Piume di Cenere

Harry Potter - J. K. Rowling
G
Piume di Cenere
Summary
Il Ministero è caduto, le lettere di convocazione al Censimento per i Nati Babbani sono state inviate e quando Lydia Merlin riceve la sua, sa che è arrivato il momento di nascondersi. Ma una lezione che ha imparato durante i sette anni ad Hogwarts è che i suoi piani non vanno mai come dovrebbero.Un incontro fortuito con un ex compagno di scuola ed un bambino troppo chiacchierone le ricorderanno che la fuga non è un’opzione, e che in un mondo magico che ha dimenticato cosa sia l’umanità e la pietà, c’è ancora qualcosa per cui vale la pena combattere.Una storia di sopravvivenza, ingiustizia e dei mostri che si annidano nei luoghi più oscuri.Dall'Epilogo:«Corri!»Lydia sapeva che era arrivata la loro fine.Nulla li avrebbe salvati.Sfrecciò in mezzo ad un gruppetto di anziane signore, che reagirono lanciandole imprecazioni che mal si addicevano a delle così adorabili nonnine.«Scusate, scusate!»E ovviamente Lance perse tempo a cercare di farsi perdonare piuttosto che correre per salvarsi la vita.
All Chapters Forward

Capitolo 13 - Paul Kenston

Capitolo 13
Paul Kenston

 

Hogwarts era esattamente come Lance aveva sempre sognato. Il castello era enorme, la magia pulsava in ogni suo angolo, le sue mura trasudavano storia e mistero.
E Lance pensò per l’ennesima volta a quanto sarebbe stato più bello poter vivere il primo ingresso in Sala Grande con Caitlin al suo fianco. Era più forte di lui, per quanto tentasse in ogni istante di non pensarci, la sensazione che a quel momento meraviglioso mancasse qualcosa era sempre presente. E neanche la presenza della bambina dai capelli rossi, Lydia Merlin, al suo fianco mentre attraversavano le grandi porte per raggiungere il Cappello Parlante, poteva smorzarla del tutto.
Almeno non era solo.
Lydia le aveva presentato una bambina che aveva conosciuto sul treno, una certa Alice, anche lei del primo anno. E si sentì meglio ad ascoltare il canto del Cappello Parlante con loro al suo fianco. Anzi, per un breve istante provò un senso inebriante di felicità e dimenticò l’assenza di Caitlin, semplicemente pieno di gioia per essere arrivato al momento che aveva sempre desiderato da quando aveva memoria. O almeno lo fu fino a metà Smistamento, quando venne chiamata «James, Alice», l’amica di Lydia, e fu Smistata in Grifondoro. Non che ci fosse nulla di male, ma Lance sapeva che non sarebbe finito nella stessa Casa. Non si era mai sentito particolarmente coraggioso, e, ad essere sincero, non gli stavano molto simpatici i Grifondoro che aveva conosciuto fino a quel momento. Aveva sperato che sia lui sia le due bambine appena conosciute potessero essere Smistati nella stessa Casa e poter conservare così la loro neonata amicizia. Beh, si trovò a pensare, magari sarebbe comunque finito nella stessa Casa di Lydia. Sarebbe stato fantastico.
E così riuscì a tranquillizzarsi, mentre la professoressa McGranitt continuava a leggere l’elenco e i bambini del primo anno si sedevano terrorizzati sullo sgabello, in attesa di scoprire a chi sarebbero appartenuti per i successivi sette anni della loro vita.
«Kelsey, Maverick.»
«Corvonero!»
«Kenston, Paul.» Un bambinetto dai capelli neri e con occhialini di plastica si avvicinò tutto tremante allo sgabello. Il Cappello impiegò un minuto intero prima di sentenziare «Tassorosso!»
«Leach, Florence.»
«Serpeverde!»
Le mani di Lance iniziarono a sudare, ormai mancava poco, gli studenti del primo anno ancora in attesa erano sempre meno e presto sarebbe arrivato il suo turno.
«Mallory, Rowan.»
«Corvonero!»
«Merlin, Lydia.» La bambina dai capelli rossi sollevò il mento e si diresse decisa verso il Cappello Parlante. Non sembrava aver paura. Lance incrociò le dita dietro alla schiena, mentre la professoressa McGranitt calava il Cappello sulla testa di Lydia. Appena si poggiò sul suo capo, uno strappo si aprì sulla stoffa e il Cappello Parlante gridò «Grifondoro!»
Lance sentì la terra scomparire sotto i suoi piedi, il cuore un tamburo impazzito nel petto. Non era possibile.
«Moore, Blake.» Eppure era vero, perché mentre il nuovo bambino chiamato si avvicinava allo sgabello, Lydia correva verso Alice ed andava a prendere il suo posto al tavolo dei Grifondoro, accolta da applausi e pacche sulla schiena.
Lance invece si ritrovò di nuovo solo. Fermo in mezzo alla Sala Grande con un’altra manciata di studenti non ancora Smistati. E con una stilettata al cuore, percepì nuovamente l’assenza di Caitlin. Il suo pensiero tornò alle sere in cui i due gemelli fantasticavano sul loro ingresso ad Hogwarts, a Caitlin che giurava che sarebbero stati nella stessa Casa e che nessuno avrebbe potuto dividerli.
«Serpeverde!»
Il ragazzino, Blake Moore, corse verso il tavolo dei Serpeverde, Lance lo inseguì con lo sguardo e, senza volerlo, lo lasciò scorrere sul tavolo, trovando infine Duncan in quella folla. Mentre tutta la tavolata stava accogliendo il nuovo arrivato, Duncan stava guardando Lance, e gli rivolse un cenno che se Lance non avesse conosciuto così bene suo fratello, avrebbe potuto scambiare con un tentativo di incoraggiamento.
«O’Brien, Lance.»
Lance si sentiva come in una bolla. Tutta la scena si muoveva al rallentatore, la Sala intera sembrava cristallizzata nel tempo. Si avviò verso la professoressa McGranitt e il suo destino. Magari essere un Grifondoro non sarebbe stato così male. Forse aveva troppi pregiudizi nei loro confronti, magari si sarebbe trovato bene e così avrebbe potuto continuare ad essere amico di Lydia Merlin.
Quei pensieri gli donarono coraggio e si sedette sullo sgabello con la nuova convinzione di chiedere al Cappello Parlante di poter essere Smistato nella casa dei coraggiosi e degli intrepidi. Ma scoprì che era difficile discutere con il Cappello Parlante, soprattutto se quello aveva le idee ben chiare su quale Casa fosse la più giusta per uno studente. E così Lance non riuscì neanche a formulare un pensiero chiaro che il Cappello Parlante aveva già gridato «Tassorosso!»
Lance rimase attonito, tutti i suoi piani andati in fumo all’istante. E fu solo per un colpetto da parte della professoressa McGranitt che riuscì a risvegliarsi dal suo stupore ed alzarsi dallo sgabello per dirigersi verso la tavolata dei Tassorosso, che applaudivano educatamente il nuovo membro. Si sedette accanto ad un altro studente del primo anno che era stato Smistato prima di lui, e si voltò verso il tavolo dei Grifondoro.
Lydia Merlin lo stava guardando.
I loro sguardi si incrociarono; la bambina dai capelli rossi lo salutò con una mano e un sorriso sulla labbra. Ma erano troppo lontani, e quando gli altri ragazzi si avventarono sul cibo improvvisamente comparso sulle tavolate, Lance la perse di vista. Si voltò tristemente verso il suo piatto vuoto. Aveva davanti a se’ le pietanze più gustose eppure il suo stomaco era chiuso e un senso di nausea lo assaliva.
«Se tu non mangi, questo lo prendo io.» disse il bambino seduto al suo fianco. Aveva il piatto straripante di pudding, le guance gonfie di focaccine e la mano tesa a prendere una coscia di pollo dal vassoio davanti a Lance. Notando lo sguardo di Lance, il bambino deglutì il boccone che aveva in bocca. «Ho dimenticato il pranzo a casa.» spiegò semplicemente prima di avventarsi sulla coscia di pollo.
Lance ridacchiò. «Allora era meglio se ci incontravano sul treno. Mia mamma mi ha riempito la borsa di talmente tanti panini che penso di averne una scorta per un mese.»
«Beh, almeno nel nostro dormitorio avremo qualcosa per lo spuntino di mezzanotte per molto, molto tempo.» rispose l’altro bambino con un sorrisetto. «Comunque sono Paul. Vuoi un po’ di pudding?»
Il sorriso di Lance si allargò. «Ne voglio una padella intera.»
 
Ottobre. La nuova normalità, per quanto comunque fuori dall’ordinario, durò fino ad ottobre.
I giorni scorrevano tranquilli, agitati dai soliti guai quotidiani comuni nelle case abitate da una ventina di bambini e cinque ragazzi, di cui solo una abbastanza responsabile da sopravvivere alla situazione senza dare di matto. Gli altri quattro, invece, se chiusi tra le mura domestiche, mostravano il peggio di loro.
Nessun attacco, nessun Mangiamorte fuori dalle protezioni, nulla.
La relativa tranquillità fu consolidata grazie ad una nuova routine da cui Lydia si teneva ben alla larga. Come organizzato, la seconda settimana di settembre erano iniziate le lezioni per i bambini, divisi tra asilo ed elementari. Era inutile sognare che la situazione si risolvesse presto e per questo la signora O’Brien aveva deciso che era il momento di introdurre la scuola. In questo modo i bambini, una volta tornati alle loro vite, non sarebbero rimasti troppo indietro rispetto ai loro coetanei. Tutta la famiglia era coinvolta nel progetto, anche se Lydia, con il supporto del signor O’Brien, era riuscita a farsi affidare solamente i ruoli di pulizia della casa e mantenersi così il più lontana possibile dai bambini.
Va bene, ammetteva che Henry, Simon e Daniel le stavano leggermente simpatici, in particolare il primo, ma non lo avrebbe mai confessato e in ogni caso era ben contenta di non vederli troppo. Anche la signora O’Brien aveva acconsentito, anche se Lydia sospettava che la sua mancanza di proteste fosse dovuta al fatto che gli effetti della sua colla magica avevano lasciato Simon con le mani che si appiccicavano ad ogni superficie che toccava per un giorno intero.
Katherine e Duncan erano ormai gli unici che avevano il permesso di uscire di casa, soprattutto per fare compere, nonostante le continue proteste di Lydia e Lance, e di Caitlin, ancora infuriata per il fatto che fosse costretta a stare chiusa in casa e così facendo, non avrebbe potuto riprendere a frequentare l’università neppure quel semestre. Quando i genitori le avevano dato la notizia, le sue urla erano risuonate nell’intero edificio, provocando una fuga generale: Lance nel suo laboratorio, Lydia nell’orto mentre Katherine e Duncan avevano organizzato una gita in giardino con tutti i bambini. Dopo quattro giorni chiusa in un imperturbabile silenzio, Caitlin pareva essersi arresa e la situazione sembrava essersi tranquillizzata. In seguito a quell’episodio, la vita tornò regolare per le settimane successive.
Erano ormai staccati dal mondo, in una piccola bolla di quasi felicità in un Paese che sembrava aver dimenticato i periodi spensierati. Stavano bene, erano in salvo e le loro vite sembravano al sicuro. E loro cercavano di godersi questi momenti.
Ovviamente la tranquillità non poteva durare per sempre, qualcosa era in agguato, pronto a distruggere tutte le loro sicurezze e quella piccola serenità che erano riusciti a costruirsi a fatica fino a quel momento.
E quel qualcosa sarebbe stato orribile.
 
 
«88, 89, 90!» Lydia si alzò di scatto, ribaltando il tavolino e le pedine del gioco dell'oca «HO VINTO!»
Lance, con un colpo di bacchetta, sistemò il disastro combinato dalla ragazza e riportò le pedine al loro posto, facendo attenzione a mettere la sua rossa nella casella 30, che tristemente recitava ‘stare fermi due giri’.
«Hai barato.» disse tranquillamente, memore dei pomeriggi piovosi ad Hogwarts, passati in Sala Grande a giocare a quel gioco babbano.
«Concordo.» Caitlin squadrava la sua pedina nera, ancora bloccata alla casella 67 «Non ti sei mai fermata nemmeno per un giro.»
Lydia scrollò le spalle, incapace di far sparire il sorriso dalle labbra «Siete voi ad essere incapaci di perdere.» e si risedette, sprofondando nella poltrona. Posizionò di nuovo la sua pedina fortunata nell'ultima casella.
«Lydia, metà delle volte ti è uscito dodici.» Lance prese i dadi e li lanciò sul tabellone. Questi segnarono due miseri uno «Perché a noi continuano a uscire numeri bassi?»
«È solo sfiga.»
«Te la do io la sfiga.» borbottò Caitlin, meno abituata del fratello alle continue sconfitte. Di solito era lei quella che vinceva praticamente tutte le partite nei giochi da tavolo contro la famiglia, e non voleva assolutamente essere spodestata. E per rimarcare il fatto lanciò una delle sue tipiche occhiate omicide.
Il sorriso di Lydia questa volta non fece fatica a scomparire completamente. «Sai, a volte penso che la Natura non ti abbia dato i poteri magici per non farti diventare la nuova Tu-Sai-Chi.» spostò le tre pedine al punto di partenza e tolse, cercando di non essere notata dai gemelli, l’incantesimo dai dadi.
Preferiva subire una schiacciante sconfitta che essere vittima della vendetta di Caitlin O'Brien.
I primi a lanciare furono Lance e Caitlin, forse per assicurarsi che i dadi non fossero davvero incantati, e furono soddisfatti dei risultati: un otto e un dieci. Lydia sospirò e lanciò a sua volta i dadi sconfortata, sapendo che di solito non riusciva neanche a raggiungere il sei, figurarsi un numero abbastanza accettabile da riuscire a partire in vantaggio.
I dadi ruotarono in un movimento che agli occhi di Lydia parve al rallentatore, finché… Dodici.
«Non ci posso credere!» esclamò Lydia, incredula «Non ci posso credere!» scattò di nuovo in piedi, questa volta senza distruggere niente, e nel farlo alzò gli occhi verso la finestra «Non ci posso credere.»
 
«Sì, abbiamo capito.» Lance prese i dadi e li ruotò nella mano. La reazione di Lydia l’aveva involontariamente smascherata. Aveva fatto un tiro fortunato ma Lance era pronto a prendersi la sua rivincita. Rivolse un sorriso sghembo a Lydia «Ma come mai sei così contenta se prima ti è uscito il dodici almeno tre volte e... Che succede?» Lance fissò senza capire il volto improvvisamente pallido di Lydia. Un minuscolo angolo del suo cervello si stupì per l’ennesima volta di quanto la cicatrice risaltasse sul volto della ragazza ogni volta che impallidiva. «Non ti senti bene?»
 
«Penso di avere le allucinazioni.» disse lei senza distogliere lo sguardo dalla finestra. E lo sguardo era ricambiato. No, doveva avere sicuramente le allucinazioni, aveva mangiato troppe caramelle, questa era l'unica spiegazione possibile. Oppure Lance e Caitlin avevano capito già dalla scorsa partita del suo imbroglio e si erano vendicati dandole una pozione, o nel caso di Caitlin, direttamente un veleno.
Perché non poteva esserci un gufo fuori dalla finestra.
Non era possibile.
«Lydia, le mie preoccupazioni per la tua salute mentale stanno aumentando. Ad una velocità impressionante.» Lance, completamente ignaro dell’intruso presente alla finestra alle sue spalle, tornò a guardare il tabellone. Sapeva che cosa stava tentando di fare Lydia: visto che non poteva stregare i dadi ben stretti nel pugno di Lance, stava provando a distrarre lui e Caitlin per maledire il tabellone. Ne era convinto.
Anche Caitlin doveva aver fatto lo stesso ragionamento perché rivolgeva alla strega lo stesso identico sguardo intimidatorio di prima e si allungò sul tabellone per impedire qualsiasi incantesimo. «Questa volta non ci freghi.» sibilò.
Lydia li ignorò completamente, ancora intenta a fissare la finestra e tentare allo stesso tempo di non sbattere le palpebre, per paura che l’intruso svanisse. «Lance… c'è un gufo.»
Lance scoppiò a ridere «Sì, e magari anche un asino volante. Forza, hai già tentato di fregarci con questo trucco, possiamo tornare a giocare regolarmente?»
Lydia scosse la testa e con più convinzione indicò la finestra «Ti ho detto che c’è un gufo!»
Lance continuò a ridere, aumentando solamente l’irritazione di Lydia, che, per farla finita, appoggiò un ginocchio sul tavolino schiacciando involontariamente la mano di Caitlin, ancora mezza sdraiata sul tabellone, e si lanciò verso Lance. Con una mano si appoggiò alla sua gamba per tenersi in equilibrio mentre con l’altra gli afferrò il mento e lo costrinse a voltarsi a guardare la finestra alle sue spalle.
«Oh. C’è un gufo.» constatò Lance.
«Che intuizione geniale.» commentò Lydia.
«Spostati!» disse nello stesso momento Caitlin, intenta a strattonare la mano nel tentativo di liberarsi, dando delle pacche alla gamba di Lydia per costringerla a spostarsi. Lydia sollevò il ginocchio, senza perdere tempo a chiedere scusa.
Se lo meritava per non averle creduto.
Il gufo intanto era ancora al suo posto. Volava in lontananza, fuori dal cancello, e cercava di superare le barriere senza alcun successo. Si buttava contro la protezione invisibile, il colpo lo rispediva indietro ma lui imperterrito svolazzava un po’ intorno e poi ripartiva all’attacco. Se non altro era un gufo molto determinato.
Lance scattò in piedi e corse alla porta, seguito da Lydia ed una confusa Caitlin, che scuoteva la mano dolorante. «Come è possibile?»
«Dovresti chiamare tuo padre.» propose Lydia, mentre il trio superava a grandi passi il giardino, tenendo gli occhi incollati al gufo che continuava la sua impossibile impresa. Caitlin non la ascoltò, si limitò a superarla e con uno scatto finale fu la prima a raggiungere il cancello. Allungò una mano verso il chiavistello. Lydia balzò e le afferrò il braccio tirandolo indietro. Caitlin cercò di nuovo di scrollarla via. «Ma la smetti di farmi male?»
 «Dobbiamo controllare che non sia una trappola!» disse Lydia stupita dall’incoscienza dell’altra. Lance nel frattempo le aveva raggiunte. «Dobbiamo chiamare vostro padre e… Ma che fai!?» Ormai era troppo tardi, Lydia mollò la presa sul braccio di Caitlin per buttarsi contro il cancello, ma Lance lo aveva già spalancato aprendo così anche uno spiraglio nelle protezioni, permettendo al gufo grigio di entrare e svolazzare bubolando soddisfatto sopra alle loro teste.
Lydia sguainò la bacchetta e la puntò verso il cielo, ma questa volta fu il turno di Caitlin di bloccarle il braccio costringendola ad abbassarlo, con una presa talmente ferrea che si capiva che si stava vendicando. «È di Paul.»
«Paul?» E Lydia si sentì terribilmente in colpa per essersi completamente dimenticata di lui negli ultimi mesi. Ora che ci pensava, non aveva neppure chiesto se stava bene. A sua discolpa, Paul non doveva trovarsi in una situazione spinosa come la loro: la sua famiglia era composta interamente da maghi, non Purosangue ma comunque erano ormai tre o quattro generazioni che i babbani non si presentavano nel suo albero genealogico, o almeno, così le sembrava di ricordare. Inoltre era impossibile immaginare Paul avere dei guai. Era sempre stato un ragazzo tranquillo, costantemente spaventato dal mondo, e da Lydia stessa. Certo, negli ultimi anni di Hogwarts aveva sviluppato un carattere che lo portava a lamentarsi di tutto e di tutti (specialmente di Harry Potter), ma Lydia si era convinta da tempo che fosse solo un atteggiamento usato nel tentativo di nascondere la sua paura e invidia.
«Sa che sono nascosto. Deve trattarsi di un’emergenza se ha mandato il suo gufo.» Lance allungò un braccio e il volatile si posò delicatamente sul suo avambraccio. Arruffò le penne ed allungò una zampetta, rimanendo in equilibrio mentre il ragazzo slegava la lettera arrotolata. Non appena Lance ruppe il sigillo della busta, il gufo spalancò le ali, scompigliando i capelli già disordinati di Lance e, senza aspettare la solita ricompensa, si sollevò in volo, attraversò il cancello rimasto aperto e volò via, allontanandosi velocemente e scomparendo dalla loro vista. Se non fosse stato per la lettera nelle mani di Lance, Lydia avrebbe seriamente continuato a pensare di essere vittima di allucinazioni. Si riscosse dal suo stupore e si gettò sul cancello, chiudendolo e sigillando le protezioni.
Gli occhi di Lance saettavano da una parte all’altra della pergamena ancora lievemente curvata sugli angoli. Lydia si avvicinò.
«Cosa dice?» Lydia e Caitlin cercarono di spiare dalle spalle di Lance ma la scrittura di Paul era proprio come Lydia ricordava: praticamente impossibile da decifrare. «Riesco solo a leggere il tuo nome, il resto è incomprensibile…» sentenziò Lydia con un certo disappunto, soprattutto per il fatto che Lance non sembrava aver voglia di leggere ad alta voce cosa Paul voleva comunicargli con così tanta urgenza. «Questa è un ‘oggetto’ o ‘armadio’?» chiese indicando la prima frase.
«È ‘scritto’.» rispose Caitlin, che, quando si accorse dell’occhiata stupita di Lydia, si limitò ad alzare le spalle e spiegare «Spiavo sempre la loro corrispondenza, sono diventata abbastanza brava da decifrare almeno alcune frasi.»
«E cosa dicono?»
Fu Lance a rispondere. «Che Paul è completamente impazzito.»
 
Cercarono il signor O’Brien in tutta casa per scoprire infine che lui e Duncan erano usciti per delle commissioni e non sarebbero tornati prima di cena.
I tre ringraziarono la signora O’Brien per l’informazione e, senza dirle il reale motivo per cui lo stavano cercando, richiusero la porta dell’aula vuota in cui si erano rifugiati. «Neanche per sogno!» esclamò Caitlin «Non ci pensare nemmeno!»
«Non ho scelta.» rispose grave il fratello. Teneva ancora tra le mani la lettera, ormai mezza distrutta.
Caitlin tentò di strappargliela dalle mani. «Allora vengo anche io.»
Lydia assistette impotente alla lotta tra i due fratelli per il possesso del foglio e dopo averli lasciati fare per qualche secondo, decise che la sua pazienza era al limite «Volete spiegarmi?»
«Lance sta per fare qualcosa di incosciente e come al solito non vuole che vada con lui.» Caitlin riuscì ad afferrare un lembo della lettera, che si strappò.
Lance riprese la parte strappata e aggiustò la pergamena. «Caitlin, vuole solo parlare con me.  E lo sai che non posso farti uscire di casa.» passò il foglio a Lydia, gesto inutile visto che lei, anche facendo attenzione, riusciva a capire solamente alcune parole. «Perchè c'è scritto Dragon oley?
«Diagon Alley! Vuole incontrarlo a Diagon Alley. È da anni che non ci vado ed è da mesi che non vediamo Paul. Vengo anche io, punto e basta.»
«Perché vuole incontrarti a Diagon Alley?»
«Suo fratello gestisce una piccola attività nel centro, molto probabilmente pensa che così daremo meno nell’occhio.»
Lydia faticò a trovarne il senso. «E per non insospettire nessuno ci fa andare lì? A questo punto poteva decidere anche di incontrarci al Ministero!»
«Ci?» chiese Lance, stupito.
«Pensavi che ti avrei lasciato andare da solo? Tu sei pazzo!»
La reazione di Caitlin non si fece attendere. «Lui non andrà da solo, ci vado io!»
«Neanche per sogno.», «Assolutamente no!» risposero in coro Lydia e Lance.
Il viso di Caitlin divenne paonazzo dalla rabbia, prese fiato e posò le mani sui fianchi nella posa più minacciosa che possedeva. «Voi siete pazzi se pensate che vi lascio andare. O mi portate con voi o dico tutto a mamma!» Il silenzio degli altri due fu una risposta sufficiente. «E va bene, l’avete voluto voi!» Detto questo prese la chiave appesa al muro, uscì dall’aula e chiuse la porta a chiave, come se quello potesse fermare i due maghi.
Lydia si voltò verso Lance. «Sei proprio sicuro di voler andarci?»
«Ha scritto che ha bisogno di me...»
«La tua lealtà da Tassorosso sarà la tua rovina.» sospirò Lydia.
«Tu sei corsa a cercare di salvare Alice.»
Lydia lo guardò stupefatta. Da quando era tornata dal Ministero nessuno aveva più nominato Alice. Ma in fondo Lance aveva ragione: Lydia era corsa a cercare di salvare la sua migliore amica e, nonostante i rischi corsi, l’avrebbe rifatto se fosse stato possibile. Sarebbe stato sciocco ma soprattutto ingiusto cercare di dissuadere Lance. «Dobbiamo uscire prima che tua sorella torni con Katherine, o peggio ancora, con tua madre...»
«Ci vado da solo. Non posso farti correre…»
«Non azzardarti neanche a finire quella frase.» lo minacciò Lydia.
Lance la prese in parola e non tentò di ribattere oltre, limitandosi ad aggiungere: «Abbiamo solo un problema.» Lydia, pensando fosse un altro modo per cercare di farla restare a casa, lo ignorò completamente dirigendosi a grandi passi verso la porta. Prima uscivano, maggiori probabilità avevano di riuscire a rientrare senza essere scoperti dai signori O’Brien, o da Duncan o Caitlin, prontissimi a fare le spie ai loro genitori. Ruotò la maniglia ma questa non scattò. Tentò di nuovo facendo maggior leva, ma la porta continuò a stare ostinatamente ferma. «Perché non si apre?»
Lance indicò la porta. «Il problema che ti stavo dicendo. Caitlin e mamma hanno delle chiavi speciali. Sono per queste stanze e per il terzo piano. In caso entrasse un nemico in casa, loro potrebbero usarle per chiudersi dentro insieme ai bambini: si attivano una serie di incantesimi di protezione per la singola stanza. La chiamiamo ‘L’ultima difesa’.»
«E perché non ne sapevo nulla?» tirò un calcio alla porta. Non si mosse nemmeno di un millimetro.
«Perché noi possiamo chiuderci dentro con la magia. Ti va di giocare a tris?» aggiunse facendo comparire davanti a sé un foglio e due matite.
Lydia scosse la testa. «E come si fa ad uscire?»
«Di solito si dovrebbero usare le chiavi appese nella stanza, ma Caitlin le ha prese.»
«Non possiamo uscire dalle finestre?»
«Secondo te siamo così incoscienti da lasciare le finestre senza protezioni?» Lance prese una delle matite «E l’impiccato?»
«Hai davvero intenzione di aspettare? Tuo padre non ci lascerà mai andare, o dovremo portare Duncan con noi!» Lance fece una smorfia al nome di suo fratello e si appoggiò allo schienale della sedia. «Caitlin mi ha già incastrato due volte con lo stesso trucchetto, e non sono riuscito ad uscire in nessun modo, anzi, l’ultima volta ho tirato un calcio talmente forte alla porta da essermi rotto un dito del piede. Per ora ci tocca aspettare. Troveremo il modo di uscire nei prossimi giorni, appena abbasseranno la guardia.» Sembrava arreso. Lydia, al contrario, era intenzionata a finire quella storia il prima possibile. Bussò alla porta, o meglio, tentò di sfondarla con i pugni. «Caitlin abbiamo capito, non andiamo!» si sentirono dei passi nel corridoio «Caitlin! Devo andare in bagno!» continuò a mentire.
Lance scoppiò a ridere. «Devi andare in bagno? Una scusa migliore non la potevi inventare?»
Lydia lo ignorò. «Caitlin, davvero, se ci lasci uscire prendo tutti i tuoi turni di lezione ai bambini per un mese!» I passi si fermarono. Si sentì il rumore della chiave che girava.
«Ha funzionato?» Lance aveva smesso di ridere.
La maniglia si abbassò. «Davvero prendi il suo posto?»
Lydia non se lo aspettava. «Henry? Non dovresti essere al terzo piano?» In realtà era una domanda retorica: Henry lasciava il terzo piano quasi tutti i pomeriggi, di solito in cerca di Lydia o Lance. Sentirli parlare nella stanza doveva averlo attirato. «E come hai fatto ad aprire?»
«Ho girato la chiave.» Caitlin doveva essere stata così sicura di averli intrappolati da averla lasciata nella toppa. «Dove volete andare?» chiese Henry battendo le mani per l’entusiasmo.
«Da un mio amico.» rispose Lance mentre, nello stesso istante, Lydia diceva «Non puoi venire con noi.»
Tra tutti i bambini, Henry era quello che sopportava meno il rimanere chiuso in casa e ogni volta tentava di uscire con loro, cosa che non gli permettevano mai, neppure per andare a fare la spesa. Di sicuro non lo avrebbero portato con loro per andare in uno dei luoghi più pericolosi del Paese. «Devi restare qui, e ti daremo un compito preciso!» Era l’unico modo per tenerlo tranquillo. Ora doveva solo inventare un compito.
A questo ci pensò Lance. «Dovrai tenere occupate mia mamma e Caitlin! Fai in modo che non si avvicinino a quest’aula! E...» li guidò fuori dalla stanza, la richiuse alle loro spalle e tolse la chiave. «Per sicurezza devi tenere nascosta questa chiave. Conosco mia sorella. Se tornasse qui e non sentisse le nostre voci, vorrebbe di sicuro controllare prima di dichiararci fuggitivi. Da piccolo, quando mi arrabbiavo, mi chiudevo in camera e non le rispondevo più. Questo dovrebbe rallentarla.»
«E noi potremmo riuscire a tornare prima che se ne accorgano!» esclamò Lydia. Per la prima volta erano riusciti a creare un piano che avrebbe potuto funzionare. «Dovrai coinvolgere anche qualche tuo amico per riuscire a tenere occupate sia la signora O’Brien che Caitlin e Katherine.» tornò a rivolgersi ad Henry. «Qualcuno di cui ti fidi e che sa mantenere un segreto.»
 
Ci vollero solo cinque minuti per la loro fuga. Henry corse via verso il terzo piano dopo aver nascosto la chiave, pronto a fare la sua parte. Lance andò di soppiatto nel suo laboratorio, dove recuperò due dosi di Pozione Polisucco, mentre Lydia recuperò i vestiti adatti. Al sesto minuto erano fuori dal cancello, le loro sembianze cambiate e pronti a Materializzarsi a Londra.
Il viaggio si rivelò più semplice del previsto. Le vie della città erano quasi deserte e le poche persone che le attraversavano guardavano dritte davanti a loro senza prestare attenzione a nient’altro. La tensione salì appena si avvicinarono al Paiolo Magico. Decisero di usare la stessa tattica dei pedoni della Londra Babbana. Guardare dritti davanti a loro e camminare decisi verso la loro meta. Il metodo funzionò alla perfezione. Riuscirono ad attraversare indenni il locale, nonostante la tentazione di Lydia di guardarsi attorno per osservare quei posti che non vedeva da anni, ma le bastò una fugace occhiata per capire che la compagnia che frequentava il bar in quei tempi non era la stessa degli anni precedenti. Tipi loschi che sembravano usciti direttamente dai suoi incubi sedevano al bancone. Lydia trattenne un brivido fingendo di sistemarsi il colletto del cappotto verde scuro che indossava. Per fortuna avevano scelto di indossare degli abiti consunti che ben si sposavano con la nuova atmosfera che si respirava, o meglio, erano stati fortunati che quelli erano i primi della pila.
«E ora cosa facciamo?» Lydia non sapeva rispondere alla domanda di Lance. Come al solito avevano pensato alla fase iniziale, ma non a come affrontare davvero il problema del dover attraversare metà Diagon Alley senza destare alcun sospetto. Di solito a questo punto, ad Hogwarts, era Alice a cercare di risolvere tutti i problemi, lamentandosi dei comportamenti infantili degli altri due. Ma ora erano soli davanti al muro di mattoni, che prendevano finalmente consapevolezza del rischio enorme che stavano correndo.
«Direi di vedere come è la situazione, magari non è così male come pensiamo.» propose Lance mentre il muro si apriva davanti ai loro occhi.
L’ottimismo di Lance ebbe vita corta.
Il muro si stava ancora muovendo per creare il varco quando scorsero ciò che era diventata la via principale di Diagon Alley. Il cuore di Lydia si strinse a quella visione.
Come poteva essere la stessa via di tanti anni prima? Era proprio quello il luogo in cui si era finalmente accorta che la magia esisteva davvero, in quella via di negozi così bella, colorata e piena di vita. Ricordava ancora l’energia che sprigionava, le stranezze di cui era piena e quel senso di gioia che la avvolgeva ogni volta che vi metteva piede.
Ora era solo desolazione e terrore.
Non c’era altro modo per descriverla. Più della metà dei negozi aveva le vetrine rotte, i locali erano antri scuri e polverosi, tappezzati di fogli di giornali e travi di legno. A terra sporcizia e polvere, e trafficanti che si contendevano con i topi le loro mercanzie.
Il varco si era aperto del tutto e stavano già attirando qualche sguardo indesiderato nel rimanere fermi ad osservare lo sfascio che Diagon Alley era diventata. Era il fantasma di quello che era stato in passato. Ma non c’era tempo per il lutto. Lydia cercò la mano di Lance e cominciò a camminare guardando dritta davanti a lei.
«Gioielli! Gioielli per la bella signorina!» esclamò con voce roca il primo mercante della strada, porgendo verso di loro le mani piene di ninnoli pacchiani.
«Amuleti contro i lupi mannari!» disse una strega curva, sostenuta dal suo bastone d’argento.
L’uomo di fronte sventolò un grosso ciondolo viola. «Un talismano per riconoscere i Sanguesporco!» Lydia dovette usare tutta la sua volontà per non voltarsi a guardarlo mentre lo superavano. Si limitò a stringere con forza la mano di Lance, il terrore che le stringeva il petto. Ma passarono indenni e il talismano doveva essere un falso come tutto quello che si trovava in quella strada.
Altri mendicanti tentarono di attirarli con le loro merci, ma riuscirono a rimanere concentrati e non lasciarsi distrarre, aiutati anche dall’arrivo di altre persone sulla via.
Lydia si concesse un altro rapido sguardo nei dintorni. Stavano passando accanto alla gelateria dove lei, Lance, Paul e Alice si fermavano sempre dopo gli acquisti per Hogwarts; ogni anno avevano la stessa tradizione di mangiare un gelato prima di salutarsi e tornare dai rispettivi genitori.
Ora la gelateria non esisteva più.
Una parte era bruciata, l’altra era tappezzata dagli stessi giornali delle altre vetrine.
Solo in quel momento Lydia si accorse del volto raffigurato su ognuno di quei fogli. Harry Potter. L’Indesiderato Numero Uno.
Cercò di tornare a guardare davanti a sé, ma il suo sguardo ora continuava a ricadere su quei giornali, sulle assi di legno, sui muri anneriti e sul mondo della sua adolescenza che non esisteva più. Una parte di lei aveva sperato che almeno Diagon Alley fosse stata risparmiata dalle grinfie di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato e dei suoi Mangiamorte. Ma ormai sapeva fin troppo bene che il loro compito era distruggere tutto ciò che c’era di bello nel mondo magico. Se avevano fatto tutto questo a Diagon Alley, chissà cosa era diventata Hogwarts. Si ritrovò a desiderare di non scoprirlo mai. Almeno la scuola avrebbe dovuto continuare a vivere integra nei suoi ricordi, piena di quella gioia e allegria che le aveva sempre trasmesso.
Svoltarono in una via secondaria, sfuggendo così ai mendicanti ma non ad altre eventuali minacce. Anche quella via era frequentata da brutti ceffi; sembrava che Nocturn Alley si fosse riversata a Diagon Alley.
«Siamo quasi arrivati.» sussurrò Lance. Lydia ricordava vagamente il negozio dei genitori di Paul. Qualche volta erano passati da lì durante le loro visite estive; ricordava che vendevano oggetti di cartolibreria ma poco altro. Eppure lo riconobbe comunque quando furono abbastanza vicini da vedere l’insegna Piume e pergamene di Kenston e figli, mezza staccata dal suo gancio e che cigolava lugubre sulle loro teste.
Lance non perse tempo. Aprì la porta ed una campanella risuonò ad avvertire del loro ingresso. Il suono allegro stonava con il luogo in cui si trovavano.
Anche il negozio di Paul rispecchiava l’atmosfera che si respirava nelle vie. Era completamente deserto, la merce era distribuita sugli scaffali, in alcuni punti ricoperta da alcuni centimetri di polvere.
L’istinto urlava a Lydia di prendere Lance e scappare all’istante. Non era sicuro stare lì. Cosa le era saltato in testa di andarci senza rinforzi? E se fosse stata una trappola? E se Paul fosse stato preso prigioniero e costretto a scrivere quella lettera? Lydia si maledisse per essere stata così impulsiva da buttarsi in quella situazione senza ragionare su tutte le cose che avrebbero potuto andare storte. Strinse la mano di Lance e gli sussurrò: «Andiamocene finché siamo in tempo.»
Ma Lance si limitò a stringerle la mano cercando di rassicurarla e si diresse verso il bancone, trascinando Lydia con sé. «C’è qualcuno?» chiese rivolto verso una porticina dietro al bancone. La porta si socchiuse ed un ragazzo sgusciò fuori. Portava i capelli lunghi ed una nuova montatura di occhiali, ma era di sicuro Paul Kenston.
«Scusate.» disse asciugandosi le mani in uno strofinaccio. «Abbiamo avuto un problema di tubature nel retro.» Si raddrizzò gli occhiali sul naso. «Cosa volete?» chiese tetro.
«Se è così che accogli i nuovi clienti ho capito come mai siete vuoti.» disse Lance senza riuscire a trattenere un sorriso. Lydia gli strattonò la mano. «Che c’è?» gli chiese il ragazzo. C’era che non era sicuro rivelare chi erano senza assicurarsi che Paul fosse davvero Paul, ma ovviamente Lance non comprese e si rivolse di nuovo verso l’amico. «Siamo arrivati il prima possibile.»
Paul strinse gli occhi, come se potesse così riuscire a vedere oltre i loro travestimenti.
«Sono io.» si limitò a dire Lance alzando la mano libera in un cenno di saluto.
Lydia capì che ormai il danno era fatto e non poteva fare nulla per fermarlo, se non sigillare la porta alle loro spalle ed impedire che qualcun altro entrasse nel negozio e si accorgesse della presenza di due fuggitivi. Lance e Paul non erano mai stati discreti. E infatti il volto di Paul si illuminò, spalancò le braccia e abbracciò con forza l’amico. «Lance! Sei qui!»
«Shhh!» sibilò Lydia guardandosi intorno freneticamente e sollevando la bacchetta. «Abbassa la voce o tanto vale che lo vai ad urlare per strada!»
«Lydia?» chiese perplesso Paul.
Ops. Lydia non era mai riuscita a trattenersi dal rispondere male a Paul, era più forte di lei. Ma poi lo sguardo di Paul si abbassò verso le mani intrecciate di Lydia e Lance, e lei allontanò la mano come se si fosse scottata e voltò il viso verso la vetrinetta più vicina per impedire che gli altri vedessero il rossore sulle sue guance. Gli scaffali erano ripieni di piume di varie fatture e dimensioni.
«Cosa ci fai qui?» chiese Paul.
«È una lunga storia.» rispose Lance per lei.
«Una storia che non è il momento di raccontare.» proseguì Lydia voltandosi di nuovo verso di loro. «Allora, perché siamo qui?»
«In realtà io ho invitato solo Lance.»
Paul che ribatteva? Questa sì che era una novità.
«Siamo un pacchetto completo.» ribatté Lydia.
Paul esitò, il suo sguardo si abbassò di nuovo verso le loro mani ora separate, e Lydia si pentì immediatamente della risposta che aveva appena dato.
Lance posò una mano sulla spalla dell’amico. «Nella lettera non hai spiegato molto. Cosa succede? Stai bene?»
Paul si appoggiò al bancone. «Sto benissimo.»
«E i tuoi?»
«Anche loro. Si sono ritirati all’inizio della guerra, ora siamo solo io e i miei fratelli a portare avanti il negozio. Mia sorella ha avuto un bambino a settembre!»
Lydia alzò gli occhi al cielo. «Se volevi solo informarci delle novità della tua famiglia potevi anche evitarci un viaggio nel luogo più pericoloso della Gran Bretagna dopo il Ministero. Bene, complimenti a te, buona pensione ai tuoi e tanti auguri a tua sorella. Ora andiamo.» afferrò la manica di Lance e lo spinse verso l’uscita.
«Ripeto: io ho chiamato solo Lance, non te.»
Lydia si bloccò e dovette trattenersi dal lanciare una fattura contro Paul. Da un lato si stupì di provare così tanta rabbia nei confronti del ragazzo, dall’altra la sua mente tornò all’ultima volta che avevano parlato, l’ultimo giorno di scuola. Non era stata una conversazione piacevole, e Lydia aveva sempre avuto difficoltà nel perdonare le persone e voltare pagina.
«Ma ci sono anche io.» sibilò. «E se hai qualcosa da dire dillo subito o noi andiamo via.»
«Non ascoltarla.» Mancò poco che Lydia ringhiasse contro Lance.
Paul si limitò ad un sorrisetto che provocò un’ondata di nervoso in Lydia. «Ovviamente non ti ho chiamato solo per sapere come stavi. A proposito stai bene?» Lance annuì. «E Caitlin?»
«Come al solito.»
«Ancora infuriata con il mondo?»
«Con il mondo e con me. Guerra nuova, sorella vecchia.»
Lydia alzò le braccia al cielo. «Avete finito? Dobbiamo andare!» Come aveva fatto a ridursi ad essere l’unica ragionevole tra i tre? Cielo, quanto le mancava Alice. Come aveva fatto lei a sopportare tutti loro per sette lunghi anni?
«E va bene.» sbottò Paul accomodandosi meglio sul bancone, con una posa che Lydia non gli aveva mai visto. Se non lo avesse conosciuto, avrebbe pensato che Paul fosse sicuro di sé. Ma era impossibile. Era Paul Kenston. «Ho un affare da proporti.»
Lydia lo guardò allibita. Non era sicura se voleva ridere o piangere. «Sono sicura che a Lance piacerebbe molto unirsi a te nella gestione di questo incantevole negozio.» disse con la voce intrisa di sarcasmo, facendo un ampio gesto per indicare le mura fatiscenti. «Ma, forse non te ne sei accorto, siamo in guerra.»
«Ovviamente non intendevo il negozio.»
«E allora cosa, vuoi aprire un’altra attività? Guarda, ti consiglio di inaugurare un giornale complottista, se non ricordo male era la tua specialità.» Eccolo lì, l’elefante nella stanza, o meglio, nella testa di Lydia da quando aveva rivisto Paul. E anche Paul capì perfettamente a cosa si riferiva.
«Ancora con quella vecchia storia?»
«Vecchia non tanto. Sono passati solo due anni.»
Paul ridacchiò. «Ti eri proprio arrabbiata.»
Lydia vide Lance scuotere la testa e cercare di fermare l’amico. La conosceva fin troppo bene, ma non sarebbe stato abbastanza per salvare Paul dalla furia di Lydia. Ridusse gli occhi a due fessure e, se avesse potuto, avrebbe sputato fuoco. «Arrabbiata? Forse è meglio che ti rinfreschi la memoria visto che non mi sembra che ti ricordi la stessa scena.»
«Lydia…» provò a fermarla Lance.
Lydia allontanò la sua mano e fece un passo verso Paul. Sotto la sua nuova maschera di arroganza vide un guizzo di quella vecchia paura che aveva sempre provato nei suoi confronti. «Ultimo giorno di scuola dell’ultimo anno. Lago Nero. Cedric Diggory, un vostro amico, morto durante l’ultima prova del Torneo Tremaghi, Silente che ci informa del ritorno di Tu-Sai-Chi, e tu, Paul, -come è che hai detto? - C’è qualcosa di sospetto
«Me lo ricordo benissimo.» Paul tentò di ritrovare la sicurezza di prima.
«E allora ti ricordi anche delle stronzate che hai detto dopo. Di quando hai sostenuto che era stato Harry Potter ad uccidere Cedric Diggory, quello te lo ricordi?»
Paul cercò di allontanarsi ma il bancone gli impediva la fuga. «Non l’ho detto così.»
«Ma era quello che volevi dire.»
«Non l’ho detto così!» ripeté Paul a voce stridula. «Diglielo anche tu Lance.»
Ma Lance stava osservando la collezione di vecchie piume e, sentendosi richiamato, si limitò a voltarsi e scrollare distratto le spalle. «Lo sappiamo tutti che era quello che volevi dire, è inutile negarlo.»
Lydia sorrise di trionfo.
«Lance, fermala!»
Lance riprese ad esaminare la vetrina. «Era ora che qualcuno te lo dicesse. Penso che la lascerò sfogarsi un po’.» E Paul squittì. «Ringrazia il cielo che non abbia il suo vero aspetto. Questi occhi sono meno spaventosi dei suoi.»
«Grazie, Lance.» disse sinceramente Lydia.
«E va bene!» esplose Paul accasciandosi sul bancone. «Pensavo che Harry Potter avesse ucciso Cedric per vincere il Torneo Tremaghi!»
Lydia si allontanò di qualche passo soddisfatta, tornando al fianco di Lance. «Così va meglio.»
Paul si rialzò. «Ma poi ho capito di essere stato stupido. Voi-Sapete-Chi è davvero tornato. E anche i suoi tirapiedi.»
«L’abbiamo notato.» rispose con una smorfia Lance.
Paul si riassestò la camicia. «Ed è per questo che ti ho chiamato. Io e i miei fratelli abbiamo un’idea.»
«Di cosa si tratta?» chiese Lance, ma a Lydia non sfuggì il tono di quella domanda. Sembrava che conoscesse già la risposta, e Lydia temeva di saperlo anche lei. E infatti i suoi timori vennero confermati dalle parole di Paul.
«Hai visto cosa hanno fatto a Diagon Alley. Nessun negozio è al sicuro. Quelli arrivano in qualsiasi momento, ti chiedono di pagarli e se non lo fai ti riducono a pezzi la bottega. E non sai quello che fanno fuori da qui, ai babbani. Si parla di intere bande che razziano e assalgono sia maghi che non. Ma adesso basta. È ora di finirla. È ora di smetterla di nasconderci ed iniziare a combattere!» Lydia si rese conto che non erano tanto le sue parole a metterla a disagio, quanto i suoi occhi. Sembrava come… spiritato. Preso da una mania che poco gli si addiceva.
«Quindi tu e i suoi fratelli vorreste andare contro orde intere di Mangiamorte.» chiese senza ironia. «In quattro contro decine se non centinaia.»
«Cinque. Anche mia sorella è dei nostri.»
Lydia si voltò di scatto verso Lance, pronto a fermarlo anche solo dal considerare la scelta, ma si accorse che non era necessario. «Allora siete in cinque pazzi. Come ti salta in mente di poter competere contro di loro? Sono spietati, alcuni di loro sono assassini e non esiterebbero a far fuori te e tutta la tua famiglia.»
Paul spalancò la bocca sorpreso. «Come puoi dirmi di no? Sai cosa stanno facendo! Qualcuno deve fermarli! Non vorrai che continuino a distruggere e uccidere tutti quelli che incontrano!»
Lance raddrizzò la schiena. «Ovviamente no. Ma sono anche abbastanza intelligente da capire che non abbiamo nessuna possibilità contro di loro. Non siamo un esercito, per quanto possiamo essere allenati non abbiamo le competenze per combattere da soli contro di loro.» Lydia sapeva che aveva ragione, nelle ultime settimane li avevano incontrati due volte di troppo e l’unico motivo per cui erano ancora vivi era che avevano tentato la fuga appena li avevano visti.
Il viso di Paul divenne paonazzo. «Sei un codardo.»
«Non osare.» sibilò immediatamente Lydia, stringendo la presa sulla bacchetta.
Lance alzò una mano per fermarla. «Essere coraggiosi a volte significa anche capire i propri limiti. Paul, ti prego, non correre rischi inutili.»
Paul si voltò verso Lydia. «E tu sei d’accordo con lui?»
Lydia annuì decisa.
«Allora è vero quello che dicono. Negli ultimi mesi ti sei rammollita.»
Lance non fu abbastanza veloce per bloccarla, Lydia era già saltata addosso a Paul, puntandogli la bacchetta alla gola con una forza tale da percepire la sua trachea sotto la punta. Paul boccheggiò e si piegò all’indietro per allontanarsi. Lydia avrebbe voluto urlargli contro, sbraitare e insultarlo, ma la sua mente era ingarbugliata nei pensieri e le impediva di parlare. Cosa sapeva di preciso? Come faceva a saperlo? E come osava dirle una cosa del genere?
Lance le strinse le braccia attorno al busto e la trascinò indietro, separandola da Paul, che si piegò in due massaggiandosi il collo. Lydia ansimava, il corpo scosso dalla rabbia. Lance la costrinse a guardarlo negli occhi. «Respira. Ora torniamo a casa.» Il pensiero di casa O’Brien la aiutò a tornare in se’. Respirò profondamente concentrandosi sulla mani di Lance sulle sue spalle e sul pensiero della casa che li stava aspettando.
Quando Lance capì che si era calmata, si voltò di nuovo verso Paul. «Mi dispiace, ma non siamo interessati.»
Paul continuò a boccheggiare. «Ma Lance, quelle persone hanno bisogno di aiuto…»
«Lo so.» lo interruppe Lance, un lampo di dolore negli occhi.
«E allora perché non fai nulla per aiutarli!?»
Lance sospirò. «Te l’ho già detto Paul. Quelli non scherzano. Non siamo più ad Hogwarts, qui se sbagliamo non ci mettono in punizione, quelli ci ammazzerebbero senza neppure pensarci. Ti prego, Paul, non farlo.»
Paul sbatté una mano sul bancone. «E invece mi sembra di essere tornato ad Hogwarts.» Indicò sprezzante Lydia. «È tornata lei e tu hai ricominciato a comportarti come hai sempre fatto: con lei che ti dà ordini e tu che la segui come un cagnolino.»
Lydia fece per alzare di nuovo la bacchetta ma un solo sguardo verso Lance la bloccò. Il ragazzo stringeva i pugni, il volto trasformato in una maschera di granito. «Ho sempre fatto solo quello che volevo fare, ad Hogwarts, e lo stesso sto facendo ora. Non ti sto dicendo di no solo perché Lydia non vuole, lo sto facendo perché è la decisione più giusta per me e per la mia famiglia. E ti prego di fare lo stesso anche tu.»
Paul sbuffò contrariato e tornò verso la porticina che portava al retro, battendo pesantemente i piedi a terra. «Mi hai deluso, Lance. E sono sicuro che un giorno ti pentirai della tua scelta.» E senza neanche salutare, sparì dietro alla porticina, lasciando Lance e Lydia da soli nel negozio.
Tutta la rabbia provata da Lydia sino a quel momento evaporò all’istante quando si accorse dello sguardo pieno di dolore di Lance. Gli si avvicinò e gli picchiettò delicatamente sul braccio. «È ora di andare.» disse sottovoce. Lance si risvegliò dai suoi pensieri, scosse lievemente la testa e sollevò la bacchetta verso la vetrinetta con le piume pregiate.
«Alohomora.» bisbigliò. Il lucchetto si aprì con un click, che risuonò nel silenzio della stanza. Lance iniziò a frugare nella vetrinetta e prese una manciata di piume.
Lydia lo guardò esterrefatta. «Stai davvero rubando nel negozio del tuo migliore amico?»
La voce di Lance era fredda. «Siamo stati qui troppo tempo. Dobbiamo far credere di essere stati impegnati negli acquisti se non vogliamo insospettire nessuno.» si diresse dietro il bancone ed aprì deciso un armadietto in basso a destra, ripieno di sacchetti di carta e custodie per le piume. «Prendi anche tu qualcosa.»
Senza prestare attenzione a ciò che raccoglieva, Lydia fece un rapido giro del negozio recuperando alcuni quadernetti, oltre che boccette d’inchiostro di diversi colori. Se non altro sarebbero tornati utili ai bambini. Appoggiò sul bancone la sua refurtiva, aggiungendo all’ultimo una manciata di matite colorate. Lance si affrettò ad impacchettare il tutto ed infilarlo in due borsette di carte, su cui era stampata l’insegna del negozio ‘Kenston e figli’. Infine si frugò nelle tasche e lasciò sul bancone diverse monete d’argento.
Ora sì che Lydia lo riconosceva. Ma evitò di commentare. Lance le porse di nuovo la mano e Lydia la accettò con piacere.
La via su cui si affacciava il negozio era completamente deserta, ma non per questo erano fuori pericolo. Senza dire una parola tornarono alla strada principale, facendo attenzione di andare abbastanza veloci per uscirne il prima possibile senza però correre e dar così troppo nell’occhio.
Era difficile trattenersi dal correre verso casa e mettersi quella brutta storia alle spalle.
Gli ambulanti tentarono di nuovo di attirarli verso le loro merci, ma loro continuarono dritti sulla loro strada, o almeno così pensò Lydia. Ad un certo punto però, Lance sterzò verso sinistra e Lydia dovette trattenere un gridolino di sorpresa. Si morse la lingua per impedirsi di urlare, o di chiedere spiegazioni. Doveva solo fidarsi. Ma era difficile avere fiducia in mezzo ad una strada affollata da potenziali spie e assassini. Si tranquillizzò quando vide dove erano diretti. Entrarono nel negozio dello speziale. Lydia aveva sempre odiato quel posto da quando vi aveva messo piede la prima volta ad undici anni. L’odore putrido, i pezzi di insetti e altri intrugli schifosi che si trovavano ovunque lei guardasse. Lance le lasciò la mano e si rivolse al negoziante, chiedendo una lista di ingredienti altrettanto ripugnanti. Eppure Lydia capì il motivo per cui si erano fermati. Era un’ottima copertura, in fondo avrebbero dato meno nell’occhio se fossero sembrati impegnati in un pomeriggio di compere diverse piuttosto che in un solo negozio in tutta Diagon Alley, e, se non aveva capito male, Lance stava comprando ingredienti che era difficile reperire o far crescere nel suo orto. Certo, sarebbe stato difficile spiegare al signor O’Brien o a Duncan come fossero arrivati a casa visto che loro due in teoria, in quel momento, dovevano trovarsi chiusi in un’aula del primo piano, ma a quello ci avrebbero pensato dopo. Un’altra strega entrò nel negozio, le verruche le coprivano completamente il naso e tossicchiava in un fazzoletto lercio. Lydia distolse rapidamente lo sguardo appena lei alzò la testa, direzionandolo verso una bacheca a lato della cassa. Il ritaglio di giornale con il volto di Harry Potter che riempiva Diagon Alley si trovava anche lì, ma al suo fianco vi era un foglio di pergamena completamente diverso. Sembrava un proclama, o qualcosa del genere. Cercando di non dare nell’occhio, Lydia si avvicinò di qualche passo; il negoziante era intento a impacchettare gli acquisti di Lance mentre la strega dietro di loro aveva iniziato a picchiettare su delle boccette esposte all’ingresso del negozio.
Il foglio era davvero un proclama, su carta bollata del Ministero della Magia.
Il Ministero della Magia, in collaborazione con la Commissione per il Censimento dei Nati Babbani, dichiara ufficialmente fuori legge i seguenti individui, come prescritto dall’articolo 5 del Decreto Ministeriale 31/A del 1 agosto 1997.
Essi verranno considerati dalla data odierna (15 settembre) criminali e come tali dovranno essere trattati. Chiunque sia in possesso di informazioni è pregato di rivolgersi all’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia.
Sarà prevista una ricompensa per qualunque mago o strega che collabori nella cattura di tali criminali.
 
Ringraziando per la Vostra Collaborazione,
Pius O'Tusoe, Ministro della Magia;
Dolores Umbridge, Direttore della Commissione per il Censimento dei Nati Babbani
 
Le firme del Ministro e di quella Umbridge erano accompagnate dal timbro ufficiale del Ministero della Magia e da un elenco di nomi che sembrava infinito.
Lydia scorse il più velocemente possibile la lista di nomi. Erano in ordine alfabetico. Tanti, troppi, erano a lei famigliari, si chiese quanti altri ne avrebbe riconosciuti ad un esame più attento.
Lance porse le monete allo speziale, che le contò lentamente. Lo sguardo di Lydia scattò di nuovo verso il foglio, dritto verso la lettera M. Una miriade di nomi ricopriva la pergamena eppure le fu facile riconoscere il proprio.
Merlin Lydia.
Deglutì a fatica e si raddrizzò in tempo per imitare Lance nel salutare cordialmente lo speziale ed uscire velocemente dal negozio.
Era una criminale.
Lo sapeva, ormai da settimane, eppure era molto diverso averne consapevolezza rispetto al leggerlo nero su bianco in un proclama ufficiale.
Era una fuori legge, una ricercata.
Quella consapevolezza non fece altro che farle venire voglia di tornare immediatamente al confortevole riparo di casa O’Brien. Solo la presenza di Lance le impedì di cominciare a correre mandando all’aria tutta la prudenza.
Ora che lo aveva visto da vicino, si accorse che il proclama del Ministero della Magia si trovava ovunque, le parole troppo piccole per essere riconosciute da lontano, eppure il timbro del Ministero risaltava nella penombra della via. Il suo pensiero corse ad Alice, si chiese se il suo nome compariva nella lista. E poi pensò ad Henry e tutti i bambini che avevano trovato rifugio a casa O’Brien, chissà se anche i loro genitori si trovavano sull’elenco, o erano stati già catturati.
Fu proprio quel pensiero a spingerla a compiere una follia: senza farsi notare dai mendicanti o da Lance stesso, Lydia si avvicinò impercettibilmente verso il muro, e, approfittando di un dislivello tra un edificio e quello successivo che creava una zona d’ombra proprio davanti ad una di quelle pergamene, allungò una mano e con uno strappo deciso staccò il foglio dal muro, facendolo sparire all’istante dentro la tasca del cappotto. Poi proseguì come se nulla fosse, nonostante il cuore le battesse all’impazzata.
E se qualcuno l’avesse vista? Cosa le era saltato in mente? Ma in fondo quella giornata sembrava costellata da decisioni incoscienti, una in più non avrebbe cambiato nulla, o almeno così sperava.
Superarono finalmente anche gli ultimi mendicanti, Lance batté la bacchetta sul muro e il varco cominciò ad aprirsi con una lentezza estenuante. Lydia fissava i mattoni nonostante l’istinto le gridasse di controllarsi le spalle, di assicurarsi che nessuno avesse qualche sospetto su di loro. La stessa ansia la accompagnò mentre attraversavano il Paiolo Magico e neppure nella Londra babbana si sentì al sicuro. Fu con infinito sollievo che riuscirono finalmente a raggiungere una via desolata da cui si Materializzarono direttamente davanti i cancelli di casa O’Brien.
Alla vista del palazzo, Lydia si ritrovò finalmente a respirare di nuovo. Ma poi si voltò verso Lance e si accorse che i problemi non erano ancora finiti. Per andare sul sicuro, avevano assunto abbastanza Pozione Polisucco da durare un’ora, la loro visita a Diagon Alley però era stata più breve e così si trovavano a casa, ma con l’aspetto ancora alterato. Sarebbe stato difficile da spiegare a Katherine o alla signora O’Brien. Senza contare il fatto che se Caitlin li avesse visti avrebbe subito compreso che erano riusciti a uscire e avrebbe spifferato tutto. Pensandoci, non sapevano neppure se Henry era riuscito a tenere lontano dall’aula le tre donne rimaste in casa.
«Per Natale voglio un Mantello dell’Invisibilità...» sussurrò Lydia aprendo con cautela la porta d’ingresso. La via sembrava libera, ma la prudenza non era mai troppa. E così si ritrovarono a sgattaiolare per i corridoi di casa O’Brien, finché si imbatterono in un bambino nascosto dietro una pianta in vaso. Dire nascosto era un’esagerazione. Il fusto della pianta non copriva neanche due centimetri del volto di Henry, ma a lui sembrava bastare.
«I soggetti sono tornati alla base, ripeto, i soggetti sono tornati alla base.» borbottò rivolto alla pianta.
Lydia lo guardò perplessa.
Henry scrollò le spalle e si raddrizzò. «Simon mi ha detto di dire così quando tornavate. E di dire ‘via libera’. Ah, no, forse ha detto che dovevo controllare il corridoio prima di dirlo.» si catapultò fuori dal suo ‘nascondiglio’ con una capriola e si guardò attorno. «Via libera.»
Per quale motivo avevano affidato la loro fuga nelle mani di un bambino di quattro anni? Lydia aveva compiuto molte scelte incoscienti nella sua vita, ma si accorse che quella poteva rientrare tra le più folli. Sospirò. «Come è andata? Ci ha cercati qualcuno?»
«No, no. Potete tornare a nascondervi.» Henry estrasse dalla tasca la chiave dell’aula.
Forse non era stata una decisione poi così avventata. «Bravo.» gli disse Lydia mentre il bambino apriva la porta della stanza che in teoria doveva essere la loro prigione temporanea. «Allora adesso devi impedire che entrino per ancora…» guardò l’orologio. «Circa dieci minuti. Pensi di potercela fare?»
Henry scattò sull’attenti. «Signorsì, signora.» E li chiuse di nuovo nell’aula scappando via con la chiave. Lance si lasciò cadere sulla sedia che occupava prima della partenza. «Non posso credere che sia andato tutto bene...»
«Aspetta a dirlo...» brontolò Lydia guardando con disgusto i capelli neri che era costretta ad avere ancora per dieci minuti. «Vuoi giocare a tris?» propose riprendendo i fogli e le matite che Lance aveva fatto apparire prima. Disegnò lo schema e una x nel riquadro nel centro. Alzò la testa e notò che Lance aveva lo sguardo perso nel vuoto e probabilmente non aveva ascoltato una parola di quello che aveva detto. «Lance?» chiese scuotendo la matita davanti ai suoi occhi. Lui si limitò a prenderla e segnare un cerchio nel posto in alto a destra. Lydia prese l’altra matita e segnò la sua x accanto al cerchio. «Stai pensando a Paul.» constatò. Lui annuì e disegnò il cerchio sotto a quello già segnato. Lydia bloccò immediatamente il suo tentativo di fare tris. «Hai preso la decisione giusta.»
Lance disegnò il cerchio nel riquadro in centro nel basso. Lydia completò il suo tris e lo sottolineò con un sorriso.
Il silenzio di Lance però le fece alzare lo sguardo. «Hai fatto la cosa giusta.» ripeté per assicurarsi che l’amico non si stesse pentendo della decisione presa.
Lance giocherellava con la matita. «Non mi pento di avergli detto di no…»
«Sento un ‘ma’ in arrivo…»
«Ma…» disse infatti Lance con un mezzo sorriso «Forse non ha tutti i torti… ci sono davvero persone che avrebbero bisogno del nostro aiuto…»
«Sì, ci sono, e le stiamo già aiutando prendendo in casa i loro figli.»
«Non solo loro. Noi siamo rinchiusi qua dentro e non sappiamo neanche la metà degli orrori che stanno compiendo i Mangiamorte.» Lydia stritolò la matita. «E poi hai visto Paul… Sono sicuro che non mi ascolterà e lo farà lo stesso. E se si mettesse nei guai perché ho deciso di non aiutarlo?»
Lydia lasciò cadere la matita, scocciata. «Stai parlando dello stesso Paul che ti ha sbattuto la porta in faccia senza neppure salutarti.»
«Non è più o meno quello che ha fatto Alice con te?»
«Non è la stessa cosa.» sibilò Lydia.
Lance lasciò cadere il discorso. «È solo che…» si passò una mano tra i capelli «Per tutta la vita ho sempre saputo che cosa volevo, e che cosa era giusto fare… mentre ora… non ci capisco più niente.»
E Lydia si ritrovò a non sapere cosa rispondere.
Il momento di silenzio fu interrotto da alcuni colpi provenienti dalla porta. «Ragazzi, tutto bene? Ho chiamato Katherine, ci penserà lei a farvi ragionare.» Poi la sua voce risuonò ovattata, come se si fosse allontanata di qualche passo dalla porta. «Forza Katherine, diglielo anche tu che non possono uscire senza di me.»
Nonostante la spessa porta che li divideva, Lydia e Lance sentirono chiaramente il sospiro esasperato di Katherine. «Te l’ho già detto. Non voglio neanche sapere che cosa state combinando. E poi io sto cercando Henry, Daniel e Simon. Sono scomparsi da un’ora, li sento ridacchiare da tutte le parti ma non riesco a raggiungerli… SIMON! HENRY!» La voce risuonò nella stanza come se si trovasse lì con loro «VI HO VISTE PICCOLE PESTI! TORNATE SUBITO QUI!» E sentirono Katherine allontanarsi di corsa.
«Inutili… qui siete tutti inutili.» Caitlin tirò un altro pugno alla porta. «Allora vi do un’ultima possibilità, avete deciso di portarmi con voi sì o sì? Vi ho lasciato un’ora intera per ragionare, spero che abbiate avuto il tempo di prendere la decisione giusta, anche perché Duncan e papà stanno per tornare. Volevo venire prima ma Simon mi ha incastrata facendomi vedere il suo nascondiglio di merendine.»
«HENRY! LASCIA IL VASO DELLA NONNA, NO, NO!» La voce di Katherine proveniva dalle scale. «Non osare…» Il rumore di porcellana infranta rivelò l’ennesima triste fine del vaso della nonna. Lydia si pentì di non poter assistere di persona alla scenetta.
«Aspetta un attimo…» continuò Caitlin «Dove è la chiave? KATHERINE, HAI VISTO IN GIRO UNA CHIAVE?»
«ORA VI PRENDO PICCOLI DISGRAZIATI!»
«Lo prendo per un no.» borbottò Caitlin, poi bussò di nuovo sulla porta. «Ragazzi, piccolo problema, non c’è la chiave, vado a cercarla, così intanto vi lascio ancora un momento per decidere di portarmi con voi. Va bene?»
Lydia alzò gli occhi al cielo. «Lo sai che non puoi uscire di casa.» ribatté con un tono di voce più secco di quello che avrebbe voluto. O forse... diverso? Lance la fissava con gli occhi spalancati.
«Lydia, sicura di star bene? Hai una voce strana.»
No, non strana. Aveva letteralmente la voce di un’altra persona! Tirò una ciocca di capelli davanti agli occhi ma erano ancora completamente neri. «Cosa facciamo?» bisbigliò disperata. Lance aveva la sua stessa espressione, anche lui però su un viso diverso dal proprio. «Stupida pozione!» imprecò a denti stretti.
I colpi sulla porta diventarono più forti. «Lydia!?» la chiamò di nuovo Caitlin. «Lydia, dimmi che stai bene! Se ti è successo qualcosa mentre eri chiusa qua dentro mamma e papà mi uccidono!» E senza aspettare la risposta di Lydia, urlò di nuovo a Katherine «DOBBIAMO TROVARE QUELLA DANNATA CHIAVE!» Katherine dovette rispondere qualcosa di inudibile alle loro orecchie perché dopo cinque secondi Caitlin urlò di nuovo «Sei una strega, fai un incantesimo!»
Questa volta sentirono anche la risposta di Katherine, doveva essersi avvicinata alla porta. «Non posso! Ho preso Simon e Daniel, se li lascio andare scappano di nuovo. E poi lo sai che gli incantesimi non funzionano se hai chiuso a chiave!»
I borbotti e i lamenti dei due bambini confermarono la loro cattura. Almeno Henry era ancora libero e in possesso della chiave. Ma al peggio non c’era mai fine, concetto confermato dalle voci di Duncan e del signor O’Brien che si aggiunsero a quelle già presenti nel corridoio affollato. «Cosa succede?» chiese Duncan.
«Lunga storia.» rispose Caitlin agitata «Li ho chiusi dentro ma non trovo più la chiave, e penso che Lydia stia male, ha una voce strana!»
«Tieni i bambini.» disse Katherine, e un «Ehi!» di disaccordo da parte di Duncan fece capire che i due bambini erano stati lasciati nelle sue mani.
Lance si alzò e prese la bacchetta. «Dì che ti sta solo uscendo del sangue dal naso!» sussurrò.
«Che cosa?»
«La voce della babbana è più bassa, può essere una scusa credibile, e i dieci minuti stanno finendo.» aggiunse controllando l’orologio da polso. Lydia esaminò per la terza volta i capelli e questa volta si iniziavano ad intravedere dei riflessi ramati. Un minuto, dovevano resistere un minuto. Ovviamente in quel momento i lamenti di Henry si aggiunsero a quelli di Simon e Daniel, e Katherine urlò da dietro la porta «Trovata!» e infilò la chiave nella toppa. Siamo finiti, pensò Lydia sentendo il rumore della chiave che girava, la maniglia si abbassò e... la porta non si aprì.
Lance puntava la bacchetta contro la porta. Aveva creato una barriera che per il momento reggeva. Lydia osservò i suoi capelli schiarirsi e diventare biondi, gli occhi colorarsi di celeste, i lineamenti del volto tremavano mentre tornavano nelle loro fattezze naturali. Anche Lydia percepiva il proprio corpo rimodellarsi, si affrettò a trasmutare i travestimenti che stavano ancora indossando, sperando che non rimanessero in mutande (una volta le era capitato per sbaglio). Tutto andò bene e mentre Lance scioglieva l’incantesimo alla porta, Lydia tirò un sospiro di sollievo.
Almeno finché il ragazzo si voltò e le puntò la bacchetta sul volto.
 
“Lo odio.” pensò cinque minuti dopo, seduta su una sedia dell’aula e con un fazzoletto davanti al naso. In realtà non le faceva male, Lance si era limitato ad un incantesimo per fare sanguinare il naso senza provare alcun dolore, ma era fastidioso, troppo fastidioso. Accartocciò il fazzoletto ormai completamente rosso e ne prese un altro.
«Scusa, scusa, scusa, scusa, scusa, scusa.» stava cantilenando Lance. Stringeva tra le mani una scatola di fazzoletti puliti, passandogliene uno ogni volta che le serviva. «Scusa, scusa, scusa.»
Lydia avrebbe voluto tranquillizzarlo, ma soprattutto dirgli che era incredibilmente sospetto che lui continuasse a scusarsi quando avevano inventato che il suo naso aveva iniziato a sanguinare da solo, senza una ragione apparente.
«Perché continui a scusarti?» chiese infatti Caitlin mentre spostava la mano di Lydia e le esaminava il naso.
«Emh...» esitò Lance «Io... emh... non mi ero accorto che stava sanguinando!» usò troppo entusiasmo per la seconda parte della frase. Era un pessimo bugiardo, e di sicuro non poteva mentire a sua sorella gemella, come dimostrò lo sguardo scettico che lei gli riservò.
«Quindi non ha niente a che fare con Paul...» disse stringendo con troppa energia il naso di Lydia.
«Ahi...» si lamentò Lydia, ora provando davvero dolore.
«Quindi non avete usato della Pozione Polisucco e non siete andati a Diagon Alley.» aggiunse Caitlin, tamponando con forza.
«No...?» rispose senza convinzione il fratello.
«Non sono stupida.» Caitlin lasciò cadere sul banco il fazzoletto e se ne andò senza aggiungere altro.
«Ahi.» ripeté Lydia massaggiando il naso «Tua sorella è un pessimo medico.» si lamentò.
«Scusa, mi dispiace tantissimo...»
«Non ricominciare!»
«Io volevo solo farti uscire poche gocce di sangue! Ma tu ti sei mossa!»
«Scusa tanto se mi sono spaventata quando mi sono vista una bacchetta addosso!»
Lance replicò con uno sguardo ancora più addolorato. «È l’unica soluzione che mi è venuta in mente. E poi lo sai che non ti farei mai del male.»
«Lo so.» sospirò Lydia, prendendo l’ennesimo fazzoletto «Ma il mio istinto di sopravvivenza non ne è del tutto a conoscenza. Pensi che tua sorella lo dirà a tuo padre?» chiese per cambiare argomento e per pensare ad un altro dei loro infiniti problemi.
Lance si sedette per terra, al suo fianco. «Non credo...»
«Non lo farò.» confermò la voce di Caitlin, riapparsa sulla soglia «Ma solo se mi dite cosa voleva Paul.» concluse poggiando senza delicatezza una stoffa avvolta attorno a cubetti di ghiaccio sul naso di Lydia. «Non so quanto possa servire visto che il sanguinamento è dovuto ad un incantesimo...» spiegò secca.
«Voleva il nostro aiuto.» rispose Lance, continuando a guardare il naso di Lydia. «Si sta gonfiando?»
«No.» replicò Caitlin senza neppure guardare. «Per cosa?»
«Tanto abbiamo risposto che non siamo interessati.» tagliò corto Lydia, alzò il sacchetto del ghiaccio per appoggiarlo meglio. Era già completamente ricoperto di sangue. «Possiamo chiamare vostro padre? Forse lui può aggiustarmi il naso.»
«Non è rotto.» Caitlin lo dimostrò dandole un pizzicotto proprio sulla radice del naso. «E che cosa voleva di preciso da voi?»
«Che combattessimo con lui contro i seguaci di Tu-Sai-Chi.» rispose sinceramente Lance.
«Sono combattuta tra il pensare che sia un’idea molto coraggiosa o molto stupida.»
«Solo molto stupida.» borbottò Lydia scuotendo la testa. Delle goccioline rosse caddero a sprazzi sul tavolo.
«E avete convinto Paul a non fare nulla di stupido.»
Lance non sembrava intenzionato a rispondere per questo fu Lydia a prendere la parola. «È maggiorenne, sa a cosa va incontro e abbiamo già rischiato abbastanza ad essere andati da lui oggi.» I fratelli O’Brien non parevano altrettanto convinti, ma Lydia aveva altri problemi molto più incombenti, il primo tra tutti il fatto che si stava dissanguando. Allontanò lo straccio completamente zuppo. «Possiamo davvero chiamare vostro padre? Diremo che è l’effetto di uno scherzo idiota.»
Caitlin si alzò. «Spero solo che abbiate ragione.» e andò a chiamare il signor O’Brien.
Da quel giorno non parlarono più di Paul Kenston per molto tempo.

 
 

Forward
Sign in to leave a review.