
Capitolo 28 - La via del mare
Capitolo 28
La via del mare
Un raggio di sole si posò sulla guancia di Lydia, risvegliandola con il suo torpore. Sbatté le palpebre.
Ad ogni secondo che passava, gli eventi della sera prima tornavano ad affacciarsi nei suoi ricordi. Tutto quello che aveva fatto, tutto quello che aveva detto e confessato. Ogni cosa era ancora vivida nella sua mente, eppure nessun incubo aveva disturbato il suo sonno. Forse per il fatto che era troppo esausta, forse perché aveva già rivissuto i suoi demoni ed essi aveva deciso di non tormentarlo almeno per una notte; anche se sapeva che il vero motivo della sua nuova calma era lì accanto a lei.
Lance dormiva ancora. Era stata Lydia a chiedergli di restare, di non lasciarla da sola nel buio. E lui si era semplicemente sdraiato al suo fianco e le aveva accarezzato i capelli finché era crollata addormentata, con i singhiozzi che le spezzavano il respiro. Il braccio di Lance era ancora sul suo cuscino. Lydia si chinò e sfiorò la sua guancia con le labbra, facendo attenzione a non svegliarlo. E poi si lasciò ricadere sui cuscini. L’unico suo desiderio in quel momento era poter stare lì per l’eternità, nel limbo di un nuovo giorno, nell’attimo in cui non esisteva il prima o il dopo. Voleva dimenticarsi del mondo esterno, di quello che aveva fatto e detto. Per un istante valutò l’idea di stringersi ancora a Lance e fingere che il suo desiderio potesse realmente avverarsi. Ma sapeva di non poterselo concedere.
Aveva sbagliato, era inutile negarlo. Si era lasciata trascinare dalla rabbia e dalla solitudine con l’unico risultato di aver messo in pericolo la vita di Henry. Le si strinse lo stomaco al pensiero di quello che sarebbe potuto succedere. Per non parlare dello sguardo terrorizzato che il bambino le aveva rivolto mentre lo trascinava via dal luna park. Presa dal panico del momento non aveva compreso la realtà dei fatti: Henry era spaventato da lei, e Lydia non avrebbe mai potuto perdonarselo.
Doveva scusarsi, sia con lui che con i signori O’Brien. E doveva farlo da sola. Perché sapeva che Lance l’avrebbe difesa a qualsiasi costo, andando anche contro i suoi stessi genitori, e l’ultima cosa che Lydia voleva causare in quel momento era un altro litigio in famiglia. Non poteva permetterlo, non sarebbe stato giusto nei confronti di nessuno.
Il pensiero fu sufficiente a convincerla ad alzarsi dal letto. Prese la bacchetta dal comodino e il suo sguardo cadde sulla piuma appoggiata accanto ad essa. Fu un gesto istintuale per lei raccoglierla e nasconderla in tasca.
Si diresse in punta di piedi verso la porta e la aprì senza fare alcun rumore. Prima di uscire, si voltò un’ultima volta verso Lance. Il suo petto si alzava ed abbassava al ritmo del suo respiro, donandole con la sua stabilità la tranquillità necessaria per fare quello che doveva fare. Infine, con quella stessa calma, Lydia chiuse la porta e si avviò verso le sue responsabilità.
Il signor O’Brien la stava aspettando.
Lydia lo capì nel momento stesso in cui lo vide, in piedi, una mano dietro alla schiena e una sigaretta nell’altra, intento ad osservare l’alba del nuovo giorno.
Erano presenti solo loro due, il resto della casa era ancora avvolto nel silenzio.
«Henry ci ha raccontato della pozione Anti-Traccia.» Lydia non riuscì a leggere alcuna flessione emotiva nella sua voce. «Abbiamo provveduto a fargli assumere una nuova dose e controllare che nessun altro bambino abbia avuto la stessa idea.»
Lydia si fermò sull’ultimo scalino. Qualcosa le suggeriva di rimanere a distanza. «Come sta?»
«Scosso.» rispose il signor O’Brien, lo sguardo ancora perso all’orizzonte. «Ma si riprenderà.»
Lydia prese coraggio e scese l’ultimo gradino. «Mi dispiace, davvero. Sono stata una stupida, un’incosciente. Non avrei dovuto farlo e vi prometto che non capiterà più.»
«Anche io condivido una parte delle tue colpe, Lydia. Avrei dovuto capirlo prima…»
«Capire cosa?» chiese Lydia, esitante.
Il signor O’Brien si portò la sigaretta alla bocca e si decise infine a guardare Lydia negli occhi. Lei si trovò a desiderare che non l’avesse fatto. «Che sei stanca.»
«No…»
«Abbiamo preteso così tanto da te, mia cara, senza pensare a quanto tutto questo potesse pesare sulle tue spalle. Hai fatto un ottimo lavoro, ma hai bisogno di riposare.»
«No…» ripeté Lydia in un sussurro.
Il signor O’Brien le rivolse un accenno di sorriso. «È da troppo tempo che non vedi la tua famiglia.»
Non gli occorse aggiungere altro, Lydia aveva subito compreso cosa le stesse suggerendo. Non suggerendo, ordinando. ‘Non adesso’, pensò immediatamente Lydia. Non adesso che aveva ritrovato Lance, non adesso che doveva farsi perdonare da Henry.
Lydia superò di corsa gli ultimi metri che la separavano dal signor O’Brien. «Non mi faccia questo. Le ho detto che mi dispiace, sono sincera e farò tutto il possibile per dimostrarlo, per farmi perdonare. Ho commesso un errore, lo so, ma datemi una seconda possibilità, sarò migliore, sarò…» La sua voce si affievolì mentre il signor O’Brien le posava una mano sulla spalla. Una nuvola di fumo la avvolse.
«Sarà solo per un po’ di tempo. Meriti anche tu un periodo di riposo. Mi sono accertato io stesso che la casa di tua nonna sia circondata dai più potenti incantesimi di protezione, ormai è sicura quasi quanto la nostra, non correrai alcun rischio lì. E i tuoi genitori saranno preoccupati. Non oso immaginare il loro dolore nel dover vivere lontani da te in un periodo di guerra. Meritano anche loro di trascorrere del tempo con la loro unica figlia.»
Lydia capiva cosa stava cercando di fare il signor O’Brien. Stava mascherando la realtà, voleva far sembrare che si trattasse di una decisione condivisa quando la verità era che la stava cacciando di casa, senza possibilità di ribattere. E per farlo aveva deciso di far leva sui suoi genitori, che erano anche l’unico motivo che avrebbe potuto spingere Lydia a lasciare casa O’Brien.
Ma lei non stava pensando alla sua famiglia. Nei suoi pensieri vi erano solo Henry, Simon, Daniel, Beatrix, Lizzie, Ewart e tutti i bambini che le avevano colorato la vita negli ultimi mesi. Pensava a Duncan, Katherine. Lance.
«Non posso.» bisbigliò infine, gli occhi velati dalle lacrime.
Il volto del signor O’Brien divenne una maschera di ferro e Lydia ebbe la conferma che la decisione era già stata presa per lei. «Devi.»
Era già stato tutto stabilito. Era diventata l’ospite scomodo. E i signori O’Brien non avrebbero cambiato idea.
Lydia avrebbe voluto urlare, convincerli, pregarli, ma aveva deciso che non avrebbe mai più implorato nessun altro nella vita, qualunque fosse il costo che avrebbe dovuto pagare.
Prese un respiro e costrinse il suo cuore agitato a rallentare, a permetterle di resistere ancora per un po’. «Quando devo andare?» chiese, la sua voce fredda quanto quella del signor O’Brien.
«Prenditi pure il tempo per fare le valigie e salutare.»
Lydia ripensò a Lance, che riposava ancora nella sua camera, a quanto si sarebbe infuriato quando gli avrebbe riferito la notizia. Probabilmente avrebbe deciso di seguirla, e per un istante si permise di sperare. E se Lance avesse realmente preso la decisione di andare con lei a casa della nonna? Sarebbero tornati ad essere loro due contro chiunque si fosse messo sulla loro strada, e sarebbe stato più sopportabile lasciare casa O’Brien con Lance al suo fianco. Ma poi la dura realtà le ricordò che i signori O’Brien non l’avrebbero mai perdonata per questo, né loro, né Katherine e Duncan, e neppure i bambini. Era un’egoista a voler Lance tutto per sé quando lui poteva salvare molte più vite rimanendo con la sua famiglia. E Lydia era già stata accusata troppe volte di essere egoista, molte delle quali con valide ragioni. Non avrebbe ripetuto di nuovo gli stessi errori, anche se questo le sarebbe costato Lance.
«No. Vado subito.» si costrinse a rispondere.
Almeno era riuscita a stupire il signor O’Brien.
«La accompagno io.» Lydia non si sorprese della presenza improvvisa di Duncan, anzi, al contrario, la vista del ragazzo che usciva dalla cucina, indossando ancora gli abiti della sera prima, fu per lei un sollievo. Se proprio doveva andarsene voleva farlo il prima possibile, e allontanarsi dal signor O’Brien così da non cedere al suo istinto che continuava a urlarle di gettarsi in ginocchio ed implorarlo di lasciarla restare.
Il signor O’Brien annuì e Lydia si diresse verso l’atrio mordendosi il labbro per impedirsi di dire altro.
«Ricorda Lydia,» aggiunse infine il signor O’Brien. «È solo per un breve periodo. Poi saremo lieti di riaccoglierti tra noi.» Ma erano consapevoli entrambi che si trattava di parole intrise di menzogne.
Lydia non si voltò a guardare un’ultima volta casa O’Brien.
Perché aggiungere altro dolore oltre a quello che già pesava sul suo cuore? Prese il braccio di Duncan e lasciò che fosse lui a guidare la Materializzazione.
Si sentì persa nel momento stesso in cui si Materializzarono davanti alla casa di sua nonna. La villetta le era sempre stata famigliare, aveva passato lì la maggior parte delle vacanze estive e negli anni in cui aveva frequentato Hogwarts questo significava che viveva più tempo a casa di sua nonna che in quella dei genitori. Eppure in quel momento le sembrò completamente estranea. Nel profondo del suo cuore, sentiva che non era quello il posto in cui doveva trovarsi e provò subito nostalgia di casa O’Brien. Le alte e solide mura, le finestre che inondavano di luce il salotto, le risate dei bambini. La casa di sua nonna sembrava sbiadita in confronto. La solitudine, che tanto aveva cercato di allontanare nelle ultime settimane, si stava già impossessando di lei.
«Ci sediamo un attimo?»
Lydia accolse la richiesta di Duncan con sollievo.
Era successo tutto così velocemente. Aveva bisogno di fermarsi un istante, un secondo solo per cercare di capire cosa fosse successo ed accettare di essere tornata lì dove tutto era iniziato. Si accomodarono alla base dell’albero, protetti dalla piccola bolla da cui Lydia aveva osservato la sua famiglia innumerevoli volte nei mesi appena trascorsi. La casa era così silenziosa, così piccola in confronto a casa O’Brien.
«Quante cose sono cambiate in soli sette mesi.» Duncan si grattò pensieroso la barba. «Sono passato dal non volerti in casa mia ad essere sinceramente dispiaciuto nel vederti lasciarla.»
«Non voglio andarmene.» sbottò Lydia. La sua voce tremava, tradendo così tutto il dolore che stava provando, nonostante il suo tentativo di mascherarlo.
«Lo so… ma papà ha ragione. È necessario.»
Lydia era troppo esausta persino per arrabbiarsi. «E allora non fingere di dispiacerti.»
«Sono d’accordo che tu ti allontani, non altrettanto sul tempo che dovrai trascorrere lontano da noi. Direi che alcuni giorni soltanto potranno bastare.» Lydia gli lanciò un’occhiata di sottecchi, convinta che la stesse prendendo in giro. «Rivedere i tuoi genitori ti farà bene, Lydia, ne sono sicuro perché non so cosa avrei fatto se avessi dovuto trascorrere questi mesi di guerra lontano dai miei. Hai bisogno della tua famiglia più di quanto tu possa immaginare.»
Lydia posò la testa sul tronco dell’albero. «Sì, okay, ho capito. Lo fate per il mio bene. Non aspettatevi un ringraziamento.»
«Non è l’unico motivo per cui questa separazione potrebbe tornarci utile.» continuò Duncan «Se ti allontani da casa per un po’ e fingi così di accettare la tua punizione, io, Kate e Lance avremo più possibilità di convincere i miei genitori della bontà delle tue azioni e della necessità di un tuo ritorno.»
Una fiammella di speranza si accese nel cuore di Lydia. «Lo fareste davvero?»
«Io e Katherine ne abbiamo già parlato. Se tutto sta procedendo secondo i piani, Kate dovrebbe star perorando la tua causa con mio padre in questo stesso istante.»
«Perché lo fate? Non mi dovete niente, e pensavo che tu saresti stato sollevato nel vedermi andare via.»
Duncan le rivolse un sorrisetto. «Come ho già detto, è cambiato molto nel corso di questi ultimi mesi.»
«Grazie…» rispose Lydia con sincerità, e ancora leggermente sconcertata dalla piega che stava prendendo la conversazione. Chi mai si sarebbe aspettato che la sua unica fonte di speranza avrebbe potuto rivelarsi in Duncan O’Brien? Ma Lydia sapeva anche che la speranza stessa poteva diventare pericolosa. «Ma i tuoi genitori sono convinti della loro decisione.» aggiunse infatti, imponendosi di ricordare la realtà dei fatti «Per non parlare di Caitlin. Lei sarà di sicuro felicissima quando verrà a sapere che sono stata cacciata.» Non riuscì a trattenere una smorfia.
«Non è cattiva, sai?»
«Me lo continuate a ripetere tutti.» borbottò Lydia.
«Perché è vero.» Duncan strappò un filo d’erba. «Solo che a volte lo dimentica anche lei.»
Lydia sbuffò.
«Sai, troppo spesso è più facile nascondersi dietro ad una maschera di rancore e prepotenza piuttosto che ammettere le proprie fragilità. E su questo, penso che anche tu possa convenire.»
Lydia rimase in silenzio.
«Siamo tutti cambiati.» continuò Duncan «E dobbiamo concedere la possibilità di farlo anche a mia sorella.» Sollevò il filo d’erba e lo lasciò andare. Lo stelo si alzò nell’aria, sospinto dal venticello leggero che li accarezzava, e si allontanò fluttuando verso le rose della nonna di Lydia.
«Come abbiamo fatto a cambiare così tanto senza neppure accorgercene?» Lydia non riusciva proprio a comprenderlo. Se ripensava alla persona che era quando aveva incontrato Lance sulla spiaggia e a quella che ora si trovava seduta all’ombra di un albero insieme a Duncan, le sembrava impossibile che si trattasse sempre di lei.
«Perché i cambiamenti sono così. Noi tutti ci trasformiamo talmente lentamente da non rendercene conto nemmeno noi stessi, e quando finalmente ce ne accorgiamo, non riusciamo neanche a comprendere come abbiamo fatto ad essere le persone che eravamo.» rispose Duncan, lo sguardo ancora rivolto al filo d’erba impigliato nelle spine delle rose. «È un po’ quello che succede ai bambini. Crescono velocemente, eppure se li vedi giorno dopo giorno non te ne accorgi fino a quanto non ricordi che a Henry mancavano due denti quando è arrivato, Beatrix non sapeva ancora leggere o scrivere, Leonard era alto dieci centimetri in meno, Amelia non pronunciava neppure una parola e Keira non aveva ancora imparato a gattonare, e così via. Lo stesso vale per noi adulti. Pensa a me e Lance. Erano anni ormai che non ci rivolgevamo una parola cordiale. E adesso invece farei qualunque cosa per proteggerlo. Non c’è stato nessun momento di svolta, nessun tentativo cosciente di rendere le cose migliori.» Si voltò verso di lei con un sorrisetto ironico «Persino il vostro assurdo piano escogitato a Pandizenzero è stato una vera e propria catastrofe.»
Le orecchie di Lydia si infiammarono «Era un’idea di Kate!»
Duncan ridacchiò. «Se ripenso a cosa ci ha portati a riavvicinarsi mi vengono in mente solo le piccole cose. Il tempo trascorso con i bambini, le cioccolate calde quando loro andavano a letto, le partite in cui ci alleavamo per dimostrare che tu baravi.» Lydia fece finta di non sentire. «I tornei a scacchi, i pupazzi sventrati, le nostre uscite per comprare i regali per i bambini, le corse sotto la pioggia e la neve. E ancora le fughe da mamma e papà ogni volta che uno di noi combinava qualcosa, come quando mi hai trasformato in un riccio e ci siamo dovuti nascondere perché Lance rideva troppo per riuscire a pronunciare il contro-incantesimo.»
«Te l’ho già detto: non l’ho fatto apposta!» tentò di difendersi Lydia.
Gli occhi di Duncan lampeggiarono. «E non dovremo parlarne mai più.» la minacciò.
Lydia non riuscì ad impedirsi di sorridere. «Però eri un riccio veramente adorabile.»
Anche le labbra di Duncan si tirarono. «E poi tutto il tempo che abbiamo trascorso insieme, anche se in silenzio ed ognuno intento nelle proprie faccende. Potremmo fare un elenco infinito di momenti del genere, di gioia o di malinconia o più semplicemente di vita, eppure sono stati proprio questi a renderci chi siamo oggi. E nella maggior parte di essi ci sei anche tu. Anzi, sono convinto che non sarebbero neppure stati possibili senza la tua presenza. Non è un caso se i nostri rapporti sono iniziati a migliorare dopo il tuo arrivo, e la ragione è facile da comprendere. Quando ti sei unita a noi non mi fidavo di te, non proverò neppure a negarlo. Avevo paura che potessi combinare disastri o, peggio ancora, tradirci, e questo mi ha portato a controllarti, a seguirti ovunque. E dove c’eri tu, c’era anche Lance. Sei stata tu involontariamente ad imporci di trascorrere del tempo insieme, come non facevamo più da quanto eravamo bambini, e rendere possibile così tutti quei momenti di cui ti parlavo, fonte dei nostri minuscoli ma inesorabili cambiamenti, da cui non tornerei mai indietro. Tutto questo significa che ti devo molto, Lydia. E quindi sì, ti prometto che farò di tutto per convincere i miei genitori a farti tornare da noi.»
«E io intanto devo aspettare.» La casa della nonna era ancora silenziosa, avvolta nella dolce luce del sole appena sorto.
«Solo per un po’, il tempo necessario per cercare di far capire loro l’errore che hanno commesso.»
«E se non ci riusciste?» Eccola lì, la grande paura di Lydia, il motivo per cui continuava a lottare contro la speranza che cercava di sorgere dentro di lei come il sole che iniziava a scaldare il mondo.
«Ci proveremo, e se non ci riusciremo non cambia nulla. Ti riporteremo comunque a casa e studieremo un’altra soluzione. E poi ricordati che siamo un Corvonero, un Tassorosso, un Serpeverde e un Grifondoro.» Duncan fece un sorriso sghembo «Insieme abbiamo tutti gli elementi giusti per trovare una soluzione.»
Lydia ricambiò il sorriso. «Sembra l’inizio di una pessima battuta.»
«O di una nuova parte della nostra vita. Una in cui impareremo a fidarci gli uni degli altri.» Duncan si alzò e si scrollò i pantaloni per togliersi la terra di dosso. Allungò una mano verso Lydia. «Ti chiedo solo questo, Lydia, di fidarti di noi. Sarò di ritorno tra tre giorni. Alla sera del terzo giorno mi troverai qui, pronto a riportarti a casa, se ancora lo vorrai.»
Lydia strinse la mano di Duncan e si lasciò risollevare da terra. «Allora ci vediamo tra tre giorni.»
«Sarai al sicuro, papà ha aggiunto tutte le difese possibili. Resta in casa e sarai protetta.»
Lydia annuì.
«Sono serio.» ripeté Duncan «Non mettere piede fuori dalla porta fino a quando non sarò di ritorno, hai capito?»
«Fortunatamente la mia capacità di comprensione funziona ancora a meraviglia.» All’occhiata di Duncan però, Lydia fu costretta ad aggiungere: «Ho capito: non uscire di casa in nessun caso, sarà fatto.» Fortunatamente fu abbastanza per convincere il ragazzo, che estrasse dalla tasca un piccolo ciondolo. Era una vecchia tazzina da tè scheggiata in miniatura, legata ad una collanina d’argento. «Paul era un folle, ma l’idea delle Passaporte d’emergenza era geniale. Kate ne ha preparata una per te, basta solo ingrandirla per attirarla. Se dovessi vedere qualcosa di strano, o avere anche solo un sentore di pericolo, prendi la tua famiglia ed attivala. Ti porterà ad uno dei rifugi, lì scatterà un sensore che ci avviserà del vostro arrivo. Saremo da voi in pochi secondi.»
«Va bene.» Lydia allungò la mano per afferrarla ma Duncan la sollevò fuori dalla sua portata. «Anche solo la sensazione di un pericolo. Promettilo.»
«E va bene…» sbuffò Lydia «Te lo prometto!» Duncan fece cadere la collanina sulla sua mano. Lydia la indossò e la nascose sotto la felpa. «Grazie… per tutto.»
Duncan le diede un buffetto sulla spalla. «Resta lontana dai guai, Merlin.»
Lydia sorrise. «Di solito sono i guai a cercare me.»
«Allora renditi invisibile.»
Era ora di andare, Lydia lo sapeva, ma doveva fare un’ultima cosa, qualcosa che prima di quel momento avrebbe considerato impensabile. E così abbracciò Duncan.
«Ci vediamo tra tre giorni.» le disse Duncan tra i capelli.
«A presto.» Lydia si staccò da lui e si voltò verso casa di sua nonna. Le luci della cucina si erano accese, accompagnate dal rumore delle stoviglie. «Dì a Lance che mi dispiace essermene andata così. Digli di non preoccuparsi, che tornerò presto a casa.»
«Lo farò.» Una folata di vento e Lydia era rimasta sola.
Un unico pensiero la aiutò a costringersi ad abbandonare la bolla protettiva e dirigersi verso la villetta di sua nonna: stava per riabbracciare la sua famiglia. Perché per quanto odiasse il pensiero di allontanarsi da casa O’Brien e da Lance, i suoi genitori e sua nonna le erano mancati immensamente. Per questo, non poté trattenere un sorriso mentre bussava rapidamente alla porta sul retro.
Sentì dei rumori all’interno, ma nessuno arrivò ad aprirle.
Bussò di nuovo. «Nonna? Sono io.»
La porta si spalancò di colpo. «Lydia?» Sua mamma la fissava come se si trovasse di fronte ad un fantasma, o ad un’allucinazione, ma impiegò solo qualche secondo per accorgersi che stava succedendo realmente, che era proprio sua figlia quella che le sorrideva dall’uscio. I suoi occhi si velarono di lacrime. «Lydia!»
Era tornata a casa. A questo pensò Lydia mentre sua madre scoppiava in lacrime di gioia e la stringeva a sé, e anche quando sua padre accorse alla porta, ancora in pigiama, gli occhiali da lettura storti sul naso, e, dopo un attimo di sbalordimento, si univa all’abbraccio.
Sono a casa, si ripeté Lydia.
Eppure non si era mai sentita così fuori posto in tutta la sua vita.
«Non sapevamo che saresti tornata!»
«Stai bene? Dimmi che stai bene.»
«Sono così sollevato nel vederti sana e salva…»
«Non posso crederci, non posso crederci!»
«Ci sei mancata così tanto.»
La trascinarono dentro, nella cucina che negli ultimi mesi era riuscita a vedere solo da lontano, senza mai avere il coraggio di varcarne la soglia. Era diversa da quella che aveva lasciato ad agosto: recava i segni della permanenza dei suoi genitori, ben riconoscibili dai disegni degli alunni di suo padre attaccati al frigorifero, la sfilza di caramelle gommose di cui sua madre era golosa, e dalle foto di loro tre sparse su ogni ripiano. Foto babbane, si accorse Lydia. E poi le fu impossibile vedere altro. Una nube di fumo e un forte odore di bruciato ammorbò la cucina e la madre di Lydia si staccò dalla sua mano per correre a spegnere il forno.
Suo padre scosse la testa, anche se neppure il rischio di incendio poteva incrinare la sua gioia nell’avere di nuovo la figlia al suo fianco. «Ho commesso l’errore di regalare a tua mamma un libro di ricette per Natale.» spiegò con un sorriso «Da quel giorno sta attentando alla nostra vita.» Prese una tovaglia e la sventolò per dissipare il fumo.
Lydia ridacchiò. Forse Duncan aveva avuto almeno un minimo di ragione. I suoi genitori le erano mancati più di quanto avesse potuto immaginare.
«Potresti tenere tua nonna fuori dalla cucina? Ci ha minacciati di cacciarci se avessimo combinato un altro guaio e non saprei come altro definire questa situazione.»
«Non ti preoccupare, papà. Ci penso io.» E con un’ultima risata, Lydia uscì dalla cucina.
Non dovette percorrere molta strada. Le bastò arrivare nel piccolo corridoio per vedere sua nonna scendere di corsa le scale, con un’agilità che Lydia le invidiò. Aprì la bocca per salutarla.
«Quei disgraziati!» Le narici di sua nonna fremevano «Li avevo avvisati di non avvicinarsi mai più al mio forno.» Lydia avrebbe voluto poter mentire per salvare i suoi genitori, ma il fumo si stava infiltrando nelle fessure della porta e stava iniziando a contaminare anche il piccolo corridoio. Sua nonna la superò a grandi passi e spalancò la porta della cucina prima che la nipote potesse fermarla. «Voi due! Allontanatevi subito da lì!» Poi finalmente, le lanciò un’occhiata da sopra la spalla «E comunque dopo mi devi spiegare cosa ci fai qui tu.» le disse prima di chiudersi la porta alla spalle e lasciarla da sola in corridoio.
Lydia si accorse di stare ancora sorridendo. In fondo quei tre giorni avrebbero potuto rivelarsi più piacevoli del previsto.
«Sei tornata.» E il piccolo momento di felicità era già terminato, ricordando a Lydia il motivo principale per cui aveva deciso di lasciare la casa di sua nonna e seguire Lance quella lontana sera di agosto.
Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e si voltò verso la figura che stava scendendo le scale.
«Ciao, zia Maisie.»