
Capitolo 29 - Eimhir Morrison
A te, papà,
che sei sempre nel mio cuore
Capitolo 29
Eimhir Morrison
Fu strano, per Lydia, svegliarsi a casa di sua nonna.
Le sembrava tutto sbagliato. Prima di tutto l’aver dormito nel letto e non raggomitolata in un sacco a pelo, come succedeva sempre durante la tradizionale settimana di fine luglio in cui la famiglia Merlin al completo si presentava in quella stessa casa per poter trascorrere qualche giorno in compagnia. E infatti il secondo aspetto che stonava era proprio il silenzio assoluto che avvolgeva la stanza: Lydia era abituata ad essere costantemente circondata da zii o cugini con cui era ogni volta costretta a condividere la stanza.
Era tutto sbagliato.
Solo altri due giorni, fu l’unica consolazione che le fece trovare la forza di alzarsi dal letto, indossare dei vestiti recuperati da sua madre in qualche scatolone del trasloco di agosto, e scendere in cucina.
Il giorno precedente era passato relativamente tranquillo. I suoi genitori, sopraffatti dalla gioia, avevano chiamato i rispettivi datori di lavoro e si erano concessi una giornata di ferie per starle vicino. Lydia aveva sorriso e finto di essere felice del ritorno a casa. Come se il suo cuore non la stesse implorando di ignorare le direttive di Duncan e tornare subito a casa O’Brien.
In un certo senso, Lydia era grata a sua zia per averle ricordato il motivo per cui aveva deciso di lasciare la casa di sua nonna ad agosto, e per averla aiutata così a non soccombere alla nostalgia che l’aveva assalita rivedendo i suoi cari. Dopo quella frase gelida che le aveva rivolto sulle scale la mattina precedente, sua zia si era limitata a guardarla con disprezzo, voltarsi e rinchiudersi nella sua stanza, senza più uscirne. Lydia le era stata egoisticamente riconoscente. Ma sapeva anche che i tre giorni stabiliti da Duncan erano lunghi, e Lydia non avrebbe potuto sperare che la stessa sorte potesse ripetersi fino al momento della sua partenza. Doveva scendere ed affrontare sua zia, tenendo ben in mente che, qualsiasi cosa le avrebbe detto, Lydia se ne sarebbe tornata presto a casa O’Brien. Ma quale sarebbe stata la strategia più efficace? Confrontare zia Maisie o rimanere in silenzio, sperando di poter sopravvivere alle torture che aveva sicuramente in serbo per lei?
Quanto avrebbe voluto chiedere un consiglio a Lance. Ma lui era lontano. Anzi, peggio ancora, Lydia lo aveva lasciato senza nemmeno una spiegazione o un saluto. Sperò ardentemente che Duncan e Katherine avessero mantenuto la promessa spiegando anche a Lance il motivo per cui era stata costretta a lasciare casa O’Brien per qualche giorno.
Tali pensieri la accompagnarono nel breve tratto che separava la sua camera dalla cucina. Quando vi entrò, scoprì che anche i suoi genitori e sua nonna erano già scesi.
«Buongiorno, cara!» esclamò sua mamma appena la vide varcare la soglia.
«Buongiorno Lydia!» continuò suo padre, con un sorriso tutto denti stampato in volto. «Vieni, vieni! Non sapevamo cosa volevi per colazione quindi ti abbiamo preparato un po’ di tutto.»
E quando diceva ‘un po’ di tutto’ intendeva realmente tutto. I fornelli della cucina straripavano di padelle e la tavola era stata bandita per un esercito, nel servizio di porcellana delle occasioni speciali.
Salsiccia, uova, bacon, french toast, pudding e poi brioche, biscotti, fette biscottate e succhi di cinque gusti diversi.
Presa dallo stupore, Lydia si sedette in silenzio davanti al piatto che suo padre le aveva preparato, traboccante di cibo.
«Allora, oggi cosa vuoi fare?» Suo padre parlava a raffica, le parole che inciampavano tra di loro.
«Potremmo fare qualcosa tutti insieme!» esclamò con eccessivo entusiasmo sua madre.
Lydia si voltò perplessa verso la nonna, l’unica che era rimasta imperturbata dal suo arrivo, e scoprì così che era intenta a lanciare occhiate minacciose verso i suoi genitori da sopra la tazza di tè che stringeva tra le mani.
«Potremmo fare un giro per negozi! Sei tornata senza valigia ed erano pochi i vestiti che hai lasciato nelle nostre borse ad agosto. Ti serviranno abiti nuovi.» continuò sua madre, versando dei frutti di bosco nel piatto di Lydia, il quale era talmente pieno, che i frutti schizzarono in tutte le direzioni.
«E potremmo prenderci un gelato!» replicò immediatamente suo padre, un padellino per il tè in una mano ed una caffettiera nell’altra.
«O se preferisci possiamo stare in casa.»
«Giusto. Giornata film e divano.»
«E pop corn. Non dimenticare i pop corn!»
«E potremmo ordinare la pizza!»
«Ha aperto una nuova pizzeria vicino al mio ufficio, dovrei avere il dépliant in borsa.»
Lydia mise una mano sul piatto per impedire al padre di versare inavvertitamente il caffè sul suo cibo. «Okay, cosa sta succedendo?» chiese, sospettosa.
«Nulla cara. Siamo contenti del tuo ritorno, tutto qui. È solo che non ce lo aspettavamo, sai? E quindi non abbiamo organizzato niente per festeggiare, ma dobbiamo assolutamente farlo, così stavamo pensando a come rendere questo giorno speciale. Ma se hai qualche proposta saremo lieti di sentirla! Tutto ciò che vuoi.» In quel momento suo padre, con la parlata veloce e le parole masticate, assomigliava dolorosamente troppo ad Henry. Soprattutto, a quando il bambino tentava di nasconderle un segreto.
«Prima però dovresti mangiare almeno un boccone, guarda, hai ancora il piatto pieno!»
Lydia abbassò lo sguardo sulla minacciosa montagna di cibo di fronte a lei, e fu sul punto di rispondere che non sarebbe stata in grado di mangiare tutto neanche in una giornata intera, prima di essere interrotta nuovamente dalla madre.
«È per il bacon? L’ho detto a tuo padre che stava strinando ma lui non mi ascolta mai.»
«Mi sono solo distratto a cercare Werbley. Questa mattina non è ancora rientrato.»
«Quel gufo si sta rimbambendo con l’aria di mare! È la quinta volta in un mese che si perde per strada!»
«È solo un po’ spaesato.» lo difese suo padre.
«Come il suo padrone.» sbuffò sua madre.
«Cosa vuoi insinuare?»
«Che anche tu ti sei perso innumerevoli volte da quando ci siamo trasferiti.»
«Le stradine di questo paesino sono infide. Tutti sensi unici e mai nessuno che ti dia delle informazioni precise!»
«Ma tu sei cresciuto qua!»
«E infatti mi perdevo sempre anche da bambino!»
La mamma di Lydia alzò gli occhi al cielo, e poi si rivolse nuovamente alla figlia. «E comunque c’è tanto altro che puoi mangiare. I toast li ho preparati io, proprio come piacciono a te.»
«Ho trovato!» esclamò suo padre «Oggi maratona di serie tv e partita a monopoly.»
SBAM.
La nonna di Lydia sbatté la tazzina di tè sul tavolo, generando un’onda d’urto che fece rovesciare metà bevanda sulla tovaglia, l’altra metà sui muffin e con l’effetto di far sobbalzare gli altri commensali.
«Adesso basta!» Un cipiglio deciso le aggrottava le sopracciglia. «Non farete nulla di tutto questo. Aidan, Amanda, oggi andrete al lavoro come tutti gli altri giorni. Vostra figlia è adulta e responsabile, non ha bisogno di essere viziata e coccolata da voi. E basta anche con questa sceneggiata.» La nonna si voltò verso Lydia. «Tua zia ha deciso di tornare a vivere a casa sua. È partita questa mattina all’alba e non tornerà.» disse brutalmente, per poi voltarsi di nuovo verso i genitori di Lydia. «Ecco fatto. Ci voleva tanto a dirglielo? Dovevate per forza svuotare la mia dispensa?»
Per Lydia fu difficile concentrarsi sul resto delle parole di sua nonna.
Sua zia se ne era andata. Lydia fu travolta dal sollievo, immediatamente seguito dal senso di colpa, sia per il conforto che aveva provato alla notizia, sia per la consapevolezza che zia Maisie era stata costretta ad andarsene pur di non vivere sotto il suo stesso tetto.
Fu proprio perché avvolta in quei pensieri che si accorse a stento dei suoi genitori che la salutavano ed uscivano dalla cucina, diretti ai rispettivi lavori.
Il silenzio tornò a calare sulla casa una volta che lei e sua nonna rimasero da sole. Un silenzio che Lydia si sentì in dovere di colmare.
«Mi dispiace che si sia sentita costretta ad andarsene.» Si alzò da tavola, senza aver toccato nulla del cibo che i suoi genitori le avevano preparato con tanto impegno. Raccolse i piatti ed alcune delle miriadi di padelle sporche e le immerse nel lavello.
«Non mentirmi, Lydia.»
Lydia decise di accontentarla. «Sono sollevata, ma questo non significa che io ne sia felice.» Immerse le mani nell’acqua piena di detersivo. «Avrei preferito che fosse ancora qui. La vecchia zia Masie, intendo. Quella che mi portava allo zoo e mi regalava le caramelle di nascosto.» Era più semplice parlare con lo sguardo rivolto al lavandino. Prese un piatto ed iniziò a sfregarlo con la spugna. «Vorrei solo… Vorrei che tutto tornasse come prima.»
Sua nonna rimase inflessibile. «Ma non capiterà mai, e prima lo accetti, prima riuscirai a tornare ad una vita almeno in parvenza normale.»
Lydia appoggiò il piatto pulito nel lavello vuoto. «Sembra impossibile.»
Il tono di sua nonna si ammorbidì. «È lo stesso suggerimento che ho dato a tua zia, e la stessa risposta che mi ha detto lei.»
«Mi odia.» sputò tra i denti Lydia. Non aveva mai affrontato il discorso con nessuno della sua famiglia, specialmente con sua nonna, ma qualcosa era cambiato dentro di lei la sera del luna park. E non sarebbe più tornata indietro. «Hanno ucciso suo marito per causa mia. E non dire che non è vero.» si affrettò ad aggiungere «Erano Mangiamorte, o i loro seguaci, in ogni caso non avrebbero mai colpito gli zii se io non fossi stata con loro, se non avessi lanciato quello stupido incantesimo. Quindi sì, al contrario di quello che tutti continuano a ripetere, è colpa mia se zio Ryan è morto. Se zia Maisie mi considera un mostro.»
«Ho provato a farla ragionare. Ovviamente non mi ha dato ascolto. Sembra che considerare mostri coloro che hanno la magia nelle loro vene sia una prerogativa di questa famiglia.» Lydia si voltò di scatto a guardare sua nonna. Stava ancora sorseggiando la sua tazza di tè, ma un luccichio si era acceso nei suoi occhi. «Non guardarmi come un pesce lesso, bambina mia. Sai perfettamente a chi mi riferisco.»
No, Lydia non lo sapeva. O meglio, non del tutto.
Perché nessuno in casa Merlin parlava di Eimhir Morrison.
Lydia aveva sentito il suo nome solo tre volte in tutta la sua vita.
La prima al suo quinto compleanno, quando sua nonna aveva dichiarato che assomigliava sempre più ad Eimhir.
La seconda, da piccola, il giorno in cui aveva trovato un vecchio album fotografico dal quale era scivolata la foto di una bambina dai capelli rossi. Sua nonna le aveva strappato la foto dalle mani, ma quando Lydia aveva insistito per sapere di chi si trattasse, era stata costretta a confessare il nome di Eimhir.
La terza volta a Natale, durante il suo primo anno ad Hogwarts. Al pranzo di famiglia tutti non avevano fatto altro che chiederle se si era ambientata nel nuovo collegio che stava frequentando, se le lezioni erano particolarmente difficili e se si trovava bene con i suoi compagni. E poi sua nonna l’aveva guardata e con tono severo le aveva chiesto: «Allora, perché non mi hai mai scritto? Ad Hogwarts non usano più i gufi? Eimhir mi spediva una lettera ogni mattina.»
Era stato così che aveva scoperto che anche la sorella di sua nonna aveva frequentato Hogwarts, e che alla fine non era l’unica della famiglia a possedere la magia. E quel giorno stesso aveva anche compreso che anni prima, quando sua nonna le aveva strappato la foto di Eimhir dalle mani, era stato solo per impedirle di notare che si muoveva.
Da quel momento in poi, però, era regnato il silenzio. Lydia aveva cercato in tutti i modi di farsi raccontare di più su di lei, ma la nonna si era rifiutata di dirle altro.
Fu questo il principale motivo per cui rimase esterrefatta quando la nonna, la tazzina di tè ancora stretta tra le mani, iniziò a raccontare.
«Eimhir è sempre stata una bambina speciale.» La nonna teneva lo sguardo puntato nei suoi occhi, come se fosse di fondamentale importanza che Lydia ascoltasse con attenzione «Solo che né io né i miei genitori avevamo compreso quanto. Siamo nati e cresciuti in Scozia, come ben sai, mio papà era un umile pescatore come suo padre prima di lui, mia mamma si occupava di noi figlie e vendeva ricami alle famiglie ricche, ma nonostante questo, di cibo in tavola ce ne era sempre troppo poco. Innumerevoli sere siamo andati a dormire con i morsi della fame a tenerci compagnia. Non avevamo molto, ma l’amore… l’amore era infinito. La nostra casa sarà stata anche una catapecchia, ma la presenza della mia famiglia la rendeva ai miei occhi una reggia più bella di quelle dei ricchi per cui lavorava mia madre. Io e mia sorella avevamo più di dieci anni di differenza, tanto che, quando ha ricevuto la sua lettera per Hogwarts, io mi ero appena sposata con tuo nonno. È stata l’esperienza più bizzarra che mi sia mai capitata in vita mia: ero a casa dei miei per festeggiare il compleanno di Eimhir, e ricordo il gufo che picchiettava impaziente alla nostra finestra e noi dentro a guardarlo straniti. È stata mia sorella ad aprire, e poi, non sono fiera di me stessa a raccontarlo, io l’ho inseguito con la scopa per tutta casa. Cosa ci fai ancora lì in piedi? Siediti!» ordinò improvvisamente la nonna, picchiettando con una mano sulla sedia accanto alla sua.
Lydia si riscosse, richiuse la bocca ed estrasse le mani dall’acqua ormai fredda. Si asciugò frettolosamente con uno strofinaccio e si sedette prima che sua nonna potesse rimproverarla nuovamente, o cambiare idea e non proseguire con la sua storia.
Fortunatamente la nonna annuì e riprese a raccontare. «Alla fine scoprimmo la verità. Che mia sorella possedeva dei poteri magici e che aveva la possibilità di frequentare una vera e propria scuola di magia. Inizialmente ero scettica, è stato solo con l’arrivo dell’impiegato del Ministero che ho accettato la realtà, anche se faticosamente, lo ammetto, ma era ormai inutile negare l’esistenza di un mondo che era stato precluso ai nostri occhi fino a quell’istante. Non per questo ero entusiasta all’idea di lasciar frequentare alla mia adorata sorella una scuola chissà dove in cui le avrebbero insegnato chissà cosa. Ma poi ho valutato la situazione in ogni suo aspetto, e mi sono resa conto della dura verità: era un’occasione che non potevamo rifiutare. Avrebbe offerto a mia sorella la possibilità di trovare un luogo caldo e sicuro in cui abitare, dove non avrebbe più dovuto andare a letto affamata o vivere al freddo, senza legna per scaldarsi. Oltre al fatto che avrebbe ricevuto la migliore istruzione magica al mondo, o almeno così ci aveva riferito l’impiegato del Ministero. Non posso dire che sia stata una decisione semplice da prendere. Amavo mia sorella con tutto il cuore e il pensiero di doverci separare per così tanti mesi era un dolore immenso per me, ma era il suo destino, di questo ne ero certa, e mi ripromisi che non avrei fatto nulla che avrebbe potuto ostacolarla. Se già per me era stata una consapevolezza raggiunta a fatica, per i miei genitori fu molto peggio.» Il viso della nonna si adombrò «Devi capire che loro erano di un’altra mentalità. Erano religiosi convinti, così come lo sono io, ma nella mia fede la convivenza tra Dio e magia è possibile. Nel loro credo invece, non c’era spazio per il sovrannaturale, e per questo non accettarono il fatto che la loro amata figlia fosse una strega. Ai loro occhi le magie che Eimhir riusciva a compiere erano opera del demonio. E proprio in nome dell’immenso amore che provavano per Eimhir, cercarono in tutti i modi di salvare la sua anima. Contattarono parroci ed esperti, sottoposero mia sorella a pratiche per esorcizzare quel male che in molti della tua specie considerano un dono. Come ti ho già detto, quando scoprimmo la verità vivevo con tuo nonno, a pochi chilometri di distanza da loro, non tanti, ma abbastanza da non vedere quello che stavano facendo a mia sorella fino a quando, una sera d’estate, lei stessa arrivò a bussare alla mia porta. Era in lacrime; la mia piccola sorellina di undici anni era a piedi scalzi, incrostata di fango, con il fumo dell’incenso che impregnava i suoi abiti. Era disperata. Mi disse che avrebbe rifiutato il posto ad Hogwarts, mi assicurò che avrebbe soffocato la sua magia a qualsiasi costo, e infine mi chiese se potevo parlare con mamma e papà per convincerli della sincerità delle sue parole. Ma Eimhir non avrebbe mai fatto nulla di tutto questo, non sotto la mia sorveglianza. La accolsi in casa mia e usai tutti i miei risparmi per accompagnarla io stessa in quella città - come la chiamate voi? Dragon Valley? – ad acquistare il materiale scolastico. Ero presente quando ha comprato la bacchetta, i libri, il suo gufo. Spesi tutti i pochi soldi che ero riuscita a mettere da parte fino a quel momento, ma ne fui ben ripagata: non avevo mai visto mia sorella così felice in tutta la sua vita. Il giorno successivo è salita sul treno diretto ad Hogwarts, e io sono tornata a casa. Avevo un’idea. Credevo, o forse speravo, che nei mesi che ci separavano dalle vacanze estive sarei riuscita a convincere i miei genitori che Eimhir era ancora la stessa bambina che avevano amato. Mi sono avviata verso la casa della mia infanzia con questa unica intenzione. Di aprire loro gli occhi, di accorgersi che se questa era la strada che il Nostro Signore aveva in serbo per mia sorella, allora anche loro non potevano fare altro che affidarsi alla Gloria di Dio ed accettare la Sua Volontà. Ma quando sono arrivata, ho visto i miei genitori nel prato. Stavano bruciando tutti i ricordi di Eimhir. I suoi vestiti, i suoi disegni, i quaderni, il piccolo ritratto che la raffigurava, persino i mobili della sua stanza. Tutto. Bruciarono tutto. Tentai di fermarli. Non mi ascoltarono, mi dissero che era necessario, per eliminare ogni traccia di maligno dalla loro casa e così purificarla, e allora compresi che non avrei potuto fare niente per cambiare le loro convinzioni. La mia famiglia era rimasta accecata dal suo stesso amore, ed era ormai perduta. E così io e tuo nonno decidemmo che era arrivato il momento di iniziare una nuova vita. In Scozia non c’era più niente per noi. Una settimana dopo eravamo su un treno diretti in Inghilterra, pronti a ricominciare. Non avevamo nulla, solo tanto amore e determinazione, e fu proprio con essi che riuscimmo a costruire le fondamenta della nostra nuova vita. Ricordo un appartamento che in realtà era una stanza minuscola infestata dai ratti, e poi le sere in cui andammo a letto digiuni, in cui ci stringevamo per impedirci di congelare. Tuo nonno trovò lavoro come contabile in una società ferroviaria, io come aiuto sarta in un piccolo negozio vicino a casa. A Natale pregai Eimhir di rimanere a scuola, dove almeno le era garantito un pasto caldo ogni giorno. Quando terminò il primo anno invece, potei finalmente accoglierla nel nostro nuovo appartamento. Non le avrei mai permesso di tornare a casa dai nostri genitori. Trascorse le vacanze con noi, così come fece anche negli anni a seguire. E intanto la mia famiglia cresceva, nacquero i tuoi zii e tuo padre, e tuo nonno ebbe diverse promozioni che ci permisero infine di costruire questa casa. Un luogo dove far crescere i nostri figli e nel quale mia sorella avrebbe potuto sentirsi accettata e al sicuro.»
«Ha vissuto qui con voi?»
La nonna scosse la testa. «Gliel’ho proposto, ma una volta diplomata ha trovato la sua strada. Voleva diventare un’infermiera nel vostro ospedale - come è che si chiama?»
«San Mungo.»
«Sì! San Fungo, proprio quello. Devi capire che mia sorella era tutto quello che io non ero. Aveva un cuore d’oro, una bontà senza confini, aiutare il prossimo la rendeva felice, completa. Si è trasferita a Londra ed ha lavorato lì per tanti anni.»
Lydia si chinò verso sua nonna. «Cosa le è successo? Perché non me ne hai mai parlato?»
«Abbi un attimo di pazienza, bambina mia.» la rimproverò la nonna. Poi sospirò. «Mia sorella non mi raccontava molto del mondo magico, o meglio, diceva che andava tutto bene, ma io capivo quando mentiva. Un giorno la costrinsi a dirmi la verità. Ovviamente mi raccontò solo qualche sprazzo, ma tanto bastò per farmi capire che la situazione era meno rosea di quanto mi avesse voluto far credere fino a quel momento. Compresi che vi erano degli scontri, ma non mi volle dire nient’altro, disse solo che era una situazione passeggera, che presto il responsabile di tutto ciò sarebbe stato catturato. Una sera della primavera successiva, Eimhir si presentò alla porta di questa stessa casa. Era ricoperta di sangue non suo, piangeva, era distrutta. Mentre la pulivo, mi rivelò infine la verità. Della guerra, del Signore Oscuro che stava terrorizzando il mondo magico; e mi raccontò che il giorno precedente era stato compiuto un attentato a Diagon Alley. All’ospedale erano arrivate decine se non centinaia di feriti, e di morti.»
Lydia deglutì.
«Mia sorella e i suoi colleghi avevano curato, medicato e accompagnato nei loro ultimi attimi di vita innumerevoli maghi e streghe; avevano lavorato ininterrottamente giorno e notte per prendersi cura di ogni ferito.» La nonna si sfregò la fronte «Io la implorai di lasciare il lavoro, di venire a vivere con noi e dimenticare il mondo magico. Arrivammo persino a litigare perché lei si rifiutava. Mi disse che anche i babbani stavano cominciando ad essere colpiti, che lei non era una grande guerriera, che di duelli non se ne intendeva, ma era brava come Guaritrice e se poteva contribuire nella guerra facendo almeno quello, allora l’avrebbe fatto. Che non si sarebbe tirata indietro. Anzi, mi disse che da quel momento in poi non sarebbe tornata a casa da noi fino alla fine della guerra, disse che era pericoloso per noi avere dei contatti con una come lei. Compresi che non sarei riuscita a fermarla.»
La nonna fu scossa da un brivido.
«Non sei obbligata a raccontarmelo, nonna.» le disse Lydia con dolcezza.
«No!» La nonna raddrizzò la schiena, ritrovando il suo cipiglio deciso «Ormai ho deciso. Devi sapere. Qualche mese dopo ricevetti un gufo. Era ben diverso da quello di mia sorella. Portava un messaggio. ‘Con cordoglio la informiamo che la signorina Eimhir Morrison è deceduta in data cinque maggio.’ Non sono neanche venuti a dirmelo di persona. Ne ho scoperto dopo il motivo: c’erano troppi morti, troppe condoglianze da estendere, troppe famiglie da informare. Sul telegramma vi erano scritte solo le indicazioni che mi avrebbero permesso di recarmi al Ministero per il riconoscimento della salma, tutto qui. Mia sorella era morta e loro mi hanno semplicemente fatto firmare alcune carte per riportarla a casa. Neanche una spiegazione su come era successo. Nulla. Per loro ero una semplice babbana, avevano persone più importanti con cui parlare, famiglie dal sangue puro da consolare.» disse con sprezzo «Nella sala d’attesa era però presente un altro uomo. Era distrutto, mi disse di essere il marito di una collega di Eimhir. Fu lui a raccontarmi tutto. Mi disse che Eimhir si era unita ad una squadra speciale di soccorso. Lei e i suoi colleghi venivano chiamati e si recavano sul posto degli attentati per prestare il primo soccorso. Quel maledetto cinque maggio vennero contattati per un agguato a York. Vi trovarono decine di feriti per un’esplosione causata dallo scoppio di una tubatura sotterranea. Era una trappola. I Mangiamorte li hanno circondati e uccisi prima che potessero anche solo pensare di difendersi.» Una lacrime di dolore e rabbia sfuggì al controllo della nonna «Era stato uno stratagemma per lanciare un messaggio a tutti coloro che resistevano ancora al Signore Oscuro. Che presto nessuno sarebbe più stato lì ad aiutarli. Mia sorella era stata uccisa per fare propaganda.»
La nonna si asciugò velocemente la lacrime solitaria. «Mi riconsegnarono il corpo di mia sorella per i funerali. Chiesi loro di avere la sua bacchetta, mi risposero che non era possibile. I babbani come me non potevano possedere una bacchetta magica, neanche della loro sorella trucidata per un’inutile guerra. Mi infuriai, li minacciai, ma loro si limitarono a costringermi con la magia ad uscire dal Ministero, da vigliacchi quali erano, e da quel giorno non sono più riuscita a rientrarci. E allora sono andata nell’appartamento di mia sorella. Volevo solamente avere qualcosa che mi ricordasse di lei.» Le narici della nonna fremettero «Quando sono arrivata l’ho trovato completamente svuotato. Non c’era più niente, non le lettere, i libri di scuola, neanche la scacchiera magica che le avevo regalato per il diploma. Solo un foglio attaccato alla porta e intestato al Ministero della Magia. Un ordine di sequestro per mancanza di eredi magici. Si erano presi ogni cosa. Non avevano avuto il tempo per informarmi di persona della morte di mia sorella ma a sufficienza per razziare il suo appartamento.» Lydia non stentava a crederci. In fondo era lo stesso Ministero che negli ultimi anni aveva negato il ritorno di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato nonostante le prove certe, lo stesso che era caduto così facilmente nelle mani dei Mangiamorte.
«Mi dispiace nonna.»
La nonna però non voleva la sua compassione. «Quando sei nata ho subito capito che tu eri come Eimhir. Eri identica a lei: gli stessi capelli rossi, gli stessi occhi, lo stesso mento, le rassomigliavi così tanto che sarebbe stato impossibile che tu non avessi ereditato anche la sua magia. E infatti eri con me quando a tre anni hai fatto sbocciare le rose che tutt’ora sono nel mio giardino.» Lydia sgranò gli occhi. «Ovviamente non dissi nulla ai tuoi genitori, né loro né i tuoi zii conoscevano la verità su mia sorella, solo tuo nonno era a conoscenza della sua magia. E volevo fare lo stesso con te. Proteggerti da chi non avrebbe potuto comprendere ciò che ti rendeva speciale. Ti osservai in silenzio, mentre crescevi e diventati sempre più simile ad Eimhir. Ma poi mi sono accorta di un particolare. Potevi anche assomigliare fisicamente ad Eimhir, ma il tuo carattere… beh quello l’hai preso da me.» Un sorriso sghembo comparve sulle labbra della nonna. «Quando a undici anni mi avete informata che avresti frequentato un collegio privato, ho subito compreso la verità. Ammetto di essere stata contenta per te, ma anche impaurita. Non sapevo più nulla del mondo magico, quando ho perso mia sorella le porte della magia si sono sbarrate per me. Ma questo non mi ha impedito di comprendere la situazione del tuo mondo da quel poco che raccontavi, o meglio, da quello che non dicevi. Ho riconosciuto i segni, sai? Hai iniziato a comportati nello stesso identico modo di Eimhir, occultando o distorcendo la verità per impedirmi di sapere del ritorno della guerra. Quella stessa guerra che mi ha portato via mia sorella, la stessa che ha ucciso tuo zio e per la quale ho quasi rischiato di perdere anche te.»
«Perché non mi hai mai raccontato prima di Eimhir?»
«Perché pensavo che fosse meglio così. Volevo solo aspettare che tu fossi grande abbastanza per sentirla, per comprenderla. Ho aspettato forse troppo. Dopo l’assassinio di tuo zio ho considerato che fosse arrivato il momento, ma eri distrutta, eri diventata l’ombra di te stessa… Non volevo caricarti un altro peso sulle spalle.»
Lydia strinse le mani della nonna tra le sue. «Non è un peso, nonna. Anzi, sono grata che tu mi abbia raccontato di lei.»
«E invece lo è. Negli ultimi mesi, da quando te ne sei andata da qui, ho pensato che se tu non fossi tornata prima della mia morte, allora la storia di Eimhir sarebbe morta con me. E mi sono accorta che non era giusto, che mia sorella si merita di meglio. Mia sorella merita di essere ricordata. È questo il tuo fardello ora, devi assicurarti che la sua storia non muoia con me, o con te. Che possa vivere in eterno, che il suo sacrificio sia valso almeno a questo.»
Lydia cercò di rispondere ma la nonna la fermò con un gesto della mano. «Non è l’unico motivo. Volevo che tu comprendessi che anche altri in questa famiglia hanno combattuto una guerra, ma non per questo si sono mai arresi.»
«Non mi sono arresa.» replicò subito Lydia.
«E allora cosa ci fai qui?»
Lydia non sapeva da dove cominciare. «Ho fatto il possibile per aiutare nella guerra, nonna.»
«Quindi nessun altro bambino ha più bisogno di essere soccorso?»
Lydia si paralizzò, convinta di aver compreso male, di essersi immaginata le parole appena pronunciate da sua nonna. Perché lei non le aveva mai raccontato il motivo per cui se ne era andata di casa mesi prima, il giuramento le impediva di parlarne in quello stesso istante. «Come…?» riuscì a balbettare.
«Non guardarmi con quella faccia imbambolata! Pensavi forse che io fossi stupida?»
Lydia si affrettò a scuotere la testa, anche se non riusciva ancora a capirci nulla.
«Sono in grado di formulare pensieri coerenti, al contrario di quello che pensa tuo padre, sempre così appiccicoso e a chiedermi se ho preso tutte le mie pastiglie. Certo che so cosa sei andata a fare. Un momento prima arriva un ragazzino più o meno della tua età a prendere in custodia il bambino – come si chiamava? Non ricordo… Ah, sì, Henry – e subito dopo tu scompari, e poi ritorni solo per dirci che te ne vai. Ho capito subito che ti avevano arruolata. Non ti allarmare, ai tuoi genitori non ho detto nulla, loro sono convinti che tu abbia trovato un luogo più sicuro in cui nasconderti e sono già abbastanza ansiosi così, se sapessero che stai combattendo anche tu in questa guerra diventerebbero insopportabili. L’unica cosa che non riesco a capire è il motivo per cui sei tornata.»
«Mi hanno mandata via.»
«E allora?»
«È complicato, nonna, devo aspettare che tornino a prendermi.»
«E da quando tu lasci che siano gli altri a decidere il tuo destino? Se sei convinta che il tuo posto non sia questo, e lo leggo nel tuo volto che tu non vuoi stare qui, allora torna da loro e dimostragli che il tuo aiuto è prezioso.»
Come poteva far capire a sua nonna che non era così semplice? «Nonna… sono successe delle cose… delle cose molto brutte…»
«Sciocchezze!» ribatté immediatamente sua nonna «Non prendermi per un’insensibile, non desidero rimandarti a combattere nella guerra che mi ha già strappato via mia sorella, ma se questo è il destino che Dio ha in serbo per te, è bene che tu lo accolga, e lo difenda con tutte le tue forze.»
Lydia si passò una mano sul volto, tentando di trovare il modo per spiegarle. «Mi hanno chiesto di aspettare…»
Sua nonna si alzò con un’agilità che fece sobbalzare Lydia, e si chinò verso di lei. I suoi occhi erano di ghiaccio. «Allora mi sono sbagliata su di te. Non sei come Eimhir, ma neppure come me. Ma allora chi sei tu, Lydia? Come vuoi essere ricordata?» E prima che Lydia riuscisse a formulare una risposta, la nonna si raddrizzò e si pulì le mani con un tovagliolo. «Le mie peonie non si travaseranno da sole.» E senza aggiungere altro, uscì, lasciando Lydia da sola, la domanda che vorticava nella sua mente senza una risposta.
Era notte inoltrata e solo due persone erano ancora sveglie in casa Merlin. Lydia era accoccolata sul divano, la testa dolcemente posata sulla spalla di suo padre, sdraiato a sua volta sulla penisola, un braccio sulle spalle della figlia per stringerla a sé. Fissavano tutti e due la televisione, senza realmente vederla. Un pacchetto di biscotti era appoggiato al bracciolo del divano, i due lo stavano condividendo senza badare alle inevitabili briciole che spargevano sulla coperta. Lydia si sentiva in pace per la prima volta dopo molto tempo. Negli ultimi anni lei e suo padre si erano creati quella loro piccola routine: condividere uno spuntino serale di nascosto, sdraiati sul divano, guardando le serie televisive o i film che i canali nazionali trasmettevano. Anche se, ricordò Lydia con un sorriso, tutte le sere suo padre finiva per addormentarsi più volte durante la visione, ed iniziava a russare talmente forte da costringerla ad alzare il volume, abbastanza da riuscire a seguire il film ma non troppo da svegliare la madre già addormentata in camera.
La sera era il loro momento di pace, per Lydia era un’oasi di tranquillità in mezzo alla burrasca che era la sua vita, l’unico istante della giornata in cui poteva rilassarsi ed essere semplicemente sé stessa. In realtà, rifletté tristemente, suo padre era l’unica persona con cui si sentiva intera. Con lui non doveva fingere di essere qualcun altro o una versione migliore di sé, ma poteva essere semplicemente Lydia, e sapeva che suo padre avrebbe amato incondizionatamente anche la sua parte peggiore. E dopo quello che era successo con i signori O’Brien e Caitlin, con la zia e le parole che la nonna le aveva rivolto quella mattina, l’unica cosa di cui aveva bisogno in quel momento era sapere che almeno una persona nell’universo la amava per quello che era e non avrebbe mai rinunciato a lei.
Sospirò e nascose il volto nella camicia del padre. Stretta a lui si accorse di quanto le fossero mancate le loro serate durante i mesi passati lontani. Suo padre le era mancato talmente tanto… sentì le lacrime inumidirle gli occhi e la gola chiudersi. Suo padre non disse nulla, non le chiedeva mai se andasse tutto bene, lui lo sapeva e basta, senza dire una singola parola era capace di farle comprendere che lui era lì con lei, e che ci sarebbe sempre stato. Le strinse la spalla.
Le voci soffocate del televisore arrivavano confuse alle orecchie di Lydia, incapace di concentrarsi per comprendere la trama della serie che stavano guardando. Lydia si avvicinò ancora di più al padre mentre la sua mente vagava nei ricordi di altre serate passate così, sere in cui Lydia si sentiva il peso del mondo sulle spalle e non sapeva cosa fare, come risolvere quei problemi che erano completamente fuori dalle sue possibilità, eppure tutte le sere riusciva a dimenticare le sue afflizioni, e quel giorno non era diverso. Sdraiata lì, Lydia riuscì anche solo per qualche istante, a mettere da parte il pensiero delle persone che aveva lasciato indietro, delle colpe che macchiavano le sue mani, incatenandoli in un angolo buio della sua mente, da dove sarebbero stati incapaci di vagare e portare la loro distruzione.
Ma bastò un rantolo di pensiero per far ricadere Lydia nelle sue paure. Le parole di sua nonna le bruciavano ancora nel petto. Era stata definita in molti modi, soprattutto negli ultimi tempi, ma essere considerata una codarda e non all’altezza delle aspettative dalla propria nonna le aveva fatto più male di quanto avrebbe mai potuto immaginare.
Lydia sospirò di nuovo. Quanto avrebbe desiderato essere normale. Una persona normale in una famiglia normale, le cui uniche preoccupazioni fossero l’università, il lavoro, la patente, i ragazzi, le amiche e nulla di più. Nessuno che potesse giudicarla, che potesse dirle che non stava facendo abbastanza; nessun nemico nascosto nell’ombra pronto a colpire e portare la morte con sé. E invece era lì, lo sentiva. Era un sussurro nascosto nell’oscurità, che con voce crudele le ricordava che presto, molto presto, sarebbe arrivato a prendersi quello che gli spettava. Una lacrima sfuggì al suo controllo. Perché? Si chiese fissando il televisore. Perché proprio a loro era toccata quella sorte, perché non avevano potuto vivere la loro vita in pace, senza la costante presenza del dolore e della morte? Cosa avevano fatto di male per meritarselo? Sua nonna aveva parlato della magia come Volontà di Dio, ma ogni volta che Lydia ripensava a quel dannato parco giochi, riusciva a vederla solo come una condanna. Un’altra lacrima seguì la prima. Suo padre le offrì un biscotto, con un sorriso lei lo accettò. Lo addentò e il sapore della crema all’interno le riempì il palato, distraendola momentaneamente dai suoi pensieri. Per un attimo riuscì a decifrare le immagini che passavano in televisione: era in corso un inseguimento di macchine spettacolare, e riconobbe una delle serie preferite di suo padre. Lydia sorrise di nuovo quando la macchina dei poliziotti volò sopra un camion e rimase sospesa in aria per un lasso di tempo fisicamente impossibile. Ammetteva che anche a lei piaceva parecchio quella serie. Finì il biscotto e si pulì la bocca dalle briciole con la manica del pigiama. Come succedeva nella maggior parte delle puntate, una delle macchine si scontrò contro un camion, dando vita ad un’esplosione al rallentatore. In quel momento iniziò la pubblicità. Lydia reagì con un lamento, buttando indietro la testa esasperata. Proprio adesso che si stava interessando dovevano mettere la pubblicità? E si rese conto di un evento molto strano: suo padre non si era ancora addormentato. Solitamente si assopiva in un punto imprecisato tra l’inizio dell’episodio e il primo stacco pubblicitario, per risvegliarsi a metà dell’episodio. Lo guardò di sfuggita, i suoi occhi celesti erano ancora aperti e fissavano il televisore, le sue labbra erano piegate in un piccolo ma inconfondibile sorriso.
Fu Lydia ad interrompere il loro beato silenzio. Non riuscì a trattenersi «Mi sei mancato, papà. Mi sei mancato tantissimo.»
«Anche tu. È per questo che sarà difficile per me doverti salutare di nuovo.»
Lydia aggrottò un sopracciglio. Non aveva detto ai suoi genitori della scadenza di Duncan. «Hai parlato con la nonna?»
«No.» Suo padre sorrise tristemente. «Non guardarmi così. Sono tuo padre e so quanto stare qui ti renda triste.»
«Non sono triste.»
Suo padre si fermò a riflettere. «Non triste… allora diciamo incompleta.»
Non poteva esistere parola più giusta.
Lydia appoggiò la testa allo schienale del divano e chiuse gli occhi. «Non è colpa vostra. Sono contenta di essere di nuovo con voi, davvero, ma…»
«Hai bisogno di altro.»
Lydia strinse le ginocchia al petto. «Io… non posso raccontarvi cosa ho fatto in questi mesi.» Il giuramento le impediva ancora di parlare «Ma era qualcosa di importante, qualcosa di più grande di me. E non mi sono accorta di quanto mi facesse stare bene fino a quando non l’ho perso.» Era come essersi tolta una montagna dalle spalle. «Mi ha aiutata a ricordarmi che sono ancora viva, che posso fare anche del bene in questo mondo.»
«E allora perché sei ancora qui?» Lydia socchiuse gli occhi e vide suo padre con lo stesso sorriso triste.
Le sembrò di rivivere la conversazione che aveva sostenuto con sua nonna quella mattina. «Perché non mi vogliono più.»
«La Lydia Merlin che ho cresciuto non si arrenderebbe mai così facilmente.»
«Tu e la nonna vi siete messi d’accordo?» sbottò Lydia «Dovreste capire che forse la Lydia di prima non esiste più…» si toccò la cicatrice.
«Eppure qualcosa mi dice che hai ritrovato te stessa durante questi mesi, la te che non sapevi più di poter essere. È vero?»
Sì, era vero. E suo padre le lesse la risposta negli occhi.
«Allora, per quanto sia dura per me ammetterlo, il tuo posto non è più questo.»
«È più complicato di così, papà.» sospirò Lydia «Nelle ultime settimane è cambiato tutto.»
«E tu hai fatto tutto il possibile per risolvere la situazione?» La domanda di suo padre la colpì. Aveva realmente cercato di cambiare le cose dalla morte di Paul, o aveva semplicemente accettato quello che gli altri avevano in serbo per lei? Con Caitlin aveva reagito con il silenzio, ma aveva mai provato a parlare seriamente con lei? A provare a farla ragionare? A sua discolpa nessuno le aveva mai dato la possibilità di rimediare, era stato per tutti più semplice sperare che il tempo potesse guarire ciò che era incurabile, ma forse anche queste erano solo delle scuse che si stava costruendo per non accettare la sua parte di responsabilità.
«No.» rispose semplicemente.
«E allora dovresti. Torna indietro e prova a farlo, e se non riuscirai nel tuo intento la porta di questa casa è sempre spalancata per te, ma almeno torneresti con la consapevolezza di aver fatto tutto ciò in tuo potere per rendere la situazione migliore.»
«Perché tu e la nonna volete sbattermi fuori casa?»
«Perché quando sei comparsa sulla porta di questa casa ho rivisto mia figlia. Quella figlia che pensavo di aver perso dopo la morte di tuo zio. Ma ora dopo ora ti stai spegnendo, e io invece voglio solo il meglio per te. E se l’unico modo per trovare quel meglio è allontanandoti di nuovo da noi, non lascerò che il mio dispiacere ti possa impedire di ripartire.»
La conversazione terminò così. Padre e figlia tornarono a guardare la televisione, ognuno immerso nei propri pensieri.
L’episodio terminò con il classico momento comico, una battura e la sigla finale prima di tornare alla pubblicità. Suo padre spense il televisore, Lydia si alzò con uno sbadiglio. Buttarono la carta dei biscotti, controllarono di aver chiuso tutto e spento le luci prima di incamminarsi sulle scale che portavano alle camere al piano di sopra. Lydia avrebbe preferito muoversi al buio, ma, come sempre, il padre accese la luce delle scale ed iniziò a salire senza preoccuparsi di non fare rumore, con le ciabatte che rimbombavano nel silenzio notturno della casa. Lydia scosse la testa. Arrivati davanti alle porte delle loro camere, si fermarono.
«Buonanotte papà.»
Lydia si sollevò in punta di piedi e diede un bacio sulla tempia destra del padre, il quale ricambiò con uno sulla sua guancia.
«Buonanotte.» Ed in silenzio entrarono nelle rispettive stanze, i loro cuori intrisi di tranquillità e affetto.
Era stato insolitamente semplice per Lydia prendere la sua decisione.
Controllò attentamente la via prima di compiere l’ultimo passo che l’avrebbe condotta fuori dalle protezioni. Non si vedeva anima e gli unici suoni che si sentivano erano il mare in lontananza e i versi dei primi grilli primaverili. Si voltò un’ultima volta verso la casa di sua nonna. Chissà quanto sarebbe durata ancora la guerra e quanto sarebbe passato prima di poter ritornare ad abbracciare i suoi cari.
Sua madre non aveva preso bene l’improvvisa ripartenza di Lydia, diversa era stata la reazione di suo padre e sua nonna. Avevano ragione: Lydia non poteva arrendersi, non ora che finalmente aveva trovato un ruolo utile e prezioso, ora che non si sentiva più inutile e rotta.
Prese un respiro profondo, il profumo delle rose le solleticò il naso. Ancora pochi istanti ed avrebbe rivisto Lance, Henry e l’intera famiglia O’Brien. Si chiese per l’ennesima volta come avrebbero reagito al suo ritorno. L’avrebbero accettata? Duncan e Katherine si sarebbero arrabbiati per il fatto che non aveva rispettato il loro accordo? Eppure, nonostante la paura di un rifiuto, era impaziente di rivedere Lance e di abbracciare Henry.
Aprì il cancellino e, con la mente ancora rivolta alle persone che amava, compì quell’ultimo passo.
«Lydia.»
Lydia lasciò cadere lo zaino e si voltò all’istante verso la voce che l’aveva chiamata, la bacchetta già estratta e puntata contro la figura. Il cielo era velato e nascondeva la luce dell’aurora, rendendo buio il vialetto, eppure riconobbe all’istante chi si trovava di fronte a lei. Lo stupore ebbe la meglio.
«Blake?» chiese sottovoce, incapace di credere ai suoi occhi.
Quell’istante di esitazione fu sufficiente.
«Expelliarmus!»