
Valzer di Coppie
La strada principale di Hogsmeade era semivuota in quel tranquillo giovedì di fine gennaio, tanto che per un attimo ebbe la straniante impressione di non essere mai stata li. Da studentessa i rari sabati in cui non era in punizione li aveva passati all’emporio di scherzi e ai Tre manici di Scopa, ma sempre insieme ai suoi compagni.
A quanto vedeva però, non era stata ancora dimenticata, nonostante ormai i gemelli Weasley avessero egregiamente preso il testimone, visto che Zonko in persona si affrettò ad uscire dal negozio per salutarla e per raccontarle con soddisfazione di tutti gli ultimi arrivi, lisciandosi i grossi baffi bianchi a manubrio.
Con un pizzico di nostalgia pensò ai tempi in cui spendeva il suo non proprio risicato Argent de poche, secondo l’assurda definizione di sua madre, o paghetta, secondo quella sempre più pragmatica di suo padre, in tazze mozzicanti, frisbee zannuti e altre simpatiche cosucce che lanciava nei corridoi di ignari studenti, specialmente serpeverde. Essere una mutaforma aveva il suo indubbio vantaggio, visto che poteva facilmente assumere le sembianze di uno studente di quella casa, per quanto con quei colori addosso le venisse l’orticaria, e lanciare casualmente una caccabomba proprio in mezzo a loro. Zonko poi l’aveva eletta a sua personale musa quando aveva saputo che si divertiva ad assumere le sembianze del Preside andando a dare i più strampalati ordini agli studenti.
Il pensiero di Silente le procurò una fitta amara. AI tempi, il preside si era divertito un mondo, al punto che non era raro vedere due Albus Silente che gongolavano per i corridoi chiedendo agli studenti di cantare l’Inno di Hogwarts o di improvvisare una partita di gobbiglie su una gamba sola.
Silente l’aveva capita, supportata, confortata anche quando gli altri studenti le rinfacciavano quello che aveva fatto la famiglia di sua madre, come se non fosse sufficiente che lei ne fosse scappata. Era sempre stato pronto con una tazza di cioccolata calda e qualche assurda storiella senza senso. Forse per questo faceva ancora più male pensare che stesse tradendo Harry, stesse tradendo tutti loro in nome di un ideale più grande.
Quando entrò nella sala di Madame Rosmerta, mezza vuota visto l’orario e il giorno infrasettimanale, le si fermò il respiro come una scolaretta del terzo anno al suo primo appuntamento ai Tre Manici di Scopa intravedendo la famigliare figura di Remus ad uno dei tavoli nell’ombra, la fronte corrucciata, il cappotto ancora indosso e la sciarpa mezza tolta nella foga di prendere appunti. Come al solito teneva la testa china, semi nascosta nell’ombra, quasi a volersi confondere sullo sfondo.
Come se davvero qualcuno non potesse notarlo. E non di certo per le cicatrici ma per via l’aura che si portava dietro era qualcosa di così avvolgente, così disarmante che non poteva lasciare indifferenti. Non era un caso che quando la voce del fatto che fossero prossimi al matrimonio più di uno studente si fosse fermato per parlare dell’amato e rimpianto professore di Difesa Contro le Arti Oscure.
Merlino, a furia di sentirne tesserne le lodi quasi aveva smesso di amarlo.
Quasi.
Perché quando alzò lo sguardo e la vide il suo volto si illuminò a tal punto che per un attimo pensò di lasciare tutto e tornare a casa con lui. Remus si alzò e le andò incontro stringendola in un abbraccio, cercando di mantenere un minimo di contegno che lei ovviamente, non aveva, visto che gli si buttò addosso, intrecciando le braccia sul suo collo e le gambe sulla sua vita, mentre sentiva Madame Rosmerta ridacchiare dietro al bancone.
«Ricordo di aver firmato qualcosa circa un codice di comportamento dei professori e non credo che sia stato abolito nel frattempo» ridacchiò imbarazzato Remus cercando di farla scendere mentre lei invece continuava a baciarlo come se avesse quindici anni e fosse imboscata nel primo anfratto disponibile di Hogwarts.
«E chi se ne frega. Mi cacciassero, se vogliono» si lagnò lei in tono esasperato mettendosi finalmente in piedi e lasciando andare il suo futuro marito che ne approfittò per aiutarla a togliersi il cappotto, piegandolo ordinatamente sulla sedia accanto a lui. Aspettò poi che si accomodasse nella sedia che aveva appena spostato prima di sedersi davanti a lei, prendendole le mani e stringendole nelle sue, senza smettere di fissarla.
«Ti ho ordinato un tè caldo, si gela qui fuori. E della torta di zucca e cannella, so quanto ti piace quella di Madame Rosmerta» le disse con un sorriso dolce «Come ti senti?»
Nymphadora prese un attimo prima di rispondere, posandogli una mano sul viso per una carezza veloce, accarezzando la grana irregolare della pelle proprio lì dove una cicatrice più profonda si stagliava nitida, poco prima della tempia destra.
Ringraziò con un sorriso Madame Rosmerta che le posò una fragrante fetta di dolce caldo e profumato. Il fagiolino dietro di lei sembrò approvare, anche se era veramente troppo presto per poterlo sentire. Eppure era certa che apprezzasse anche lui il dessert speciale della casa.
«Cosa leggi?» chiese invece indicando il corposo fascicolo che aveva davanti a sé.
Remus sospirò mettendosi comodo sulla sedia e girando assorto il suo caffè «Niente di bello a dire il vero. Ma a quanto pare anche voi avete avuto il vostro bel da fare.»
Il tono era quello che non prometteva niente di buono, Nymphadora prese in silenzio la cartellina dal tavolo e iniziò a sfogliarla.
Segni di maledizioni. Improvvisa perdita di sensi. Incapacità di svegliarsi. Completa perdita della memoria di quello che era successo. E quei segni sulla schiena.
Gli stessi delle studentesse di Tassorosso.
Scorse l’elenco dei nomi. Erano decine e tutte a partire dal 21 dicembre, il giorno della riuscita della missione dei ragazzi. Non poteva essere un caso. Senza dire una parola accettò la pila di documenti che Remus le aveva passato, tirando fuori un quaderno per prendere appunti.
«Ah, comunque a quanto mi ha detto Sirius tua madre sta meditando l’omicidio di Lucius Malfoy»
Nymphadora si limitò a scrollare le spalle «Comprensibile. Mi passi i il verbale del 23, per cortesia?»
Senza dire altro, si rintanarono ciascuno nelle proprie riflessioni, godendosi la rilassante presenza reciproca. Passarono così il resto del loro appuntamento, parlando di maledizioni e presagi funesti.
«Dora?» Remus si interruppe mentre riordinava le fotografie delle cicatrici di alcune delle vittime, fermandosi a guardare la sua futura moglie che succhiava pensierosa la penna d’oca mentre sfogliava una serie di referti.
La ragazza alzò appena lo sguardo, scrutandolo dietro la frangia color fragola che le ricadeva scomposta coprendole appena i grandi occhi scuri.
«Sei bellissima» le disse allungandosi per sfiorarle la mano ed accarezzarla lentamente, ancora intenta a scrivere.
«Ruffiano» finse di offendersi atteggiando un broncio, senza che però riuscisse a nascondere il lieve rossore che le era salito alle guance. Da piccola spesso aveva visto sua madre e suo padre in atteggiamenti romantici, al filo dello sdolcinato e lo aveva sempre trovato al limite del rivoltante.
Ora invece con Remus sembrava tutto così semplice, così naturale, che si chiese come avesse potuto vivere senza vedersi attraverso i suoi occhi.
«E se ti dicessi che vorrei andare a vedere un posto. Qui ad Hogsmeade intendo... sai che non posso farmi vedere in giro perché i genitori darebbero di matto ma almeno avremmo un posto dove vederci in questi mesi. Non posso stare lontano da te così a lungo» disse Remus tutto d’un fiato. Non erano questi i patti lo sapeva bene, lui sarebbe dovuto restare a casa loro e fare da collegamento con l’Ordine e soprattutto che più di un genitore, inclusa la sorella di sua madre, aveva dato di matto quando avevano scoperto fosse un lupo mannaro avevano preteso che fosse allontanato dai loro preziosi pargoli. Ma spostarsi per lei era sempre difficoltoso e sebbene non avesse voglia di farsi vedere troppo in giro non riusciva a pensare che qualsiasi cosa fosse successa lui sarebbe stato lontano. Di certo la McGranitt però non sarebbe stata contenta, non erano quelli i patti. Ma d’altronde bastava non dirglielo.
I capelli di Nymphadora assunsero un’intensa sfumatura confetto mentre addentava con soddisfazione un pezzo di torta: «Mi sembra perfetto. Anche perché come ti ho detto non avevo considerato un effetto collaterale del mio stato di cui nessuno sembra parlare... Devo tornare a dormire al castello ma niente ci vieta di passare del tempo libero insieme. Scommetto che è in un posto molto molto distante dal centro e noto per certe urla che provengono circa una volta al mese, vero?» ghignò soddisfatta raccogliendo i fogli e mettendoli in borsa. Potevano aspettare un altro po’. «Forza, che stai aspettando? Un invito scritto?»
Poi quasi lo trascinò fuori dal locale, giusto il tempo di lasciare una manciata di galeoni sul tavolo e salutare frettolosamente.
Madame Rosmerta li guardava allontanarsi, sbuffando. Di coppie strane ne aveva viste in quegli anni, ma nessuno poteva eguagliare la giovane Nymphadora Tonks e il riservato Remus Lupin.
E se il suo sesto senso non l’ingannava tra qualche mese ci sarebbe stato qualcun altro che avrebbe dovuto far il conto con le stramberie di quei due.
Chissà se sarebbe stato Tassorosso o Grifondoro.
Di certo non Serpeverde.
Con due genitori così, poco ma sicuro.
***
I giardini del Maniero erano ancora ricoperti di neve che il pallido sole di quel mattino di gennaio non aveva ammorbidito in alcun modo. Sentiva la cadenza regolare della corsa rimbombarle nelle orecchie, l’aria gelida che entrava nei polmoni e il suo stesso respiro affannato che formava delle nuvole di condensa.
Volare le piaceva ma correre non era solo un modo per mantenersi in forma quanto piuttosto un momento che prendeva tutto per sé, distante dall’immagine che si era così ferocemente costruita negli anni, un ritaglio in cui poteva permettersi di ammettere le sue debolezze. E le sembrava che correndo sempre più forte, sempre più veloce sino a sentirsi esausta e senza forze, potesse lasciare dietro di sé anche i suoi demoni.
Aveva paura, Narcissa
.
Come mai l’aveva avuta.
Ora che aveva visto le sue più grandi paure realizzarsi si sentiva come un vaso rotto che nessun incantesimo di riparazione avrebbe mai potuto far tornare come prima. O forse, ad essere sinceri, era come se non avesse più voglia di tornare ad essere quella di prima.
La perfetta purosangue troppo impegnata in eventi mondani per preoccuparsi di qualcosa di serio. La donna dell’alta società che non aveva altro pensiero se non quello di scegliere l’abito più adatto all’occasione e a venire bene in foto.
Nessuno sapeva quanto lavoro ci fosse dietro, quanto sforzo ed impegno richiedesse gestire economicamente ed istituzionalmente non solo le diverse fondazioni che patrocinava ma anche e soprattutto la sua famiglia.
Aveva capito di amare Lucius quando si era vista riflessa nei suoi occhi per quella che era realmente e da allora non era passato un giorno in cui non avesse ritrovato la ragazza che era e soprattutto la donna che aveva sempre voluto diventare nel suo sguardo.
Anche adesso. Lucius non aveva smesso di amarla, ne era certa, anche perché continuava a ripeterlo
E anche lei lo amava, scioccamente come una ragazzina alla prima cotta. Aveva sempre trovato piuttosto imbarazzante che ancora dopo tanti anni si trovava a cercare il suo sguardo in una stanza piena di gente e il modo in cui la faceva sentire anche solo sfiorandola.
Nonostante gli incantesimi aggrappanti quasi perse l’equilibrio al ricordo dell’ultima volta che le sue dita era state su di lei, o meglio di dove erano state.
Dannazione a lui, forse davvero aveva ragione Andromeda. Avrebbe dovuto darle retta e passare in quel negozio, anche perché l’idea di farsi toccare da un altro uomo la ripugnava.
E quindi doppiamente dannato Lucius Malfoy. Per la prima volta in vita sua si chiese se prima di sposarsi non avesse fatto un terribile sbaglio ad accettare la sua proposta.
Meglio per lui che mettesse giudizio al più presto o di questo passo rischiava sul serio che lo mettesse sotto imperio.
E tutto perché si rifiutava di farsi aiutare da qualcuno.
In questo, per Salazar, era peggio del loro testardo e permaloso figlio che, ovviamente, sembrava aver ripreso non solo l’aspetto ma anche il carattere paterno.
E quello era un altro motivo che l’aveva spinta ad uscire a correre a quell’ora assurda della mattina: sapeva bene che entro quella sera avrebbe ricevuto una lettera di lamentele da parte del suddetto figlio che avrebbe potuto far invidia al tomo di storia della magia.
Si, perché se non poteva costringere un quarantunenne con cui era sposata da quasi vent’anni a vedere uno specialista, poco ma sicuro poteva farlo con qualcuno che aveva portato in grembo per quasi nove mesi, inclusi quattro di riposo assoluto a letto e un parto non proprio agevole prima del tempo.
Di certo però non invidiava Severus che quelle lamentele se le sarebbe subite di persona.
Cosa che avrebbe portato una seconda lettera quel giorno, da parte di un certo professore di pozioni che le avrebbe sicuramente elencato tutti i favori che le aveva fatto in venticinque anni e passa di amicizia e che si trovava ingiustamente da fare da balia ad un adolescente viziato e, peggio ancora, innamorato. Di una grifondoro.
Che fosse natababbana ovviamente a Severus non interessava. Non di certo dopo che non aveva mai amato nessuno come aveva amato quella sciocca Lilly Evans che gli aveva spezzato il cuore preferendo quel borioso combinaguai di James Potter.
Ma Grifondoro.
Per Merlino, commentava sempre alzando gli occhi al cielo. E nulla valeva ricordargli che anche la sua preziosa Lily lo fosse.
Non che quando lei si fosse messa con Lucius avesse fatto i salti di gioia a dire il vero. Di base c’era una grande verità: a Severus Piton le persone non piacevano granché.
Ed era un gran peccato.
Perché non c’era un mago al mondo più dotato, brillante e perspicace di lui. Se solo non avesse avuto quel caratteraccio…
Per questo lo aveva implorato, e lei non implorava mai, di fare da padrino a Draco quando era nato. O meglio l’aveva prima implorato, poi minacciato e infine sfiancato così tanto che alla fine aveva detto di sì, ma ad un’unica condizione: che la cerimonia fosse privata e che il suo nome non comparisse mai in pubblico, per nessun motivo.
Quella richiesta l’aveva ferita, era come se Severus si vergognasse di loro, di quel bambino che all’epoca non aveva alcuna colpa se non del nome che portava. Ma poi aveva capito: l’aveva fatto per proteggerla dai commenti acidi e dalle malelingue, sicuramente orripilate dalla scelta di un mezzosangue qualunque per quel bambino tanto atteso.
Ma lui non era mai stato uno qualunque. Solitario, sicuramente. Vendicativo, senza dubbio. Un filo al limite della sociopatia, poteva essere.
Ma l’aveva sempre protetta e sostenuta, al punto da creare per lei quell’incantesimo proibito di protezione. Quello che ora, era certa, le faceva scoppiare la testa per avvisarla che, di nuovo, qualcuno che amava era in pericolo.
Corse più forte che poteva, perdendosi negli spazi immensi che avrebbe dovuto conoscere ormai a memoria ma che ancora a volte le rimanevano estranei.
Forse se avesse corso davvero, davvero ma davvero veloce questa volta sarebbe arrivata in tempo.
Forse.
SI fermò di colpo riconoscendo il grande albero di salice, sorpresa di essersi spinta sino a quel punto.
Ma era ancora più sorpresa di trovare suo marito, seduto sul terreno gelido ancora imbiancato di neve, i capelli chiarissimi e morbidi come quelli di suo figlio che gli ricadevano scomposti sul viso chinato.
Si avvicinò senza fare rumore, non sapendo bene se rimanere o sgattaiolare via silenziosamente, sentendosi quasi un’intrusa.
In tutti quegli anni Lucius si era sempre recato da solo in quel luogo e lei non gli aveva mai chiesto di portarla con lui, anche se sapeva perfettamente cosa avrebbe trovato scritto sulle placche ai piedi dell’albero.
Nicholas Abraxas Malfoy
Arael Morgaine Malfoy
Di nuovo insieme
***
Anche quella notte si era svegliato di colpo, incapace di respirare per l’angoscia, sentendosi insicuro alla sua stessa casa, quella casa di cui era diventato da due decenni il padrone. Era come un salto nel passato, alle sue notti insonne da ragazzo, quando il suo stesso corpo era incapace di rilassarsi totalmente se da solo in una stanza, sempre attento al minimo segno che Abraxas si stesse avvicinando alle sue stanze o a quelli dei suoi fratelli.
Nel corso degli anni gli incubi si erano diradati, la sola presenza del corpo addormentato di Narcissa accanto a lui sembrava calmarlo naturalmente, ricordargli che non c’era più nulla da temere. Dallo scorso gennaio, però, l’angoscia era tornata a strisciare nella sua mente, costringendolo ad intere notti insonni in cui solo il respiro regolare della sua meravigliosa moglie su cui concentrarsi per non impazzire all’idea di suo figlio costretto sott’acqua e incapace di respirare, il tutto per garantire il successo di Harry Potter. Le cose poi erano peggiorate dopo la notte del rituale, quando entrambi si erano trovati incapaci di togliersi dalla mente il suono che aveva fatto il coltello mentre tagliava la pelle sulla gola di Draco.
No, non era corretto, quello non era il suono peggiore per lui. Quello che ancora lo tormentava era il ricordo del respiro che diventava sempre più debole, un rantolo vischioso che faticava ad uscire per via del sangue che gli aveva invaso la gola e i polmoni.
Così come era morto suo fratello a soli diciotto anni, una notte di luglio di quella che veniva chiamata la prima estate di sangue. Nicholas e Draco, così simili da fargli quasi male, le facce e le voci che si confondevano nei suoi pensieri e nelle sue notti.
Accarezzò l’incisione sul tronco dell’albero. Il corpo di Nicholas non era lì, ma in uno stupido mausoleo di pietra scura, una tomba elegante e uguale a quella di tutti gli altri membri della loro famiglia, solo un glifo sulla linea di successione di una delle più ricche famiglie purosangue, la sua breve vita racchiusa tra una data di nascita e una di morte, troppo ravvicinate. La tomba di Arael, seppur vuota, non era neanche accanto alla sua, ma dal lato opposto, a voler dividere anche in quel caso il loro legame che Abraxas non aveva mai capito, incapace di comprendere come amare qualcuno che non fosse sé stesso.
Arael era morta a Belthane del suo settimo anno, ricordava come se fosse ieri il gufo di sua sorella che arrivava la mattina della sua scomparsa. Andava di fretta quel giorno e aveva messo la lettera via, ripromettendosi di leggerla con calma. Forse se l’avesse letta subito avrebbe potuto cercarla, arrivare in tempo, salvarla.
Forse adesso sua sorella l’avrebbe guardato con quegli occhi indagatori e con un sorrisetto e gli avrebbe detto che in effetti era un padre e un marito pessimo, ma che l’avrebbe aiutato.
O forse non sarebbe successo niente, perché lui non avrebbe continuato in quella spirale di violenza ed inganni che anni dopo gli aveva presentato il conto nel modo più crudele possibile.
Forse lei si sarebbe accorta che qualcosa non andava, che assecondare la richiesta di Cassandra era pura follia. Avrebbe trovato un modo per distruggere la maledizione.
Cassandra.
Draco aveva avuto ragione, era colpa sua. Era stato per anni con Cassandra, aveva visto crescere la sua follia, anzi, l’aveva alimentata neanche troppo inconsapevolmente... Avevano partecipato insieme alle prime riunioni di Lord Voldemort, passato giorni interi a ripetere quelle promesse di un mondo di purosangue come fossero una formula magica, senza alcun dubbio della vita che li aspettava al servizio del signore oscuro, insieme. E ad essere onesti si erano anche dati parecchio da fare per realizzare quella visione.
Cassandra abbracciava la parte più oscura del suo essere totalmente e senza alcuna riserva, cosa che Narcissa non avrebbe mai fatto. Forse era proprio per questo che aveva capito sin da subito che con lei avrebbe potuto essere un uomo diverso, migliore.
Con lei avrebbe potuto non diventare suo padre. Ci era quasi riuscito a dire il vero.
E poi aveva rovinato tutto, come al solito.
«Questa volta ho fatto davvero un casino, sapete? E la colpa è anche vostra, non dovevate lasciarmi solo» si trovò a mormorare con più astio di quello che avrebbe dovuto.
Era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse di non essere solo sino a quando non sentì le braccia familiari di sua moglie stringersi dolcemente su di lui, la bella testa dorata accanto alla sua. Era così tanto che non la sentiva così vicina che per un attimo pensò sul serio di essere finalmente riuscito ad addormentarsi.
«Se solo non avessi una splendida ed intelligentissima moglie» la voce di Narcissa era ironica e pungente eppure continuava a tenerlo stretto, il corpo accaldato dalla corsa che premeva sulla sua schiena sembrava l’unico punto di contatto con la realtà.
«Sono quasi certo che la suddetta splendida e brillante moglie abbia più volte pronunciato la parola divorzio, in queste settimane. Quindi torniamo al problema principale. Senza contare il piccolo particolare di una certa cerimonia privata» rispose con stanco mentre Narcissa sospirando gli si sedeva accanto appoggiandogli la testa reclinata sulla spalla rimanendo in silenzio, mentre con una mano lo accarezzava delicata.
«Ho trovato un’alternativa, sai? Una più… accettabile» faticò un attimo a trovare la parola più giusta, quella che non avrebbe spezzato quel momento di equilibrio che mancava da troppo tempo.
«E sarebbe?» chiese senza spostarsi o lasciarlo andare. Il fatto che non si fosse alzata urlando era già un buon segno.
Lucius si girò a guardarla, giocherellando per un attimo con una ciocca di capelli che erano sfuggiti dai capelli stretti nella coda alta che faceva abitualmente quando usciva a correre.
«Un incantesimo, ne ho già trovato uno in uno dei libri del Maniero. Ci serve solo un testimone. E non dovrai mai più preoccuparti che io possa fare del male a Draco» rispose finalmente contento di aver un momento per parlarne. La questione di andare dal terapista era fuori discussione: come avrebbe potuto fidarsi di raccontare a qualcuno di tutto quello che aveva fatto e che lo avrebbe fatto finire ad Azkaban? O nel migliore dei casi finire in prima pagina sulla Gazzetta del Profeta. Andromeda poteva anche fidarsi ma piuttosto che raccontare a quello lì i fatti suoi si sarebbe murato vivo al Maniero. Aveva accettato che parlasse con Draco, non aveva neanche fatto troppe storie. Se c’era anche una minima possibilità che riuscisse ad aiutarlo a superare l’orrore di quegli anni era disposto a dargli credito, non importava quanto sarebbe costato, anche a costo di comprare ogni singolo giornaletto scandalistico cui la storia avrebbe fatto gola.
Ma quello che aveva fatto lui… beh non aveva alcuna intenzione di ammetterlo con un pressoché sconosciuto solo perché la sua ritrovata cognata aveva detto di potersi fidare.
Si fidava anche dei Weasley se era per quello, segno che il suo giudizio non fosse proprio impeccabile come credeva.
Merlino piuttosto si sarebbe fatto rinchiudere al San Mungo sul serio.
«E quando potrò smettere di preoccuparmi che tu non faccia male a te stesso?» chiese Narcissa staccandosi dal suo tocco e facendo per alzarsi, quando il marito la prese delicatamente il polso, stringendo appena.
«E’ una buona soluzione, Cissy lo sai anche tu. Siamo d’accordo allora.» tentò con un sorriso. E dentro di sé lo credeva sul serio
La donna sospirò voltandosi a guardare l’albero di fronte a loro «Vorrei che Arael fosse qui per dirti quanto sia assurdamente complicata la tua idea rispetto alla mia semplice richiesta»
Lucius si alzò sorridendo e avvicinandosi alla moglie per abbracciarla, sfiorandole appena la tempia: «Quello è un sì?»
Narcissa annuì seppur riluttante «Per il momento» poi indicò il ciondolo a forma di chiave che era posato poco sopra la placca: «E’ per Imbolc?»
Il mago sorrise scostando la coda di capelli per posarle un bacio appena accennato sulla nuca, sorridendo contro la sua pelle «Allora posso darti il tuo di regalo?»
«Direi che possiamo iniziare da li. Anche se non sarai così stupido da credere che un gioiello basti a farti perdonare» rise passandogli le dita tra i capelli e avvicinandolo a sé.
Anche senza vederlo sapeva che stava ghignando.
«Oh, amore mio, credimi non è un gioiello. Diciamo che è un ritorno al passato» rise prendendola per mano e incamminandosi verso casa «E oggi sembra una bellissima mattina per volare. Sono sicuro che apprezzerai»
«Sono ancora più brava di te, ricordatelo» gridò la donna affrettandosi per tenere il passo del marito che sembrava un tredicenne a cui avevano appena detto di poter passare l’intero pomeriggio a Mielandia. Quando Lucius si fermò di colpo sarebbe caduta in terra se il marito non l’avesse presa al volo.
«Scommettiamo, piccola Black?» chiese con un luccichio negli occhi chinandosi a sfiorarle il naso con un bacio per poi fermarsi a pochi centimetri dalle sue labbra
«Quello che vuoi, Malfoy» rispose catturandogli le labbra. «Tanto sa già che perderai»
Beh in fin dei conti forse il suo regalo poteva aspettare ancora un po’.
***
Dal giorno dell’incidente in sala di Divinazione la dannata serpeverde sembrava decisa più che mai a farlo impazzire. Eppure era ben stata ben chiara quando erano tornati ad Hogwarts: loro non erano stati, non erano e non sarebbero mai stata una coppia. Niente, nessuna possibilità. Piuttosto che mettersi con lui in pubblico si sarebbe rasata i capelli a zero, e per una come Pansy era un’assunzione piuttosto chiara.
Era quindi ragionevole pensare che il loro non fosse un rapporto esclusivo.
Per questo quando l’aveva vista in giro con un paio di serpeverde del sesto e settimo anno in atteggiamenti piuttosto intimi aveva ingoiato la rabbia che sentiva e aveva fatto finta di niente.
Addirittura quando l’aveva trovata a limonarsi con il portiere di Tassorosso proprio prima della partita con Grifondoro e praticamente di fronte ai loro spogliatoi aveva represso l’istinto di schiantarli entrambi, era entrato con finta calma negli spogliatoi e si era fatto prestare una mazza da battitore per sfogarsi contro un pupazzo da allenamento, sotto lo sguardo compassionevole di Harry che si era limitato a sedersi in attesa che la sfuriata passasse.
Ginny e i gemelli però non erano stati altrettanto comprensivi, specialmente perché aveva mancato un paio di parate importanti, non riuscendo a pensare chiaramente. E il fatto di cercare il caschetto lucidissimo di una certa serpeverde sadica tra gli spalti non aveva di certo aiutato.
Insomma, per farla breve, gli avevano dato un ultimatum: o risolveva la cosa oppure ci avrebbero pensato loro. Il come non voleva neanche pensarlo. E anche Harry alla fine si era dimostrato dalla loro parte, nonostante fosse l’unico ad ammettere che scendere a compromessi con dei Serpeverde fosse semplice quanto ragionare con un’Acramantula.
E in entrambi i casi parlavano con cognizione di causa.
Aveva quindi deciso di approfittare della gita ad Hogsmeade. Con Malfoy fuori dai piedi, e sul serio non aveva alcuna voglia di sapere cosa stesse facendo alla prima uscita pubblica con Hermione, Zabini e Nott rientrati al Castello perché infastiditi dalla folla, quella era un’occasione più unica che rara di beccarla da sola.
Aveva infatti notato che a metà pomeriggio aveva lasciato il tavolo dove era con gli altri Serpeverde per andare a fumare. Dopo dieci minuti però ancora non aveva fatto ritorno, Daphne Greengrass sembrava preoccupata al punto da venire a chiedere a lui, a lui, un grifondoro, se l’avesse vista.
Quindi forse il “nessun altro deve saperlo” era riferito solo a quelli della sua cerchia, lei poteva parlarne con chi voleva. O forse non tutti i serpeverde erano ciechi e stupidi.
Un sesto senso lo aveva portato a camminare attraverso le stradine piene di studenti fino a quando si era accorto di essere da solo, anche le case si erano diradate sino a scomparire.
Si era lasciato alle spalle le ultime case con giardino, quando vide la figura di Pansy immobile in mezzo alla via, lì dove finiva la strada, di fronte ad una villetta con un cancello di metallo bianco riccamente decorato. All’interno, dei bucaneve spuntavano da sotto la coltre bianca. Sembrava non vi fosse nessuno all’interno, ma la casa sembrava impeccabilmente curata.
«Ehi Parkinson» la chiamò avvicinandosi, senza però ottenere alcuna reazione. Quando le fu così vicino da vederle il volto si rese conto che la ragazza aveva lo sguardo fisso nel vuoto, come se vedesse qualcosa nell’ombra delle finestre
Era uscita senza cappotto e sfiorandole il braccio la sentì gelata. Sospirando si sfilò il cappotto e glielo mise addosso, stringendoglielo bene.
Quando la toccò lei rabbrividì sotto il suo tocco, come se avesse preso la scossa e per un attimo i profondi occhi neri sembravano illuminarsi prima di stoccargli la solita occhiata sarcastica.
«Merlino Weasley, ma a che elfo l’hai rubato questo copricuscino di quart’ordine?» disse tagliente, stringendosi però nel cappotto caldo come un abbraccio e che profumava ancora di lui.
«Dovevo lasciarti congelare. Sai saresti capace di dire che il freddo non fa invecchiare» borbottò di rimando battendo i piedi per scaldarsi. Per Godric Grifondoro, a volte era davvero un imbecille. Mai aiutare una serpeverde. Specialmente Pansy Parkinson. «Se non ti piace puoi sempre ridarmelo, eh. Oppure potresti muovere le tue belle gambe e smettere di stare qui nel mezzo del nulla a congelarti»
Pansy rimase in silenzio, mordendosi l’angolo interno della bocca e scrutandolo da sotto le lunghe ciglia.
Sotto quello sguardo Ron si mosse a disagio «Andiamo, dai. O mi dovrò subire le lagne dei tuoi amichetti e giuro che piuttosto preferire fare due ore di pozioni» le disse dolcemente posandole delicatamente le mani sulle spalle.
D’improvviso Pansy gli si buttò addosso stringendolo in un abbraccio.
Rimasero così, in silenzio, mentre la neve ricominciava a cadere leggera attorno a loro.
E in fondo in fondo, pensò Ron, non faceva neanche così freddo.