Piume di Cenere

Harry Potter - J. K. Rowling
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Piume di Cenere
Summary
Il Ministero è caduto, le lettere di convocazione al Censimento per i Nati Babbani sono state inviate e quando Lydia Merlin riceve la sua, sa che è arrivato il momento di nascondersi. Ma una lezione che ha imparato durante i sette anni ad Hogwarts è che i suoi piani non vanno mai come dovrebbero.Un incontro fortuito con un ex compagno di scuola ed un bambino troppo chiacchierone le ricorderanno che la fuga non è un’opzione, e che in un mondo magico che ha dimenticato cosa sia l’umanità e la pietà, c’è ancora qualcosa per cui vale la pena combattere.Una storia di sopravvivenza, ingiustizia e dei mostri che si annidano nei luoghi più oscuri.Dall'Epilogo:«Corri!»Lydia sapeva che era arrivata la loro fine.Nulla li avrebbe salvati.Sfrecciò in mezzo ad un gruppetto di anziane signore, che reagirono lanciandole imprecazioni che mal si addicevano a delle così adorabili nonnine.«Scusate, scusate!»E ovviamente Lance perse tempo a cercare di farsi perdonare piuttosto che correre per salvarsi la vita.
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Capitolo 14 - Il giovane mago e il suo Patronus

Capitolo 14
Il giovane mago e il suo Patronus

 

Come aveva fatto a trovarsi in quella situazione?
Lydia non riusciva proprio a comprenderlo.
Solo venti minuti prima se ne stava tranquilla nella sua camera… come avevano fatto a convincerla?
«Lydia! Ci leggi una favola?»
No, non riusciva proprio a capire.
 
Era una tranquilla serata di inizio novembre, una settimana esatta dalla lettera di Paul e la conseguente scampagnata a Diagon Alley. Lydia e Lance, ancora increduli del fatto che nessuno oltre a Caitlin avesse scoperto della loro piccola avventura, avevano deciso di comune accordo di non fare più parola di quanto era accaduto, per paura che la loro fortuna si esaurisse e i signori O’Brien o Duncan scoprissero tutto.
Era una sera normale che Lydia stava trascorrendo chiusa nella sua camera, leggendo un libro prestatole da Katherine. Era stato un leggero languorino a farle lasciare quello spazio sicuro per avventurarsi al piano di sotto.
«Tutto bene?» le chiese il signor O’Brien appena la vide comparire sulla soglia della cucina, il libro ancora stretto tra le mani, l’indice chiuso tra le pagine per tenere il segno.
«Solo un po’ di fame.»
Il signor O’Brien le rivolse un sorriso. «Allora ho quello che fa per te.» Solo in quel momento Lydia si accorse che l’uomo stava mischiando qualcosa in un padellino. Si avvicinò di alcuni passi e il profumino non le lasciò dubbi.
«Cioccolata!» esclamò sognante.
«Direi che la meritiamo, non credi?»
La cioccolata era completamente bandita alla presenza dei bambini e concessa solamente quando questi andavano a dormire, per Lydia fu impossibile dire di no.
E così, cinque minuti dopo, si trovò sdraiata su una poltrona del salotto, il libro appoggiato sulle ginocchia e una tazza di cioccolata bollente stretta tra le mani. Finalmente regnava il silenzio, evenienza alquanto rara nelle altre ore della giornata. Lei leggeva il suo libro, il signor O’Brien il giornale che Duncan aveva recuperato quella mattina e la signora O’Brien stava finendo di decorare la torta che avrebbero utilizzato il giorno successivo per festeggiare il compleanno di una delle bambine (anche se Lydia non riusciva a ricordare quale delle tante).
Un momento così perfetto non poteva durare a lungo in casa O’Brien.
E infatti la fine della tranquillità e l’inizio di quell’incubo ad occhi aperti si era presentato nella forma di una Caitlin barcollante e con un orribile mal di testa. «Mi sta venendo l’influenza... Lydia, potresti mettere tu a letto i bambini?»
Lydia aveva strabuzzato gli occhi. «Neanche per idea.» fu la naturale risposta.
«Ma sto male.» si lamentò Caitlin.
«Non mi sembri così moribonda.»
«Mi fa male la testa.»
«Devi solo aspettare che si addormentino.»
«E mi sta venendo la tosse.»
«Non ti ho mai sentita tossire.»
Un attimo di silenzio e poi… «Cough cough.»
Lydia spalancò la bocca. «Era una tosse falsa! L’avete sentita tutti che era una tosse falsa, vero?» chiese sbalordita.
Il signor O’Brien sollevò il giornale per nascondersi, la moglie invece non alzò la testa dalla torta, limitandosi ad annuire distrattamente. «In effetti Lizzie e Tristan non sono stati bene ieri, magari l’hai presa da loro.»
I signori O’Brien non avevano ancora rivolto uno sguardo verso loro figlia, ma Lydia si accorse benissimo del sorrisetto di trionfo che comparve sulle labbra di Caitlin, e stava appunto per farlo notare anche ai genitori della ragazza quando questa si sedette sul bracciolo della sua poltrona e le strappò la tazza di cioccolata dalle mani, sporgendosi verso di lei e sussurrandole: «Mi devi un favore. Oppure potrebbe sfuggirmi un commento su quanto sia bella Diagon Alley in questo periodo dell’anno.»
Lydia cercò di darle una gomitata ma Caitlin si rialzò e andò a sedersi di corsa vicino al padre, portando con sé la preziosa tazza di cioccolata. Il signor O’Brien piegò l’angolo del giornale per riuscire a vedere Lydia. «Non sei costretta a farlo.» disse sinceramente.
«E infatti non lo farò.» sbuffò Lydia riabbassando lo sguardo verso il suo libro. Ecco, aveva perso il segno.
La voce di Caitlin risuonò con un tono esageratamente innocente. «Sai papà, dovresti proprio chiedere a Lydia e Lance…»
Lydia scattò in piedi, spaventando sia Caitlin che i signori O’Brien.
«Stai bene?» chiese la signora O’Brien.
Lydia annuì, ma la sconfitta le bruciava. «Ho deciso di andare a far addormentare i bambini.» Pronunciò quelle parole come se stesse leggendo la propria sentenza di morte.
Ma la signora O’Brien non si accorse del tono, solo del contenuto, e i suoi occhi brillarono. «Oh, ma davvero Lydia? Grazie, grazie mille. Per tutti i troll, lo sapevo che prima o poi ti saresti affezionata a quei piccoli terremoti.»
Lydia si limitò ad annuire, intenta a comunicare con lo sguardo a Caitlin di non osare dire neppure una parola. Per sottolineare il messaggio le lanciò il libro in grembo mentre la superava per andare verso le scale. Iniziò a risalirle sbattendo i piedi, quando il signor O’Brien prese di nuovo la parola. «Cosa dovrei chiedere a Lydia e Lance?»
Lydia si immobilizzò, un piede sospeso nell’aria, il respiro mozzato.
Caitlin rispose con lo stesso tono di voce di prima, caratterizzato da un’innocenza che non le apparteneva. «Solo di comprarti un giornale nuovo, questo è vecchio di due settimane.»
Lydia sospirò di sollievo e poi si diresse verso la sua condanna.
 
Quando raggiunse il terzo piano si rese conto che era la prima volta che si avventurava in quello spazio con la consapevolezza che i bambini si trovavano proprio lì incustoditi. Di solito aspettava che uscissero a giocare prima di raggiungerlo per fare le pulizie, e anche in quel caso si intratteneva il meno possibile per evitare di imbattersi in qualche bimbo disperso. Ora invece si trovava lì di sua spontanea volontà (minacce a parte) ad osservare le porte che la dividevano dai bambini, sperando ardentemente che si fossero già tutti addormentati da soli e lei potesse tornare così al rifugio della sua camera.
E per sua fortuna nella camera delle bambine andò proprio in quel modo; molte di loro erano già addormentate, le altre si limitarono a reclamare un bacio della buonanotte e, stanche dopo un giorno intero di giochi e studio, si addormentarono tutte entro dieci minuti. Questo contribuì enormemente a risollevare il morale di Lydia e farle prendere una sicurezza che non pensava possibile.
In fondo se per quel gruppo era andato tutto così liscio non sarebbe stato difficile far addormentare anche gli altri bambini.
Le sue illusioni si infransero nello stesso momento in cui aprì la porta del dormitorio maschile.
Una scena da film horror si spalancò davanti ai suoi occhi. I bambini erano in piedi sui letti, saltavano, urlavano e si tiravano addosso i cuscini; uno era nascosto sotto il letto, altri due erano impegnati a strapparsi i capelli e gli ultimi erano intenti in una gara di corsa. Lydia richiuse la porta con uno scatto, il silenzio calò di nuovo sul corridoio.
«No.» disse semplicemente. E poi si avviò verso le scale e le ridiscese. «No, no, no, no, no.» continuò a ripetere ad ogni gradino, arrivando infine al piano terra dove Caitlin esclamò un «Ho vinto!» vedendola arrivare e reclamò una banconota da venti sterline dal padre. Ma Lydia non si fermò e proseguì il suo viaggio verso la scaletta che portava al seminterrato o, più precisamente, alla stanzetta mal illuminata e completamente invasa da fumi e vapori. «No, no, no.» Afferrò il povero Lance, il quale fece appena in tempo a lanciare un incantesimo di stasi verso i suoi calderoni prima di essere trascinato su per le scale senza capire cosa stesse succedendo. Ripassarono davanti a Caitlin e i signori O’Brien, e questa volta fu la signora O’Brien a reclamare una banconota da venti sterline sia da parte del marito sia della figlia, e risalirono le scale fino al terzo piano.
Lance doveva aver capito che cosa stava succedendo. «Perché!?» chiese disperato entrando nella stanza dei bambini.
«Perché se proprio devo sopportare tutto questo» con un ampio gesto delle braccia indicò il caos che stava avvenendo attorno a loro «Qualcun altro deve farlo con me.»
«Non potevi chiamare Katherine? Sarebbe contentissima di aiutarti, anzi, ora vado ad avvertirla.»
Ma Lydia non lo lasciò uscire dalla stanza e lo fece usando il metodo più subdolo. «Henry, guarda chi è venuto a darti la buonanotte.»
E così Lance si trovò bloccato nella stanza con lei e con una decina di bambini completamente esagitati. Scoprirono che Simon aveva trovato il cassetto delle scorte di cioccolata di Duncan ed aveva scatenato così il delirio a cui stavano assistendo. Alla domanda su come lo avesse scoperto, Simon si limitò a rispondere: «Ho visto Caitlin che ne prendeva un pezzo.» Ma Caitlin non si sarebbe mai fatta vedere da nessuno a rubare un pezzo di cioccolata; non avrebbe mai condiviso un segreto del genere senza un secondo fine.
«Te l’ho già detto che non sopporto tua sorella?» chiese Lydia prendendo di peso Daniel e costringendolo a mettersi sotto le coperte.
«Condivido il sentimento.» rispose Lance, intento ad aiutare Mike Spencer (‘capelli castani, naso a punta e denti davanti giganti’) a scendere dall’armadio e tornare nella direzione giusta.
Dopo settimane di convivenza, Lydia si era trovata costretta ad imparare i nomi dei bambini, che però ai suoi occhi risultavano tutti uguali (tranne Henry, Simon e Daniel, gli unici che riconosceva all’istante senza alcun problema) e per poterli distinguere tra loro aveva attuato un metodo di classificazione ben preciso. Collegava il nome del bambino ad una serie di loro caratteristiche particolari e così Mike Spencer era appunto il bambino dai ‘capelli castani, naso a punta e denti davanti giganti’, oppure Ewart Parker era ‘riccioli d’oro, ciabatte rosse’, e così via. 
Lydia si trovò a costringere Matthew Riley (‘occhiali blu, con la disgustosa abitudine di scaccolarsi in ogni momento della giornata’) a smettere di tirare i capelli a Lucas Khan (‘cresta, braccialetto nero’) e allo stesso tempo convincere gli altri che era arrivato il momento di dormire. Fu un’ardua impresa, decorata da diversi urli, strilli e minacce di teste di orsetti mozzate, ma alla fine tutti i bambini si trovavano nel proprio letto.
Rimaneva solo un piccolo problema: nessuno di loro aveva la minima intenzione di addormentarsi. E fu in quel momento che Henry pose la fatidica domanda che venne accolta a gran voce dai suoi compagni e che rovinò del tutto la serata di Lydia.
 
«Ci leggi una favola?»
 
Una favola? Quale favola? Lei non era capace di raccontare favole!
Rivolse uno sguardo supplichevole a Lance, stravaccato sopra una seggiolina, provato dall’ardua impresa appena compiuta. Eppure comprese il panico di Lydia e con uno sbuffo e uno scricchiolio, si rialzò. «Aspetta qui.» disse uscendo dalla stanza e scomparendo dalla loro vista per diversi minuti, durante i quali Lydia si autoconvinse che in realtà si era trattato solo di un piano geniale da parte dell’amico per dileguarsi nel nulla e tornare nel suo laboratorio. Anche i bambini avevano poca pazienza e tempo un minuto le loro voci si alzarono inesorabilmente provocando in Lydia un panico sempre maggiore. Ecco, era stata abbandonata da Lance. E ora cosa doveva fare? Dichiarare la sconfitta e chiedere aiuto ai signori O’Brien? No, quello mai, oppure Duncan e Caitlin non avrebbero smesso di tormentarla per quella storia. Forse poteva Schiantare tutti i bambini, in fondo nessuno sarebbe venuto a saperlo, no? E non avrebbe avuto conseguenze troppo gravi sui loro cervelli ancora in sviluppo, vero? O magari del tranquillizzante, Lance doveva averne una boccetta nel suo laboratorio. Per fortuna non dovette mettere in pratica nessuno di quei folli piani, Lance tornò e Lydia non sapeva se abbracciarlo per la gioia di rivederlo o trasformarlo in un tasso per averci impiegato così tanto.
Nell’indecisione decise di rimanere immobile, seduta sulla sedia minuscola dei bambini. Lance le si avvicinò e le porse un libricino con la copertina praticamente distrutta e le pagine ingiallite per l’età, poi prese un'altra sediolina e si sedette accanto a lei.
«Le fiabe di Beda il Bardo?» chiese Lydia scettica, leggendo quel poco che si intravedeva sulla copertina.
«È un libro di fiabe magiche. Me l'ha regalato mio papà quando avevo cinque anni, Appartiene alla nostra famiglia da generazioni.» rispose Lance con orgoglio.
«E come mai sulla copertina è disegnato un teschio se è un libro per bambini?»
Lance non rispose. Non significava nulla di buono.
Lydia aprì il libro ad una pagina a caso, più o meno a metà e l’immagine che si trovò davanti la fece rabbrividire di disgusto. Un uomo, con la testa sul grembo di una donna, entrambi con uno squarcio al posto del cuore. Lydia richiuse il libro di scatto. «Hai sbagliato libro.» sentenziò cercando di togliersi dalla testa l'immagine che aveva appena visto; era solo un disegno, ma che orrore!
«No, è quello giusto.» Lance alzò le spalle, per niente colpito dall'immagine.
Ma Lydia era abbastanza sicura che non potesse assolutamente trattarsi di un libro per bambini, e decisa a dimostrarlo anche a Lance, prese il coraggio di riaprirlo. Lo toccò solo con le punta delle dita, trattandolo come se fosse il Libro Mostro dei mostri che Hagrid li aveva costretti a comprare durante il loro sesto anno. Arrivò all’indice che si trovava proprio tra le prime pagine. «Lo stregone dal cuore peloso?» si voltò verso Lance, sperando che questa volta potesse spiegarle il motivo di un titolo del genere su un libro di fiabe.
«È da quella che è tratta l’immagine che hai visto prima!» Il sorriso nostalgico di Lance era sin troppo sincero. Ricordava quella storia e gli piaceva.
«Allora non la leggiamo.» Non aveva intenzione di far venire gli incubi a quei bambini, poi sarebbe toccato a lei sorbirsi i loro pianti. Fece scorrere il dito sui vari titoli sino ad arrivare all’ultimo della lista. «La storia dei tre fratelli. Dal titolo sembra quella più normale.» Sfogliò il libro sino a raggiungere il numero di pagina indicata nell’indice, ma bastò una sola occhiata per farle capire che non avrebbe letto mai e poi mai neppure quella. Un teschio e una bacchetta erano rappresentati sopra il titolo. «Ma insomma!» sbottò contrariata.
«Che c’è? È stupenda!»
«È la mia preferita.» Henry sbadigliò dal suo lettino e affondò la testa nel cuscino. «Parla della Morte e di tre fratelli che devono attraversare un fiume.» incominciò a raccontare il bambino, con gli occhi chiusi dalla stanchezza.
«Non voglio saperlo, grazie.» lo zittì Lydia. «Come è possibile che sia concesso leggere storie del genere a dei bambini?» Lance pareva particolarmente divertito dalla reazione di Lydia, cosa che fece imbestialire maggiormente la ragazza. «Inizio a capire perché la maggior parte dei Purosangue sono degli psicopatici assassini... Se da bambini leggevano queste storie non bisogna stupirsi.» disse Lydia disgustata, chiudendo definitivamente il libro, con l’intenzione di non aprirlo mai più in vita sua. «Non lo leggerei mai ai miei figli!» consegnò il libro a Lance, felice di esserselo tolto dalla vista.
«Anche io ho letto queste storie da bambino e sono normalissimo!» Lydia rispose con uno sguardo scettico. «Quasi normale.» concesse Lance. «Non che le fiabe babbane siano migliori... Hai mai letto il vero finale della Sirenetta?»
«Ma noi abbiamo i cartoni animati che le sistemano!»
Lance le sfilò il libro dalle mani e lo sfogliò delicatamente. «Comunque ci sono altre storie meno macabre, La fonte della Buona Sorte era una delle mie preferite.»
«Fammi indovinare, annegano qualcuno in un pozzo? Il fatto è che non ho intenzione di leggerle, piuttosto mi invento qualcosa.» e si rivolse di nuovo ai bambini «Quale storia volete sentire?» Nessuno rispose. Scoprirono così che durante il loro battibecco i bambini erano crollati addormentati uno dopo l’altro; era bastato loro appoggiare la testa al cuscino per far emergere la stanchezza della giornata. Il sollievo invase Lydia, in fondo non era stato così difficile.
Fece un cenno a Lance in direzione della porta e i due vi si diressero in punta di piedi.
«Dove andate?» chiese una vocina proveniente da uno dei lettini. Gli occhi e il nasino di Henry sbucavano dalle coperte.
E il sogno di Lydia di poter tornare in camera sua evaporò all’istante. «Devi dormire adesso.»
«Ma ci avete promesso una storia!»
«Tutti gli altri stanno dormendo.»
«Ma io no!»
E come si poteva discutere con questo? Lydia e Lance si scambiarono un’occhiata e tornarono verso il lettino di Henry, sedendosi uno alla sua destra e l’altra alla sua sinistra. Lance cercò di riconsegnarle il libro di fiabe. «Assolutamente no.» rispose Lydia. «Non hai qualche altro asso nella manica?»
Lance appoggiò il libro sul comodino di Henry, accanto ad alcuni pacchetti di figurine mezzi stracciati ed un bicchiere d’acqua. «Ci sarebbe una storia che mi raccontava sempre papà. Era la mia preferita.»
Lydia spostò Henry con alcuni colpetti e si sdraiò al suo fianco. «Siamo pronti, vero Henry?»
Il bambino annuì energicamente. Lance sorrise e allungò le gambe sull’angolino di letto che gli era rimasto, appoggiando la testa alla spalliera. «Allora ve la racconto proprio come me la raccontava papà.» Si schiarì la voce ed iniziò a narrare.
C’era una volta in un regno lontano, un piccolo villaggio circondato da alte montagne e condannato all’inverno eterno. I monti che accerchiavano il piccolo paese erano gremiti di Dissennatori, talmente tanti che gli abitanti erano costretti a vivere giorno e notte con i loro Patronus, per tenere lontani i mostri. La gente del villaggio era bruta, sempre scorbutica e costantemente infelice. Le feste erano bandite, le risate una condanna e il valore dei maghi e delle streghe veniva definito dalla potenza dei loro Patronus. Solo i maghi che riuscivano ad invocare un Patronus potente potevano rimanere al villaggio, gli altri erano condannati all’esilio e a perdere la propria anima.
Il capo del villaggio era il mago più bruto di tutti, il suo Patronus a forma di drago era capace di allontanare centinaia di Dissennatori in un colpo solo, e per questo aveva immense aspettative nei confronti del suo unico figlio. Tutti nel villaggio confidavano che il figlio avesse ereditato dal padre la sua immensa magia ed essere così un degno successore.
Per questo motivo, il giorno del compimento dei suoi 16 anni, ricorrenza in cui i giovani maghi e streghe del villaggio dovevano dimostrare il loro Patronus, fu organizzato un banchetto celebrativo da fare invidia a un re (e la cosa più vicina ad una festa che fosse permessa). Fuochi stregati illuminavano a giorno le strade, bandiere sventolavano alle finestre rotte, e l’intero villaggio si presentò alla cerimonia, scommettendo sulla forma che avrebbe assunto l’incantesimo del giovane. Quando giunse il momento tanto atteso, tutti si fermarono ad osservare quel piccolo ragazzo, i Patronus smisero di svolazzare e sembrò quasi che anche i Dissennatori osservassero la scena da lontano. Il giovane pronunciò il sortilegio, tutti trattennero il fiato pronti a grandi meraviglie e dalla bacchetta spuntò… una formica!
Era talmente piccola che molti abitanti non capirono cosa fosse successo. Ma il capo, che si trovava in prima fila, vide bene il minuscolo Patronus che zampettava lentamente nell’aria e divenne rosso dalla rabbia, le sue orecchie iniziarono a fumare mentre delle scintille esplodevano dalla sua bacchetta, incendiando le barbe dei vicini.
«ESILIO!» tuonò all’istante. Il giovane tentò di far ragionare il padre, ma il capo non volle sentire ragioni. «Sei bandito per il resto dei tuoi giorni. Se tornerai sarai condannato a morte!» e si voltò, ignorando completamente il proprio figlio.
Il giovane, con una tristezza inconsolabile, preparò un piccolo bagaglio e abbandonò il villaggio, accompagnato solo dalla sua piccola formica. Fu per miracolo che riuscì ad attraversare le montagne che separavano il suo villaggio natio dal resto del mondo; qualcuno narra che la sua tristezza era talmente profonda che persino i Dissennatori si rifiutarono di cibarsi di essa.
E così il giovane, senza più un villaggio dove tornare, iniziò a girare il mondo, il suo Patronus sempre al suo fianco, per cercare un nuovo luogo da poter chiamare casa.
Passarono i mesi e visitò molti paesi, ma in nessuno di essi si sentì a casa. Prese una barca che lo portò su isole sperdute, senza trovare un rifugio neppure in esse. Si spinse oltre, fino a raggiungere altri continenti, ma anche lì non riuscì a trovare la sua felicità.
Dopo anni di ricerche, aveva ormai perso le speranze. Aveva visto luoghi incredibili e meravigliosi, conosciuto culture straordinarie, ma provava ancora una voragine nel cuore.
Fu per caso che si fermò in una vecchia locanda a sud del mondo e fu ancora per caso, o qualcuno dice per Destino, che vide una giovane strega invocare il suo Patronus: una semplice formica. Il giovane fece amicizia con la strega, e scoprì così che anche lei era sola al mondo e alla ricerca di un luogo da chiamare casa. Così i due decisero di proseguire il loro viaggio insieme, le loro due formiche sempre al loro fianco.
Vedendoli passare, qualcuno rideva di loro, altri provavano pietà, fino a quando, in una notte tempestosa nella giungla, incontrarono un uomo che li fermò e con un colpo di bacchetta rivelò il suo Patronus, anche esso a forma di formica. Così anche l’uomo si unì alla loro ricerca.
Proseguirono per le strade del mondo e in ogni luogo che visitavano, altri maghi e streghe si univano a loro. Provenivano tutti da etnie diverse, con differenti culture, lingue e colori della pelle, ma avevano tutti, nessuno escluso, due caratteristiche in comune: un Patronus formica ed erano alla ricerca di un luogo che potesse essere la loro casa.
E man mano che il gruppo cresceva, coloro che li vedevano passare non ridevano più nel vedere quella folla di gente e le loro innumerevoli e splendenti formiche ad illuminarli la via.
Continuarono a percorrere le strade del mondo fino a quando raggiunsero la fine del loro viaggio. Quella sera, il giovane si sedette sconsolato al confine del mondo. Aveva visitato tutti i paesi della terra e non aveva trovato nessun luogo da chiamare casa.
«Basta.» disse con tristezza. «Il mio viaggio è finito. Torno al mio villaggio, preferisco morire nella mia vecchia casa piuttosto che essere condannato a vivere in terre sconosciute.»
La giovane strega che per prima si era unita al suo viaggio, si mise al suo fianco. «Io vengo con te.» disse.
«Anche io.» disse l’uomo partito dalla giungla.
E uno alla volta, tutti i maghi e le streghe della compagnia e le loro formiche decisero di accompagnare il giovane alla sua casa e alla sua condanna a morte. Quella sera il giovane provò per la prima volta quel sentimento che viene chiamato felicità.
E così la compagnia di maghi, streghe e formiche si rimise in cammino dai confini del mondo. Questa volta i lunghi anni di viaggio furono ricchi di canti, balli e risate, per allietare l’ultimo viaggio del loro più caro amico. Il giovane scoprì così il suono delle risate, le allegrie delle feste e la gioia di stare insieme, e fu proprio ridendo e ballando che infine affrontarono le montagne che li dividevano dal suo villaggio. I loro Patronus formica brillavano luminosi della loro gioia, rischiarando le tenebre a giorno. Gli abitanti del villaggio intanto, furono risvegliati dal suono sconosciuto dei canti che si avvicinavano e corsero sulle strade ad assistere a quello strano corteo. Tutti riconobbero il figlio del capo che guidava il gruppo e qualcuno fu tanto coraggioso da andare a riferirlo al capo stesso. Appena sentita la notizia, il capo corse in piazza in camicia da notte.
«E così hai scelto morte!» sbraitò appena vide il figlio, ma nessuno lo ascoltò. Perché quando l’allegra compagnia arrivò al centro del villaggio, avvenne una cosa molto strana. I Patronus formiche svolazzarono nell’aria sopra i loro maghi e danzando tutti insieme, provocarono delle esplosioni di Luce azzurra che si diffusero nel cielo e nelle montagne circostanti. I Dissennatori tentarono di combattere la Luce ma questa era troppo potente e, con urla disperate, le migliaia di Dissennatori che avevano infestato quei luoghi per secoli, vennero colpiti dalla Luce e disintegrati all’istante. La neve smise di scendere e l’alba portò con sé un sole caldo che sciolse l’eterno inverno.
Il giovane, incurante delle meraviglie che stavano accadendo, si inginocchiò davanti al padre. «Sono pronto a ricevere la mia condanna.»
I canti e le risate erano terminati, il silenzio accompagnava la nascita della Primavera. Il capo guardava interdetto il figlio, incapace di comprendere cosa fosse successo. Fu il figlio stesso a spiegarglielo. «Avevate ragione. Il mio Patronus da solo non era in grado di sconfiggere i mostri. Ognuno di noi» disse indicando il suo gruppo di viandanti «da solo non aveva forza a sufficienza per combattere l’oscurità, ma tutti insieme siamo diventati forti e abbiamo imparato a sconfiggere la tristezza. Ora però sono pronto a scontare la pena per il mio ritorno con la mia stessa vita.»
Il capo, che era sempre stato un uomo bruto e inflessibile, si preparò a colpire il suo stesso figlio. Nel silenzio sollevò la bacchetta, cominciò a formulare l’incantesimo della Morte, finché… una risata risuonò nel silenzio.
Un bambino del villaggio stava ridendo vedendo i fiori comparire sotto la neve che si scioglieva. E poi un altro bimbo cominciò a ridere di felicità, e un alto e un altro ancora. Poi fu il turno degli adulti. Le loro risate erano lente e gracchianti, era la prima volta che ridevano in tutta la loro vita e non sapevano come si faceva.
E il villaggio fu inondato per la prima volta da risate e felicità. Sempre ridendo, gli abitanti del villaggio si avvicinarono al giovane e lo sollevarono sulle loro spalle, portandolo al centro della piazza dove fu proclamato come nuovo capo.
La giovane strega si avvicinò e il giovane mago le chiese perché quella sera ai confini del mondo avesse scelto di seguirlo.
«Perché è da tempo che ho capito che la mia nuova casa sei tu.» E il giovane si accorse che anche lui aveva provato lo stesso sentimento quella sera di tanto tempo prima e aveva confuso quella sensazione mai provata prima per felicità quando in realtà era amore. Tutti loro avevano già trovato da tempo la loro casa e per questo il viaggio di ritorno era stato pieno di gioia, canti e balli. Finché sarebbero rimasti insieme, sarebbero stati felici.
Il giovane regnò a lungo con la sua sposa. Il loro regno fu il più felice di tutti i tempi e nessun Dissennatore osò mai più avvicinarsi al villaggio e al suo esercito di formiche. 
La voce di Lance si spense nel silenzio della stanza.
Lydia rimase sdraiata immobile per diversi secondi, il racconto di Lance aveva creato un’atmosfera magica e aveva paura che una sola parola potesse rompere quella piccola bolla di tranquillità in cui si trovavano. Un lieve russare si alzò dal suo fianco, Henry doveva essersi addormentato già da diverso tempo, ma Lydia era stata talmente immersa nel racconto da non essersene accorta. Lance fu il primo ad alzarsi e a rimboccare le coperte di Henry, con un sorriso che ancora gli incurvava le labbra.
Il pensiero di tornare nella sua camera a leggere da sola come aveva desiderato solo pochi minuti prima, si era smorzato in Lydia. Ora avrebbe voluto invece rimanere lì per sempre. Eppure si costrinse ad alzarsi e, dopo una carezza sui capelli di Henry, seguì Lance in punta di piedi. Uscirono dalla stanza e Lydia chiuse la porta facendo attenzione a non fare troppo rumore.
«Funziona sempre.»
Lydia appoggiò la schiena al muro. «Devo dire che non era così male come favola.»
«Era la mia preferita. Da piccolo chiedevo sempre a papà di raccontarmela, a Caitlin però non piaceva.» Lance si avvicinò al suo fianco, la voce ridotta ad un sussurro. «Diceva che era troppo ‘mielosa’ e scontata, e che i protagonisti erano zucche vuote e senza carattere. Così dovevamo sempre aspettare che lei si addormentasse e poi papà si metteva sul mio lettino e la raccontava solo a me.» raccontò con nostalgia.
«È una bella storia. E forse questa la racconterei ai miei figli.» scherzò Lydia.
La luce della luna filtrava dalle vetrate riempiendo il corridoio con il suo dolce chiarore. Le sembrava ancora di essere nella storia, in quel mondo magico in cui le persone erano più forti se stavano insieme e potevano così combattere i loro demoni, un mondo così diverso dal loro. Lydia scosse la testa, era un momento troppo tranquillo per rovinarlo con i suoi soliti pensieri deprimenti.
«Comunque grazie… per avermi aiutata.»
«Te lo dovevo.»
«Non mi dovevi nulla.» rispose sinceramente Lydia. «È solo che non volevo affrontarli da sola… tutto sembra più facile quando siamo insieme.»
Lance picchiettò un dito contro il muro. «Questa sera dovrei raccogliere nell’orto la verbena, la luna è alta e nell’inclinazione giusta… Vuoi venire con me?»
Lydia si staccò dal muro. «Dammi il tempo di prendere la giacca e sono pronta.»
Il sorriso di Lance sembrò illuminare l’intero corridoio. «Allora ti aspetto giù!»
E l’avrebbero fatto. Sarebbero usciti sotto la luce della luna a raccogliere le foglie di verbena se non fosse stato per una minuscola bambina che comparve improvvisamente davanti a loro. Una sola occhiata in direzione della stanza delle bambine ed intravidero tanti altri occhioni intenti a fissarli dalla porta aperta.
«Ci leggi anche a noi una favola?»
Sarebbe stata una lunga serata.
 
 

  

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