che con Narcissa avrebbe funzionato.
«Ah sì? Ancora con quella storia della raccolta fondi per quello stupido Ballo del Ceppo?» chiese fingendo indifferenza mentre con un tocco di bacchetta il bicchiere in cristallo sbalzato di sua moglie si riempiva di vino bianco profumato e l’altro più piccolo di acqua frizzante.
«Veramente è in ricordo del ragazzo morto, grazie per non dimostrare ancora una volta interesse per quello che ti dico»
Lucius sgranò gli occhi con fare innocente «Ma amore mio, non dire stupidaggini. Io sto sempre a sentire quello che mi dici. Solo che hai tutti questi impegni, mi è difficile starti dietro... tra balli, aste, incontri, raccolte fondi, campagne varie ...e poi scusami, ma sai bene che durante la terza prova avevamo altro a cui pensare che quel povero ragazzo morto. Ma poi davvero ancora vogliamo rinvangare quella storia? Lasciamo in pace quei poveri genitori»
Gli occhi blu di Narcissa lampeggiarono un bugiardo probabilmente visibile anche a Hogwarts: «Quel povero genitore, Lucius. La moglie di Amos Diggory non è più con noi da anni»
«Morta? Pover’uomo forse dovremmo mandargli dei fiori... o forse meglio una bottiglia di whiskey, che dici?» divagò ancora versando la salsa sul filetto di salmone scottato, ignorando l’occhiataccia di Narcissa quando abbondò più del necessario. Prima del matrimonio aveva acconsentito a rimanere in forma, non a vivere di stenti.
«Scappata con il suo primo amore. Pare che si fossero rincontrati ad una partita estiva di Quidditch del figlio e hanno scoperto che non potevano più vivere distanti. Ora pare che siano da qualche parte in Francia.»
«Beh amore mio, a vedere il povero Diggory la capisco. Per la miseria, sembra mio nonno. E a proposito... a quando l’epifania di tua sorella? Giuro che se molla il natobabbano le regalo una Villa sulla costa della Loira, se ricordo bene adorava la vostra in estate»
«Beh tenendo tanto che è lì che lei e il marito hanno iniziato la loro storia direi che sarebbe di cattivo gusto» tubò la donna sorbendo un sorso di vino «Però sono certa che lei e Ted gradirebbero un biglietto per una partita di Quidditch per passare una serata diversa. Magari in un palco privato»
«Nah, a tua sorella non è mai piaciuto. E a suo marito… troppo babbano per apprezzare uno sport del genere. Non credo che fosse neanche in squadra, o sbaglio?» continuò noncurante, tenendo d’occhio il vaso pieno di rigogliose peonie che per il momento era ancora saldamente al suo posto «Cioè non è che ricordi ogni giocatore di Tassorosso però forse ci avrei fatto caso»
«Dici? Andromeda potrebbe apprezzare i procuratori. Sono dei gran begli uomini, sai. L’uomo con cui stava parlando Proust era piuttosto affascinante» rispose Narcissa sbattendo le ciglia «Chissà se avrò modo di incontrarlo di nuovo, tu che dici?»
«Affascinante come uno snaso, direi… sempre lì a correre dietro i soldi» si trovò a commentare acido di rimando, alla sola idea che un altro uomo potesse ricevere attenzioni da Narcissa. Che gli uomini sbavassero per lei gli andava bene, era sempre stato molto fiero di essere lui il suo compagno. Ma il contrario...
Nell’esatto istante in cui però le parole gli uscirono dalle labbra si trovò a pensare che si era fatto fregare come un tassorosso del primo anno.
«Ah sì, e dimmi sono interessati anche ai nostri di soldi? Perché sono quasi certa che abbia detto che tu l’abbia contattato perché vuoi compare una dannata squadra di Quidditch professionista» cinguettò con sguardo assassino «E prima di giugno, a quanto pare. Come mai tutta questa fretta, amore mio?»
Dannata strega. E stupido idiota quello che si era lasciato fregare dal tono dolce e dal bel viso di Narcissa. E no, non stava parlando di sé stesso.
«Mah sai potrebbe essere un buon investimento»
Narcissa alzò un sopracciglio dorato «Una squadra di Quidditch? Cos’è siamo diventati dei parvenu arricchiti di terz’ordine?»
«Ora …che parole grosse. Non è che abbia preso informazioni sui Cannoni di Chudley o come diavolo si chiama quella squadra di sfigati. E poi scusami ma da una donna che si prodiga nel sociale mi aspetterei più supporto. Lo sport è importante per le giovani generazioni. Sono quasi certo che tu sia la presidentessa di un’associazione a tal proposito»
Di nuovo quel lampo di vittoria. Dannazione, forse non era così bravo a divagare.
«Le giovani generazioni in generale o una certa persona che compie gli anni a giugno? Mi sembra di ricordare di aver partorito qualcuno in quel periodo quasi sedici anni fa»
«Mah... una coincidenza... giugno è un bel mese: hai tutto il tempo di fare la campagna acquisti e pensa che bel party di inaugurazione che potresti organizzare. I fiori, il caldo dell’estate… un’orchestra che suona in lontananza. Potremmo farlo di sera che dici? Sono certo che saresti incantevole. Come sempre» vagheggiò «Dovremmo far piantare qualche altro ciliegio. O qualche altro assurdo albero che fiorisca in quel periodo. Occupatene tu, sai bene che Erbologia non era esattamente la mia materia preferita»
«Lucius»
Poteva sentire lo sguardo di sua moglie perforargli il cranio come un coltello incandescente sul burro.
«Non starai mica pensando di regalare a nostro figlio una squadra di Quidditch con l’idea di comprarti il suo amore e il suo perdono, vero?» chiese mentre il vaso iniziava a tremare. «Di nuovo»
Beh forse se glielo avesse fatto fare anni prima le cose sarebbero andate diversamente. No, non era vero ma questa poteva essere una seconda buona occasione
«Il marito di tua sorella è d’accordo» mentì spudoratamente. D’altronde era lei che voleva che parlasse con quell’idiota panciuto.
«Ah e quindi, pur ammettendo che sia vero, cosa di cui dubito fortemente, tu parli prima con un natobabbano con cui malapena hai scambiato dieci parole mentre eravate nella stessa classe e che ti rifiuti di chiamare per nome che con tua moglie?» commentò Narcissa con fare fintamente pensieroso. Dannazione sembrava starsi divertendo un mondo «Interessante»
Il mago propese per un dignitoso silenzio coperto dalla necessità di concentrarsi su quel dannato salmone.
Narcissa posò delicatamente le posate cesellate sul bordo del piatto, fissandolo con un sorriso divertito «Non ne hai bisogno. Avete avuto dei problemi in passato ma sai che Draco ti adora. Fin troppo a dire il vero, a volte mi chiedo se sia normale»
Il marito la guardò inorridito «Scusami?»
La strega ridacchiò «Quando aveva ripreso a scriverti praticamente tutti i giorni ero quasi preoccupata a dire il vero. Non credo che un ragazzo della sua età, con una ragazza fissa per di più, dovrebbe perdere tutto quel tempo dietro a suo padre. È un po’ strano non trovi?»
«Sono commesso dalla tua toccante descrizione» sbuffò, senza poter fare a meno però di provare un sottile brivido di piacere mentre Narcissa gli si sedeva leggera in grembo guardandolo con lo stesso sguardo irriverente color lapislazzulo che non gli aveva fatto capire nulla dalla prima volta che l’aveva vista.
Le strinse la vita sottile coperta dalla seta color pervinca del vestito, avvicinandola a sé.
«Niente squadra di Quidditch suppongo» commentò con voce roca inebriandosi del suo profumo.
«Molto arguto. Dieci punti a Serpeverde, Malfoy» rispose sfiorandogli le labbra con un bacio «Ma potresti fare molto di meglio sai?»
«Oh puoi giurarci, piccola Black» rispose con un ghigno prendendo un ultimo appunto mentale di licenziare il suo avvocato di famiglia.
O forse no, visto a quello che aveva portato quella mattina.
***
Era strano come due persone che sapessero perfettamente il sapore l’una dell’altro ora si trovassero a camminare per i corridoi di Hogwarts in un silenzio pieno di disagio.
Ed era tutta colpa della dannata sapientona natabbabbana, era lei che aveva orchestrato tutto per farsi i cavoli suoi mentre lei era costretta a quella tortura sotto forma di ronda dei prefetti del quinto anno. Per questo era giusto quello che avrebbe passato quando Draco avrebbe fatto la sua sceneggiata madre appena visto il tatuaggio che ornava la pelle della sua preziosa fidanzata.
Che poi, ad essere sinceri, non aveva ancora capito perché avesse dato di matto visto che era uscito come una furia e da quel giorno aveva evitato accuratamente l’argomento, iniziando a divagare in un modo che avrebbe fatto perdere la pazienza anche al Frate Grasso.
Accelerò il passo. Sarebbe stato meglio per quei poveri sfigati che non li avesse trovati in giro, o davvero sarebbe stata l’occasione perfetta per sfogarsi coperta dal rassicurante e brillante stemma di prefetto che brillava ben vista sul suo mantello.
A dirla tutta sperava proprio di beccare quel brutto muso di Millicent e di quella stronza della Pucey, visto il loro scherzetto la sera di Imbolc. Peccato che ogni volta che anche solo pensava di lanciare un incantesimo proibito nella sua mente il bersaglio diventava immancabilmente il bambino sopravvissuto, facendole temere che le sue fantasie inconsce si realizzassero se le avesse lasciate libere di prendere vita.
Il suono dei tacchi risuonava nel corridoio vuoto, ritmico e quasi ipnotico. Calcò il passo, sperando che cancellasse ogni tentativo di dialogo che Weasley avesse mai anche pensato di iniziare.
Perché non voleva sapere quello che stava pensando. Non voleva sapere se nella sua mente c’era una scialba e insulsa ragazza… quella bigotta di Passiflora, ad esempio.
Non voleva pensare che quella stupida faccia piena di lentiggini fosse seppellita nel collo di un’altra, le sue volgari mani da povero figlio di proletari del Devon che facevano rabbrividire qualche sempliciotta, la sua sempre inopportuna lingua che…
Cazzo, stava quasi sbatterlo al primo muro disponibile.
Doveva darsi una calmata. Non c’era nessuno che non potesse avere e di certo non sarebbe stato Weasley Ronald Billius a costringerla ad una stupida relazione monogama.
Con un Grifondoro.
Weasley.
Il migliore amico dello Sfregiato.
Per Salazar Serpeverde, peggio ci sarebbe stato solo quell’incendiario da quattro soldi di Finnegan.
«Pansy...»
I suoi buoni propositi vacillarono al suono del suo nome, un’eco lontana di tutte le volte che glielo aveva bisbigliato all’orecchio. E a dire la verità il ricordo che le faceva più male era quando si era spogliata non dei vestiti ma della sua corazza davanti a lui, crollando di fronte ad una casa ai margini di Hogsmeade in cui venticinque anni prima era iniziata quella strada che l’aveva portata ora ad avere un marchio invisibile ma impresso a fuoco nella sua mente sul braccio e il sangue di innocenti sulle mani.
Uccidere suo padre era stato facile, catartico, un’esplosione di un dolore che covava da anni. Ma tutte quelle persone, sentire le loro grida di dolore sovrastata dalle risate crudeli dei mangiamorte, guardarli in faccia mentre capivano che quella sarebbe stata la loro ultima sera sulla terra, quello era qualcosa con cui non sarebbe mai riuscita a fare i conti.
E la cosa peggiore era che sapeva che Weasley non avrebbe mai potuto perdonarla. Troppo buono, troppo idealista, troppo coraggioso
Troppo Grifondoro in una parola.
«Pansy…» ripeté prendendola per un polso «Ti prego fermati, ti devo dire una cosa»
No, doveva farla finita adesso, prima che vedesse dentro di lei. Prima che intravedesse il mostro che rischiava di diventare.
«Se non mi lasci subito ti stacco il braccio e lo do da mangiare al cane del mezzo gigante» sibilò cercando di divincolarsi dalla sua stretta.
Ron fece un sorriso, avanzando di un passo per chiudere lo spazio tra di loro «Zanna è un tenerone... mi ricorda tanto qualcuno…spaventoso fuori e un cucciolotto all’interno»
Il suo profumo si faceva sempre più forte, rendendole difficile pensare chiaramente ad un insulto, eppure si che di solito erano la sua specialità.
«Se osi paragonarmi a quel cane rognoso, razza di sfigato, giuro che ti faccio a brandelli e la tua cara mammina ti riconoscerà solo per le stupidì iniziali su quel maglione infeltrito ...» ringhio, le parole che si affastellavano l’una sull’altra.
Non riuscì però a continuare perché il Grifondoro le chiuse le labbra irritate con un bacio, calmo, come se non stesse rischiando di essere schiantato.
E di nuovo il suo profumo lo avvolse, risenti il suo sapore in bocca, così confortante nonostante tutto. Zenzero, pungente e speziato, irriverente come solo lui sapeva essere. Un tocco di cioccolato fondente, caldo e sensuale ma con una punta di amaro. E in fondo giusto in fondo una nota sensuale, morbida e robusta.
«Mi manchi» le disse infine staccandosi per lasciarla respirare ma con le mani ancora ben strette sulla vita «e per la cronaca tra me e Lavanda non c’è niente»
Pansy sbuffò senza allontanarsi «Come se mi interessasse… se poi ti piace una insulsa, sdolcinata, decerebrata …»
Ron si lasciò sfuggire una risata decisamente poco contenuta «Per Merlino… e io che pensavo di essere io quello che ultimamente si comporta in modo strano senza sapere il perché … Aveva ragione Harry… sei gelosa di Lavanda Brown»
Per tutta risposta Pansy gli artigliò una ciocca di capelli rossi su la nuca e strinse forte costringerlo a chinare la testa all’indietro, la risata che rischiava di tramutarsi in tragedia.
«Io non sono gelosa di quella lagnosa, Weasley Ricordatelo bene» scandì lentamente continuando a tenerlo stretto mentre lo costringeva a chinarsi alla sua altezza, cercando di divincolarsi come la piovra del lago nero sotto pozioni allucinogene
«Parkinson... cazzo dai… mi fai male» mugugnò «ok ritiro tutto. sei una maledetta stronza arrogante e un cuore di pietra. Va bene così?»
«Ecco bravo, e vedi di tenerlo a mente» commentò con un ultimo strattone prima di lasciarlo andare.
Pansy lo guardò un attimo massaggiarsi la testa lanciandole un’occhiataccia. Poi prese un sospiro «Anche tu mi manchi» disse infine poco più che un mugugno tra i denti.
Evidentemente però abbastanza da renderlo udibile visto lo sguardo stralunato ma di pura felicità che Weasley le scocco.
«Cazzo» fu però l’unico commento del rosso
«Fottiti» rispose rifilandogli un calcio sugli stinchi con tale foga che il grifondoro si lasciò sfuggire un’imprecazione colorita segno del miglior Draco Malfoy, saltellando su una gamba sola.
«Il... dannato… muro» riuscì a sibilare indicando un punto dietro di loro.
Pansy si giro per seguire con lo sguardo la direzione del dito puntato di Weasley.
E lì, doveva ammetterlo, sebbene seminascosta nell’oscurità c’erano incisi gli stessi segni che Silente aveva mostrato poche ore prima.
Pansy si avvicinò, chinandosi ad osservare i fregi sul muro.
Non toccatelo.
Non avvicinatevi
Andate subito a chiamare qualcuno
Evidentemente Weasley doveva essere sordo oltre che povero, altrimenti non si spiegava il
Perché appena riuscito a camminare decentemente si era avvicinato e ora stava tastando ogni dannato centimetro di ogni fottuto segno.
Improvvisamente con un clang il muro si aprì sotto il suo tocco, rivelando un corridoio buio e angusto, mentre Ron le offriva la mano con una strana espressione sul viso, tra il divertito e il terrorizzato. Forse l’aveva scambiata per lo Sfregiato.
Povero. Sordo e anche cieco.
Di bene in meglio.
Lumos,
Quasi in simultanea le punte delle loro bacchette si illuminarono, mentre con un sospiro si lasciava convincere a fare i primi passi oltre la soglia, nonostante sapesse benissimo che quella era una pessima idea. Anche alla morbida azzurrina delle bacchette, infatti, era chiaro che l’intera lunghezza delle pareti che si ripetevano ipnotiche lungo le pareti.
Il terreno sembrò avviarsi dolcemente verso una discesa, l’umidità dell’aria che aumentava sempre più man mano che si allontanavano, la finestra di luce alle loro spalle che diventava velocemente un puntino lontano.
«Ma come diavolo hanno fatto ad entrare queste bestiacce schifose… maledette devo farmi spiegare da Hermione qualche incantesimo per librarsene» si lamento Weasley scacciando nervosamente con la mano le due falene dalle ali scure che volteggiavano attorno a loro.
Pansy non disse niente, cercando di ricacciare in gola la nausea che quella vista le provocava, il terrore gelido e disgustoso della notte di Imbolc che sembrava abbracciarla nuovamente
Sapeva che non era un buon segno. Lo sapeva.
Eppure aveva lasciato che Weasley la portasse in quel corridoio.
Aveva permesso che un passo dopo l’altro la portassero lontano dalle rassicuranti e solide pietre di Hogwarts.
E soprattutto non l’aveva fermato ora che erano arrivati alla fine del tunnel e con altrettanta fermezza aveva aperto la porta dagli intricati disegni incisi, dopo aver camminato così tanto da perdere il senso del tempo.
Strizzò le palpebre, sperando che bastasse per non vedere, per non sentire quell’odore disgustoso e appiccicoso che aveva sentito già da tempo e che si era rifiutata di identificare.
Ma quando senti Ron pietrificassi accanto a lei capi che non era abbastanza.
Si costrinse ad aprire gli occhi, poco più di una fessura
E lo vide, quello che già dentro di lei sapeva da tempo.
In quella stanza dalle pareti chiare, ricolma di piante e di libri, sul tappeto color ruggine si vedeva la punta di due stupide scarpette nere di vernice, quegli orrendi mocassini da sfigati che secondo la scuola le studentesse avrebbero dovuto portare e che ovviamente lei è tutte le persone sane di mente e dotate di senso della vista rifiutavano di portare.
Dei calzettoni di lana al ginocchio ricoprivano delle gambe bianche inerti sui quali i lividi violacei si stagliavano con ancora più violenza. Una gonna grigia come il maglione lungo ai fianchi, bordati di blu e argento. Risalì più su, sino allo stemma del corvo sul taschino, e ancora più su sulla linea spezzata del collo.
Lisa Turpin, studentessa di Corvonero del quinto anno era distesa inerte come un fantoccio, un tralcio spesso di vite rossa attorno al collo.
Dei colpi ritmici li fecero sobbalzare, seguito da un lamento.
Mentre lei era ancora pietrificata Ron corse verso l’armadio dal quale sembrava provenire quella voce straziata.
Appena fatto saltare il lucchetto Hannah Abbot, ricoperta di sangue, gli cadde addosso tremante.
«Vi prego portatemi via di qui» disse con un filo di voce
Pansy sentì un brivido salirle lungo la schiena. Per un attimo sperò che la Abbot perdesse i sensi, in modo da lasciarla lì e girare i tacchi il più velocemente possibile.
Nel caso sarebbe stata pronta anche a lasciare Weasley, se proprio doveva. Perché non c’era motivo alcuno per cui stessero lì con un cadavere e una moribonda a chiacchierare amabilmente.
Cazzo, lo sapeva.
Cinque anni a vedere il golden trio buttarsi nella fossa della chimera, un viaggio nel passato in cui era diventata una mangiamorte pur di salvargli il culo e si era fatta fregare come un imbecille.
Mai dare retta ad un Grifondoro.
Soprattutto un Weasley.