
Capitolo 25 - La promessa
Terza Parte
Capitolo 25
La promessa
«Perché proprio a noi?» Il lamento di Paul si diffuse nell’aria immobile della foresta.
Alice bisbigliò la risposta. «Perché siamo stati noi a far cadere l’intero scaffale di ingredienti nell’aula di Pozioni.»
Il tono di Paul divenne isterico. «Non bastava averci fatto ripulire tutto a mani nude? Perché siamo qui!?»
Anche Lydia si chiedeva la stessa cosa.
Certo, avevano rovesciato lo scaffale delle scorte, ma non era stata interamente colpa loro. Prima di tutto si erano solo trovati nel banco accanto al muro durante la lezione sbagliata. Che colpa avevano se il calderone di Diana Clarke era esploso e loro si erano gettati a terra per evitare di essere colpiti dai suoi resti o da intrugli tossici? E se, nello slancio, uno dei quattro si era trascinato dietro anche il loro calderone, buttandolo proprio sullo scaffale degli ingredienti? Era stato solo un incidente, di cui non sapevano neanche chi fosse l’esatto colpevole. Certo, Lydia aveva sentito, durante la caduta, la manica rimanere impigliata, anche se non lo avrebbe mai confessato ad anima viva (Nick-Quasi-Senza-Testa le aveva suggerito di non dire niente e lei si fidava del giudizio di un fantasma quasi decapitato).
Ma nonostante tutto concordava con Paul. Le tre ore di punizione che avevano dovuto servire dopo le lezioni le sembravano già una pena sufficiente per il danno causato, di sicuro non era necessario mandarli proprio lì!
«Beh, ho sempre desiderato esplorare la Foresta Proibita.» Il commento di Lance si beccò una serie di occhiatacce ed una pigna in testa.
Alice fece un respiro profondo e Lydia vide affiorare quel lato pratico che stava imparando a conoscere nell’amica. «Bene. Ormai siamo qui, tanto vale finire in fretta. Prima troviamo le foglie di Ers, prima possiamo tornare nei nostri dormitori.»
Detto così sembrava facile.
«E comunque il ragionamento di Lydia è corretto… quale persona sana di mente tiene una delle sue erbe più rare nella stessa stanza in cui insegna agli studenti del primo anno? È come andare a cercarsi guai!» La domanda di Lance era lecita.
«Infatti Piton non sembra sano di mente.»
«Lydia!» strillò Alice, inorridita.
«Va bene, va bene, cerchiamo questa pianta!» Lydia sollevò lo sguardo verso il cielo. Aveva iniziato a studiare da poco Astronomia, ma da quelle poche lezioni aveva imparato a leggere la posizione delle stelle, che in quell’istante segnalavano che erano già le undici di sera. O che i Sagittari avrebbero avuto una settimana costellata da guai, dolori e Acromantule in tutù, ma le sembrava più probabile la prima opzione. «Ci fanno persino violare il coprifuoco per punirci.» borbottò.
«L’erba di Ers deve essere colta di notte oppure perde tutte le sue proprietà» sussurrò Lance di rimando.
Lydia sollevò una mano per fermarlo. «Voglio saperne il minimo indispensabile, grazie. Dimmi come è e dove possiamo trovarla e torniamocene al castello.»
La descrizione di Lance fu breve e succinta, sufficiente però a comprendere cosa stavano cercando e da cosa dovevano stare lontani. I quattro ragazzi decisero di muoversi insieme, come era stato suggerito loro da Hagrid stesso prima che scomparisse in un sentiero che sembrava portare al cuore della foresta. I ragazzi, al contrario del guardiacaccia e nonostante il mal celato entusiasmo di Lance, tentarono di mantenersi il più vicino possibile ai suoi confini, dove solo pochi metri li separavano dalla sicurezza dei prati della scuola. Se si poteva considerare sicuro un posto in cui i professori spedivano i loro studenti in balìa di mostri e animali feroci al primo danno compiuto. O secondo, o terzo… Lydia aveva già perso il conto ed era solo al primo anno.
Un rumore improvviso le fece rizzare la testa.
Il gufo la fissò dal ramo dell’albero e poi tornò a volare verso il castello. Lydia espirò.
Nel profondo del cuore anche lei condivideva un po’ di eccitazione all’idea di trovarsi di notte in una foresta incantata, ma era difficile mantenere i nervi saldi considerando che da quando aveva messo piede a scuola, tutti non avevano fatto altro che sussurrare gli orrori che si nascondevano proprio tra quelle fronde.
L’urlo di Paul ruppe il silenzio.
«Sono stata io!» esclamò stizzita Alice, sollevando il piede dal rametto che aveva spezzato.
Paul cercò di ricomporsi. «Ho visto degli occhi. Là!» ed indicò un punto imprecisato tra le foglie di un albero accanto a loro.
«Sì, certo, come no.» replicò Alice. Era la sua prima punizione, e lei sapeva con certezza di non essersi trascinata dietro il calderone nella caduta, quindi considerava l’essere lì insieme a loro un’ingiustizia. Lo aveva detto chiaramente al professor Piton. Lydia non sapeva ancora come avesse fatto a non essere sospesa solo per il fatto di aver contestato la punizione con l’inflessibile professore di Pozioni.
I ragazzi continuarono a seguire lo stretto sentiero ancora per qualche metro, prima di essere costretti a fermarsi a causa di un altro strillo di Paul.
«Vi giuro, ci sono degli occhi che ci fissano!»
«È solo un’illusione ottica, è la luce della luna che riflette sulla rugiada.» cercò di convincerlo Lance, con gentilezza «Non c’è nulla da temere, Paul. Ti assicuro che nessuno ci sta osservando, e questa è una zona sicura della Foresta, oppure i professori non ci avrebbero mai lasciati qui da soli.»
Alice e Lydia invece volevano solo proseguire il più velocemente possibile, trovare quello che stavano cercando e tornare a scuola. La loro pazienza fu messa a dura prova quando Paul si fermò nuovamente dopo dieci passi.
«Che c’è ora?» sbottò Lydia.
«Avete sentito?»
«Non c’è niente, Paul. E prima andiamo, prima possiamo uscire da qui.» La pazienza di Alice era al limite.
Il rimprovero sembrò fare il suo effetto. Quando ripresero il cammino riuscirono ad uscire dal sentiero, superare una radura ed imboccare quello successivo senza ulteriori soste.
«L’erba di Ers!» esclamò infine Lance indicando un piccolo cespuglio alle radici di un albero di noci. La vista di quelle foglie dai bordi traslucidi fu per Lydia la più bella della giornata. Alice e Lance iniziarono a raccoglierle, facendo attenzione a tagliarle nel modo corretto con le piccole cesoie che Hagrid aveva fornito loro prima di abbandonarli.
Lydia, per non causare ulteriori danni, rimase a guardarli, le mani sui fianchi. «Hai visto, Paul? Non ci abbiamo impiegato tanto e non è successo niente.»
Un gufo bubolò in lontananza. Nessun altro rispose.
«Paul?» Lydia si voltò e vide solo foresta e cespugli dietro di lei. «Paul?!» alzò la voce, doveva essersi allontanato di qualche passo. Provò a guardare dietro i tronchi degli alberi. «Paul!?» Ma di Paul nessuna traccia. Il cuore di Lydia accelerò i battiti, mentre una leggera sensazione di disagio si impossessava di lei. Dove era finito? Senza aspettare gli altri, tornò sul sentiero che avevano appena percorso, e, ad ogni passo che faceva senza vedere Paul, cominciò a camminare sempre più velocemente, fino a ritrovarsi a correre sulla stradina accidentata. Forse era solo rimasto indietro, magari era inciampato e loro non si erano accorti, oppure era stato sbranato da qualche creatura selvaggia… No, si impose. Non doveva neanche pensarlo. Eppure mentre correva sul sentiero, la sua mente sembrava galoppare alla stessa velocità, facendole immaginare gli scenari più tragici. Paul rapito dai Centauri, Paul avvelenato, Paul soffocato.
Come avevano potuto i professori lasciare che quattro ragazzini si avventurassero da soli in una foresta che aveva ‘Probita’ nel nome? Avrebbe fatto un reclamo ufficiale al professor Silente. E…
Si fermò di colpo, scivolò leggermente a causa del fango, e fermò la sua folle corsa nella radura che avevano attraversato solo qualche minuto prima. Paul era lì, seduto a terra, raggomitolato su se stesso, con la testa nascosta tra le gambe. Lydia si avvicinò in punta di piedi. Quando fu a pochi passi di distanza si accorse che il mantello che drappeggiava le spalle di Paul sobbalzava. Lydia si inginocchiò al suo fianco.
«Non devi piangere.»
I muscoli di Paul si tesero. «Non sto piangendo.» E tirò su con il naso.
Lydia decise di non insistere. Un trambusto tra le fronde e Alice e Lance sbucarono dal sentiero. «Dove eravate finiti?! Ci siamo girati e non c’eravate più!» urlò Alice, con una leggera tendenza verso il panico.
Lance invece si avvicinò senza dire una parola, negli occhi si poteva leggere la sua preoccupazione. «Paul?»
«Che c’è!?» gridò Paul; un singulto gli scosse le spalle. «Volete solo prendermi in giro! Io ho visto degli occhi, davvero!»
Alice, Lance e Lydia si scambiarono un’occhiata.
«Ti credo.» disse Lydia, stupendo gli altri due ragazzi.
«Cosa?» Paul era altrettanto sbigottito. Sollevò leggermente la testa e Lydia riuscì ad intravedere i suoi occhi lucidi, nascosti dietro le lenti degli occhiali.
«È la Foresta Proibita, è probabile che ci sia qualcosa che ci guarda anche adesso. Ma non ho paura, e sai perché?»
Paul scosse leggermente la testa.
«Perché noi siamo in quattro e quando siamo insieme nessuno può farci del male.»
Lance si inginocchiò accanto a loro. «È vero. Noi quattro siamo amici e con gli amici è impossibile avere paura.»
Paul si asciugò una lacrima con il palmo della mano. «Siamo amici anche di Lydia e Alice?»
«Ma certo!» esclamò Lydia, ed era sincera. «Anzi, da questo momento in poi dichiaro ufficialmente iniziata la nostra amicizia.» annunciò in tono solenne.
Anche Alice si sedette accanto a loro, chiudendo il cerchio attorno a Paul. «Dovremmo fare un patto. Per ricordarci di essere sempre amici ed affrontare la paura insieme.» disse con il suo solito senso pratico.
«Giusto…» Lydia si guardò attorno e il suo sguardo cadde su una piuma abbandonata alle radici di un albero. Scattò in piedi e corse a prenderla. Poi ne vide altre due incastrate in un cespuglio di rose, ed infine un’ultima ad un metro di altezza su un ramo. Erano bellissime. Folte, i colori caldi che andavano dal rosso all’arancione.
Tornò dai suoi amici e ne consegnò una ad ognuno di loro.
Lance mise la sua al centro del loro cerchio improvvisato. «Prometto sulla piuma che saremo amici per sempre.»
Poi fu il turno di Alice. «Amici per sempre.»
«Amici per sempre.» disse Paul, un sorriso riconoscente sul volto.
Lydia strinse la piuma nella mano. «Amici per sempre.»
Lydia voleva vomitare.
O piangere. O urlare.
Qualsiasi cosa sarebbe stata meglio che rimanere seduta lì a fissare il vuoto davanti a lei, eppure era l’unica azione che il suo corpo le permetteva di fare.
Il silenzio era opprimente, ma nessuno lo spezzava. Era stata Katherine l’unica che aveva tentato di parlare, ricevendo solo altro silenzio come risposta. Ed ora erano seduti attorno al tavolo della cucina, ad affrontare da soli i loro demoni.
Le sembrava un incubo. Come era possibile che solo un’ora prima stavano festeggiando un matrimonio? Come poteva essere cambiato tutto così velocemente?
«Dovevo rimanere con loro.» La voce di Duncan era tesa, così come i suoi passi che percorrevano la cucina avanti e indietro. Lydia era d’accordo con lui.
Era stato il secondo urlo di Lance a farla correre verso l’ingresso della casa di Paul. Era così pieno di dolore da sembrare disumano e far provare a Lydia un dolore fisico. L’unica cosa che voleva fare era correre da lui ed alleviargli almeno una frazione di quella desolazione. Aveva tentato, era riuscita ad arrivare fino alla porta della cucina, prima di essere bloccata dal signor O’Brien.
Era comparso dal nulla e l’aveva trascinata via prima che potesse vedere Lance.
Prima che potesse vedere Paul.
«Hai già visto abbastanza.» le aveva detto. In quel momento aveva lottato con tutte le sue forze per liberarsi da lui ed riuscire a raggiungere Lance, tanto che il signor O’Brien l’aveva consegnata a Duncan con il secco ordine di riportarla a casa ed aspettarli lì. Anche Duncan aveva cercato di protestare, ma Lydia non aveva mai visto il signor O’Brien così deciso, e così spezzato.
In fondo al cuore sapeva di dovergli essere grata per averle impedito di vedere Paul. Aveva ragione, aveva già visto abbastanza. E se quello che aveva visto quasi due anni prima la riempiva ancora di incubi, cosa sarebbe successo se fosse arrivata a Paul?
Lydia si nascose il viso tra le mani.
Paul.
La sua mente continuava a ritornare al bambino di undici anni che aveva incontrato ad Hogwarts. Nel bene e nel male avevano trascorso insieme anni interi, le liti e le incomprensioni non potevano cancellare i tanti ricordi felici che erano riusciti a costruirsi. Paul era uno dei suoi amici più cari.
Si scostò i capelli dagli occhi lucidi.
Aveva lasciato Lance in quella casa.
E se i Mangiamorte fossero tornati? E se fosse stata una trappola?
Lydia si alzò in piedi, incapace di rimanere seduta oltre.
Lei e Duncan erano stati stupidi ad obbedire al signor O’Brien. Avrebbero dovuto ribellarsi, imporsi su di lui per rimanere lì al loro fianco, impedirgli di mandarli via. No, non stupidi. Codardi. Perché in fondo Lydia aveva provato sollievo al pensiero di potersi allontanare dal Marchio Nero e da tutto quello che rappresentava.
Una mano sfiorò il suo braccio. Katherine la guardava, la compassione e il dolore che si leggevano sul suo volto mal si addicevano all’abito da sposa che ancora indossava.
Ma non era nulla in confronto a Caitlin.
Da quando Lydia e Duncan erano tornati a casa, sconvolti ed incapaci di credere a cosa fosse appena accaduto, Caitlin si era lasciata cadere su una sedia e si era raggomitolata su di essa. Non si era ancora mossa da allora.
L’unica consolazione era che i bambini non li avevano visti rientrare: erano stati spediti a letto subito dopo la loro partenza e in quel momento la signora O’Brien era con loro al piano superiore, nel tentativo di farli addormentare nonostante l’adrenalina che scorreva sicuramente nelle loro vene a causa delle emozioni della giornata. Lydia era grata per questo. L’ultima cosa di cui avrebbero avuto bisogno sarebbe stato spiegare cosa era accaduto a ventisei bambini terrorizzati. Se mai fosse stato possibile spiegare un’atrocità del genere a bambini innocenti.
L’orologio appeso alla parete ticchettava allegramente. Sembrava volersi prendere gioco di loro. Delle loro ansie, del vuoto immenso che provavano e dei loro cari che non tornavano.
Paul.
Il Paul con cui aveva condiviso compiti, lezioni, colazioni, pic-nic. E dopo ancora vacanze, gite, delusioni, gioie, paure. Lo stesso Paul che aveva cercato di insegnarle le regole dello Spara Schiocco, della genetica magica e tutto quello che lei non poteva sapere essendo cresciuta tra i babbani. Che le aveva prestato le penne quando il primo anno Lydia continuava a spezzarle, non essendo abituata ad utilizzarle.
Lydia strinse gli occhi. Non poteva permettersi di abbandonarsi al mare di ricordi. Perché non ci sarebbero stati altri ricordi. Non con Paul.
Aveva perso uno dei suoi migliori amici.
La consapevolezza la colpì allo stomaco, lasciandola completamente senza fiato.
E Alice? Dove era Alice? Aveva perso per sempre anche lei? Per tutti quei mesi aveva impedito a se stessa di anche solo pensare ad una simile eventualità, eppure la brutalità della guerra si era appena presentata alle loro porte nella forma di un orologio rovente e di un teschio fumoso nei cieli sopra una casa di campagna. Era impossibile non pensare al resto. Ad Alice, ai genitori dei bambini, alle tante persone che aveva conosciuto durante la sua vita nel mondo magico, a compagni, professori. Alla sua famiglia. Aveva così tanto da perdere, si rese conto, e chissà quanto aveva già perso senza saperlo, rinchiusa come era in casa O’Brien. Le stesse mura che quella mattina le erano sembrate una bolla di felicità, tornarono a prendere la forma di una prigione e a restringersi attorno a lei, soffocandola.
«Respira.»
I polmoni di Lydia obbedirono involontariamente all’ordine di Duncan. Con un singulto Lydia riuscì ad inspirare. Eppure sentì di aver davvero ricominciato a respirare solo quando vide Lance entrare in cucina.
Corse da lui, gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte, per accertarsi che fosse reale. Lance nascose il viso nel suo collo e Lydia sentì le sue lacrime impregnarle la manica del vestito. Non disse nulla. Si limitò a tenerlo stretto, con la paura che se lo avesse lasciato, avrebbe potuto scomparire anche lui.
«È morto.» singhiozzò Lance con voce rotta.
Lydia lo strinse con maggior forza.
Il signor O’Brien li raggiunse e con gentilezza li sciolse dal loro abbraccio per accompagnare Lance alla sedia più vicina, una coperta apparve dal nulla e si posò dolcemente sulle sue spalle. Il padre si sedette accanto a lui, ma Lance non sembrava accorgersi di nulla, il suo sguardo perso nel vuoto, in preda ad un dolore troppo grande per poter essere misurato. Si mise le mani nei capelli ed abbassò la testa. E Lydia, rimasta da sola al centro della stanza, tornò a sedersi accanto a Duncan. Fu proprio lui il primo a parlare.
«Cosa è successo?»
«Siamo arrivati tardi.» Le parole del signor O’Brien erano intrise di dolore.
«Questo lo sappiamo!» sbottò Duncan «Vogliamo sapere il resto!»
«Quando siamo arrivati c’era solo… C’era solo Paul in casa. Era in cucina… Era…» La voce del signor O’Brien si spezzò. Chiuse gli occhi ed ispirò profondamente, per ricomporsi. E poi ricominciò a parlare. «Dopo che siete andati voi sono arrivati due dei suoi fratelli. Lo stavano cercando.»
«Perché lo stavano cercando? Perché non era con loro?»
Il signor O’Brien sospirò. «Posso solo dirvi quello che Nolan è riuscito a spiegarmi. Dopo la vostra battaglia sulla spiaggia, Paul e i suoi fratelli hanno ignorato ogni nostro avvertimento, e hanno preso la decisione di continuare nelle loro scorribande contro i gruppi di Mangiamorte e dei loro seguaci. Neanche l’attacco è riuscito a spaventarli a sufficienza da desistere. Non avevano intenzione di fermarsi, e così hanno continuato a colpire e portare avanti la loro propaganda contro il nuovo Ministero. Finché hanno colpito alcune postazioni di guardia e sono riusciti così nel loro intento: dare fastidio alle persone di potere, diventare un problema per loro. Sono stati talmente sciocchi da non pensare alle conseguenze, a quanto possa essere pericoloso essere braccati dai Mangiamorte, i quali infatti, hanno iniziato a fare proprio quello: dare la caccia a Paul e i suoi fratelli. E le risorse dei Mangiamorte sono molto più ampie di quanto già temevano, infatti è bastato loro poco per scoprire dove abitavano i genitori di Paul. È successo qualche settimana fa, ma la famiglia di Paul è riuscita a venire a conoscenza dell’agguato che stavano per tendergli e sono riusciti a scappare in tempo. Il fallito attentato ha però avuto comunque un effetto, quello di far spaventare i fratelli di Paul, di far capire loro quanto stessero realmente rischiando e farli finalmente iniziare a temere per le proprie vite.»
«Ma non Paul.» disse Lydia in un sussurro, sapendo che la sua intuizione corrispondeva alla verità.
Il signor O’Brien, infatti, annuì. «Su Paul ha avuto l’effetto contrario. Nolan mi ha detto che dopo il fallito attentato, Paul è diventato testardo. I suoi fratelli, sua sorella, i suoi genitori… tutti gli dicevano che era diventato troppo pericoloso ed era ora di nascondersi, ma lui ha continuato, finché è stato troppo tardi…»
Duncan scattò di nuovo in piedi e ricominciò il suo girovagare nervoso per la stanza. «Come ha potuto farlo? E come facciamo a sapere quanti danni ha causato prima di essere ucciso?» Tutti gli altri si irrigidirono a sentire quella parola. «E se ha raccontato di noi?» Duncan sgranò gli occhi «Paul conosceva l’indirizzo della nostra casa! Ci ha mandato un gufo, per l’amor del cielo! Potrebbe aver detto ai suoi aguzzini dove ci troviamo, dobbiamo-»
«Non è successo nulla di tutto questo.» Il signor O’Brien si massaggiò la fronte. «Subito dopo la vostra fuga per salvarlo alla spiaggia, ho fatto visita a lui e alla sua famiglia. È bastato un semplice incantesimo Obliviatore per fargli dimenticare tutti i nostri indirizzi. Sia questa casa, sia l’appartamento ad Oxford, sia i nostri nascondigli sono ancora sicuri.»
Katherine scosse la testa. «Continuo a non capire. Come hanno fatto a catturarlo? Gli hanno teso una trappola?»
«E come mai il tuo orologio ti ha avvisato che era in pericolo?» La domanda di Lydia sorse spontanea.
Lance alzò il volto rigato dalle lacrime. «Era il nostro sistema di comunicazione.»
Lydia si irrigidì. «E perché avevate bisogno di un sistema di comunicazione se avevi giurato di non assecondare il suo folle piano?»
La risposta era evidente. Eppure le successive parole di Lance ebbero comunque un effetto devastante. «Perché ero con lui. Era con lui quando ha attaccato le postazioni di guardia. Ero con lui quando ha colpito la casa di un Mangiamorte, quando ha riempito Diagon Alley di volantini sovversivi. Ero sempre con lui. Tranne oggi.»
Il dolore di Lance divenne invisibile a Lydia mentre comprendeva il vero significato delle sue parole. «Mi hai mentito.» disse con freddezza. «Mi avevi promesso che non lo avresti aiutato. L’hai detto tu stesso quel giorno a Diagon Alley che il suo era un piano folle, che quella non era una battaglia che valeva la pena di combattere.»
Lance riabbassò il volto. «Ed ero convinto delle mie parole. Ma quando siamo arrivati su quella spiaggia, quando ho visto Paul circondato da nemici, ho capito che non si sarebbe mai fermato, che si sarebbe comportato da stupido se non ci fosse stato nessuno a trattenerlo, ad aiutarlo. È il mio migliore amico. Non potevo lasciarlo solo.»
«Raccontaci cosa è successo.» disse Katherine, con una gentilezza ben lontana dai sentimenti che stava provando Lydia in quel momento.
Lance si asciugò le lacrime con la manica della camicia. Il movimento rivelò le chiazze di sangue che la sporcavano. «Quel giorno, dopo la battaglia sulla spiaggia, prima di separarci e tornare a casa, Paul mi ha dato un biglietto. Erano delle coordinate ed una data e ora. Mi aveva dato appuntamento al giorno dopo. Ho passato la notte insonne, non sapevo cosa fare. Ma il giorno dopo mi sono presentato da lui. L’hai visto, Lydia. Non si voleva fermare e se non potevo fermarlo volevo almeno aiutarlo. Evitare che…» la sua voce si spezzò. «Abbiamo iniziato con piccole cose, di poco conto. Era il mio obiettivo. Tenerlo lontano dai pericoli più grandi. Mills l’ha detto quel giorno in spiaggia, no? Ha detto che Paul e la sua famiglia erano solo fastidiosi, li ha definiti come delle mosche e il mio obiettivo era di farli rimanere tali. Meno danni facevano, meno rischi correvano di incappare in una battaglia più grande di quanto sarebbero stati in grado di combattere.»
Duncan era di ghiaccio. «Eppure hai appena detto che sono - anzi siete - riusciti a dare fastidio alle persone al potere. Mi sembra ben diverso dal tenersi alla larga dai guai.»
L’espressione di Lance cambiò completamente. Una fredda rabbia lo animò. «Tu non hai visto il mondo là fuori. È un delirio. Si sono presi tutto, famiglie intere vengono ancora portate via dalle loro case senza che nessuno lo impedisca. Ho visto io stesso vicini di casa aspettare che venissero catturati per introdursi nelle loro case e rubare tutte le cose di valore, ho visto una signora voltarsi dall’altra parte mentre una sua amica veniva trascinata via dai Mangiamorte. Quando Paul ha iniziato ad avere obiettivi più ambiziosi non sono riuscito a fermarlo, o forse non ho voluto.»
La mente di Lydia tornò al giorno in cui avevano trovato Beatrix, ad Alice nel vicolo dietro al Ministero, al senso di colpa che ancora la perseguitava per non avere fatto di più.
«Diceva che se nessuno interveniva allora l’avremmo fatto noi. Sono andato nella via dove Silas e Cyril vendono le pozioni al mercato nero.» Lance ignorò lo sbigottimento di suo padre «Un luogo perfetto per ottenere informazioni. Con le giuste domande, e ricompense, siamo riusciti a venire a conoscenza del posto dove si riuniva il gruppo di Mills. Era un piccolo bar vicino a York, e abbiamo scoperto che non veniva usato solo per le riunioni del suo piccolo club, ma anche come magazzino per pozioni e oggetti maledetti. Il piano era semplice. Abbiamo intercettato Aiden O’Neil, a proposito, anche lui ha seguito le orme di Mills, come se ci fossero mai stati dubbi, e l’abbiamo seguito fino a Londra. È bastato poco per farci vedere da lui, e proprio come avevamo pensato, è subito corso ad avvisare Mills. La prospettiva di riuscire a catturarmi era troppo grande. Come previsto, si è portato dietro tutto il gruppo e il bar è rimasto con solo due guardie. Nolan e Brianna l’hanno tappezzato di pozioni esplosive, e quando Mills e i suoi sgherri sono tornati indietro senza avermi trovato, gli è esploso davanti agli occhi. Era una grande vittoria, ma ovviamente ha avuto delle conseguenze. I miei contatti nel mercato nero mi hanno avvisato per tempo che anche Paul e la sua famiglia, come noi, erano diventati troppo pericolosi e l’ordine era di annientarli il prima possibile. I fratelli e la sorella di Paul hanno avuto paura, hanno chiuso con gli attacchi e si sono trasferiti insieme ai loro genitori in un rifugio più sicuro. Pensavo che Paul fosse altrettanto intelligente, che avesse capito che ormai avevamo fatto la nostra parte ed era arrivato il momento di tirarsi indietro.» Il dolore tornò a piegarlo «Ma ho sottovalutato la sua autostima. Quel successo gli ha dato alla testa. Ha iniziato a sentirsi invincibile. Si è trasferito in un appartamento, lontano dalla sua famiglia, a progettare attacchi più ambiziosi. Mi ha dato del codardo perché volevo farlo ragionare, ha detto…» Il suo sguardo corse brevemente verso Lydia «Ha detto che eri stata tu a farmi diventare debole. Ho cercato di convincerlo in tutti i modi, ve lo giuro. Poi ho capito che come non ero riuscito a farlo ragionare prima, non ci sarei riuscito neanche in quel momento. Non potevo lasciarlo andare in battaglia da solo, lo capite, vero? Come potevo lasciarlo solo?» Le sue domande incontrarono solo il silenzio. «È il mio migliore amico…»
«Quindi è stato catturato?» chiese Katherine sottovoce.
Le guance di Lance tornarono a riempirsi di lacrime. «Ieri mi ha mandato un messaggio. L’ho raggiunto il prima possibile. Mi ha detto che aveva scoperto il nuovo nascondiglio di Mills, gli ho risposto che avrei chiesto conferma dalle mie fonti, ma lui non voleva aspettare. Mi ha detto che era sicurissimo dell’informazione, che non potevamo perdere altro tempo perché la stessa persona lo aveva informato che se ne sarebbero andati da lì entro sera. E così siamo andati di nascosto nel luogo che ci avevano indicato. Non c’era nulla. Solo un prato immenso. Neanche un albero.»
«Una trappola.» riassunse Lydia.
«Ci siamo trovati circondati da Mills e i suoi sgherri. Hanno iniziato a lanciarci maledizioni. Siamo riusciti a scappare per un soffio. Paul aveva ancora una Passaporta di emergenza di sua sorella.» Lance si massaggiò l’avambraccio.
«Il taglio di ieri.» disse Lydia. Era stata una stupida a credere alla storia del coltello sfuggito dalle mani. Lydia aveva visto innumerevoli volte Lance maneggiare un coltello, sia nel tagliare ingredienti sia nell’orto, e possedeva un’abilità che solo pochi pozionisti al mondo potevano vantare. Non avrebbe mai commesso un errore tanto maldestro.
«Sì.» confermò infatti Lance.
E fu come se i tasselli trovassero magicamente il loro posto nella mente di Lydia. Da quando lo aveva conosciuto, Lance aveva sempre indossato un orologio regalatogli da suo zio per l’ammissione ad Hogwarts. Almeno fino a qualche mese prima, più precisamente fino a dopo la battaglia sulla spiaggia, quando era stato improvvisamente soppiantato da un altro orologio, altrettanto usurato ma comunque diverso da quello originale. E poi Lydia ripensò alle lunghe ore trascorse da Lance in laboratorio, anche quando, come lui stesso aveva ammesso il giorno di Natale, non era più necessario. A quando nessuno lo trovava e ricompariva ore dopo come se nulla fosse, con qualche scusa fin troppo credibile. Così tanti dettagli, così tanti indizi che lei non era mai riuscita a vedere prima.
«Io…» un singhiozzo scosse Lance «Sono stato io ad azionare la sua Passaporta. Lui voleva rimanere lì a combattere. Quando siamo arrivati al sicuro abbiamo litigato, mi ha detto che la trappola stessa significava che finalmente eravamo riusciti a colpire nel segno. Che avevamo perso l’occasione. Sono tornato a casa per impedirgli di dire altre stronzate. Io… io penso che sia tornato là appena me ne sono andato.»
La consapevolezza di ciò che doveva essere accaduto una volta che Paul era tornato nel prato pesava come un macigno su tutti loro. Lance tornò a coprirsi il viso con le mani. «È stata colpa mia. Avrei dovuto capirlo, avrei dovuto fermarlo.» Ma nessuno era mai riuscito a fermare Paul Kenston.
«Paul aveva un accordo con la sua famiglia. Mandare loro un messaggio tutte le mattine per fargli sapere che stava bene. Quando questa mattina non hanno ricevuto nessun messaggio, i suoi fratelli hanno iniziato a cercarlo.»
Lydia scattò in piedi, incapace di stare seduta oltre. «Ma non capisco. Paul ha mandato il messaggio solo questa sera! Perché non farlo ieri, appena è stato catturato?»
Il signor O’Brien sembrava invecchiato di decenni. «Da come lo abbiamo trovato penso che sia stato tenuto prigioniero e…» Non riuscì a pronunciare la parola. Non ce n’era bisogno. Tutti loro sapevano che cosa facevano i Mangiamorte a chi era talmente sventurato da finire nelle loro mani. Una Maledizione senza Perdono in particolare rimaneva fissa nelle loro menti. «E alla fine lo hanno riportato nella sua casa di famiglia, ormai disabitata. Penso che il messaggio non sia stato inviato da Paul. Il suo orologio era appoggiato su una mensola in maniera troppo ordinata. Qualcun altro ha chiamato Lance.»
«Ma non ha senso!» esclamò Lydia «Se è stato Mills a chiamare Lance perché non tenderci una trappola? Sapeva che sarebbe corso da lui e ha già fatto capire che intende catturarci. Perché non ha sfruttato quell’occasione?»
«Lydia, devi pensare che non stiamo parlando di una persona sana di mente. Mills è diventato un assassino. Vuole sicuramente scoprire dove siamo nascosti, ma temo che voglia giocare con noi. Che quello fosse il suo modo di divertirsi.»
«Ma come fai ad esserne così sicuro?» intervenne Duncan «E se invece è stato abbastanza furbo da nascondersi? E se ci ha inseguiti fino a qua?» Scostò la tenda della finestra, lo sguardo che saettava da una parte all’altra del giardino.
«Sono certo di quello che dico, Duncan.»
«Come fa ad esserlo!?»
«Perché ha lasciato un biglietto sul corpo di Paul.» Si immobilizzarono tutti. Il signor O’Brien serrò la mascella. «Ha scritto ‘voi siete i prossimi’».
Lydia dovette risedersi.
«Dovremo essere maggiormente cauti, d’ora in avanti. Uscire solo se necessario e limitare le visite di mio fratello e di Silas e Cyril a casi di estrema necessità. So che è difficile, ma dobbiamo resistere, ragazzi. Abbiamo degli innocenti da difendere e non possiamo correre alcun rischio.» Era come se il signor O’Brien avesse perso tutta la sua vitalità. E Lydia lo capiva bene, perché anche lei si sentiva nello stesso modo.
Il vuoto era la cosa peggiore. Nel suo cuore ricominciò a sentire una parte di quella voragine con cui era arrivata in quella casa e che solo la famiglia O’Brien e i bambini erano riusciti a colmare. Per un istante si spaventò al pensiero di tornare la persona che era. Rotta e con la sensazione che non ci fosse più nulla di buono in quel mondo.
«E per cosa?» La voce di Caitlin li prese alla sprovvista. Per tutto il tempo da quando Duncan e Lydia erano tornati, era rimasta rannicchiata sulla sedia, senza dire una parola, senza mostrare un’emozione.
«Per la salvezza nostra e dei bambini.» rispose il signor O’Brien «Mi sembrano ragioni sufficienti per raccomandare attenzione e soprattutto collaborazione. Niente più segreti, niente più fughe clandestine.» Lance era talmente perso nel suo dolore da sembrare in un altro mondo. Anche suo padre se ne accorse e gli strinse una mano sulla spalla. «Lance. Devi promettercelo. Niente più uscite. È già un miracolo che tu sia ancora qui con noi. Il tuo intento era nobile, lo capiamo, ma…»
«Non era nobile.» lo interruppe Lydia. I suoi pensieri riuscirono finalmente a trovare una via, solo che era costeggiata da rabbia e furia. Si alzò in piedi. «Nessun intento cavalleresco, né di bene superiore. Sei stato un incosciente.» Sapeva che non era il momento, eppure per lei era impossibile fermarsi. Aveva bisogno di parlare o sarebbe esplosa. «Come hai potuto fare una cosa così stupida?»
«Lydia.» provò a fermarla il signor O’Brien «Non è questo il momento per discuterne. Dobbiamo piangere Paul prima di affrontare l’argomento.»
«Non ho nessuna intenzione di piangere Paul!» urlò Lydia. Era vero solo in parte. Le si spezzava il cuore al pensiero che Paul non c’era più. Ma era in lutto per quel ragazzo impacciato e spaventato che aveva conosciuto a scuola, non per quello che aveva incontrato nel negozio di Diagon Alley. «Sapete anche voi quante volte ha rischiato di farci ammazzare, non provate neanche a negarlo! E chissà quante volte Lance ha rischiato di fare la stessa fine in questi mesi! Era solo uno stupido ed incosciente e non ho intenzione di stare zitta solo per non infangare la sua memoria.»
«Paul non era stupido.» Caitlin sollevò il suo sguardo di ghiaccio «E non era incosciente. Era più coraggioso di tutti voi.»
«Essere coraggiosi a volte vuol dire sapere quando è il momento di ritirarsi.»
«Lydia ha ragione.» intervenne Duncan «È difficile ammetterlo, ma questa guerra è più grande di noi. Ci sono battaglie che non possono essere combattute da soli.»
Caitlin scattò in piedi. «E allora perché non avete combattuto con lui?» gridò «Voi, Silas, Cyril, i fratelli e la sorella di Paul. Potevate essere un piccolo esercito se solo aveste avuto il coraggio di uscire da questa maledetta casa! E invece vi siete nascosti, siete scappati, come fate sempre.»
«Noi non siamo scappati.» sibilò Lydia.
Caitlin abbassò la voce e riversò il suo veleno su di lei. «Ma in fondo è la tua specialità, no? Lance è stato male per mesi quando tu hai smesso di rispondere alle sue lettere. E stavi scappando quando Lance ti ha incontrato su quella spiaggia. E non so come ti sei procurata quella cicatrice, ma sono sicura che stavi fuggendo anche lì.»
La rabbia di Lydia le arrossò le guance. Duncan ebbe la prontezza di sbarrarle la strada. «Stai zitta, Caitlin!»
«Cosa c’è?» L’unico modo per descrivere il tono di Caitlin era solo di pura perfidia «Sei troppo spaventata dalla verità? Allora sappi solo che sei tu ad essere una codarda. Mio fratello e Paul hanno avuto il coraggio di affrontare i nostri nemici mentre l’unica cosa di cui tu sei capace è di rimanere chiusa qua dentro a piangerti addosso.»
«Adesso basta!» provò a fermarla il padre.
«Oh, sto solo dicendo quello che pensate tutti qui dentro ma non avete il coraggio di dirglielo in faccia. Ti abbiamo offerto un posto sicuro e tu non hai fatto altro che nasconderti in camera tua e rifiutarti di aiutarci. Dici che Paul ha rischiato di farci scoprire ma sei tu ad essertene andata al Ministero alla prima occasione!»
«Caitlin!»
Lei ignorò anche Katherine. «Paul ti ha dato un’occasione e tu l’hai insultato e hai rifiutato anche quella!» Lydia strinse i denti ma la rabbia non faceva altro che aumentare. Il suo cuore palpitava mentre Caitlin continuava a vomitarle addosso le sue cattiverie. Duncan, Katherine e il signor O’Brien cercavano di fermarla e Lance se ne stava semplicemente seduto sulla sua sedia, il volto nascosto nelle mani, completamente perso nel suo dolore. «Forse dovresti guardarti allo specchio e riconoscere chi è il vero mostro qui!»
E poi Lydia, semplicemente, esplose. Un’ondata di pura magia si liberò dalle sue vene. Le lampadine di tutta la stanza andarono in frantumi con un boato. Schegge di vetro e scintille piovvero dal cielo. Ma a Lydia non importava.
Nella penombra che si era creata, il suo sguardo si posò su Lance, che la fissava incredulo, risvegliatosi infine dal suo dolore. «Dovevi solo dirmelo.» bisbigliò Lydia. La rabbia si trasformò in una calma innaturale. «Dovevi solo dirmelo e io sarei venuta con te.»
Lasciò la stanza con la consapevolezza che una parte della sua vita era appena terminata.