Piume di Cenere

Harry Potter - J. K. Rowling
G
Piume di Cenere
Summary
Il Ministero è caduto, le lettere di convocazione al Censimento per i Nati Babbani sono state inviate e quando Lydia Merlin riceve la sua, sa che è arrivato il momento di nascondersi. Ma una lezione che ha imparato durante i sette anni ad Hogwarts è che i suoi piani non vanno mai come dovrebbero.Un incontro fortuito con un ex compagno di scuola ed un bambino troppo chiacchierone le ricorderanno che la fuga non è un’opzione, e che in un mondo magico che ha dimenticato cosa sia l’umanità e la pietà, c’è ancora qualcosa per cui vale la pena combattere.Una storia di sopravvivenza, ingiustizia e dei mostri che si annidano nei luoghi più oscuri.Dall'Epilogo:«Corri!»Lydia sapeva che era arrivata la loro fine.Nulla li avrebbe salvati.Sfrecciò in mezzo ad un gruppetto di anziane signore, che reagirono lanciandole imprecazioni che mal si addicevano a delle così adorabili nonnine.«Scusate, scusate!»E ovviamente Lance perse tempo a cercare di farsi perdonare piuttosto che correre per salvarsi la vita.
All Chapters Forward

Capitolo 16 - Mostri

Capitolo 16
Mostri

 

Lydia Merlin aveva dato un pugno a Lance O’Brien per una partita di Quidditch.
Ovviamente con quel pugno Lydia si guadagnò un mese intero di punizione e il terribile ricordo della professoressa McGranitt infuriata per il suo comportamento «estremamente infantile», ma ebbe anche una soddisfazione: Lance O'Brien dovette scontare anche lui due settimane di punizione, per aver incoraggiato la rivalità tra le Case «che dovrebbe limitarsi alle sole partite di Quidditch». Il problema era che Lydia aveva espresso ad alta voce la sua contentezza con un bel «Prenditi questa!» La professoressa McGranitt non aveva particolarmente gradito e li aveva scacciati dal suo ufficio allungando le punizioni di altre due settimane.
«Ma io non ho detto niente.» aveva protestato Lance alla porta che si era chiusa alle loro spalle.
«Così impari ad insultare Grifondoro.» aveva risposto Lydia con un sorrisetto.
 
Lydia non trovò più così divertente quella situazione quando la sera stessa si trovò immersa fino ai gomiti di ‘Schiuma mille bolle per tutti i tipi di superfici’.
«E comunque è tutta colpa tua.»
«Mia?» ribatté Lance «Sei tu ad avermi dato un pugno!» L’occhio nero risaltava sul suo viso, donandogli l’aspetto di un panda biondo.
«Ma sei tu ad avermi provocata.»
Lance fu sul punto di ribattere, aveva già il fiato pronto nei polmoni, ma poi espirò con un sospiro. «Siamo stati stupidi.»
«Ehi!» esclamò Lydia, offesa.
Lance si limitò a scuotere la testa e tornare a sfregare il pavimento, con una lentezza tale che se fosse stato da solo si sarebbe diplomato prima di pulire l’intera stanza come ordinato da Gazza. Si trovavano in una stanza del quinto piano mai vista prima, sui suoi muri erano conservati quadri di ogni genere. Mentre li condannava alla loro punizione, Gazza aveva affermato che quelli erano tra i più prestigiosi dipinti della scuola e per questo la stanza in cui erano contenuti doveva essere pulita con la massima attenzione e senza l’utilizzo della magia. Lydia aveva ribattuto che allora non era una grande idea affidarla a due ragazzini di undici anni. Gazza, in risposta, aveva lanciato ai loro piedi secchi e spugne e li aveva minacciati, ordinando che il pavimento doveva brillare al suo ritorno. «Oppure…» aveva aggiunto con un sogghigno malvagio. Lance era rabbrividito, era da anni che suo fratello gli raccontava come storia dell’orrore delle manette e catene che il custode teneva gelosamente nel suo ufficio. Lydia al contrario, aveva semplicemente scrollato le spalle, per nulla impressionata. E poi si erano messi al lavoro. Solo che il lavoro sarebbe stato più lungo ed estenuante di quanto Lydia avesse inizialmente prospettato. Il pavimento era a dir poco lercio, anni se non decenni di sporco ricoprivano le piastrelle, rendendo impossibile identificarne il colore originale, anche dopo due passaggi con lo straccio impregnato di detergente magico.
«Qui c’è scritto ‘per ogni tipo di incrostazione’» borbottò stizzita Lydia, agitando il tubetto di detergente.
«La mamma dice che quello della MagicBells non vale niente.» Lance strizzò lo straccio nel secchio e l’acqua che ne uscì era nera come pece.
«Persino nelle scuole di magia puntano al risparmio.» brontolò Lydia. Presa dallo sconforto, versò nel secchio un’altra generosa dose di detergente, nella speranza che potesse compiere il miracolo e permetterle di lasciare quella stanza entro la maggiore età. Se ne pentì all’istante. «Oh, oh.» Il secchio iniziò a ribollire. Anche Lydia, cresciuta tra i babbani, sapeva perfettamente che non era normale. L’acqua al suo interno fumava e vorticava, creando uno slancio tale da far tremare anche il secchio stesso come se fosse una trottola impazzita.
Lance scattò in piedi e si allontanò dal secchio trasformatosi in un ordigno pronto a colpire. «Cosa hai fatto!?»
«Non lo so!»
«Non bisogna mai usarne più di un misurino per ogni due litri d’acqua!»
«E che ne sapevo io?» esclamò Lydia, senza mai distogliere lo sguardo dal recipiente, che aveva iniziato a ruttare bolle grandi come palline da tennis. Una di esse colpì Lance in pieno petto. Il punto della divisa colpito si decolorò all’istante.
Lance e Lydia si scambiarono un’occhiata di puro orrore. «Dobbiamo fermarlo!»
«Ma va?» rispose Lydia con troppo sarcasmo. Si abbassò di scatto per evitare una nuova ondata di bolle di sapone che colpirono al suo posto uno dei quadri alle sue spalle. Il paesaggio lacustre rappresentato perse all’istante ogni colore, diventando lo spettro di quello che era stato fino a pochi secondi prima. Dei gabbiani stridettero la loro protesta sollevandosi in volo nel cielo ormai grigio.
«Dobbiamo salvare i quadri!» gridò Lance. Si gettò su uno dei ritratti e cercò di staccarlo dal muro, per scoprire che la cornice era incollata indissolubilmente alla superficie ed impossibile da spostare. L’unica loro fortuna era che tutti i protagonisti dei ritratti erano stati invitati alla festa di compleanno di Oscar Wilde che si stava tenendo nella taverna di Robin Hood, in un quadro al settimo piano. Almeno non sarebbero rimasti colpiti dalle bolle, anche se sicuramente non sarebbero stati particolarmente entusiasti al loro ritorno quando avrebbero scoperto che le loro dimore erano diventate in bianco e nero. Ma a Lydia bastava per non sentirsi in colpa per le parole che pronunciò: «Ma che quadri? Dobbiamo salvarci noi!» Si gettò verso la porta e la salvezza del corridoio.
«Torna qui!» provò a fermarla Lance. Un’altra bolla lo colpì su una manica.
«Non ci tengo a farmi decolorare!» urlò Lydia di rimando, già fuori dalla stanza e senza la minima intenzione di rimetterci piede.
Lance spogliò il mantello della divisa e lo usò come scudo per proteggersi dal secchio impazzito. «Ma sei stata tu a combinare questo disastro!»
La descrizione della sua vita. Non che avesse intenzione di ammetterlo. «Se proprio vogliamo essere precisi è colpa della professoressa McGranitt e di Gazza che hanno lasciato da soli due studenti del primo anno con quelle armi di distruzione.» replicò infatti Lydia «Non penso che sia neppure legale.»
«Cosa sta succedendo?»
Lydia fece un salto per lo spavento. Uno studente era comparso alla fine del corridoio. Indossava la spilletta da Prefetto e la divisa verde e argento tradiva la sua appartenenza a Serpeverde. Ci mancava solo quello.
«Niente.» rispose con la voce più innocente che riuscì a produrre. In teoria non era una bugia. In quell’esatto momento Lydia non stava effettivamente facendo nulla. Ma il Prefetto non dovette crederle perché continuò ad avvicinarsi con un’espressione minacciosa. Quando la affiancò e si voltò verso la stanza dei ritratti, rimase a bocca aperta dall’orrore.
«Ma che diavolo…?»
Lance si immobilizzò, il mantello ancora sollevato nel tentativo di difendere se stesso e i preziosi quadri dalle bolle. Un lampo di terrore gli attraversò il volto. «Ciao.» disse in un sussurro.
Il Prefetto continuava a fissarlo con gli occhi sgranati «Cosa stai combinando?»
Lance aprì e chiuse la bocca per diverse volte, come se stesse valutando in che modo potesse descrivere un tale disastro senza finire in ulteriori guai. Lydia voleva dirgli che poteva evitarsi il disturbo, era semplicemente impossibile. «Non è come sembra.» rispose infine Lance.
L’espressione di orrore del Prefetto si trasformò in un ghigno «A me sembra solo che vi siate cacciati in un mare di guai.»
Il secchio decise che quello era un ottimo momento per eruttare una nuova ondata di bolle. Doveva odiare proprio tanto Lydia e Lance.
«Ti prego, non dirlo a nessuno.» supplicò Lance con voce sottile.
Il sogghigno del Prefetto si allargò a sentire le sue implorazioni. «Penso proprio che la professoressa McGranitt debba essere subito informata.» e con un ultimo sorriso sprezzante se ne andò, lasciando Lydia e Lance di nuovo da soli con il secchio-vulcano.
«Ma chi si crede di essere?» sbottò Lydia. Se la professoressa McGranitt avesse scoperto i danni che avevano causato, la loro punizione si sarebbe davvero protratta fino al diploma.
«È mio fratello.» rispose Lance mestamente.
«Mi dispiace.» disse Lydia con sincerità.
«È la mia fine.» Lance fissava il punto in cui si trovava suo fratello fino a pochi secondi prima, ancora sotto shock. Sembrava che stesse rivivendo la sua vita prima della sua inevitabile dipartita per mano del fratello. «Se Duncan lo dice a mamma e papà, domani mattina mi troverò una Strillalettera come colazione. Senza contare la professoressa McGranitt. Lei ci trasfigurerà direttamente in rospi, e poi ci donerà al professor Piton come regali di Natale per farci diventare ingredienti di Pozioni. Sai in quante pozioni servono le code di rospo? Innumerevoli, troppe. Talmente tante che il professor Piton ha di sicuro una colonia di rospi da qualche parte nei sotterranei. E molti di loro erano studenti incoscienti come noi, ne sono sicuro.»
«Non è detto che debba finire così.»
Lance si riscosse dalla sua agonia per lanciarle un’occhiata dubbiosa. «Pensi davvero che la McGranitt ci lascerà andare senza altre punizioni dopo tutto questo?» Allargò le braccia per indicare la stanza invasa di bolle.
«No. Ci trasformerà davvero in qualche essere ripugnante se ci scoprirà, ma è proprio questo il punto. Accadrebbe solo se ci scoprisse.»
Lance esitò, poi sospirò rassegnato. «Almeno saremo utili a qualcuno. Diventare ingredienti per pozioni non sarà poi così male.»
Lydia emise un verso esasperato. «Non ti devi preoccupare di niente. Ho un piano.» e rientrò nella stanza. Strappò il mantello di Lance dalle sua mani e lo avvolse attorno al secchio, chiudendolo infine con un nodo.
«Cosa?» balbettò Lance.
«Apri la finestra.» Per fortuna Lance si riscosse abbastanza velocemente da obbedire ai suoi ordini. Le bolle iniziarono ad uscire nell’aria notturna appena spalancò la finestra. Il secchio intrappolato nel mantello invece aveva iniziato a tremare incontrollabilmente. Lydia fece appena in tempo a lasciare cadere il secchio dalla finestra, cercando di lanciarlo il più lontano possibile dalle mura. Precipitò per alcuni metri e poi… BUM!
L’esplosione scosse il vetro della finestra. Frammenti di mantello e secchio volarono leggiadri nell’aria notturna, scomparendo alla loro vista. Lance e Lydia assistettero alla scena appoggiati al parapetto della finestra. Poi Lydia si raddrizzò, sfregò le mani e disse semplicemente. «Fatto.»
Lance la fissò inorridito e poi il suo sguardo di orrore si indirizzo verso l’interno della stanza, in particolare ai cerchi bianchi e neri sui muri e sui quadri.
«Eccoli!» esclamò Duncan ricomparendo alle loro spalle. Una figura alta e sottile era al suo fianco. Non era la professoressa McGranitt.
«Buonasera signorina Merlin, signor O’Brien.»
Era Albus Silente.
Tutta la sicurezza provata da Lydia fino a quel momento si sgretolò in un istante. Era finita. La sua breve carriera scolastica era ufficialmente finita. Per un istante rimpianse la prospettiva di essere trasformata in un rospo. Fu solo lo sguardo vittorioso di Duncan che l’aiutò ad indossare una maschera di indifferenza, chiudere la finestra e dire «Buonasera, professor Silente.» con una tranquillità che non possedeva. Lance al contrario, fissava il Preside e pareva essere sul punto di crollare a terra esamine. Forse un suo svenimento li avrebbe aiutati ad uscire da quel guaio infinito.
Duncan invece gongolava nel vedere il terrore di suo fratello. «Stavo cercando la professoressa McGranitt quando mi sono imbattuto nel Preside. Ho pensato che fosse interessato a sapere cosa sta succedendo nel suo castello. Come le avevo detto, eccoli, proprio sulla scena del crimine.» continuò poi rivolto a Silente.
Il professor Silente si erse in tutta la sua statura, sovrastando i suoi tre studenti. Ecco. Era arrivato il momento. Sarebbero stati espulsi, oppure con un po’ di fortuna sarebbero stati comunque trasformati in ingredienti di pozioni. Lydia si immaginò già come ranocchia con un fiocchetto natalizio attorno al collo. «Lei mi aveva detto che la signorina Merlin e il signor O’Brien stavano operando atti di vandalismo nella stanza dei ritratti.»
«Esatto.» confermò Duncan, pregustandosi ciò che sarebbe accaduto.
«Io non vedo nulla di tutto ciò.»
Lydia spalancò la bocca, Lance parve ancora di più sul punto di svenire, mentre Duncan si voltò incredulo verso il professor Silente e poi di nuovo verso di loro, per accertarsi di non essere in preda alle allucinazioni. Ecco cosa doveva essere, pensò Lydia, un’allucinazione dovuta agli effluvi della ‘Schiuma mille bolle per tutti i tipi di superfici’. Lo sguardo del professor Silente cadde sull’angolo della stanza, in particolare sulla confezione del detergente causa di tutti i loro mali. Nella fretta di far sparire le prove del crimine, Lydia aveva dimenticato la più importante e la causa della sua prossima fine ora che era stata vista anche dal Preside. Lui, il più grande mago degli ultimi secoli, genio sconfinato del mondo magico, di sicuro conosceva gli effetti collaterali di un uso eccessivo di detergente. E infatti si passò una mano sulla barba. Lydia chiuse gli occhi, pronta a trascorrere il resto della sua breve esistenza come rana.
«Anzi,» continuò imperterrito Silente «penso che lei dovrebbe prendere ispirazione da questi due giovanotti.»
«Ispirazione?»
«Per il loro incredibile spirito d’iniziativa! I ritratti qui presenti erano stati rinchiusi in questa stanza per il loro poco fascino. Sono stati donati alla scuola dalla famiglia Harris, nello specifico da Eurence Harris, era un genio della Trasfigurazione ma non ha mai avuto particolare intuito in fatto d’arte.»
«Ma… ma loro li hanno rovinati!» balbettò Duncan.
«Rovinati? A me sembrano invece più belli che mai. Il contrasto tra i colori vividi e gli sprazzi in bianco e nero donano un giusto equilibrio tra vecchio e nuovo, sogno e vita.» Il professor Silente tornò a rivolgersi a Lydia e Lance. «Grazie a voi questa stanza non sarà più motivo di vergogna per questa scuola e unica macchia sul mio immacolato curriculum, umilmente parlando, come Preside di Hogwarts. Forse un giorno sarò ricordato proprio come il Preside che è riuscito a riqualificare la stanza dei quadri di Eurence Harris. Adesso però devo proprio andare, mi stavo dirigendo negli uffici del professor Piton per un problema di scarsità di ingredienti quando sono stato fermato dal vostro inflessibile Prefetto. A tal proposito, signor O’Brien,» continuò richiamando l’attenzione di Duncan, ancora intento ad osservare la scena come se fosse un film dell’orrore. «nel giungere fino a qui mi è parso di vedere due studenti al quinto piano. Le dispiacerebbe andare a controllare? Il coprifuoco è scattato ormai da un’ora e le mie gambe non sono più quelle di una volta. Tutte queste scale sono una vera tortura per le mie giunture.» Duncan boccheggiò ed indicò Lydia e Lance. «Non si preoccupi per loro.» continuò il professor Silente «Sapranno certamente ritrovare le rispettive Sale Comuni anche senza il nostro aiuto.» Rivolse ai due ragazzi un occhiolino e il movimento della barba diede loro l’impressione che stesse ridacchiando; poi si allontanò dal corridoio, portando Duncan con sé.
Lydia e Lance rimasero fermi a fissare la porta per cinque minuti, ancora convinti di aver appena avuto un’allucinazione condivisa, o aver assistito ai primi sintomi di demenza senile del grande Albus Percival Wulfric Brian Silente.
Quando Lydia abbassò infine lo sguardo scoprì che il pavimento era lindo e talmente lucido da riuscire a specchiarvisi.
«Non è andata poi così male.»
Lance si riscosse dalla sua trance e si voltò verso di lei. «È stato fantastico!» urlò alzando le braccia, gli occhi che brillavano dalla gioia. «Hai visto la faccia di Duncan?»
«Da pesce lesso.» rise Lydia.
«E il professor Silente…»
«‘Il contrasto tra i colori vividi e gli sprazzi in bianco e nero donano un giusto equilibrio tra vecchio e nuovo, sogno e vita’» L’imitazione di Lydia era goffa e poco rassomigliante, ma bastò a farli scoppiare a ridere.
«Non ci posso credere!»
«Nemmeno io!»
Lance chiuse gli occhi per rivivere il momento surreale appena vissuto e goderselo di nuovo. Il suo sorriso si incrinò. «Magari fosse sempre così. Duncan sarà furioso…. Vorrà vendicarsi.»
«E allora che lo faccia.» replicò Lydia, attirandosi un’occhiataccia da parte di Lance. «Che ci provi.» continuò imperterrita la bambina «Noi sapremo come difenderci.»
«Noi?» Lance non riuscì a trattenere la sorpresa.
Lydia annuì. «Non penserai davvero che ti lascerò nelle sue grinfie? Preparati. Da domani inizierà la nostra di vendetta.»
E Lance si sentì avvolgere da una felicità che non provava da troppo tempo.
Fu così che il giorno in cui Lydia Merlin colpì con un pugno Lance O’Brien, fu anche quello in cui iniziò la loro preziosa amicizia.
 
 
La brezza soffiava leggera sul volto di Lydia. Era metà novembre e quell’inverno si stava preannunciando particolarmente rigido, ma in quel momento a Lydia non importava. Fece un balzo e raggiunse il suo posto all’ombra di un frassino. Rovistò nella borsa ed estrasse tre vasetti di marmellata vuoti, svitò i coperchi e con un colpo di bacchetta accese un fuocherello in ognuno di essi. L’aria iniziò subito a riscaldarsi. Lydia si accomodò meglio, controllò di avere ancora la sua preziosa piuma in tasca, e poi strinse le gambe al petto ed appoggiò la schiena al tronco dell’albero.
La casa di fronte a lei era silenziosa. Solo dei piccoli movimenti si intravedevano da dietro le finestre coperte da alcune tendine di pizzo. Era ancora presto. Quella figura che si muoveva in cucina doveva essere sua nonna. Aveva l’abitudine di svegliarsi all’alba a bere la sua prima tazza di caffè, per poter poi mentire alla famiglia e berne una seconda con tutti loro. Lydia sorrise. Lo sapevano tutti, eppure facevano finta di nulla. Adorava le colazioni a casa di sua nonna e le faceva male non poter bussare alla porta e chiedere anche lei una tazza di caffè.
I signori O’Brien erano stati molto comprensivi quando qualche settimana prima Lydia aveva chiesto di poter andare a controllare la sua famiglia. Anzi, il signor O’Brien si era offerto di accompagnarla, forse per premiarla per aver condiviso il suo desiderio con loro e non essere semplicemente uscita di casa senza avvisare nessuno. In realtà la prima opzione di Lydia era stata proprio quella, ma poi aveva pensato al terrore che avrebbe provocato una sua improvvisa sparizione e si era trovata costretta a chiedere il permesso. O meglio, dichiarare le sue intenzioni. Sarebbe andata in qualsiasi caso, ma la compagnia del signor O’Brien era stata utile. Il mago infatti le aveva costruito una specie di rifugio magico proprio nel prato accanto alla casa di sua nonna, all’ombra del frassino. Una bolla circondata da talmente tante protezioni che nessuno l’avrebbe mai potuta vedere, o entrarci per sbaglio. Aveva anche controllato le barriere attorno alla casa di sua nonna. «Sono stato qui la notte stessa in cui hai deciso di unirti a noi e ho aggiunto alcuni degli incantesimi di casa O’Brien. Sono ancora integri e dovrebbero reggere per lungo tempo.» Lydia non aveva saputo come ringraziarlo.
E così Lydia aveva iniziato a trascorrere alcune ore alla settimana a controllare la sua famiglia, nonostante i signori O’Brien fossero stati ferrei sulle regole da seguire: doveva sempre avvisare quando usciva e rimanere fuori solo per un’ora, per non correre rischi inutili. Un minuto in più e sarebbero arrivati loro a trascinarla a casa. Per una volta Lydia non aveva protestato. Quella mattina aveva raggiunto il signor O’Brien in cucina per avvisarlo che avrebbe saltato la colazione. Lui non l’aveva fermata, sapeva quanto gli ultimi giorni fossero stati difficili, e non solo per loro ma per tutti gli abitanti di casa O’Brien.
L’arrivo dell’ultima bambina aveva destabilizzato gli equilibri. La bambina non aveva pronunciato una parola da quando l’avevano incontrata in quel sottoscala ormai quasi una settimana prima. Il signor O’Brien era riuscito a scoprire il suo nome solo grazie ai documenti rinvenuti nella casa distrutta, un Revelio lo aveva aiutato a capire quali fossero gli originali. Beatrix Harris, questo era il suo nome. Una breve ricerca sfruttando le conoscenze di Anthony li aveva informati che l’uomo e la donna che erano stati catturati non erano i genitori della bambina, come avevano pensato Duncan e Lydia, ma gli zii. I loro nomi erano contenuti nella lista dei ricercati portata a casa da Lydia. Nonostante i giorni ormai trascorsi però, Beatrix era ancora rinchiusa nel suo silenzio, alternato a momenti in cui scoppiava in lacrime e nessuno riusciva a consolarla, per quanto ci provassero. Il problema principale era che a vedere lei così triste, anche l’umore degli altri bambini si era guastato. Il tutto era culminato la sera prima a cena. Emily Coleman aveva iniziato a piangere appena seduta a tavola e con una reazione a catena anche i volti degli altri bambini si erano riempiti di lacrime. Per quanto fossero sempre capitati momenti di nostalgia, non era mai successo che colpisse tutti ed in un modo così inconsolabile. Gli adulti (Lydia compresa) avevano tentato in tutti i modi di farli tranquillizzare ma infine avevano rinunciato e la maggior parte dei bambini non aveva mangiato neanche un boccone preferendo andare a letto senza cena. Lydia era rimasta seduta sul lettino di Henry ad accarezzargli la fronte fino a quando era crollato, il cuscino intriso di lacrime. In quel momento Lydia aveva provato nuovamente quel senso di impotenza sentito per la prima volta davanti alla bambina chiusa nel sottoscala abbracciata al suo gattino. Era stato quello il motivo che l’aveva spinta, dopo una notte insonne, ad andare a controllare la sua famiglia.
La nostalgia dei bambini l’aveva contagiata. Le piaceva stare a casa O’Brien, più di quanto avrebbe potuto immaginare quella sera di agosto in cui vi aveva messo piede per la prima volta, ma allo stesso tempo avrebbe voluto poter entrare a casa di sua nonna ed abbracciare i suoi genitori.
La luce delle scale si accese e dopo qualche secondo intravide suo padre fare il suo ingresso in cucina. Fu sul punto di alzarsi e correre a suonare al campanello. Ne aveva bisogno. Ad ogni visita infilava una lettera nella cassetta della posta, per dire alla sua famiglia che lei stava bene e non dovevano preoccuparsi. E se per quella volta si fosse presentata di persona?
La risposta alla sua domanda arrivò sotto forma di sua zia, che comparve dalle scalette sul retro che portavano al mare. Un brivido attraversò il corpo di Lydia, facendole trattenere il fiato fino a quando sua zia ruotò le chiavi nella porta d’ingresso ed entrò in casa. La luce delle scale si riaccese. Quella visione fu abbastanza da convincere Lydia a non abbandonare il suo posto nella bolla. Era meglio così. La sua famiglia era più al sicuro senza lei attorno ad attirare l’attenzione. E la loro serenità le importava di più della sua nostalgia.
L’orologio sul suo polso ticchettava. Lydia sapeva che si stava avvicinando l’ora di tornare a casa O’Brien ed affrontare la giornata. Eppure se ne stava ferma sotto a quell’albero, in attesa. Lo sciabordio delle onde si levava fino a lei, riempiendo il silenzio della mattina, e le donava un senso di tranquillità che negli ultimi giorni era difficile trovare a casa O’Brien. Tranne nell’orto e nel laboratorio di Pozioni, ma Lydia aveva deciso di tenersene alla larga per qualche tempo. Per fortuna Lance era stato ancora impegnato con le sue pozioni e lo sarebbe stato anche nel prossimo periodo considerando che doveva rifornire le scorte di tutte e tre le Case Sicure. La distanza di quei giorni però non aveva attenuato la tensione del loro ultimo incontro.
Lydia si sfregò gli occhi.
Quanto avrebbe voluto tornare indietro e non pronunciare mai quelle parole. Eppure una parte di lei si sentiva sollevata. Era come se si fosse levata un grosso macigno dal petto. Il problema era che, a giudicare dall’espressione preoccupata sul volto di Lance ogni volta che lo aveva incrociato, quello stesso peso si era infranto su di lui. Lydia sospirò. Avrebbe dovuto parlargli, lo sapeva. Tranquillizzarlo, assicurargli che non aveva intenzione di fare nessuna pazzia. Ma forse Lance aveva ragione. Magari inconsciamente Lydia si era buttata a capofitto in situazioni pericolose per mettere a tacere quel sempre presente senso di colpa. Lydia scosse la testa. No, se fosse stato così allora avrebbe accettato anche la proposta di Paul, con quella sì che avrebbe avuto poche speranze di sopravvivenza.
La porta d’ingresso si aprì. Il padre di Lydia corse fuori, guardava l’orologio e non si era accorto di aver messo il cappello al contrario. Suo papà era un ritardatario cronico. Salì di corsa sulla macchina della nonna, una decappottabile rossa che era da sempre il sogno di Lydia, e sgommò verso la strada. Lydia immaginò che stesse andando al suo nuovo lavoro. L’ultima volta che era andata a controllarli, lo aveva visto partire con il modellino di una piramide azteca, il che doveva significare che era riuscito a farsi assumere come insegnante in qualche scuola nei dintorni. Era stato un gran sollievo per Lydia scoprire che i suoi genitori erano riusciti a trovare un impiego dopo aver dovuto abbandonare posti di lavoro che occupavano da anni per scappare con lei. Sua madre lavorava in banca e le era bastata qualche telefonata per farsi spostare in una filiale in un paese a pochi chilometri di distanza da quello della nonna. Suo padre invece era partito senza prospettive. Il senso di colpa aveva annegato Lydia quando suo padre aveva consegnato la lettera di dimissioni con effetto immediato. Sapeva quanto amasse insegnare, un affetto condiviso anche dai suoi studenti. I bambini delle elementari in cui insegnava lo adoravano, complice il fatto che molte volte si presentava a lezione con il suo gufo o con storie magiche. Le prime volte Lydia aveva protestato temendo un intervento da parte del Ministero della Magia, poi aveva scoperto quanto poco interessasse agli agenti del Ministero quello che faceva un semplice babbano.
La porta sul retro si aprì e sua nonna uscì in giardino avvolta nel suo scialle e apparentemente insensibile al freddo. Ovviamente aveva aspettato che il figlio uscisse di casa prima di uscire a sua volta vestita così. Lydia si ritrovò a sorridere, sapeva quanto suo padre, l’uomo più pacato del mondo, si infuriava quando vedeva la nonna infischiarsene dei possibili danni alla sua salute. La nonna iniziò a tagliare i rami più lunghi delle sue rose, per prepararle all’inverno imminente. E di nuovo Lydia si trovò a desiderare di poter correre da lei e aiutarla.
Con un sospiro svitò i tappi dei vasetti da marmellata e spense i tre fuochi, appoggiandoli poi in uno spazio vuoto alla base del tronco, ricavato da una radice leggermente sollevata. Ispezionò un’ultima volta le protezioni attorno alla bolla e alla casa, e poi applicò un incantesimo di Disillusione su se stessa, rabbrividendo nel sentire la magia scorrerle sugli arti fino ad arrivare alla punta dei piedi. Diede un’ultima occhiata a sua nonna, ancora al sicuro nel giardino e intenta a proteggere amorevolmente le sue rose. Le lanciò un bacio. Sua nonna continuò imperterrita a tagliare i rami.
Lydia uscì dalla bolla e si avviò sulla strada, nella direzione opposta rispetto a quella presa da suo padre. Un fruscio richiamò la sua attenzione. Si bloccò all’istante, i sensi all’erta, gli occhi che saettavano in tutte le direzioni. All’angolo della sua visione le parve di intravedere un guizzo, si voltò di scatto, la bacchetta sollevata. E rimase ferma immobile per diversi minuti, gli occhi che scrutavano lo spazio circostante, mentre l’oscurità lasciava il posto alla luce del giorno. Fu solo quando sentì un venticello leggero che si tranquillizzò. Ecco cosa doveva aver sentito. Un altro colpo d’aria le ghiacciò il naso e la convinse a correre verso il punto di Materializzazione.
 
Casa O’Brien si levava maestosa davanti ai suoi occhi. Le luci al terzo piano segnalavano che i bambini erano già svegli e che era solo l’inizio di una giornata impegnativa come quelle precedenti. Altri pianti, altre urla, altri litigi e altri bambini da consolare. Lydia prese un grande respiro, godendosi gli ultimi attimi di tranquillità. Poi un rumore lontano la fece voltare di nuovo di scatto verso il grande prato di fronte alla casa. Questa volta non era solo una sensazione. Questa volta c’era davvero qualcuno. E quel qualcuno si stava allontanando a grandi passi dalla casa, puntando verso la foresta che la circondava. Lydia strizzò gli occhi per cercare di vedere meglio nella luce fioca. Una ciocca di capelli biondi ricadde dalla berretta della figura sconosciuta. E Lydia la riconobbe all’istante. Con uno scatto si lanciò al suo inseguimento.
«Caitlin, Caitlin!» provò a chiamarla. La ragazza si calò il berretto sulla fronte e accelerò il passo, costringendo Lydia ad iniziare a correre. «Fermati Caitlin!» Caitlin intraprese un sentierino che si immetteva nella foresta. «Dove stai andando?»
«Lontano da qui.» rispose secca Caitlin, senza voltarsi.
«Stai scherzando, vero?» Lydia era riuscita a raggiungerla, con un ultimo salto si mise al suo fianco, cercando di sbarrarle la strada. Caitlin le sbatté contro, ricordando a Lydia di essere ancora sotto gli effetti dell’incantesimo di Disillusione. Si posò la punta della bacchetta sulla testa e tornò visibile.
Caitlin si limitò a superarla. «Rilassati Lydia, vado solo a fare un giro.» Ma nessuno poteva dire a Lydia Merlin di rilassarsi.
«Fermati all’istante o ti lancio una fattura.» replicò seria.
Neanche la minaccia funzionò, Caitlin continuò per la sua strada, immergendosi sempre più nella foresta. Lydia non sapeva dove portava il sentiero, né cosa si trovasse al di là della foresta. Per un secondo si domandò se non sarebbe stato meglio lasciare andare Caitlin per la sua strada e lasciare che fosse qualcun altro a cercare di ragionare con lei.
Caitlin scambiò il suo silenzio per approvazione. «Non dirlo agli altri, almeno quando si accorgeranno sarò già lontana da qui.»
«E dove hai intenzione di andare?» La curiosità vinse e Lydia regolò il passo per stare al fianco di Caitlin, cercando allo stesso tempo di non inciampare sul sentiero dissestato.
«Vado in paese e chiamo una mia amica dell’università. Ha una macchina tutta sua e abita a mezz’ora di distanza. Vado a stare da lei.»
«Non hai i bagagli.»
«Non volevo farmi notare. La mia amica può prestarmi tutto, poi userò la carta di credito di papà.»
Lydia saltò una radice. «E cosa farai con i Mangiamorte? Se ti beccano sei spacciata.»
Caitlin sbuffò. «Ti do una notizia: per loro sono insignificante. Non se ne fanno nulla di una Magonò, potrò finalmente ricominciare a vivere e mandare al diavolo voi e la vostra stupida guerra.» L’acidità trasudava da ogni parola, ma una in particolare aveva colpito Lydia, costringendola a fermarsi.
«Tu non sei una Magonò.» sentenziò perplessa.
Anche Caitlin si fermò. «Come scusa?»
Lydia si riscosse. «Tu non sei una Magonò. Tua mamma è babbana. E da un mago e un babbano possono nascere o maghi o babbani, o almeno così mi hanno detto.»
La risata di Caitlin fu glaciale e sembrò abbassare la temperatura dell’intero bosco. «È questo che ti hanno raccontato?»
«Me l’ha detto Paul.» E già mentre pronunciava quelle parole si rese conto che forse non avrebbe dovuto affidare le sue conoscenze sulla genetica magica su un ragazzo che non sapeva distinguere un Avvicino da un Asticello.
«Intendevo la parte su mia mamma.»
Ora Lydia era definitivamente confusa. «Cosa?»
Caitlin sogghignò di nuovo e poi ricominciò a camminare. «Niente. Sappi solo che non dovresti fidarti troppo di noi O’Brien. Siamo dei bugiardi patologici.»
Lydia decise di accantonare l’informazione per un secondo momento. Ora la sua priorità doveva essere convincere Caitlin a tornare indietro. O costringerla con la forza, se fosse stato necessario. «In ogni caso se i Mangiamorte ti prendono sei finita. Ti tortureranno per sapere dove si nasconde la tua famiglia. Vuoi davvero condannarci così?»
«Te l’ho già detto, non sanno neanche che esisto! Non sono nei loro registri, secondo loro ci sono solo Duncan e Lance. E invece nel mondo babbano usiamo il cognome della mamma. Caitlin O’Brien non esiste, da nessuna parte.»
La foresta cominciava a diradarsi. Lydia controllò l’orologio, l’ora concessa dai signori O’Brien era scaduta, presto sarebbero andati a cercarla e avrebbero pensato al peggio non trovandola a casa di sua nonna. E forse il peggio stava davvero capitando. Pensò di tornare a casa O’Brien a cercare aiuto, ma chissà cosa sarebbe potuto capitare a Caitlin in quel frammento di tempo. La famiglia O’Brien non l’avrebbe mai perdonata se fosse tornata senza di lei.
«È una pazzia.» sentenziò rimettendosi di fronte a Caitlin e allargando la braccia per fermarla. Non le sfuggì il suo sguardo scocciato.
Caitlin incrociò le braccia e sbuffò spazientita. «Sono affari miei. Tu non hai nessun diritto di fermarmi.»
Ma anche Lydia era ferma sulla sua scelta. «Sì, se metti in pericolo la tua famiglia e i bambini.»
«Puoi anche smetterla di fingere con me, lo sappiamo tutti che non te ne frega niente dei bambini e che sopporti solo Lance. Se fosse per te tutti noi altri potremmo finire direttamente ad Azkaban.»
Fu la goccia che fece traboccare il vaso. In un lampo la bacchetta di Lydia fu nelle sue mani, puntata al volto di Caitlin. «O torni indietro sulle tue gambe o ti Schianto.»
«Ho solo detto la verità.»
«Conto fino a tre.»
Caitlin sbuffò. «Fai come vuoi.»
«Due…»      
Caitlin si voltò e tornò a percorrere il sentiero. In lontananza si intravedeva la fine della foresta e una scaletta che portava verso il basso, dove doveva trovarsi il paese nominato dalla ragazza.
«Uno…»
«Mi raccomando, neanche una parola agli altri.» Caitlin sventolò la mano per salutarla.
«Stupeficium
«Caitlin O’Brien!»
Lydia sobbalzò e il suo incantesimo si schiantò sul tronco a pochi centimetri dall’orecchio di Caitlin, la quale si abbassò, gli occhi spalancati per lo spavento. Lydia non sapeva se la sua paura derivasse dall’incantesimo che l’aveva sfiorata o dal signor O’Brien, che correva furioso verso di loro. Se fosse stata in Caitlin avrebbe sperato che lo Schiantesimo l’avesse colpita. Era raro vedere il signor O’Brien in collera, o in preda a qualsiasi emozione. Eppure ora correva verso di loro in ciabatte, la sciarpa solo appoggiata sul collo e la giacca spalancata. Il volto era arrossato, un po’ per la corsa ma soprattutto per la collera.
«Papà! Posso spiegare…» Sì, Caitlin era decisamente spaventata dal padre.
Il signor O’Brien le raggiunse. «Non una parola.» sibilò.
Il tono di Caitlin si mutò in una finta innocenza. «Non ho fatto niente, stato solo facendo una passeggiata.» Si rassettò la giacca come se non avesse appena tentato di scappare di casa.
«Ho detto: non una parola.» sillabò il signor O’Brien. E dallo sguardo comparso sul volto di Caitlin, Lydia capì che era la prima volta che le sue suppliche non funzionavano sul padre. Lydia si mise da parte, sperando di poter scomparire in un tronco. Ricordava di aver studiato un incantesimo di Trasfigurazione che serviva proprio a quello scopo durante il suo ultimo anno, ma non ricordava la formula. Trunciet o era Arboriet? Per fortuna il signor O’Brien voleva solo tornare al sicuro delle mura domestiche il prima possibile, strinse una mano sulla spalla di Caitlin e la condusse sulla via del ritorno. Si soffermò per un istante davanti a Lydia. «Grazie per averla fermata.»
Lydia, ancora intenta a cercare di diventare un albero, decise di rimanere in silenzio. Li lasciò proseguire di qualche passo prima di seguirli a distanza di sicurezza. Arrivati nel prato davanti al cancello di casa, il signor O’Brien la fermò. «Potresti farmi un favore? Anche Lance e Duncan sono usciti a cercarla, potresti rintracciarli e avvisarli che Caitlin è tornata? Non possiamo mandare segnali, non voglio correre rischi inutili.» La sua presa si strinse sulla spalla di Caitlin. Era strano vedere Caitlin che cercava di farsi il più piccola possibile e seriamente preoccupata dalle conseguenze delle sue azioni. Per evitare di dover assistere alla discussione che sarebbe di sicuro esplosa appena varcati i confini di casa, Lydia accettò di buon grado la richiesta. Il signor O’Brien le indicò altri due sentieri che si diramavano nella foresta e senza neanche fermarsi a ragionare, Lydia imboccò per primo quello percorso da Lance.
Impiegò meno tempo del previsto per localizzare Lance. Agitò una mano per richiamare la sua attenzione e con una corsetta leggera lo raggiunse. «Abbiamo trovato Caitlin. È tornata a casa con tuo papà.»
«Per tutti i troll, appena la vedo la strozzo.» fu il commento di Lance.
«Prima dovrà sopravvivere ai tuoi genitori. Non ho mai visto tuo papà così infuriato prima d’ora.»
Lo sguardo perplesso di Lance fu una riposta sufficiente. «Mio papà? Infuriato con Caitlin? Sei sicura che non fosse un Mangiamorte sotto copertura?»
I due si incamminarono sulla via del ritorno. Il cielo stava iniziando a riempirsi di nuvole minacciose che promettevano pioggia. «Di sicuro i tuoi genitori sono arrabbiati, l’ha combinata grossa.»
Lance scosse la testa. «Ne ha fatte anche di peggiori e l’unica cosa che i miei genitori le dicevano sempre era di andare in camera sua.»
«Allora anche a te e Duncan è andata bene. I miei genitori riuscivano a mettermi in castigo anche quando ero ad Hogwarts.» Ricordava ancora con orrore la lettera che suo padre aveva scritto alla McGranitt dopo la loro disavventura nella Foresta Proibita. Per lei era scattato il coprifuoco alle sei per un mese intero.
Lance sollevò il cappuccio della felpa, nella fretta di uscire non aveva indossato la giacca. «Al contrario. Io e Duncan ci siamo sempre beccati le nostre punizioni e lei invece poteva fare tutto quello che voleva.» Il rancore nella sua voce era perfettamente riconoscibile.
Lydia sollevò la bacchetta ed indirizzò una folata d’aria calda verso Lance. Lui la ringraziò con un sorriso riconoscente.
Un velo di imbarazzo aleggiava tra di loro.
Erano passati giorni dalla loro ultima discussione nel laboratorio. Da quel momento Lydia aveva cercato di evitare ogni conversazione con Lance che non fosse ‘Mi passi i cereali?’ o ‘Sembra che stia per nevicare’. Le era mancato.
«Mi dispiace.» dissero Lance e Lydia nello stesso momento. Si guardarono stupiti. Fu Lydia la prima a riprendere parola, dopo aver riposto la bacchetta in tasca, vicino alla piuma. «Mi dispiace per aver reagito così. Hai tutti i motivi per essere curioso, e non mi hai mai chiesto nulla, non mi hai fatto pressione…» a differenza di tante altre persone, anche sconosciute, che aveva incontrato dal giorno dell’incidente. «È solo che… non sono pronta.» disse sinceramente. Non aveva mai raccontato a nessuno cosa era successo quel giorno. Erano stati i suoi genitori ad informare la famiglia, a dirlo ad Alice. Lei non lo aveva mai fatto.
Lance si strinse nella felpa. «E a me dispiace avertelo chiesto. Non ne avevo nessun diritto.»
Qualcosa non suonava giusto in quella frase. Lydia sapeva che la scelta migliore sarebbe stato di raccontare a Lance ogni cosa, anche solo per giustificare la sua lontananza negli ultimi mesi dopo sette anni di amicizia. Eppure Lydia continuava a non riuscirci. Sospirò, passandosi una mano sul volto.
«Volevo dirti solo questo.» concluse Lance. Lydia apprezzò enormemente il fatto che non avesse pronunciato frasi scontate come ‘Lo sai che io ci sono’ e altre simili. Le aveva sentite talmente tante volte che avevano perso ogni significato.
Le balzò in mente un’idea. «Facciamo così. Per farti perdonare posso farti anche io una domanda scomoda.» Lance si irrigidì impercettibilmente. «Se non vuoi rispondermi puoi rifiutarti e così saremo pari.»
Lance la guardò sospettoso, ma poi annuì.
Lydia scavalcò una radice. «Cosa è successo tra te e Caitlin? Sono figlia unica ma persino io so che non è normale così tanto rancore tra fratelli. Senza offesa.» aggiunse velocemente.
«Nessuna offesa.» rispose Lance e poi, al contrario di quello che aveva pensato Lydia, cominciò a raccontare. «Andavamo d’accordo, da piccoli. Eravamo legatissimi, andavamo insieme ovunque e non riuscivano mai a dividerci. La sera il nostro gioco preferito era immaginare come sarebbe stata la nostra vita nel mondo magico. Niente più metropolitana, né mestieri, né compiti di matematica. Ma poi è arrivato il giorno del nostro undicesimo compleanno...»
Fu semplice per Lydia capire cosa fosse successo. «Solo tu hai ricevuto la lettera.»
Lance annuì. «Caitlin non me l’ha mai perdonato.»
«Non è stata colpa tua.» si sentì in dovere di aggiungere Lydia.
«Lo so… ma a volte mi chiedo cosa sarebbe successo se fosse stata Caitlin a ricevere la lettera.» Casa O’Brien comparve tra le fronde degli alberi. «A volte vorrei fosse andata diversamente. Forse sarebbe stata una vita più semplice.»
«Rinunceresti davvero alla tua magia? Alle pozioni, ai ricordi di Hogwarts?»
Lance guardò il palazzo pensieroso. «Quando passi anni a sentirti dire che la magia ha sbagliato a scegliere te, dopo un po’ inizi a crederci.»
Continuarono a camminare in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Immagini di vite diverse, esistenze normali, senza guerre magiche o discriminazioni, senza persone che li odiavano per essere quello che erano.
«Mia zia pensa che io sia un mostro.» Lydia parlò prima di pensare. Il cancello si trovava a pochi passi da loro ma i due si fermarono. Lance la guardava, senza aprire bocca, sembrava volerla incoraggiare a dire di più, e per una volta Lydia lo accontentò. Fissando un’aiuola del giardino disse «Ha scoperto che sono una strega. Ho provato a parlarle ma lei… lei non ha capito.» O forse aveva capito fin troppo. «Dopo averlo scoperto mi ha detto chiaramente che per lei ero un mostro e di star lontana dalla sua famiglia.» Lydia sbatteva velocemente le palpebre per scacciare le lacrime. «Mi ha detto che avrei fatto un piacere a tutti se me ne fossi andata. E così l’ho fatto e non l’ho più rivista.» Fino a quel giorno a casa di sua nonna. Era scappata prima che sua zia potesse parlarle. Chissà cosa sarebbe successo se fossero state costrette a vivere sotto lo stesso tetto. Ma sua zia sapeva che Lydia si sarebbe trasferita lì, quindi magari era riuscita a perdonarla. Oppure voleva proteggere la nonna da lei. Lydia afferrò il cancello e lo spalancò.
«Noi non siamo mostri.» sussurrò Lance alle sue spalle.
Lydia si fermò. «Come fai ad esserne così sicuro?»
«Anche Caitlin mi ha detto la stessa cosa. Che ero un mostro, che le avevo rubato i poteri e che non li meritavo. Ma ho visto i veri mostri, Lydia, li hai visti anche tu. I mostri sono le persone che non accettano chi è diverso da loro. Chi li disprezza e li odia solo perché sono differenti. Tu-Sai-Chi, i Mangiamorte, ma non è anche quello che fanno Caitlin e tua zia? Disprezzarci solo perché siamo diversi da come vorrebbero loro?»
«Sono cose diverse…»
Lance tirò un calcio ad un sassolino. «Questo lo so. Non li metto sullo stesso piano, ma la base è sempre quella. Pensi che i Mangiamorte siano degli assassini psicopatici sin da bambini? O il loro cammino è iniziato proprio con l’odio e il disprezzo verso le persone dissimili da loro? Ha ragione Duncan, il male si presenta in molte forme.»
«Non è da te parlare così.»
Lance si riscosse. «Duncan è ancora in giro a cercarla, vado ad avvisarlo.» Si strinse nella felpa e voltò le spalle al cancello.
«Lance, non intendevo…»
«Vado.» la interruppe Lance «Ci vediamo dopo.»
«Lance!» provò a chiamarlo di nuovo Lydia. Ma era troppo tardi, Lance era già lontano.
 
 

 

Forward
Sign in to leave a review.