
Capitolo 15 - Il sottoscala
Capitolo 15
Il sottoscala
16 ottobre 1988
Lydia Merlin era fiera della sua Casa.
Sin da quando suo padre aveva letto il libro Storia di Hogwarts e le aveva raccontato delle distinzioni tra le quattro Case, Lydia aveva desiderato con tutto il cuore di poter diventare una Grifondoro. Sarebbe stato fantastico poter entrare a far parte dei coraggiosi e degli intrepidi. E quando il Cappello Parlante aveva proclamato all'intera Sala Grande che lei era davvero una Grifondoro, per la prima volta da quando era iniziata quella strana avventura sentì di appartenere veramente a quel mondo.
Il suo entusiasmo non era sfumato e nonostante fosse ad Hogwarts ormai da un mese, continuava a guardare con orgoglio i colori della sua divisa e non avrebbe permesso a nessuno di insultarli.
Nemmeno a Lance O’Brien.
Dopo aver affrontato insieme il primo viaggio in barca verso la scuola, Lydia aveva pensato che potesse essere l’inizio di una nuova amicizia, proprio come le aveva raccomandato suo padre al binario, ma la realtà a scuola era stata ben diversa. L’appartenere a due Case diverse non aveva aiutato a mantenere i contatti, e così Lydia e Lance si erano trovati semplicemente a salutarsi cordialmente ogni volta che si incrociavano nei corridoi o a lezione, senza andare mai oltre. Proprio come era capitato quella mattina. I Grifondoro e i Tassorosso del primo anno stavano aspettando l’inizio della loro lezione di Trasfigurazione nel corridoio di fronte all’aula. Lance O’Brien era appoggiato al muro e stava parlando con il suo migliore amico, Paul Kenston. Lydia si trovava per caso accanto a loro, era seduta sul pavimento di pietra e stava controllando il tema sui fondamenti della Trasfigurazione che avrebbero dovuto consegnare a lezione, quando le parole di Lance la raggiunsero.
«I Grifondoro sono solo degli sbruffoni, hai visto cosa hanno fatto a Francis Wood del quinto anno?»
Lydia alzò lo sguardo dalla pergamena per lanciare un’occhiataccia al Tassorosso. Lance, ignaro di essere ascoltato da orecchie indiscrete, continuò imperterrito. «E non fanno altro che vantarsi, ma Archie Leeman mi ha detto che il loro Cercatore negli allenamenti ha perso tre Boccini d’Oro. Madama Bumb è furiosa, è dovuta andare a cercarli nella Foresta Proibita.»
«Che scemenze.» Lydia non riuscì a trattenersi.
Lance si limitò a guardarla. «È tutto vero.»
«Sono solo voci che hanno messo in giro i Serpeverde perché sono gelosi.»
«Magari sono davvero solo voci. Ma è vero che i Grifondoro sono degli sbruffoni vanitosi e ignoranti.» disse tranquillamente Lance, senza accorgersi del pericolo che stava correndo.
«Cosa hai detto?» ringhiò infatti Lydia. Alice si accorse subito del disastro che era sul punto di accadere e tentò di bloccare l’amica, ma Lydia si limitò a scrollarla di dosso ed alzarsi in piedi. «Cosa hai detto?» chiese di nuovo. Alice scosse la testa affranta e si allontanò.
Paul Kenston iniziò a balbettare, terrorizzato dal tono di voce della bambina. Lance invece non si lasciò intimorire. «Siete solo degli sbruffoni.» ripeté guardandola negli occhi. «E prepotenti.»
«Non è vero!» esclamò Lydia.
«E i vostri scherzi sono di pessimo gusto.» continuò imperterrito Lance.
«Solo perché voi non avete senso dell’umorismo, e non sareste mai in grado di fare scherzi neanche al gatto di Gazza.»
Il battibecco tra i due iniziò ad attirare l’attenzione dei compagni, che abbandonarono le loro chiacchere o le ultime correzioni dei compiti per assistere alla scena.
«Credete di essere i migliori, ma sai una cosa?» Lance stava alzando la voce. «Non lo siete! Non siete migliori dei Serpeverde, dei Corvonero e neppure di noi Tassorosso; ci considerate lo scarto di Hogwarts ma in realtà siamo tutti migliori di voi, infatti è da anni che non vincete la Coppa delle Case, o il torneo di Quidditch!»
Lydia strinse i pugni, infuriata, ma Lance non le lasciò il tempo di replicare.
«Non vi siete neanche accorti che non vi sopportiamo più.»
«Sta zitto!» urlò uno dei Grifondoro che assisteva alla scena. Anche il resto della folla iniziò ad agitarsi.
«Perché dovrei?» Lance non si lasciava scoraggiare. «Siete stupidi, prepotenti e cattivi!»
Lydia replicò nell’unico modo che le venne in mente in quel momento di rabbia. Gli diede un pugno sul volto.
«Mamma! Non ho intenzione di salire tre rampe di scale portando sulle spalle questo coso!» Lance tirò un calcio al banco più vicino.
«Ti farà bene!» ribatté la madre. Tentò anche di sfilargli la bacchetta dalla mano, ma il figlio strinse la presa con entrambe le mani e cercò di scappare «Lance O’Brien, non fare il bambino!»
Lydia sospirò, stanca della scenata che si protraeva ormai da cinque minuti scese dal banco su cui si era seduta « Expelliarmus. » La bacchetta di Lance le volò in mano e la porse subito alla signora O’Brien «Possiamo andare ora?»
Di certo non si aspettava che la madre di Lance reclamasse anche la sua arma, lasciandola completamente senza magia e con un banco troppo pesante da portare dal primo al terzo piano.
Da quando avevano iniziato le lezioni, avevano progettato le aula nelle stanze inutilizzate del primo piano, ma in una recente riunione famigliare, avevano constatato che la soluzione migliore era trasferire anche le classi al terzo piano e creare nuove protezioni in modo che, in caso di attacco improvviso, quello stesso piano si potesse trasformare in una roccaforte. E, ovviamente, appena avevano distribuito i ruoli per quella riprogettazione Caitlin si era dileguata. E così si era dovuti arrangiare. Il signor O’Brien avrebbe tenuto a bada i bambini mentre Katherine e Duncan avevano il compito di liberare lo spazio della stanzetta al terzo piano che sarebbe diventata la nuova aula. Lydia e Lance invece si erano trovati a dover spostare tutti i banchi e le sedie da soli, supervisionati dalla signora O’Brien. Lydia aveva pensato che sarebbe stato facile. Qualche incantesimo e tempo venti minuti avrebbero terminato. Di sicuro non aveva prevista la mossa subdola della signora O’Brien.
«Potete andare ora.» disse soddisfatta la signora O’Brien nascondendo le bacchette dei due ragazzi nella manica e scomparendo subito dopo, diretta verso la cucina.
Lance si accasciò sul suo banco. «Sei contenta ora?»
«Ehi, sei tu ad aver distrutto mezze scale con le tue sedie volanti!» Gli diede una leggera pacca sulla schiena per costringerlo a rialzarsi.
«E tu hai fatto cadere il vaso della nonna.»
Lydia rispose con un’altra pacca, questa volta abbastanza forte da far alzare Lance. «Ma quello lo distruggono sempre anche i bambini!» si affacciò alla ringhiera delle scale. «È la sua vendetta perché non vogliamo aiutare con le lezioni.» disse a voce abbastanza alta da essere udita anche dal piano terra «E non ci farà cambiare idea!» gridò proprio nello stesso momento in cui Lance urlava disperato «Faremo qualunque cosa!»
Lydia sapeva che era quello il motivo, se lo sentiva in ogni fibra del suo essere, e anche perché la signora O’Brien non aveva cercato in modo particolarmente attento di nascondere le sue vere intenzioni. Per la signora O’Brien era come se l’aver fatto addormentare i bambini la notte precedente fosse un segno che Lydia era ormai pronta ad occuparsi attivamente della gestione dei bambini. Ma Lydia non ne aveva la minima intenzione, le era bastata quell’unica esperienza. Era stato un incubo dover fare addormentare di nuovo tutte le bambine, in più il libro della fiabe di Lance era rimasto sul comodino di Henry e piuttosto che correre il rischio di svegliare i bambini, Lydia aveva improvvisato una versione molto corta e succinta della fiaba di Cenerentola. Ma le bambine non erano rimaste impressionate dalle sue capacità narrative e avevano preteso altre storie costringendo Lydia e Lance a rispolverare tutti i loro ricordi sui cartoni animati usciti fino a quel momento. Alla fine le bambine erano crollate per sfinimento, ma ormai la sera si era protratta nella notte e Lance era scappato in un lampo per correre a cogliere le foglie di verbena nel poco tempo rimasto («Sono riuscito a prenderne solo due manciate!» si era lamentato al risveglio «Che nessuno chieda lo sciroppo contro la tosse notturna per i prossimi due mesi!») e così Lydia non aveva potuto accompagnarlo ed era stata costretta a tornarsene a letto.
«Ti prego, accetta di fare una lezione e la mamma smetterà di tormentarci.» la supplicò Lance.
«Sei il solito.» sbuffò Lydia, incapace però di nascondere una vena divertita. Ogni traccia di divertimento scomparve appena tentò di alzare il banco. Oltre ad essere incredibilmente pesante, era scomodo, il legno scheggiato le pungeva la pancia, come se la volesse infilzare, e le sue dita iniziarono a implorare pietà. Non era sicura di riuscire a fare tre gradini con quello tra le braccia, di sicuro non due piani. Il banco ricadde con un forte tonfo sul pavimento.
La voce della signora O’Brien si levò dalla tromba delle scale. «E non provate a rovinare le piastrelle oppure niente cena per voi questa sera!»
Fu una motivazione sufficiente per entrambi. I due ragazzi presero immediatamente un banco a testa e, ignorando il dolore e il fastidio, si avventurarono sulle scale. Lydia fu la prima ad iniziare la salita. Per i primi gradini andò tutto bene, anzi, stava iniziando a pensare che non era poi così impossibile, ma alla prima svolta si pentì amaramente di averlo anche solo pensato, alla seconda pensò che fosse una punizione per aver sopravvalutato le proprie forze e arrivata al secondo piano rimpiangeva la settimana trascorsa a Pandizenzero accerchiata da Mangiamorte. Sentendo le braccia cedere si fermò sul pianerottolo per riprendere fiato. I muscoli delle sue braccia erano completamente indolenziti, così come la zona della pancia su cui posava l’altra parte del peso del banco. Lance si fermò accanto a lei, nel suo stesso stato. «Non siamo allenati. Per niente.» sentenziò con il poco fiato rimasto.
«Ad Hogwarts dovrebbero fare educazione fisica.» Lydia tese le braccia indolenzite e le piegò, ripeté il processo più volte per riattivare la circolazione del sangue. «Mia mamma ha ragione quando dice che siamo troppo indifesi senza bacchetta…» E involontariamente si diede una motivazione per ricominciare l’avanzata. Pur di non soffermarsi a pensare a sua madre, Lydia riprese il banco e, senza aspettare Lance, salì l’ultima rampa di scale.
Arrivata al pianerottolo del terzo piano mollò il banco di colpo, il quale atterrò con un tonfo tale da far tremare il pavimento.
«Ce l’ho fatta!» tentò di urlare, ma quello che le uscì fu più un lamento a causa della totale mancanza di fiato.
Lance non fu altrettanto forte e si bloccò a quattro gradini dall’arrivo, con il banco inclinato sulle scale e trattenuto solo dal suo corpo. «Basta, ci rinuncio.» borbottò afflosciandosi di nuovo sul banco. «Lasciatemi qui.»
«Sei il solito.» rispose Duncan. Lui e Katherine erano appena usciti da quella che sarebbe diventata la nuova aula delle elementari.
«Potevate anche aiutarci.» sbottò Lydia.
«Vi stavamo aspettando. Dove eravate finiti?» chiese Duncan irritato «Abbiamo cambiato idea.» continuò senza attendere la risposta «Qui non c’è abbastanza spazio, teniamo le aule al primo piano.»
E questa volta fu Lydia ad accasciarsi sul tavolo, mentre Lance esclamò una serie di imprecazioni, con l’unico inconveniente che, nel farlo, si spostò e senza più il suo corpo a bloccarlo, il banco iniziò la sua ripida discesa. Lance tentò di fermarlo ma era troppo tardi. Il banco prese slancio e ridiscese le scale accompagnato da botti e stridii, un rumore assordante che riempì l’intera casa. Ad ogni scalino Lydia socchiudeva gli occhi, fino ad arrivare all’ultimo grande tonfo, il quale fece tremare il pavimento. Seguì un istante di silenzio.
«LANCE O’BRIEN E LYDIA MERLIN, STASERA NIENTE CENA!»
«Ops.»
Lydia avrebbe voluto lanciare il banco in testa a Lance.
Alla fine la signora O’Brien preparò loro lo stesso la cena. E Lydia avrebbe dovuto immaginare che il vero motivo era un altro e non il suo buon cuore. Infatti a metà piatto di lasagne, la signora O’Brien sganciò la bomba. «Non potevo lasciarti senza cibo, hai bisogno di forze per affrontare quei bimbi domani.» Lydia lasciò cadere la forchetta mentre tutta la tavolata si voltava verso di lei.
«È vero? Domani resti con noi?» chiese Henry, già esaltato anche solo all’idea.
Come aveva potuto la signora O’Brien farle questo?
«Domani ci insegna Lydia!» urlò Ewart (‘riccioli d’oro, ciabatte rosse’).
«Sarà la più bella lezione di sempre!» ululò Emily Coleman (‘una non salutare ossessione per gli unicorni’).
Non c’era modo di fermare quei bambini, Lydia lo sapeva, e di sicuro ne era a conoscenza anche la signora O’Brien. L’aveva fregata. Il signor O’Brien pareva contrariato del metodo della moglie e Lydia sperò con tutto il cuore che dicesse qualcosa in suo favore e le evitasse quella follia, ma l’uomo si limitò a scuotere la testa e tornò a mangiare le sue lasagne, come se nulla fosse, come se Lydia non stesse sprofondando in un incubo. Il suo sguardo implorante allora percorse la tavola, rivolto prima a Katherine, che non recepì il messaggio (o fece solo finta di non capire) e poi a Lance, il quale rispose con delle scuse. «Vorrei tanto aiutarti ma domani è una giornata critica per la preparazione della pozione Anti-Traccia. Devo controllarla a vista e devo girarla venti volte in senso antiorario ogni sette minuti.» Le uniche opzioni rimaste erano Caitlin, particolarmente interessata alla besciamella sparsa sul suo piatto, e Duncan. Ma Lydia si sarebbe Cruciata piuttosto che chiedere aiuto a Duncan.
Era stata sconfitta.
«Vuoi iniziare con asilo o elementari?»
E così la mattina successiva si era trovata a cercare di convincere la sua nuova classe di bambini a sedersi per terra e disegnare un gatto sul loro foglio, dopo aver letto Il gatto con gli stivali. Nonostante fossero solo otto bambini la situazione era decisamente critica, nessuno di loro sembrava intenzionato a fermarsi il tempo necessario per finire il disegno, tutti impazienti di tornare a giocare. Fu una vera e propria impresa convincerli a stare fermi, costellata da minacce e rimproveri. Dopo mezz’ora la situazione era diventata anche peggiore considerando che i più grandi avevano già finito il loro lavoro ed erano finalmente liberi di correre da una parte all’altra della stanza, mentre quelli più piccoli stavano ancora disegnando, continuando a chiedere se andava bene fatto in quel modo.
«Ewart, ti assicuro che assomiglia ad un gatto.» Lydia cercò di sorridere per incoraggiarlo.
Ewart indicò Tristan. «Ma lui dice che è un topo!»
«Non è un topo, è un gatto. Vai a finirlo, vedrai che sarà bellissimo.» Ewart non era tanto convinto ma tornò al suo posto per terra e calcò la matita sul disegno, offeso dall’insulto di Tristan.
Lydia vide il momento stesso in cui avvenne il disastro, senza avere la tempestività di intervenire ed evitare che accadesse. Vide Tristan chinarsi verso Ewart, e lo sentì chiaramente bisbigliare. «E comunque è un topo.»
Il grido di guerra di Ewart risuonò nell’aula richiamando l’attenzione anche dei bambini che si rincorrevano. Solo i riflessi ottenuti dall’essere stata braccata ripetutamente dai Mangiamorte aiutarono Lydia ad avere l’istinto di gettarsi su Ewart ed afferrarlo prima che si avventasse sull’altro bambino usando la matita come un pugnale. E ovviamente la signora O’Brien decise di entrare nell’aula proprio in quel preciso istante, trovandosi davanti agli occhi Lydia che teneva stretto Ewart, intento ad urlare selvaggiamente contro Tristan, il quale ridacchiava per nulla impressionato.
«Non è come sembra.» fu la risposta automatica di Lydia.
«Tristan ha criticato il disegno di Ewart e lui vuole accoltellarlo con la matita.» disse la signora O’Brien.
«È proprio come sembra.»
La signora O’Brien sospirò e prese in braccio Ewart. «Fanno così ogni volta, il trucco è farli sedere il più lontano possibile l’uno dall’altro.»
«Ha visto? Non sono adatta per occuparmi di loro. È stato un piacere ma a mai più, grazie.» Lydia cercò di defilarsi verso la porta.
«Hai solo bisogno di un po’ di pratica, domani mattina ti aspettiamo ancora, vero bimbi?»
Si sollevò un coro di voci angeliche. «Sì!»
Il grugnito di Lydia fu una risposta sufficiente.
«Comunque Dorian ti sta cercando.»
Lydia non aspettò di sentire altro e corse a cercare il signor O’Brien. Qualsiasi cosa pur di andarsene da lì. Non impiegò molto a trovarlo; si diresse decisa verso il suo ufficio e infatti lui era proprio lì ad aspettarla. E Lydia si rese conto che effettivamente c’era qualcosa di peggio del trovarsi da sola in una classe di bambini irrequieti: trovarsi da sola nella stessa stanza con il signor O’Brien e Duncan.
«Eccoti qua, Lydia!» esclamò il signor O’Brien. «Vieni pure, vuoi una tazza di cioccolata?»
«No, grazie.» rispose Lydia, sospettosa.
Duncan la ignorò completamente, stava sorseggiando la sua cioccolata fissando un foglietto appoggiato sulla scrivania.
«Sua moglie mi ha detto che mi cercava.»
Il signor O’Brien le fece cenno di sedersi sulla poltrona accanto a Duncan. Lydia avrebbe preferito stare il più lontano possibile dal ragazzo ma si sedette, rimanendo però sull’orlo della poltrona. «Cosa succede?»
«Abbiamo una piccola emergenza.»
Lydia non lo lasciò neppure terminare. «È successo qualcosa?»
«Niente di grave.» si affrettò a rassicurarla il signor O’Brien. «È più un’emergenza che riguarda Lance.»
Questo la fece preoccupare ancora di più. «Si è fatto male?» Lydia scattò in piedi, già pronta a correre a cercarlo. Lo sapeva che prima o poi una pozione gli sarebbe scoppiata in faccia. La sua reazione attirò l’attenzione di Duncan, che continuò a sorseggiare la sua cioccolata ma ora osservando Lydia con attenzione.
«Lance sta bene!» aggiunse di nuovo il signor O’Brien.
Duncan appoggiò la tazza alla scrivania. «Hai un modo di dire le cose che sembra sempre che sia morto qualcuno.»
Il signor O’Brien non sembrò particolarmente offeso per il commento del figlio e continuò imperterrito. «Nessun morto e nessun ferito grave, ma potrebbe succedere se non ci sbrighiamo.»
Duncan tossicchiò. «Come dicevo, una disgrazia per ogni frase.»
Lydia intanto non ci capiva più niente.
«Intendevo…» proseguì il signor O’Brien, questa volta infastidito dalle parole di Duncan «Che in questo stesso momento Lance sta preparando una nuova scorta di Pozione Anti-Traccia.»
«Lo so.» disse Lydia «Da girare venti volte in senso antiorario ogni sette minuti.»
«Esatto.» Il signor O’Brien fece comparire nell’aria un pentolino volante (e abbastanza scontroso) e versò una nuova generosa dose di cioccolata nella sua tazza. «Abbiamo riscontrato solo un piccolo problema. Ci siamo appena accorti che le foglie di Biancospino sono state rosicchiate dai topi e per questo sono inutilizzabili.»
Lydia aveva molte domande a proposito. Prima tra tutte la presenza di topi in quelle mura che già le faceva venire voglia di correre fuori e non rientrare mai più, ma decise di formulare solo il secondo quesito ad alta voce. «E come avete fatto a non accorgervene fino ad adesso?»
«La stessa cosa che ha chiesto Duncan…» Il signor O’Brien soffiò sulla tazza fumante. «Ieri sera abbiamo fatto l’elenco di tutti gli ingredienti e vi assicuro che erano intatti. Il problema è che abbiamo dimenticato di rimettere lo Saratio di nuovo nel suo contenitore e le radici di Saratio hanno la brutta tendenza di attirare i topi che si trovano nel raggio di tre chilometri.»
«Quindi non solo non avete più queste foglie ma abbiamo anche un’infestazione di topi?» Ora sì che Lydia voleva scappare.
Il signor O’Brien invece sorseggiava la sua cioccolata come se nulla fosse. «Dell’infestazione me ne sono già occupato io, ma le foglie di Biancospino sono completamene distrutte. Questa pozione è in preparazione da quasi tre settimane e non faremmo in tempo a ricominciarla da capo. Per fortuna sono facilmente recuperabili, sono vendute nella maggior parte dei negozi babbani. E qui entrate in gioco voi.»
Lydia comprese subito quale sarebbe stato il loro compito. «Dobbiamo andarle a comprare.»
«Esattamente!» sorrise il signor O’Brien. Con un colpo di bacchetta fece ricomparire il pentolino nell’aria (che fece una lunga pernacchia contro Lydia) e si riempì nuovamente la tazza. «Ci servono entro le 18 di questa sera, quando Lance passerà alla fase finale di preparazione della pozione.» Fece per prendere la tazza fumante ma la mano di Duncan fu più veloce e andò a coprirla.
«Quindi dobbiamo andare noi due?»
No, di sicuro il signor O’Brien aveva qualche altra soluzione. «Sì.» rispose invece «Lance non può spostarsi dal calderone per più di sette minuti, Katherine è a letto con l’influenza e io sono bloccato qui. Rimanete solo voi due. Ora puoi ridarmi la tazza?»
«No.» rispose Duncan, lo sguardo severo. «Hai il colesterolo alle stelle.» Prese la bacchetta e la picchiettò sull’orlo della tazza, facendola scomparire nel nulla. «E posso andare da solo.»
Lydia non sapeva se sentirsi offesa o sollevata. «Anche io posso andare da sola.»
Il signor O’Brien sospirò, con un mano si massaggiò la fronte. «Non è questo il punto. Sapete che dovete sempre uscire in due per coprirvi le spalle e in questo caso siete solo voi ad essere liberi. Vi prego di non comportarvi come dei bambini, di mettere da parte le vostre divergenze e agire da adulti.»
Questo riuscì a zittirli entrambi.
Dieci minuti dopo avevano già indossato i loro travestimenti ed erano pronti ad andare e togliersi il prima possibile da quella situazione spinosa che non piaceva a nessuno dei due. Il signor O’Brien li riempì delle ultime raccomandazioni, completate da una vera e propria minaccia di tornare entro un’ora o sarebbe uscito a cercarli. «Un’ora. Non un minuto in più. E state lontani dai guai, evitate le strade isolate e…»
Il suo monologo fu interrotto dal rumore della porta che portava al seminterrato che sbatteva contro il muro (Lydia vide un pezzo di intonaco staccarsi) e da Lance che correva verso di loro, un mestolo in una mano e una piccola clessidra nell’altra. «Non posso credere che ti tocca andare con Duncan!»
Duncan sollevò un sopracciglio.
«E che non posso venire con te!» continuò imperterrito Lance. Parlava a raffica, lo sguardo che correva frenetico dalla clessidra al volto di Lydia «Mi raccomando, cerca di non combinare guai, quelli li possiamo fare solo quando siamo insieme, e non dare retta a Duncan, sa come farti impazzire ma tu non ascoltarlo!»
Duncan inarcò anche l’altro sopracciglio.
«E tornate a casa il prima possibile, e cercate di non farvi ammazzare!» La sabbia nella parte superiore della clessidra era sempre meno, ma Lance la abbassò e si concentrò finalmente solo su Lydia, guardandola dritta negli occhi. «Mi dispiace davvero averti messa in questo casino.» E poi la abbracciò. Lydia rimase per un attimo sorpresa. Poi il suo corpo rispose per lei, andando a stringersi nelle braccia di Lance. Aveva dimenticato quanto i suoi abbracci la facessero sentire al sicuro. Un calore improvviso le accarezzò la schiena, seguita dall’imprecazione di Lance, che si staccò da lei per osservare la clessidra incandescente. La sabbia era agli sgoccioli. «Devo andare, ciao!» E Lance sparì di nuovo verso il suo laboratorio, lasciando in Lydia la sensazione che si fosse trattata solo di un’allucinazione.
Ci pensò Duncan ad assicurarle che fosse successo davvero appena misero piede fuori dalla porta. «Sapevo che tu piacevi a Lance, ma non pensavo che anche lui ti piacesse.»
Lydia avvampò, diventando dello stesso colore dei suoi capelli se solo la Pozione Polisucco non li avesse appena colorati di biondo. «Non so di cosa tu stia parlando.»
«Se lo dici tu.» replicò Duncan con un sorrisetto.
Il ricordo della luna che rifletteva sul Lago Nero la sera del Ballo del Ceppo riempì la mente di Lydia. «Sta zitto!» borbottò cercando di scacciare l’immagine dalla testa.
Duncan ridacchiò ma per fortuna la conversazione terminò lì. Per il resto della strada proseguirono nel silenzio, con grande sollievo di Lydia. La situazione era già abbastanza strana senza dover portare avanti conversazioni imbarazzanti. Anche Duncan pareva dello stesso avviso, e il piacere che aveva provato prendendola in giro evaporò entro pochi minuti, facendolo tornare il solito Duncan scorbutico e distaccato. Lydia lo preferiva così.
«Beh, è stato fin troppo facile.» disse Lydia cinque minuti dopo all’uscita del negozio, mentre Duncan infilava il sacchettino di erbe nel taschino; come risposta si limitò ad un grugnito e, mani in tasca, ricominciò a camminare nella direzione dalla quale erano arrivati. Giunti al luogo abbastanza coperto da potersi Materializzare, Lydia strinse malvolentieri il braccio di Duncan e attese di tornare a casa.
Un secondo, due, tre.
I nervi di Duncan si irrigidirono sotto la sua stretta.
«C’è una barriera.» bisbigliò Duncan, gli occhi che saettavano nei dintorni. La relativa calma provata fino a quel momento si dissipò all’istante.
Lydia recuperò la bacchetta. «Come hanno fatto a scoprirci?» chiese incredula.
«Non è il momento di pensarci. Ora dobbiamo solo cercare un modo per andarcene da qui.»
«E scoprire con chi abbiamo a che fare.»
Erano nascosti in un angolo d’ombra tra due case, la strada al loro fianco era quasi deserta, c’era una coppia che passeggiava dall’altra parte della carreggiata e un signore a passeggio con il suo cane. Nessuno di loro pareva essere un Mangiamorte. E poi in fondo alla strada comparve un ragazzo, Lydia si appiattì contro il muro, tirando Duncan con se’ e cercando di mimetizzarsi nell’ombra.
Conosceva quel ragazzo. Era l’ex Tassorosso che li aveva seguiti fino a Pandizenzero. Era difficile dimenticare i volti di chi la voleva morta. Anche Duncan lo aveva riconosciuto; alzò la bacchetta e socchiuse un occhio per prendere la mira. C’era solo un dettaglio che non quadrava. Il ragazzo continuava a camminare tranquillo dall’altra parte della strada, le mani in tasca e fischiettando un motivetto allegro. O era un grande attore o non li aveva proprio visti. Lydia sperò ardentemente nella seconda. Ma allora cosa ci faceva lì? E come mai era stato gettato un incantesimo contro la Materializzazione?
Il signore con il cane salì i gradini che lo separavano dalla porta della casa al numero 52, borbottò cercando nel mazzo di chiavi quella giusta per aprire e quando infine la trovò, sparì nella sua abitazione. Due secondi dopo una donna uscì da una macchina parcheggiata sul ciglio della strada. Lydia non la conosceva, ma era impossibile non riconoscere il bastoncino che teneva tra le dita. Quando anche la coppietta svoltò l’angolo, un uomo fece loro un cenno di saluto abbassando leggermente la bombetta che indossava, prima di fare anche lui il suo ingresso sulla strada e dirigersi tranquillamente verso gli altri, seguito da un altro uomo e da una donna con dei fiori intrecciati nei capelli. Infine altri due ragazzini arrivarono di corsa, trafelati e borbottando alcune scuse, zittiti all’istante dall’ex Tassorosso. Tutti quanti stavano convergendo in un punto specifico della strada: l’abitazione al numero 58.
La casa era identica alle altre, una tipica villetta a schiera inglese, nessun tratto distintivo, nulla che la facesse risaltare rispetto a quelle che la circondavano, eppure quei maghi e quelle streghe la guardavano avidamente e con dei sorrisetti dipinti sui volti.
Il cuore di Lydia batteva all’impazzata.
Si trovavano esattamente dall’altra parte della strada rispetto a loro. Magari era una finta e da un secondo all’altro si sarebbero voltati e li avrebbero colpiti. Strinse la bacchetta, un incantesimo di difesa già pronto sulla punta della lingua. L’ex Tassorosso sollevò di scatto la sua bacchetta, il suo «Alhomora» si sentì a stento ma la porta della casa cedette all’istante.
I maghi iniziarono ad entrare. Un urlo si levò dall’abitazione e Lydia sentì il sangue ghiacciarsi nelle sue vene. Sapeva cosa stava succedendo. Aveva sentito Anthony O’Brien parlarne e ora stava avvenendo sotto i suoi occhi.
Una retata contro i Nati Babbani.
Prima ancora di pensarci, scattò verso la strada, ma non riuscì a fare neanche un passo che Duncan la strattonò per un braccio e la inchiodò al muro.
«Sei impazzita?» sibilò, lo sguardo ancora rivolto al numero 58. Un altro urlo si levò dalla casa. Le finestre si illuminarono di rosso, di viola e di azzurro. La donna con i fiori nei capelli era rimasta sulle scalette che portavano all’ingresso e si puliva annoiata le unghie. Una finestra esplose a pochi metri da lei. La donna si limitò a sollevare la bacchetta e la casa fu circondata dal silenzio, nonostante i lampi continuassero ad illuminare debolmente la via.
«Lasciami andare.» Lydia cercò di allontanarlo, ma Duncan non si smosse di un centimetro.
«Non fare la stupida. Quelli sono in sette, noi due. Non possiamo fare niente.»
Ma Lydia non voleva starlo a sentire. L’unica cosa che desiderava fare era correre in quella casa. Perché lì in quell’esatto istante si trovava qualcuno come lei, qualcuno che veniva considerato sbagliato e braccato per questo, qualcuno che aveva un disperato bisogno di aiuto. E lei non gli avrebbe voltato le spalle. Ma Duncan lo sapeva e senza che lei potesse fare niente per impedirlo, le strappò la bacchetta dalle mani e prima che Lydia potesse urlare, le lanciò un incantesimo Silenziatore. Lydia tentò comunque di liberarsi dalla sua presa, tentò di dargli calci e pugni ma era come cercare di muovere una montagna. Duncan non le prestava neppure attenzione, il suo sguardo era rivolto verso la casa. Lydia avrebbe voluto urlare, e tentò anche di farlo, insultò Duncan senza che nessuna parola uscisse realmente dalla sua bocca. E poi, veloce come era iniziato, lo scontro terminò. I maghi e le streghe che erano entrati uscirono alla spicciolata dalla casa, riassettandosi le vesti. Il ragazzino più giovane tentò di dare il cinque all’ex Tassorosso, guadagnandosi in cambio un’occhiata di disprezzo. L’uomo con la bombetta trascinava una donna il cui volto era per metà coperto di sangue, mentre l’altro assalitore spingeva un uomo che si teneva stretto al petto un braccio. Anche da lontano si poteva chiaramente intuire che l’osso era rotto. Vedendo i due venir trascinati via, Lydia cominciò a combattere con maggior vigore contro Duncan, riuscendo a liberarsi almeno un braccio. E con quel braccio gli diede un pugno dritto su una spalla, abbastanza forte da farlo barcollare. La ragazza approfittò di quel momento di distrazione per dargli un’altra spinta e liberarsi del tutto. Era infuriata e gli gridò contro i peggiori insulti. O almeno tentò di farlo, la voce ancora inesistente a causa dell’incantesimo. Con un altro strattone si riprese la sua bacchetta e si voltò verso la strada. Era completamente deserta. Nei brevi istanti che aveva impiegato per liberarsi, il gruppetto si era defilato.
Con un gesto brusco si liberò dall’incantesimo Silenziatore. «Da che parte sono andati?» chiese, la voce tremante dalla rabbia.
«Non lo so.» rispose innocentemente Duncan. Lo sapeva ma non glielo avrebbe mai detto. Lydia si voltò di nuovo verso la strada. Poteva andare a destra o a sinistra. Aveva il cinquanta per cento di possibilità di raggiungerli. E poi? Cosa avrebbe fatto? Con un grido di rabbia tirò un calcio ad un sassolino ai loro piedi. Ormai dovevano essersi già Materializzati. Era arrivata troppo tardi. O meglio, era arrivata giusto in tempo se non fosse stato per Duncan.
«Avremmo potuto salvarli!» urlò in faccia al ragazzo. Lui aveva ancora il suo sguardo imperscrutabile stampato sul viso.
«Erano in troppi.» replicò con eccessiva tranquillità.
«Avremmo almeno potuto provare!» gridò Lydia.
«Pensi davvero che avremmo avuto delle possibilità contro di loro?»
«L’altra volta siamo riusciti a scappare!»
«L’altra volta eravamo in quattro e siamo stati fortunati.»
Per quanto avrebbe desiderato contraddirlo, anche Lydia sapeva che era la verità. «Avremmo potuto fare qualcosa.» replicò comunque abbassando la voce. La porta d’ingresso si muoveva spinta dal leggero vento. I vetri della finestra rotta erano sparpagliati per tutto il marciapiede.
Duncan ruotò la bacchetta e un sottile strato di fumo verde si sollevò dalla sua punta. «Hanno rimosso la barriera, possiamo tornare a casa.» Provò a stringerle una mano sul braccio ma Lydia lo scrollò per staccarsi dalla sua presa. Senza lasciargli il tempo di dire altro, attraversò a grandi passi la strada.
Duncan imprecò prima di gettarsi al suo inseguimento. «Che stai facendo?» sibilò, finalmente preoccupato.
In realtà Lydia non sapeva cosa rispondere, non che ne avesse voglia. Era l’istinto a guidarla verso la porta socchiusa. L’istinto e qualcos’altro. Voleva sapere, si rese conto. Voleva capire chi aveva appena sentenziato alla prigionia, o peggio ancora. Aveva bisogno di qualcosa. Non poteva semplicemente voltarsi e tornare a casa.
«Torna indietro!» Duncan tentò nuovamente di afferrarla ma Lydia fece un salto per sfuggirgli. Sapeva che se l’avesse presa si sarebbero Materializzati all’istante a casa. «Potrebbero tornare!»
«E allora fai il palo.» disse Lydia. Senza perdere altro tempo salì con due salti i gradini ed entrò nella casa.
«Se ti fai ammazzare Lance non mi parlerà più per il resto della vita.» bofonchiò Duncan, rimanendo comunque sulla soglia a controllare che non arrivasse nessuno.
I Mangiamorte non si erano preoccupati di nascondere le loro tracce. Il salotto era completamente distrutto, i mobili a pezzi e sparpagliati sul tappeto. Un vaso di fiori era caduto a terra, il vetro era disseminato sul pavimento e si mischiava ai frammenti più grandi che fino a qualche minuto prima componevano la finestra. Un leggero venticello entrava nella stanza facendo svolazzare un calendario appeso al muro. Non c’erano foto, né averi personali. Pareva un salotto da esposizione, se non fosse stato completamente distrutto. Lydia si avventurò nella sala, il vetro che scricchiolava sotto le suole. Si avvicinò alla porta a soffietto che la separava dalla cucina, ma anche qui non trovò niente. Solo alcune pentole nel lavandino. Una scala conduceva al piano superiore, Lydia mise un piede sul primo gradino quando si fermò di colpo.
Le era sembrato di sentire qualcosa.
Smise di respirare per riuscire a sentire meglio.
Aveva ragione. C’era davvero un rumore. Una specie di ronzio.
Riappoggiò il piede sul piano e si guardò attorno, senza muoversi per paura di far rumore e non sentire più nulla. E i suoi occhi si posarono su una porticina proprio sotto le scale. Poteva provenire da lì? Il più silenziosamente possibile, Lydia fece un passo in quella direzione, allungò una mano verso la maniglia e socchiuse con lentezza la porta. La luce del giorno illuminò lo spiraglio appena aperto ed un visetto terrorizzato. Un singhiozzo.
C’era una bambina nel sottoscala.
Una bimba dai capelli castani legati in due trecce, con occhi troppo grandi e troppo spaventati, si stringeva le ginocchia cercando di farsi il più piccola possibile. Le lacrime le scorrevano sul viso, un filo di muco le arrivava alla bocca. Non disse nulla. Continuò a singhiozzare.
«Non voglio farti del male.» Per istinto, Lydia allungò una mano verso di lei, ma la bambina si ritrasse contro il muro e strizzò gli occhi, come se si preparasse ad essere colpita. Lydia ritirò all’istante la mano e si inginocchiò per terra. Muovendosi con estrema delicatezza aprì del tutto la porticina e si accorse che sulla porta era presente una grata sottile. La bambina doveva aver visto il combattimento. E i due maghi che erano stati catturati probabilmente erano i suoi genitori. Dovevano essersi accorti dell’agguato in tempo per nascondere la bambina. Il cuore di Lydia saltò un colpo, un’immensa ondata di senso di colpa la assalì. No, non era il momento per farsi prendere dal panico. Avrebbe pensato dopo alle conseguenze delle sue azioni o della mancanza di esse. Si concentrò di nuovo sulla bambina.
«Sbrigati, Lydia!» la chiamò Duncan ancora alla porta. La bambina iniziò a tremare appena sentì la sua voce.
«Shh.» provò a tranquillizzarla Lydia, senza avere la minima idea di cosa fare. «Puoi uscire adesso, ti portiamo al sicuro.» La bambina non si mosse. Cosa poteva fare? Trascinarla fuori con la forza? Ci provò, ma appena la sfiorò, la bambina emise un lamento e cercò di allontanarsi ancora di più, nonostante lo spazio fosse minuscolo e la piccola era ormai addossata alla parete. Duncan aveva ragione, i Mangiamorte sarebbero potuti tornare da un momento all’altro, soprattutto se si fossero accorti che la coppia che avevano imprigionato aveva una figlia. Sarebbe stato il primo posto in cui l’avrebbero cercata.
«Ti prego, dobbiamo andare.» Tentò di nuovo di afferrarla ma la bambina reagì dandole un calcio. Lydia si allontanò appena in tempo. Il movimento della bambina aveva scoperto la sua pancia e Lydia si accorse infine da dove proveniva quel ronzio che l’aveva condotta fino a lì. Un gattino si trovava sul grembo della bimba, nascosto fino a quel momento dalle ginocchia. Aveva la pancia e metà muso bianco, mentre la schiena, le orecchie e la coda erano di diverse tonalità di grigio, la punta della coda che terminava con un puntino bianco. Le sue fusa erano inconfondibili. «Portiamo anche il tuo gattino, può venire anche lui con noi.» provò di nuovo Lydia. Si sentiva impotente. La bambina continuava ad essere terrorizzata da lei e Lydia non aveva la minima idea di cosa fare per farle cambiare idea.
Un rumore di vetri rotti precedette l’arrivo di Duncan. Non servirono parole per spiegare la situazione, al ragazzo bastò un’occhiata. Si inginocchiò al fianco di Lydia e senza sporgersi verso la bambina, sussurrò con dolcezza. «È un bellissimo gattino, come si chiama?» Lydia non aveva mai sentito Duncan parlare così. Sembrava essersi trasformato completamente in un’altra persona. La bambina lo squadrò, poi abbassò lo sguardo verso il suo gattino, gli diede una carezza e il gatto ringraziò alzando il volume delle fusa. «Posso fargli una carezza anche io?» chiese Duncan. La bambina non si fidava ancora di loro, ma almeno non sembrava più completamente terrorizzata. Duncan sollevò una mano e la avvicinò lentamente, la bimba si irrigidì ma Duncan continuò ad avvicinarsi fino a dare una carezza dietro alle orecchie del gatto, il quale sollevò il muso per avvicinarsi alla sua mano. «È proprio soffice. Ma scommetto che è anche un gran furbetto.» La bambina sollevò lo sguardo su di lui. «E scommetto che ha anche tanta fame, cosa dici? Gli diamo qualche crocchetta?» La bambina non rispose, ma la sua postura si rilassò. Duncan si guardò attorno. «Oh no!» disse con enfasi «Non so dove sono le crocchette! Mi puoi aiutare a trovarle?» Dopo un momento di indecisione, la bambina iniziò a spostarsi verso di loro, Duncan si spostò e costrinse Lydia a fare lo stesso. Poi la piccola li squadrò di nuovo e si alzò, tenendo il gattino ben stretto al petto, e a piccoli passi, si diresse verso la cucina. «Io vado con lei.» disse Duncan seguendola con lo sguardo «Tu intanto cerca dei documenti. Dobbiamo scoprire chi è e chi sono i suoi genitori. Fai alla svelta, dobbiamo andarcene subito da qui.»
In qualsiasi altro momento, Lydia si sarebbe rifiutata di obbedire ad un ordine diretto di Duncan, soprattutto dopo quello che aveva fatto, ma non le sembrava il caso di avviare una discussione davanti alla bambina. Senza dirgli una parola iniziò a controllare tutte le stanze della casa. Al piano superiore trovò pochi oggetti personali, come era avvenuto anche nelle stanze sotto, tre valigie era appoggiate vicino al letto matrimoniale. Erano piene, mentre gli armadi completamente deserti, segno che la famiglia stava per scappare o era già in fuga. Considerando che le retate erano iniziate ormai più di un mese prima, era più probabile la seconda opzione. Lydia richiuse velocemente la valigia con i vestiti della bambina e la trascinò con se’. Una borsa era appoggiata sul comodino. All’interno del portafoglio vi erano diverse carte d’identità, le foto corrispondevano ai visi dell’uomo e della donna che erano stati rapiti, così come quello della bambina, ma erano in triplice copia e i nomi non corrispondevano in nessuna di loro. In un documento la bambina si chiamava Beatrix Harris, nell’altro Amelia Mason, e nell’ultimo Patricia Smith. Per sicurezza li mise tutti in tasca e si diresse verso il piano inferiore.
Duncan era sulla soglia, la mano stretta in quella della bambina, che teneva a sua volta il gattino. Si vedeva che quella bambina non si fidava del tutto di loro, come avrebbe potuto dopo aver appena visto i suoi genitori trascinati fuori casa in quel modo? Eppure doveva aver deciso di tentare la sorte con loro. O meglio, con Duncan, pensò Lydia ricordando il terrore puro che la bambina aveva negli occhi appena l’aveva vista. E nel suo travestimento babbano non aveva neppure la cicatrice, chissà cosa avrebbe fatto se l’avesse vista con il suo vero aspetto.
Uscirono dalla casa alla spicciolata, Duncan tirava la bambina e Lydia li seguiva trascinando il piccolo trolley e cercando di fare meno rumore possibile, non che avesse importanza considerando che prima dell’incantesimo Silenziatore della strega con i fiori tra i capelli era scoppiata una finestra e nessuno aveva messo il naso fuori casa per controllare. Attraversarono la strada e tornarono nel loro angolino all’ombra. Lydia prese il braccio di Duncan, era impaziente di tornare a casa. Il ragazzo invece si inginocchiò davanti alla bambina.
«Adesso ti sentirai strana ma non ti devi preoccupare, ti tengo stretta io, va bene?» La bambina si limitò a guardarlo, senza fare alcun cenno. «Ti fa niente se il gattino lo tengo io? Così non cade.» Alla bambina spiaceva eccome, ma nonostante la titubanza, lasciò che Duncan prendesse in braccio il gattino, il quale protestò con un lungo miagolio. Finalmente si Smaterializzarono ed arrivarono davanti a casa O’Brien.
Appena i loro piedi toccarono di nuovo terra, la bambina si riprese il suo gattino e se lo strinse al volto. Non sembrava particolarmente scossa per il viaggio magico, né sul punto di vomitare. Doveva aver già usato quel mezzo di trasporto.
Una volta entrati in casa furono immediatamente accolti dalla signora O’Brien, un’espressione di assoluto sconcerto alla loro vista. «Ma dovevate solo prendere le erbe.» disse prima di avvolgere la bambina in un grande abbraccio e condurla via da loro, verso gli altri bambini che si trovavano in un angolo del salotto a disegnare sdraiati per terra. Lydia non aveva ancora pronunciato una parola. Continuava a stringere la presa sul trolley, i suoi pensieri che ripercorrevano gli ultimi minuti appena trascorsi. La signora O’Brien aveva ragione. Erano usciti solo a comprare delle erbe, come avevano fatto a tornare con una bambina, un gatto e un senso di colpa che rischiava di annegarla? Duncan dovette leggerle lo sguardo. «Abbiamo fatto la scelta giusta.» Fu la miccia che riaccese la sua rabbia.
«Ah sì?» chiese sarcastica «Perché a me sembrava invece la scelta codarda.»
«Non è da codardi conoscere i propri limiti e stare attenti a non sorpassarli.»
«I propri limiti non si possono conoscere se prima non si prova ad agire.»
Duncan rimase calmo. «E allora a quest’ora saresti morta. O in qualche prigione. O torturata. Scegli tu l’opzione che preferisci.»
Lydia mollò il trolley. «Doveva esserci Lance, lui sarebbe subito corso a salvarli.»
«Lo so.» rispose Duncan, nel suo sguardo si accese una scintilla che Lydia non riuscì ad identificare, ma non aveva nessuna voglia di scoprire a cosa stava pensando e così si avviò verso la signora O’Brien. La bambina non parlava ancora, nonostante i tentativi della donna e degli altri bambini, anzi, sembrava voler scappare da loro. Di sicuro non aiutava il fatto che i bambini l’avevano completamente accerchiata appena si erano accorti del gattino nascosto nelle sue mani. Lydia trafficò nelle tasche ed estrasse i documenti trovati nella casa, senza dire una parola li lasciò cadere nelle mani della signora O’Brien; controllò di nuovo le tasche per essere sicura di averglieli dati tutti e la sua mano si strinse attorno ad un foglio di pergamena. Perplessa lo prese e lo aprì.
Il Ministero della Magia, in collaborazione con la Commissione per il Censimento dei Nati Babbani, dichiara ufficialmente fuori legge i seguenti individui…
Si era completamente dimenticata della lista che aveva rubato a Diagon Alley.
In seguito alla loro fuga e dopo essere stati chiusi nell’aula da Henry, Lydia aveva trasfigurato i travestimenti babbani per poi ritrasformarli solo la sera, una volta tornata nella sua camera. Nel trambusto che era succeduto agli eventi, Lydia non aveva più pensato alla lista. Ma ora che ce l’aveva di nuovo sotto gli occhi non poteva più ignorarla. Il suo nome le sembrava spiccare tra tutti. Distolse a fatica lo sguardo. «Dove è il signor O’Brien?» chiese alla signora O’Brien, che le rispose frettolosamente, concentrata completamente sulla nuova bambina e sul tentativo di capire quali dei tre nomi sui documenti corrispondessero a quello vero. «È nel suo studio.» Non volendo disturbarla e per paura che le chiedesse di aiutarla, Lydia ringraziò e si diresse velocemente verso lo studio del signor O’Brien. Bussò e senza attendere risposta aprì la porta. La stanza era deserta. In compenso la porta alla sua destra si socchiuse e nello spiraglio comparve il volto di Caitlin. «Se cerchi papà è nello studio.» Lydia si voltò di nuovo verso la stanza davanti a lei. Sì, non se l’era immaginato. Quella era la scrivania del signor O’Brien, le sue mappe e tutto il resto, non si era sbagliata. Caitlin le lesse nel pensiero. «È nel suo altro studio.» Vedendo lo sguardo attonito di Lydia aggiunse: «Piano di sopra, la porta vicino alla camera di mamma e papà.» E senza attendere risposta chiuse la porta e scomparve.
Era la prima volta che Lydia sentiva nominare un secondo studio ma non ne fu eccessivamente sorpresa: quella casa era talmente grande che continuava a riservarle sorprese. Bussò alla stanza indicata da Caitlin e la voce soffocata del signor O’Brien la invitò ad entrare. Lydia socchiuse la porta, era impossibile nascondere una certa curiosità che fu ben ripagata.
Lo studio del signor O’Brien era un vero e proprio studio d’arte. Innumerevoli dipinti ricoprivano i muri, decine di tele erano accatastate negli angoli, coperte in parte da alcuni drappi. Lydia rimase a bocca aperta di fronte a tanta bellezza. I disegni erano differenti tra loro, alcuni appartenevano chiaramente al mondo magico, raffiguravano animali fantastici o oggetti fuori dal comune, tanto che tra questi ve ne erano anche alcuni che si muovevano; altri invece erano decisamente babbani.
Il signor O’Brien si voltò giusto in tempo per capire chi era entrato prima di tornare a concentrarsi sulla sua ultima creazione. Pennello alla mano, stava correggendo alcuni particolari di un dipinto che raffigurava l’orto di Lance. Lydia entrò nello studio in punta di piedi. Per quanto tentasse di evitarlo, il suo sguardo tornava ad osservare incantato i dipinti. Si accorse che alcuni di essi erano ritratti. Lydia riconobbe in molti di essi il Lance undicenne che aveva conosciuto il primo giorno ad Hogwarts, accompagnato da una bambina che doveva essere solo che Caitlin. Una figura in particolare era ripetuta in molteplici dipinti: una giovane donna dallo sguardo deciso e perentorio. Lydia si avvicinò ad uno di questi appeso alla parete. I tratti le sembravano famigliari. Era la signora O’Brien, si rese conto, doveva avere all’incirca la sua età al momento della raffigurazione. Lydia si allontanò dalla parete per non dare il tempo al signor O’Brien di accorgersi che stava spiando le sue creazioni. «È andato tutto bene?»
Lydia ebbe una mezza idea di mentire, ma avrebbe dovuto comunque giustificare la presenza di una nuova bambina ed un gatto al piano di sotto. E così iniziò a raccontare la disavventura appena trascorsa, facendo attenzione a far capire tutta la sua avversione per il comportamento codardo di Duncan. Il signor O’Brien però non era della sua stessa opinione. «È stata la scelta più appropriata.» disse appoggiando il pennello su uno sgabello e rivolgendo la sua intera attenzione a Lydia. «Sarebbe stato un rischio troppo grande.» Lydia si morse la lingua per costringersi a rimanere in silenzio e non insultare anche il signor O’Brien.
«C’è dell’altro.» disse invece. Gli porse il foglio di pergamena spiegazzato. «Nella casa della bambina ho trovato anche questa.» mentì «È una lista delle persone che non si sono presentate al Censimento e che vengono considerate nemiche dell’ordine pubblico. Ho immaginato che potesse tornare utile.»
Gli occhi del signor O’Brien scintillarono. «Mio fratello me ne aveva parlato ma non è riuscito a farmene avere nessuna copia. Grazie.» Aprì il foglio ed iniziò a leggere l’elenco. Lydia sapeva che quello era un ottimo momento per andarsene, ma la curiosità le impedì di muoversi. Il suo sguardo approfittò della momentanea distrazione del signor O’Brien per osservare le sue opere. Era come cercare di guardare un mondo intero. I dipinti erano talmente tanti che era difficile vederli tutti. Oltre a quelli più evidenti che raffiguravano la sua famiglia in diversi anni, ce ne erano molti altri di persone che Lydia non aveva mai visto prima d’ora, alcuni nella divisa di Hogwarts. Un quadro in un angolo raffigurava un faro, la luce illuminava realmente la stanza e le piccole nuvole dipinte si spostavano sospinte da un vento fittizio che le portava a formare figure diverse nel cielo dipinto.
«Puoi guardarli più da vicino, se vuoi.» Lydia non si era accorta che il signor O’Brien aveva risollevato lo sguardo dalla lista. Senza fermarsi a pensare, la ragazza si avvicinò alle tele nell’angolo e scostò delicatamente il telo. Il signor O’Brien la seguì. «Quando sono preoccupato per voi dipingo. È l’unico modo che ho per costringermi a stare qui dentro e non corrervi dietro ogni volta.» Un sorrisetto tetro si allungò sulle sue labbra «Mi aiuta a smettere di pensare, e solo Merlino sa di quanto io ne abbia bisogno negli ultimi tempi.»
«Sono bellissimi.» disse sinceramente Lydia.
«Ti ringrazio.» Il signor O’Brien prese il telo e lo arrotolò, portando alla luce tutti i dipinti nascosti. Erano altrettanto spettacolari di quelli esposti. E meno magici, si accorse Lydia. Nessuno di loro si muoveva, ne’ salutava. «Avevo una galleria d’arte, prima della guerra.» spiegò il signor O’Brien, spiazzando Lydia.
Non aveva mai chiesto a Lance di cosa si occupasse il padre, tra una cosa e l’altra l’argomento non era mai uscito, ma in fondo Lydia non sapeva neanche dell’esistenza di Caitlin prima di arrivare lì. Eppure avendo conosciuto il signor O’Brien nelle ultime settimane non si sarebbe mai aspettata che si trattasse di un artista.
«Ho iniziato a dipingere quasi per gioco» raccontò iniziando a spulciare tra le tele coperte da un velo di polvere «Piccoli schizzi sui libri di scuola. Poi ho scoperto che disegnare mi aiutava a calmare la rabbia immensa che provavo in quei tempi, ed è sempre stato così da allora. È stato dipingere che mi ha aiutato a superare il periodo in cui sono stato diseredato dalla mia famiglia, e condannato da mio cugino. Dipingere e Rose, naturalmente.» aggiunse con un sorriso sollevando una tela raffigurante una giovanissima signora O’Brien. «È stato proprio lei ad incoraggiarmi a diventare un artista e vendere i miei dipinti.» Lydia fece scorrere il dito tra le varie tele raggruppate, spostandole di qualche centimetro per poterle intravedere. Il suo indice si bloccò quando scorse una figura famigliare. Prese per i bordi la tela e la sollevò. La luce del sole illuminò Hogwarts. La scuola era rappresentata nei minimi particolari. La torre di Astronomia, il cortile anteriore, la Sala Grande, la scalinata che saliva dall’ormeggio per le barche, le finestre illuminate. Lydia riconobbe la scena con un tuffo al cuore. Questa era la prima immagine che tutti gli studenti avevano di Hogwarts. Era la vista che si apriva davanti agli occhi di tutti i ragazzi del primo anno durante il breve tragitto in barca sul Lago Nero. Un ricordo riaffiorò nella mente di Lydia. Lei e Lance a undici anni che si stringevano la mano per la prima volta. Poi il suo sguardo si abbassò verso l’angolo inferiore della tela. Era firmata Dorian de Montfort. Le sembrava di aver già letto quel cognome da qualche parte.
«È il cognome di Rose.» Lydia aveva inavvertitamente pronunciato il nome ad alta voce. «Quando ho iniziato a vendere i miei dipinti eravamo in fuga dal mondo magico. E come misura preventiva ho deciso di firmare tutte le mie opere con il cognome di mia moglie. Il mio orgoglio mi ha impedito di utilizzare un nome falso. È stato un caso o una grande fortuna che nessuno ci abbia mai scoperti prima del nostro ritorno nel mondo magico.»
Lydia lasciò scivolare la tela al suo posto. «Non deve essere stato facile.»
«Lasciare il mondo della magia? È stato più semplice di quanto potessi mai immaginare. Per me avere Rose e in seguito Duncan, Lance e Caitlin era tutto quello che mi serviva. Siamo tornati solo per loro. E guarda dove siamo finiti.» disse con un certo rammarico.
Lydia non commentò. In fondo anche lei nell’ultimo anno e mezzo aveva desiderato più volte la stessa cosa. Non aver mai ricevuto il gufo con la lettera per Hogwarts. Poter essere una ragazza normale in un mondo normale. Ma aveva anche imparato a sue spese che concentrarsi su pensieri del genere non portava altro che ad ansie e attacchi di panico. Costrinse la sua mente a focalizzarsi su qualsiasi altra cosa che non fosse quello per evitare di cadere nelle tenebre. Ma ora che la diga si era rotta sarebbe stato impossibile arginarla. Doveva uscire da lì. Doveva prendere una boccata d’aria. «Ora devo andare.» disse semplicemente. Una bugia facilmente riconoscibile anche dal signor O’Brien considerando che era appena tornata da un’uscita e non vi erano altre incombenze imminenti. Eppure l’uomo non disse una parola, si limitò ad un cenno del capo che Lydia non vide neppure, essendosi già buttata verso la porta.
Scese i gradini due alla volta, la sua meta era il giardino e la fredda aria autunnale, ma una volta giunta al piano terra si ritrovò inconsciamente a deviare verso le scale che portavano al seminterrato.
Il laboratorio di Lance era ancora più fumoso del solito. L’esatto contrario dell’aria fresca che aveva tanto desiderato, eppure appena Lydia vi mise piede, il suo cuore le parve rallentare e i suoi polmoni espandersi. Un profumo di rosmarino aleggiava nell’aria.
Lance non si accorse neanche del suo arrivo. Era piegato sul calderone di peltro appeso sopra un fuoco vivace. Lydia si avvicinò abbastanza da intravedere la pozione dorata che bolliva al suo interno prima di accomodarsi su una poltroncina all’angolo della stanza, accanto ad una fila di calderoni. Lydia respirò a pieni polmoni. Un bruciore allo stomaco e il successivo irrigidimento di tutti i muscoli le confermò che gli effetti della Pozione Polisucco stavano svanendo lasciando il posto ai suoi veri tratti. La sua mano corse verso il viso, sotto il pollice percepì il famigliare solco della cicatrice. Ormai era diventata un’abitudine. Il ritorno della cicatrice segnalava per lei l’essere tornata completamente se stessa. Chissà cosa avrebbe fatto la bambina se si fosse vista comparire davanti Lydia nella sua vera forma dopo aver dovuto assistere alla cattura dei suoi genitori. Era così spaventata. E Lydia si era sentita completamente inutile. Se non fosse stato per Duncan ora sarebbero stati ancora in quell’appartamento, per quanto le costasse ammetterlo. E Lydia ripensò che non era la prima volta che si sentiva inutile nei confronti dei bambini. Nelle ultime settimane di convivenza le era capitato di trovarsi davanti a bambini in lacrime, con la nostalgia di casa e della loro famiglia, e lei non aveva mai saputo cosa dire per consolarli. Aveva provato solo un grande senso di imbarazzo e poi li aveva indirizzati tutti verso la signora O’Brien.
«Sei pensierosa.» Lydia alzò la testa di scatto. Lance era ancora concentrato sulla sua pozione, la mischiava con gesti decisi ma delicati.
«È stata una giornata difficile.» Non sapeva come altro definirla.
Lance iniziò a girare il mestolo in senso antiorario. «Duncan è passato prima a portarmi le foglie e mi ha raccontato tutto.»
«Ti ha raccontato proprio tutto?»
Il volto di Lance si adombrò. «Penso proprio di sì.»
«Mi ha fermata. Avrei potuto aiutarli.» sbottò Lydia.
«Lo so. Avrei fatto la stessa cosa. Però…»
Lydia inarcò le sopracciglia. «I tuoi però non promettono mai nulla di buono.»
Lance non staccò gli occhi dalla pozione. «Penso solo che non abbia avuto tutti i torti a fermarti.»
«Cosa!?»
«Non fraintendermi!» si affrettò ad aggiungere Lance «Mi sarei comportato come te se fossi stato lì con voi!»
«Avresti dovuto esserci.»
«E ora saremmo morti o catturati. E non so quale delle due opzioni sia la peggiore.»
Lydia non poteva credere alle sue orecchie. «Stai seriamente dicendo che sei d’accordo con tuo fratello?» Lanciò un’occhiata sospettosa al pentolone. «Forse gli effluvi di quella pozione ti stanno affumicando il cervello.»
«Dico solo che forse Duncan è stato più previdente di quanto noi avremmo mai potuto essere.»
«E quei due ci sono andati di mezzo. Chissà dove saranno ora… E per colpa di Duncan ora abbiamo al piano di sopra una bambina senza più genitori.»
Lance contò fino a dieci e poi fece cadere una delle preziose foglie di Biancospino nel calderone. La pozione sfrigolò e bolle dorate si innalzarono riempiendo la stanza. Lydia alzò il cappuccio della felpa per evitare che le finissero nei capelli come era successo con la pozione Invecchiante al sesto anno. Non era stato un bello spettacolo. Lance contò di nuovo fino a dieci e aggiunse una seconda foglia, scatenando una nuova ondata di bolle. Quando arrivavano al soffitto o contro i muri, al posto di scoppiare, rimbalzavano come palline da tennis. Una atterrò sul braccio di Lydia, che agitò la mano e le fece riprendere il volo. «Lo so.» disse poi Lance approfittando del momento di pausa dalla pozione per continuare il discorso.
«E quello che stiamo facendo qui non è cercare di salvare più persone possibili quando ne abbiamo la possibilità?»
Lo sguardo di Lance era perso nel vuoto. «Sto solo pensando ad una cosa che mi ha detto Duncan qualche mese fa, quando abbiamo deciso di iniziare a dare rifugio ai bambini.»
Lydia sbuffò ironica. «Sentiamo questa perla di saggezza.»
«Mi ha detto che deve esistere un limite tra il salvare le persone e salvare noi stessi e che c’è un momento nella vita in cui bisogna capire quando rinunciare all’altruismo per poter sopravvivere. Penso che per te quel momento sia stato oggi e se non fosse stato per Duncan ora avresti sacrificato te stessa per salvare loro.»
«E allora?» sbottò Lydia, pentendosi immediatamente quando vide lo sguardo preoccupato di Lance posarsi su di lei.
«Lydia…»
«Non intendevo quello.» lo bloccò Lydia, distogliendo però lo sguardo.
«Lydia, ne dovremmo parlare…»
«Non ho bisogno di parlare!» la voce di Lydia era pericolosamente alta. Altre bolle rimbalzarono sul suo cappuccio sollevato.
Lance le si avvicinò, attraversando la stanza piena di bolle. «E invece penso di sì. Non ti ho chiesto niente fino ad adesso, lo capivo che non ne volevi parlare e ho fatto finta di niente proprio come volevi tu. Ma prima Alice e il Ministero, adesso questo. Cosa ti è successo, Lydia?»
La domanda colpì Lydia come un pugno allo stomaco facendole mancare il fiato.
«Ti prego, Lydia, voglio solo aiutarti.» la implorò Lance inginocchiandosi davanti alla sua sedia e prendendole una mano.
Ma Lydia non riusciva a respirare. Gli diede una spinta e si alzò di scatto. «Non ho bisogno del tuo aiuto.» Era una bugia e Lydia lo sapeva, probabilmente anche Lance lo aveva capito. Lydia aveva bisogno dell’aiuto di Lance, ne aveva bisogno ormai da tanto tempo. Ma non avrebbe accettato di essere aiutata da nessuno. Mesi fa si era fatta una promessa. La promessa di portare solo sulle sue spalle il dolore e la colpa che provava, e non aveva intenzione di venire meno a quella promessa. Almeno una la doveva mantenere. E così voltò le spalle a Lance ed uscì dal laboratorio.
Quando la porta si richiuse alle sue spalle le bolle esplosero all’unisono, cospargendo la figura immobile di Lance di polvere dorata.