
Capitolo 12 - La bambina dai capelli rossi
Capitolo 12
La bambina dai capelli rossi
Il primo settembre del suo undicesimo compleanno, Lance lo visse in un modo completamente opposto da come aveva sognato per tutta la sua vita.
Arrivarono al binario quando ormai mancavano solo pochi minuti alla partenza del treno, Duncan li salutò velocemente e poi andò a cercare i suoi amici, ignorando completamente il fratello. Lance invece stringeva tra le braccia la gabbietta del suo nuovo gufo, a cui non aveva ancora dato un nome. Aveva sempre sognato di avere un gufo tutto suo, ma quando era tornato a casa da Diagon Alley, Caitlin gli aveva lanciato un’occhiata e aveva detto «Sembra malaticcio.» E così Lance aveva perso tutto il suo entusiasmo, talmente tanto da aver lasciato il suo nuovo animale senza nome per giorni.
Si fermarono sulla banchina, vicino ad una porta del treno. «Mi raccomando, Lance» iniziò sua madre «Scrivici spesso, stasera stessa voglio un racconto del tuo Smistamento, va bene?» Ormai Lance riconosceva il falso entusiasmo nella voce della madre. Si limitò ad annuire.
«Perché Cait non è venuta?» chiese, continuando a fissare il vagone davanti a lui.
I suoi genitori si scambiarono un’occhiata intrisa di tristezza. Fu infine sua madre a rispondere. «Mi dispiace, abbiamo provato a convincerla ma non è voluta venire.» Gli accarezzò dolcemente il volto. Il padre invece non disse nulla, si limitò a controllare per l’ennesima volta il suo orologio da taschino.
Il motivo per cui erano arrivati in ritardo era proprio perché i genitori avevano cercato di convincere Caitlin ad accompagnare il fratello in stazione, per salutarlo prima che andasse via per mesi. L’avevano pregata, ricattata e infine promesso in cambio qualsiasi cosa desiderasse, senza successo. Lance aveva assistito a tutta la scena, incapace di comprenderne il motivo. Se la lettera fosse arrivata a Caitlin lui ci sarebbe rimasto malissimo, sì, ma sarebbe anche stato contento per sua sorella.
«Ha solo bisogno di tempo.» continuò sua madre.
«Infatti non possiamo fermarci tanto, non voglio lasciarla a casa da sola più del necessario. Mi dispiace, figliolo, dobbiamo proprio andare.»
Lance non riuscì a trattenere la tristezza che intrise la sua voce. «Va bene. Salutatemela voi, allora. Ditele che le scriverò tantissime lettere.»
La madre lo guardò con gli occhi offuscati dalle lacrime «Ma certo.»
Suo padre raccolse il baule dal carrello e lo caricò sul vagone davanti a loro. «Buona fortuna, Lance.» disse stringendo il figlio in un abbraccio, seguito dalla moglie con le sue ultime raccomandazioni. E poi si allontanarono in fretta, senza neanche aspettare che Lance salisse sul treno, lasciandolo lì, solo per davvero per la prima volta nella sua vita.
Lance si guardò attorno, sapeva di dover salire sul vagone, ma non era così che aveva immaginato quel viaggio. Lui non voleva restare da solo. Si voltò nella speranza che i genitori fossero tornati indietro per vederlo partire, ma erano già scomparsi tra la folla.
«Starà bene. Sì, starà bene.» Una coppia di genitori a poca distanza da lui stava fissando il treno. La madre continuava a ripetere la stessa frase come se stesse cercando di convincersi. «Starà bene… No. Non starà bene. Come può trasferirsi in quella scuola per mesi? Questi maghi sono insensibili, io non mando mia figlia in collegio. Adesso salto sul treno e la riporto a casa. Potranno venire a minacciarci con tutti i tostapane che vorranno ma non permetterò a mia figlia di andarsene via di casa. Ha solo undici anni!»
«Cara…» provò a fermarla il marito.
«No! Sei stato tu a convincermi in questa follia!»
«Perché è la cosa giusta da fare. E’ quello il suo posto, e lo sai anche tu.» La donna non sembrava particolarmente convinta ma allo stesso tempo non pareva neanche pronta a salire sul treno per riprendersi la figlia. «E poi» continuò il marito, e la sua voce si riempì di entusiasmo «Hai presente quante cose interessanti potrà scoprire? Lo sapevi che i maghi volano sulle scope? Proprio come nelle leggende! E hanno inventato uno sport sui manici di scopa, ho letto il libro ma non ne ho capito neanche una parola. Ho letto però su ‘Storia di Hogwarts’ che anche lì fanno un torneo tra Case, dovrò chiedere a Lydia di raccontarmi tutto e…» il fischio del treno coprì le parole successive, ma a Lance erano bastate per riconoscere l’uomo.
Era lo stesso che aveva incontrato a Diagon Alley! E aveva detto che la figlia aveva undici anni ed era il suo primo anno ad Hogwarts, proprio come lui!
Lance saltò sul treno mentre il capostazione iniziava a chiudere tutti i portelloni. Recuperò il suo baule e il suo gufo ed iniziò a vagare per il treno.
Se anche quella bambina era del suo stesso anno ed era una Nata Babbana (i suoi genitori erano inconfondibilmente babbani alle prese per la prima volta con il mondo magico), allora anche lei era lì da sola, come lo era lui. Doveva solo trovarla e chiederle se potevano fare il viaggio verso Hogwarts insieme, così si sarebbero sentiti meno soli.
Lance iniziò a controllare dentro tutti gli scompartimenti alla ricerca dei capelli rossi che ricordava da Diagon Alley. Il treno fischiò un’altra volta ed iniziò a muoversi lentamente. Lance spiava da tutte le finestrelle, a volte spalancava la porta per poi richiuderla, senza dire una parola, quando vedeva che la bambina non c’era.
E avrebbe continuato così per tutto il treno se non avesse avuto la sfortuna di aprire la porta dello scompartimento di Duncan.
Appena il fratello lo vide, calò il gelo. Anche i suoi amici si voltarono a guardare quello strano ragazzino biondo con un gufo sotto braccio; uno di loro lo riconobbe. Lance lo aveva visto l’estate prima ma non ricordava il suo nome. «Ragazzi, lui è il fratello di Duncan!» disse il ragazzo alzandosi in piedi per mettergli un braccio attorno alle spalle. «Sarà una nuova recluta dei Serpeverde!» Gli altri reagirono con grida di incoraggiamento e qualche pacca di benvenuto sulla spalla. Finché Duncan si alzò dal suo posto, afferrò il fratello per la collottola e lo trascinò di nuovo in corridoio, senza dire una parola. Sbatté la porta dello scompartimento alle sue spalle e guardò dall’alto in basso il fratello, con gli occhi infuocati. «Ti avevo detto di stare alla larga da me e i miei amici.» sibilò.
Lance cercò di liberarsi dalla sua presa, il suo gufo fischiava ed agitava le ali nella gabbietta. «Non stavo cercando te!»
«E chi stavi cercando allora? Tu non conosci nessun altro qui!»
Lance decise di rimanere in silenzio piuttosto che ammettere la verità. Duncan allora iniziò a trascinarlo per il corridoio, nonostante le sonore proteste del fratello che cercava contemporaneamente di liberarsi e di mantenere la presa sulla gabbia del gufo e sul suo baule. Duncan si fermò infine davanti ad uno scompartimento completamente deserto e gettò Lance su uno dei sedili. La gabbia sfuggì alla sua presa ed atterrò sul sedile accanto, rivoltandosi su un fianco. Il gufo urlò tutta la sua protesta.
«Stai qui.» ringhiò Duncan puntandogli il dito contro. «Tu resti qui per tutto il viaggio e anche quando saremo arrivati cerca di starmi fuori dai piedi, hai capito?»
Lance non fece in tempo a rispondere che Duncan era già andato, chiudendosi la porta alle spalle. Lance sbuffò e cercò di sistemarsi la maglietta dal collo ormai sformato. «Stupido, stupido, stupido.» borbottò. Eppure la minaccia ebbe effetto e Lance, per quanto lo desiderasse, decise che era meglio seguire l’ordine di Duncan piuttosto che incorrere una seconda volta nelle sue ire.
Avrebbe cercato la ragazza più tardi.
In fondo non era ancora troppo tardi per trovare un amico.
«-portarmi con te.»
«Ne abbiamo già parlato. E’ troppo pericoloso. Tu starai qui con tua madre.»
«E’ ingiusto! Allora neanche tu ci vai, manda qualcun altro!»
«Avevamo concordato una settimana, l'Ordine non li ha trovati e non possono continuare ad aiutarci. E’ una mia responsabilità adesso andare a cercarli.»
«Ma non puoi andare tu! Manda lo zio!»
«Caitlin, tuo zio non può esporsi...»
Le voci familiari risuonavano a poca distanza da Lydia, il tono agitato e con un inconfondibile preoccupazione, parzialmente coperte da un fischio fastidioso nelle orecchie. Avrebbe voluto intervenire, dire che nessuno doveva più andare a cercarli, che erano tornati a casa, ma le mancava il fiato.
Ricordava gli ultimi istanti prima di Materializzarsi, un incantesimo urlato e un’esplosione proprio nel momento in cui avevano lasciato la foresta. Ricordava il forte rumore, la terra che si sollevava ed andava a colpirli, così diversa dall’erba che ora le pungeva il naso. L’odore di terra le riempiva le narici. Katherine li aveva portati via da lì appena in tempo, anche se l’atterraggio non era stato dei migliori. Lydia aprì gli occhi. Sentì dei lamenti provenire dalla sua destra, tentò di sollevare il busto ma scoprì che la sua mancanza di fiato dipendeva soprattutto dal peso che aveva sulla schiena. Senza neanche aver bisogno di controllare sapeva di chi si trattava.
«Lance, spostati.»
Lance rotolò con un gemito di dolore su un fianco a cui rispose un altro lamento a poca distanza da loro.
«Per la barba di Merlino!»
Lydia sollevò lo sguardo giusto in tempo per vedere il signor O’Brien spalancare il cancello e correre a grandi falcate verso di loro, seguito a ruota da Caitlin, un sollievo indescrivibile sui loro volti.
«State bene?» Il signor O’Brien stava quasi urlando, arrivò da Lance e lo sollevò a forza, iniziando a controllare che fosse tutto intero. Caitlin li superò di corsa per raggiungere Duncan.
Lydia grugnì e fece leva sulle braccia per rialzarsi. Si sentiva completamente intontita, il fischio nelle orecchie si era tramutato in un ronzio. Agitò il braccio ormai libero dalle bende ma comunque dolorante. Ovviamente era atterrata sopra a quel braccio nella sua caduta.
Dopo aver constatato che Lance fosse ancora tutto intero, con grande stupore di Lydia, il signor O’Brien le posò una mano sulla spalla. «Stai bene?» Lydia si limitò ad annuire e il signor O’Brien le strinse la spalla prima di andare ad aiutare Duncan ad alzarsi.
«Siete vivi!» esclamò Caitlin, attaccata al braccio di Duncan.
Lydia prese un grande respiro, la sua cassa toracica protestò lievemente. «Come mai continui a cadermi addosso?» chiese sovrappensiero a Lance, massaggiandosi lo sterno.
«Pensavamo foste morti!»
«Grazie per la fiducia, Caitlin. E Lance, potresti rispondermi?» Si tolse una foglia secca incastrata nei capelli. «Perché inizio a pensare che lo fai apposta.» Ne sfilò un’altra «Mi ricordo perfettamente che eri accanto a me prima di Smaterializzarci e ora invece...» Si bloccò nell’atto di togliere una terza foglia, un dubbio insinuato nella sua mente. Si voltò lentamente verso Lance.
Per Lance era sempre stato facile capire i sentimenti delle persone, soprattutto quando erano arrabbiate o qualcosa le disturbava; e con Lydia in modo particolare. Il suo spirito di sopravvivenza aveva imparato a riconoscere anche la minima avvisaglia di un cambio radicale dell’umore della ragazza, proprio come stava succedendo in quell’istante. Lo stesso istinto lo portò a fare un passo indietro. Ora era infuriata, questo era sicuro, così come conosceva il motivo di quella rabbia improvvisa. Si guardò intorno nel tentativo di cercare una via di fuga prima che quella stessa furia scoppiasse.
Suo padre era intento a controllare che anche Duncan e Katherine stessero bene, Caitlin si voltò verso Lance e fece un passo nella sua direzione, per poi bloccarsi appena vide lo sguardo di Lydia. Lance avrebbe tanto voluto implorarla di aiutarlo. Ma non ce ne fu bisogno. Alla fine fu Katherine a salvarlo, anche se in un modo che lui di certo non si aspettava. Se ne stava lì, a fianco di Duncan, e mentre quest’ultimo iniziava a raccontare al padre quanto era capitato, con una tranquillità sovrannaturale Katherine si limitò a dire: «Penso di essermi Spaccata.» sollevando pacificamente il braccio che aveva tenuto nascosto dietro la schiena fino a quel momento. La mano era completamente coperta di sangue, che zampillava sul prato. Le gocce rosse spiccavano sul verde dell’erba.
Le sue parole gelarono la scena, gli sguardi di tutti si mossero all’unisono verso la mano di Katherine, in un silenzio assoluto.
Dopo tre secondi scoppiò il pandemonio.
Duncan strinse il fianco di Katherine, iniziando a parlare a raffica chiedendole se le faceva male altro, perché non lo aveva detto subito e altre cose del genere, Caitlin si allontanò talmente veloce che sembrava si fosse Materializzata accanto a Lydia, la quale aveva dimenticato la sua rabbia e sembrava fin troppo pallida.
Il signor O’Brien iniziò a dare ordini a tutti i presenti ma fu solo Lance ad ascoltarlo correndo in casa per raggiungere il suo laboratorio e le sue pozioni. Spalancò la porta d’ingresso e corse così velocemente attraverso l’atrio che sentì le parole di sua madre solo quando raggiunse le scale nascoste dietro l’armadio del salotto. «Lance? Per la stirpe di Merlino, Lance!» Ma Lance non poté rispondere, era ormai arrivato alla porticina che portava al suo laboratorio. La spalancò e si prese un solo istante per guardarsi intorno. Il suo cervello registrò con orrore il fumo nero proveniente da uno dei suoi calderoni, ed un altro ripieno di una poltiglia grigiastra invece della crema dorata che avrebbe dovuto contenere. Suo padre non era mai stato particolarmente portato per Pozioni e questa era la conseguenza di lasciare i preziosi preparati nelle sue mani per sette giorni consecutivi. Ma non era il momento di pensarci. Spalancò l’armadietto delle scorte e bastò un’occhiata per trovare l’unguento che cercava e correre di nuovo di sopra. Quando sbucò dalle scale segrete rischiò di schiantarsi contro sua madre, che nel frattempo aveva attraversato il salotto, seguita da tutti i bambini. Si ritirò di scatto per evitare una testata. «Lance! Sei tornato!» La madre provò a stringerlo in un abbraccio ma Lance non aveva tempo. Si abbassò per evitare il braccio teso della madre e, senza dire una parola, corse di nuovo verso l’esterno.
La scena era identica a come l’aveva lasciata, tranne che ora Lydia sembrava sul punto di vomitare e Caitlin la guardava con orrore allontanandosi anche da lei. Lance raggiunse Katherine che continuava a parlare tranquillamente come se non si stesse dissanguando fuori dal cancello di casa. «Davvero ragazzi, sto bene. Mi sono distratta solo un secondo, non è niente di grave!»
«Ti manca metà mano!»
Katherine guardò con aria severa il suo fidanzato. «Non essere drammatico, mi manca solo un po’ di pelle. E forse un pezzo di muscolo. Dici che posso aver perso anche quello? E comunque non mi fa male.»
Lance non perse tempo e stappò la bottiglietta di Essenza di Dittamo. Prese delicatamente la mano di Katherine dalle dita rimaste sane e fece cadere alcune gocce sulla ferita aperta, poco visibile a causa dello spesso strato di sangue che la ricopriva. L’effetto fu miracoloso, sotto il sangue Lance poteva già vedere i lembi della pelle iniziare a rigenerarsi.
«Se vomiti tu, vomito anche io.»
Appena fu certo che la mano di Katherine fosse sulla via della guarigione, Lance si arrischiò a guardare dietro di sé. Lydia ritrovò un po’ di colore mentre diceva a Caitlin di non dire una parola.
«Ma se vomiti tu, vomito anche io, ho il riflesso!»
«Tu non sei esperta di ferite e cose del genere? Perché non vai ad aiutarli?»
Caitlin arricciò il naso schifata. «Quella è una ferita causata dalla magia, risolveteli voi i vostri casini. Anzi, tu concentrati solo a non vomitare.»
Ma Lydia non sembrava più sull’orlo di star male, al contrario, le parole di Caitlin le avevano fatto riprendere il cipiglio che aveva prima dell’emergenza di Katherine.
Fortunatamente si presentò un’altra distrazione, questa volta al cancello. Sua madre lo aveva seguito fuori di casa, ovviamente circondata dai bambini che ora gridavano tutta la loro felicità nell’averli rivisti.
«Non uscite dal cancello!» li fermò suo padre. Il gruppetto di fuggiaschi si avviò di corsa verso la sicurezza della barriera. Lance fu il primo ad entrare e anche il primo ad essere abbracciato dalla madre, che continuava a ripetere che era un miracolo. Lance riuscì a sfilarsi dall’abbraccio e Lydia fu la vittima successiva. La ragazza si immobilizzò non del tutto convinta di cosa stesse accadendo. Lance approfittò del momento per dirigersi velocemente verso casa, convinto di essere scampato dal pericolo. Entrarono tutti nel salotto, Duncan accompagnò Katherine su uno dei divani, continuando a rivolgerle talmente tante premure che Lance si chiese se avesse battuto la testa durante la fuga. Magari si era Spaccato anche lui durante la Materializzazione ed aveva perso una parte di cervello. Non che si trattasse di una grande perdita. O forse era un Mangiamorte sotto copertura. Anche Caitlin condivideva il suo stesso pensiero.
«Dici che sta bene? O dobbiamo preoccuparci?» gli chiese guardando con stupore l’intera scena.
Lance non sapeva come rispondere. E anche se avesse avuto la risposta pronta non avrebbe avuto occasione di pronunciarla visto che Lydia si piantò proprio di fronte a lui.
«Non farlo mai più.» sibilò ignorando completamente Henry, aggrappato alla sua gamba. Si vedeva che si stava trattenendo, eppure il suo tono riuscì a catturare l'attenzione di tutti.
«Lydia, stai bene?» La signora O’Brien la guardava preoccupata.
«Sto fin troppo bene. Non è vero, Lance?» Lydia continuò a fissarlo negli occhi e il suo sguardo mandava scintille.
Lance prese coraggio. «Siamo stati fortunati.»
«Ci stavano per colpire.»
«Ma ci è andata bene. Quel Mangiamorte aveva una mira talmente pessima da averci mancati di diversi metri.»
Lydia prese fiato, per poi bloccarsi di colpo. Lance sapeva che Lydia stava per urlargli contro, aveva riconosciuto il modo in cui aveva strizzato gli occhi e la ruga che le era comparsa sulla fronte, doveva essersi fermata solo perché si era accorta di aver inavvertitamente attirato l’attenzione dell’intera sala. L’unico a non guardarli era Duncan, ancora troppo intento a controllare che la mano di Katherine stesse guarendo nel modo corretto. Lance si augurò che non le rimanesse neppure una cicatrice oppure suo fratello se la sarebbe presa di sicuro con lui. Ma era meglio affrontare un problema alla volta e il più impellente si trovava di fronte a lui nella forma di una strega dai capelli rossi parecchio furiosa.
Henry si staccò di colpo dalla gamba di Lydia con una risatina. «Mi hai dato la scossa!»
«Posso parlarti un attimo in privato?» sibilò lei indicando con un breve cenno il soffitto.
Lance non disse una parola, si limitò a seguirla verso le scale come un condannato a morte.
«Perché l'hai fatto?» fu la domanda che lo accolse non appena entrò nella camera di Lydia.
Poteva rispondere con un generico ‘non so di cosa tu stia parlando’ e negare qualunque cosa lei avesse affermato, di solito era la sua tattica preferita, ma sapeva anche che con Lydia non avrebbe funzionato.
«Ho visto che puntava la bacchetta verso di noi e mi sono messo alle tue spalle, semplice.» Provò a dirlo nel modo più distaccato possibile, mise le mani in tasca e si guardò attorno per evitare lo sguardo della ragazza. La camera era esattamente come la ricordava dopo l’incubo del Ministero, disadorna e con pochi averi personali, qualche libro sul comodino insieme ad una lucente piuma rossa e arancione. Nessuna foto, nessun ricordo.
«Non dovevi farlo!»
«Ma quello aveva una mira pessima, quindi non è successo niente.»
Lydia strinse i pugni. «E se fosse stato più bravo? Lance, non dovevi farlo e non lo dovrai fare mai più.» In lontananza si cominciò a sentire il rumore di passi in avvicinamento, oltre alle grida tipiche di tanti bambini in movimento.
Lance si voltò verso Lydia, non riusciva a capire per quale motivo stesse reagendo in quel modo. «Ho solo cercato di proteggerti!»
«E' questo il problema!» urlò lei. Chiuse la porta della camera per non farsi sentire dai bambini che stavano salendo rumorosamente le scale. «Non ho bisogno della tua protezione, non ne ho avuto bisogno ad Hogwarts e non ne ho bisogno neanche ora. So cavarmela da sola.» I suoi occhi lampeggiavano, la cicatrice spiccava particolarmente sui suoi lineamenti. Lance tentò di difendersi ma Lydia non gli lasciò il tempo. «Non provarci mai più. Giuro che se capiterà un’altra volta, se ti metterai ancora in mezzo convinto di potermi salvare, me ne andrò da questa casa e non mi rivedrai mai più, hai capito?» Ma per quanto Lydia cercasse di mascherarsi dietro alla sua rabbia, Lance percepì chiaramente che sotto a quella furia si celava qualcos’altro. Sembrava spaventata, e Lance continuava a non capire il perché di una reazione tanto irrazionale. «Non permetterò che tu ti faccia ammazzare per colpa mia.» e la mano di lei scattò verso la cicatrice, un tic che ormai Lance aveva imparato a conoscere. Era anche abbastanza sicuro che Lydia non si rendesse neanche conto di farlo.
Lance per un secondo pensò di mentirle. Sarebbe stato così semplice risolvere la questione con un’innocente bugia, ma le parole che pronunciò furono molto diverse. «Non posso prometterti che non lo farò di nuovo in futuro.» disse sinceramente.
«Devi, o me ne vado.»
«Lydia…»
Lydia si avvicinò di un passo. «Promettimelo. Non voglio avere anche il tuo sangue sulle mie mani.» Un lampo di dolore le attraversò il volto. «Non posso.»
Fu proprio il dolore nei suoi occhi a convincerlo a pronunciare le parole che lei voleva sentire. «Va bene allora... Te lo prometto.»
Una promessa destinata a non durare.
Lydia si ritrovò di fronte ad un piatto pieno di arrosto. Nonostante la dieta forzata dell’ultima settimana, la porzione era talmente abbondante che non sarebbe mai riuscita a finirla tutta, ma la signora O’Brien era stata perentoria. «Mangiate. Siete dimagriti troppo.» Solo a quel punto Lydia si era resa conto che effettivamente la signora O’Brien aveva ragione. I loro visi erano tirati, anche se probabilmente era causato più dalla stanchezza e dalla paura che dalla mancanza di cibo non inscatolato. Katherine era ancora piuttosto sottosopra, ma la sua mano era già in via di guarigione. Grazie all’essenza di Dittamo, la ferita sembrava già vecchia di diversi giorni e non di solo un’ora. Nonostante questo, Duncan le stava incollato come una cozza, talmente tanto che non si era neppure rinfrescato il viso o tagliato la lieve barba che era cresciuta a lui e Lance durante i lunghi giorni trascorsi lontani da casa. Lydia sollevò la forchetta e prima di rendersene conto, si avventò sul cibo. Gli altri tre ragazzi seguirono il suo esempio.
I bambini intanto erano sfuggiti al controllo di Caitlin (o Caitlin stessa li aveva fatti scappare per poter tornare dai fratelli) e ora accerchiavano i quattro osservandoli mentre ingoiavano l’arrosto ad una velocità impressionante. Il signor O’Brien era seduto a capotavola, stava accennando a qualcosa riguardante la loro ricerca, ma i ragazzi erano troppo intenti a mangiare per prestargli effettivamente attenzione.
«…E Silas continuava a dirci che era colpa sua e del suo piano.» Una parte del cervello di Lydia, quella non completamente concentrata sull’ingozzarsi di cibo, recepì le ultime parole del signor O’Brien e mandò un segnale di allarme al resto del corpo. Lydia sollevò di scatto la testa e ingoiò intero il pezzo di carne che stava mangiando, che finì per andarle di traverso e farla lacrimare. Tentò di tossire mentre il signor O’Brien continuava imperterrito il suo discorso, Lance le diede qualche pacca distratta sulla schiena. «Vi siete inventati un altro piano che è andato all’aria, vero? Sapete che rischi avete corso? Se decidiamo di seguire un piano, voi-lo-seguite! Potevate morire, o essere…»
Lydia sollevò le mani per bloccare la ramanzina, la gola che prudeva. «Silas intendeva un altro piano.» Vedendosi tutti gli occhi puntati addosso, Lydia fu costretta a specificare. Si schiarì la voce e continuò «Avevamo parlato di un progetto per una cosa completamente diversa, che non c’entrava nulla con la missione.»
«Un piano per cosa?» chiese Lance.
«Era un piano privato.» tagliò corto Lydia. Katherine continuava a mangiare il suo pranzo, doveva aver perso più sangue di quanto pensassero per non essersi accorta del pericolo che avevano appena corso. Ci mancava solamente che Duncan e Lance scoprissero del loro stupido intento di farli parlare.
Il signor O’Brien non sembrava molto convinto, ma lasciò cadere il discorso con grande sollievo di Lydia, che si gettò nuovamente sul cibo come se nulla fosse successo. Non si accorse neppure che Lance non si era lasciato ingannare dalla sua vaga spiegazione.
Prima di quanto immaginasse, il suo piatto si svuotò, avrebbe voluto chiederne ancora ma la signora O’Brien non si lasciò convincere. «Rischiereste di star male.» spiegò loro. Lydia cercò di riempirsi lo stomaco bevendo un bicchiere d’acqua. Bevve fino all’ultimo sorso e prese la bottiglia per riempirlo ancora. Il tempo di sollevarla e al suo fianco comparve all’improvviso un faccino sorridente. Lydia si riempì bicchiere fino all’orlo. «Ciao Henry.»
Henry prese il suo saluto come il segnale per poter iniziare a parlare. «Cosa è successo? Dove siete stati? Avete visto dei cattivi?» Lydia si ripromise di non salutare mai più Henry. Alla fine fu Duncan a rispondere alla valanga di domande, anche se lo fece solo rivolto ai suoi genitori ed ignorando completamente il bambino. Henry non se ne accorse neppure, era troppo intento a saltellare al fianco di Lydia.
Duncan iniziò raccontando la partenza dal rifugio, le loro missioni e di come avevano aiutato i ragazzi a prendere la Passaporta. Henry nel frattempo non si perdeva una parola, continuando a saltellare eccitato. Lydia gli posò una mano sulla testa e lo costrinse a fermarsi. Duncan era arrivato della scena a cui lui e Katherine avevano assistito dopo aver messo in sicurezza l’ultimo bambino quando successe una cosa mai capitata nelle settimane in cui Lydia aveva vissuto in quella casa.
Suonò il campanello.
Il suono riverberò nella stanza, profondo e denso, e Lydia impiegò qualche secondo per capire che era davvero un campanello, e che gli altri abitanti di casa O’Brien non erano per niente turbati da tale avvenimento, come confermato dal fatto che Duncan, Katherine e Lance ripresero a mangiare tranquillamente come se nulla fosse successo. Solo alcuni bambini si guardarono intorno frenetici per capire da dove proveniva quel suono.
Lydia allungò il collo per riuscire a vedere la porta, parzialmente visibile dalla sala da pranzo. La signora O’Brien si alzò da tavola e si diresse tranquillamente ad accogliere il nuovo arrivato. Lydia si spostò di qualche centimetro verso sinistra per cercare di vedere dietro alla schiena della signora O’Brien, continuando allo stesso tempo a tenere una mano sulla testa di Henry per impedire che il suo eccessivo entusiasmo la facesse impazzire. Non riuscì a vedere il misterioso avventore, ma vide Caitlin che stava ritornando dal bagno. La ragazza alzò una mano e disse «Ciao zio!»
Vedendo la posa di Lydia, il signor O’Brien sorrise. «E’ arrivato mio fratello.»
Anthony O’Brien era uguale a suo fratello. Si assomigliavano talmente tanto che Lydia era tentata di chiedere loro se fossero gemelli. Stessi capelli e occhi scuri, stessa statura e dimostravano la stessa età. Si distinguevano solamente per il portamento, se il signor O’Brien sembrava costantemente avvolto da un’aurea di autorità e saggezza, Anthony O’Brien pareva il suo esatto opposto. Nonostante i vestiti eleganti, la sua postura era rilassata, le mani si stringevano nervosamente tra loro e un caldo sorriso gli illuminava il viso, che divenne ancora più luminoso quando vide i suoi nipoti seduti al tavolo da pranzo sani e salvi. Corse ad abbracciare Lance e Duncan, quest’ultimo non particolarmente contento di quella manifestazione d’affetto. «E’ da tutta settimana che cerco vostre notizie» disse lo zio stringendo Lance in un abbraccio da strizzare le costole «Non sapete quanto ci avete fatti spaventare!» Lo lasciò per controllare che fosse tutto intero. «Ho provato ad indagare ma al Ministero evitano tutti di parlare apertamente di Mangiamorte o di Voi-Sapete-Chi… E in questi giorni basta sbagliare a dire una parola per finire denunciati o sotto indagine.» Lydia ricordò che il signor O’Brien le aveva raccontato del fratello durante la sua prima sera. Se ricordava bene lavorava sotto copertura al Ministero della Magia.
Tentando di non farsi scoprire si soffermò ad esaminare l’uomo. Per quanto ci provasse non riusciva proprio a vederlo come il tipo capace di fare un lavoro da spia. Ma sapeva anche quanto le apparenze potessero ingannare.
Anthony si tolse il cilindro e lo posò sul tavolo davanti a lui. Il cappello sbuffò una nuvoletta di fumo verde e con un piccolo salto si ripiegò su se stesso fino a diventare poco più grande di una noce. Henry, ancora immobilizzato da Lydia, emise un verso strozzato che attirò l’attenzione del mago. Anthony ridacchiò vedendo gli occhi strabuzzati del bambino e si mise il cappello rimpicciolito nel taschino. «E’ un piccolo trucchetto che ho dovuto imparare a mie spese. Ogni volta dimenticavo in giro il mio cappello. Certo, adesso mi capita spesso di dimenticare di averlo messo nel taschino e metà dei miei cilindri finiscono in lavatrice, ma quella è un’altra storia.» Lydia sentì sotto le dita Henry che prendeva fiato, certamente per iniziare la sua infinita catena di domande sulla magia appena vista, ma la signora O’Brien fu più veloce di lui e costrinse i bambini a seguirla fuori dalla stanza e tornare di sopra, in modo che gli adulti potessero parlare tranquillamente. In realtà provò a convincere anche Caitlin ad andare con loro, ma la ragazza si sedette accanto a Duncan e protestò sonoramente, utilizzando parole volgari che costrinsero la signora O’Brien a rinunciare immediatamente e portare fuori i bambini prima che potessero ripetere le sue imprecazioni.
«Ci avete fatto preoccupare da morire.» continuò Anthony «Silas era nel panico, neppure Cyril è riuscito a tranquillizzarlo. Non vedo l’ora di dargli la bella notizia.»
Certo, collegò Lydia, Anthony O’Brien era il padre di Silas e Cyril. Ora che ci pensava era facile notare le somiglianze tra padre e figli, specialmente con Silas.
«Perché non ci avete avvisati subito? Avreste potuto evitare un tracollo mentale a mio figlio…» scherzò Anthony.
«Siamo riusciti a scappare questa mattina.» spiegò Lance.
«Scappare?» Lo zio si sedette sulla sedia lasciata libera dalla signora O’Brien «Allora è successo proprio quello che temevamo? Siete stati rapiti?»
«Non proprio.» rispose Duncan allontanando il piatto vuoto «Siamo riusciti ad arrivare ad un rifugio giusto in tempo.»
Il signor O’Brien si accigliò. «Quale rifugio? Non è scattato nessun allarme e i vostri cugini li hanno controllati tutti.»
«Ve lo spiego dopo.» provò a deviare il discorso Duncan, anche se dal suo tono si capiva perfettamente che non aveva nessuna intenzione di ammettere l’esistenza di un rifugio segreto. «In ogni caso le protezioni di Katherine hanno retto e ci hanno tenuti al sicuro per tutta la settimana. Siamo riusciti a scappare solo stamattina perché i Mangiamorte che ci stavano sorvegliando sono dimezzati all’improvviso. Abbiamo approfittato del momento e siamo scappati.» Il signor O’Brien era intenzionato a scoprire di più ma fu bloccato dal fratello.
«E io so perché si sono dimezzati!» Anthony sorrise, incapace di non far trasparire l’evidente emozione che provava. «Sono tutti corsi da noi al Ministero!»
Quelle parole furono sufficienti per distrarre il signor O’Brien e fargli dimenticare per il momento il mistero del rifugio segreto. «State tutti bene? Vi hanno scoperti?» chiese con un cipiglio preoccupato.
Anthony si slacciò il mantello continuando a sorridere. «Mai stato meglio! Harry Potter ha fatto irruzione al Ministero!»
Lydia si ritrovò a bocca spalancata, mentre gli altri iniziarono ad inondare di domande lo zio alla stessa velocità di quelle di Henry di poco prima. Anche il signor O’Brien e Duncan, che di solito si dimostravano i più composti, si sporgevano verso l’uomo stupiti.
«Quando?»
«E’ riuscito a scappare?»
«Cosa ha fatto? Ha attaccato il Primo Ministro?»
«L’Ordine della Fenice era con lui?
«Vuol dire che la guerra è finita?»
Anthony sembrava orgoglioso di trovarsi al centro dell’attenzione e agitò le mani per far segno agli altri di tranquillizzarsi, come se si potesse stare tranquilli dopo una notizia del genere.
«L’ho solamente intravisto mentre scappava con alcuni Nati Babbani che dovevano affrontare l’interrogatorio. Li ha salvati tutti, vi rendete conto?» Lydia pensò ad Alice con una stretta al cuore. «Era circondato da agenti del Ministero ma li ha comunque salvati, ed è riuscito a scappare pure lui!» gli occhi di Anthony brillarono di orgoglio «Io stesso ho rallentato alcuni dei suoi inseguitori! Ho finto di essere troppo sconvolto per quello che vedevo e mi sono messo in mezzo tra lui e gli altri! Ovviamente mi hanno subito spostato di peso, ma gli ho fatto guadagnare secondi preziosi.»
I pensieri di Lydia vorticavano ad una velocità spaventosa. Harry Potter era vivo ed era entrato al Ministero. Aveva liberato dei Nati Babbani. Un piccolo pensiero malevolo si insinuò nella sua mente. Era arrivato troppo tardi per salvare Alice. Lydia lo scacciò subito. Scosse la testa per ritrovare il filo di pensieri. Si chiese per quale motivo il ricercato numero uno d’Inghilterra si fosse presentato nel luogo che veniva ormai considerato come il fulcro del potere di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato. Magari voleva davvero fare un attentato al nuovo Primo Ministro. Oppure era un messaggio rivolto a tutti i maghi e le streghe della Gran Bretagna. Forse in quel gruppo di Nati Babbani si trovava qualche suo conoscente, magari quella sua amica Nata Babbana con cui girava sempre, Hermione Granger, se ricordava bene.
Nel frattempo gli altri stavano esprimendo ad alta voce tutte le loro domande, a cui Anthony non riusciva però a dare risposta. Sapeva solo quello che era riuscito a vedere con i suoi occhi, il resto era subito stato messo a tacere. «Ma avete capito? Ho aiutato Harry Potter!» continuava a ripetere. Lydia pensò a quanto dovesse essere difficile lavorare al Ministero in quei tempi, fingere di approvare tutte le iniziative orribili che stavano mandando avanti, con il terrore di venire scoperti. Provò un enorme rispetto nei confronti di quell’uomo.
«Non ci ha abbandonati…» la voce di Katherine tremava «E anche se lui non lo sa, ci ha salvato la vita.»
Era la pura verità. Se non si fosse presentato al Ministero chissà se e quando avrebbero avuto un’altra possibilità di uscire da quel rifugio e tornare a casa. A mente fredda, Lydia sapeva che senza l’involontario aiuto di Harry Potter per loro le opzioni percorribili sarebbero state due: rimanere nel rifugio sperando che i Mangiamorte desistessero, rischiando però di morire di fame, oppure tentare comunque la fuga. Ma se erano riusciti ad uscirne a stento con i Mangiamorte dimezzati, era inutile illudersi che sarebbero sopravvissuti contro dei nemici così numerosi. Lydia soppresse un brivido e cercò di convincersi che era inutile pensare a come sarebbe potuto andare tutto storto. Erano riusciti a tornare a casa, quella era l’unica cosa importante. Se mai avesse incontrato Harry Potter lo avrebbe ringraziato per quella strana e provvisoria coincidenza che aveva salvato loro la vita. A quel pensiero, un dubbio si insinuò nella mente di Lydia, ma non riuscì ad esporlo agli altri, ancora troppo presi ad interrogare lo zio alla ricerca di risposte che lui non poteva fornire.
«In ufficio ne abbiamo parlato.» stava dicendo Anthony «Pensiamo che abbia voluto fare un gesto simbolico. Dimostrare che può arrivare anche al centro del nuovo potere di Voi-Sapete-Chi. Ha liberato i Nati Babbani per dimostrare che lui è più forte.»
Aveva senso. Era stato un simbolo, che aveva riacceso la speranza in tutti loro.
«Quindi la guerra non è finita? Mi tocca stare ancora chiusa qui dentro?» Forse non proprio di tutti.
«Voglio vedere la reazione di Henry quando lo scoprirà.» rise Lydia. Anthony O’Brien si fermò a osservarla, come se si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza. Sotto quello sguardo scrupoloso, Lydia si sentì in imbarazzo e disse un semplice «Salve.»
Anthony ritrovò il suo sorriso e spalancò le braccia. «Tu devi essere Lydia Merlin! So che Lance parla spesso di te.»
Lydia lanciò un’occhiata a Lance, intento a mangiare gli ultimi pezzi di arrosto «L’ho sentito dire.» sorrise, e fu il turno di Lance di ingozzarsi con il cibo. Si voltò soddisfatta di nuovo in direzione di Anthony. La loro conversazione però ebbe vita corta.
Henry spalancò la porta della sala da pranzo e si gettò nella stanza fermandosi a pochi centimetri da Anthony. «Harry Potter? Hai visto Harry Potter?» urlò, gli occhi sgranati per l’incredulità. Anthony sussultò e scambiò uno sguardo con il fratello.
«Tu come fai a saperlo?» Lydia guardò verso la porta, in tempo per vedere comparire due teste di bambini che scomparvero con la stessa velocità con cui erano arrivate. Simon e Daniel dovevano imparare a non origliare, e soprattutto a non andare a riferire ogni cosa che sentivano ad Henry.
Henry ignorò la sua domanda e concentrò tutte le sue attenzioni verso Anthony, il quale confermò tutto con un sorriso, e il bambino iniziò a fargli talmente tante domande che l’uomo guardò di nuovo suo fratello intontito. «Come è? Hai visto la cicatrice? E’ ancora come un fulmine? Era da solo? E’ alto? Ha detto qualcosa? Ha sconfitto i cattivi? Ha fatto un incantesimo?» e così via, parlando così veloce che alcune parole si fondevano tra loro, non si prendeva neppure il tempo di respirare «Ha una fenice? O un unicorno? Ha una spada?» Frase che alle orecchie di tutti suonò più come «Ha unfeniceounnicornouspada?»
Il signor O’Brien tentò di soccorrere il fratello. «Henry, devi tornare di sopra. E anche Simon e Daniel.» alzò la voce e dalle risatine che giunsero dalla sala si capì che il messaggio era stato ricevuto ma nessuno aveva intenzione di seguirlo. «Henry, torna da Rose.» Ma Henry stava continuando a parlare senza neppure capire che il signor O’Brien si stava rivolgendo a lui. «Vi prego, qualcuno può accompagnarlo di sopra?» Anche i ragazzi fecero finta di non sentire il signor O’Brien. Katherine si lamentò del dolore alla mano, scatenando una reazione spropositata da parte di Duncan, che cominciò a subissarla di talmente tante domande da far rivalità ad Henry.
«E’ un vampiro?»
«Dove ti fa male?»
«E’ un licantropo?»
«La mano o il braccio?»
«Ha le zanne?»
«Vuoi che ti porti qualcosa?»
Lydia faticava a seguire entrambe le conversazioni. E poi come era finito Henry a parlare di zanne, vampiri e licantropi? Caitlin intanto era ben piantata sulla sedia e senza nessuna intenzione di alzarsi, ancora scocciata per il fatto che Harry Potter non avesse posto fine alla guerra, mentre Lance stava cercando di terminare in pace il suo piatto di arrosto.
«C’erano i suoi amici con lui?»
«Vuoi una crema?»
«Anche loro sono vampiri?»
«Forse è meglio bendarla?»
Lydia non riuscì a trattenersi. «Adesso basta!» strillò. Il suo urlo ebbe l’effetto sperato e fece calare il silenzio sulla stanza. Ma attirò anche l’attenzione di tutti i commensali e dallo sguardo del signor O’Brien, Lydia capì chiaramente di essere finita nella sua trappola. Con un grugnito, Lydia scalciò la sedia e si alzò. «E va bene. Ci penso io.» si avvicinò ad Henry e strinse le braccia intorno alla sua pancia, sollevandolo di peso. «Ma solo per questa volta.» minacciò Lydia. «E’ stato un piacere conoscerla, signor O’Brien.»
«Il piacere è tutto mio.» Anthony si alzò, da vero gentiluomo e abbassò leggermente il capo per salutarla. Lei sorrise e passando dietro a Duncan non poté fare a meno si sussurrargli «Perché non hai ereditato la gentilezza di tuo zio? Potrei persino sopportarti in quel caso.» e fuggì dalla stanza, mentre Henry cercava di liberarsi dalla sua presa e di chiedere quali azioni avesse compiuto esattamente Harry Potter. Appena uscì dalla stanza, intravide con la coda dell’occhio due testoline che tentavano di nascondersi dietro ad un divano. «Andiamo, voi due.» Simon e Daniel schizzarono fuori dal loro nascondiglio e la procedettero sulle scale, continuando a ridere, almeno fino a quando giunsero al terzo piano e trovarono una furiosa signora O’Brien ad aspettarli.
«Mi avete fatto prendere un colpo!» stava urlando mentre i quattro salivano gli ultimi gradini. «Se vi dico di rimanere qui, voi dovete ascoltarmi! Come posso correre dietro a tutti se continuate a scapparmi?» Lydia aggiustò la presa sulla pancia di Henry, non lo aveva ancora lasciato per paura che scappasse e tornasse da Anthony. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era di correre su e giù dalle scale all’inseguimento di un bambino. Anzi, non vedeva l’ora di tornare nella sua camera e farsi un riposino, o un bagno caldo, o entrambe le cose contemporaneamente. «Siete in punizione!» continuò imperterrita la signora O’Brien. «Tutti e quattro!»
Lydia contò velocemente i bambini che erano saliti con lei. Simon, Daniel ed Henry. No, erano ancora in tre. E gli altri bambini erano fuori portata, si sentivano le loro voci provenire da una stanza alla loro sinistra. Senza chiedere ulteriori spiegazioni lasciò andare di colpo Henry, che atterrò con un botto per terra. «Allora io vado.» disse con un cenno di saluto.
«Dove pensi di andare?» Il tono della signora O’Brien non prometteva nulla di buono. Lydia cercò di arretrare, pronta a battere in ritirata.
«In camera.» rispose innocentemente.
«Ho detto che siete in punizione tutti e quattro.» gli occhi della signora O’Brien si assottigliarono, le braccia sui fianchi.
Tutti e quattro. Simon, Daniel, Henry e… lei.
Lydia tentò di protestare. «Non ho fatto niente! Li ho solo portati di sopra come mi avete chiesto!»
«Infatti sei in punizione per essere stata via una settimana!»
Lydia non credeva alle proprie orecchie. «Ma eravamo bloccati dai Mangiamorte! Cioè, non proprio dai Mangiamorte, da delle sottospecie di Mangiamorte da come ha detto Duncan… ma le assicuro che erano altrettanto spaventosi e…»
«In un rifugio di cui non eravamo a conoscenza!» replicò la signora O’Brien. I bambini intanto assistevano alla scena muovendo avanti e indietro la testa. «Cosa vi è saltato in mente di tenerci nascosto un nascondiglio? Abbiamo dei protocolli di sicurezza per un motivo. Nei prossimi giorni aspettatevi un ripasso completo di interrogazione, signorina, tu e gli altri tuoi amici.» Lydia si trattenne dal commentare che solo uno degli altri ragazzi era effettivamente un suo amico. In ogni caso si arrese all’evidenza e decise di accettare la punizione piuttosto che rimanere per altro tempo su quel pianerottolo a subire le ire della signora O’Brien.
Aveva appena ceduto quando sentì un singhiozzo levarsi al suo fianco. Daniel lo ripeté. «Rose… mi fa male la pancia.» e accompagnò il singhiozzo a degli occhioni talmente innocenti che per un istante Lydia credette alle sue parole.
La signora O’Brien ci cascò in pieno, si sporse verso di lui per stringerlo in un abbraccio. «Se ti fa tanto male è meglio se vieni con me.» disse con un tono completamente opposto a quello che aveva usato fino a quel momento. Daniel annuì e tirò su con il naso. La signora O’Brien continuò a parlargli dolcemente mentre lo spingeva gentilmente verso la stanza in fondo al corridoio. Vedendo che si era completamente dimenticata di loro, Lydia sperò di essere riuscita ad evitare la punizione, ma neanche il tempo di pensarlo che la signora O’Brien si voltò di nuovo, puntandole un dito contro. «Voi tre, punizione!»
Il mezzo sorrisetto di Lydia le sparì completamente dal viso, Simon protestò pestando i piedi, mentre Henry sospirò affranto. E in tutto questo, la signora O’Brien continuò ad allontanarsi stringendo a sé Daniel. Il bambino si voltò un’ultima volta verso di loro, giusto il tempo di una linguaccia prima di sparire dietro alla porta. Le proteste di Simon si levarono ancora più rumorose e Lydia dovette trattenersi dal fare altrettanto.
Così Lydia si ritrovò chiusa contro la sua volontà in una stanza tramutata in un’improvvisata aula scolastica. Era la prima volta che si trovava lì in presenza dei bambini. Di solito saliva al terzo piano solo quando era assolutamente sicura di non trovarci nessuno, e anche in quei casi cercava di evitarlo il più possibile. E invece era costretta a stare lì a preparare cartelloni con i nomi e le immagini di animali per le lezioni che sarebbero iniziate entro pochi giorni, con Simon, che non aveva smesso un secondo di lamentarsi, ed Henry, che continuava imperterrito a parlare a raffica.
«Harry Potter è andato al Ministero!»
«Henry…»
«Harry ha sconfitto tutti i Mangiamorte!»
«Basta.»
«Ucciderà tutti i cattivi!»
«Fallo smettere!» Simon si coprì le orecchie, le mani appiccicose a causa della colla gli si incollarono sui capelli andando solamente a peggiorare la situazione.
«Non so se hai notato ma non mi ascolta…» Lydia cercò di staccare la mano di Simon dalle orecchie. Non era stata una buona idea aggiungere un incantesimo alla colla per farla attaccare meglio e cercare di finire prima. «Henry, lavora o domani sarai ancora in punizione.» provò comunque a dire, senza alcun effetto sul bambino che continuò imperterrito a saltare sulla sedia. Lydia tirò con tutte le sue forze la mano di Simon. Non si smosse di un centimetro. «Non viene via…» lasciò andare il polso di Simon, non si ricordava nessun incantesimo che non comprendesse il tagliare o le mani o le orecchie.
Simon scosse la testa (e le mani) «Mi va bene anche rimanere così, basta che lo fai stare zitto.»
Lydia recuperò la bacchetta da sotto una decina di animali di carta e la puntò contro Henry. «Silencio.»
«E Harry Potter non ha paura! Ha sconfitto i cattivi tutto da solo!» Il primo tentativo di silenziarlo fallì a causa dei troppi movimenti del bambino, l’incantesimo passò sopra la sua testa evitandolo e colpendo al suo posto un cartellone sull’antica Mesopotamia, bruciacchiandolo in un angolo. «Ed era al Ministero! Anche lo zio Anthony l’ha aiutato, hai sentito Lydia? Anche lo zio Anthony è un eroe! Come Harry Potter.» continuava a dire saltellando «No, Harry Potter è un supereroe ma anche lo zio Anthony non è male.»
Solo al terzo tentativo Lydia riuscì a colpirlo, ma questo non scalfì l’entusiasmo di Henry che era talmente preso nei suoi discorsi da non accorgersi neppure che nessun suono usciva dalla sua bocca in costante movimento, e continuò così ad agitarsi anche senza poter parlare.
Lydia scrollò le spalle e si concentrò di nuovo sul il suo lavoro. «E’ il massimo che posso fare.» Decise di ignorare completamente sia Henry che Simon, ancora bloccato con le mani sulle orecchie e tagliò il contorno di una scimmia. La incollò in cima ad un nuovo cartellone. «Mi passi il pennarello marrone, Simon?»
«Eccolo.» rispose una voce ben diversa.
Lydia non sollevò lo sguardo dalla sua scimmia. «Fammi indovinare. Sei anche tu in punizione.» Scrisse il nome dell’animale a grandi lettere al fianco dell’immagine.
Lance spostò lo sgabello e si sedette al suo fianco, incrociando le braccia sul tavolo con aria imbronciata. «Ero solo passato a vedere dove eri finita ma ho incontrato prima la mamma. Come mai Simon non si toglie le mani dalla testa?»
«Colla.» rispose vaga Lydia.
«E perché Henry parla ma non pronuncia nessun suono?»
«Incantesimo.» rispose ancora più vaga. Lance decise di non indagare e si limitò ad annuire pensieroso.
«Per quanto tempo pensi che sia moralmente giusto lasciarli così?»
Questa volta Lydia considerò veramente la questione. «Direi almeno venti minuti. Ce li meritiamo.»
Lance annuì di nuovo e prese il foglio con il disegno di una tigre, iniziando a ritagliarne i contorni. Dei venti minuti che avevano programmato, riuscirono a passarne in pace solo cinque. Dopodiché Simon iniziò a protestare dicendo che non sentiva più le braccia mentre Henry si era finalmente accorto di essere stato Silenziato e si vedeva che era combattuto tra il sentirsi offeso o esaltato per il fatto di essere sotto un incantesimo.
«Sento le formiche… Ho delle formiche sul braccio? Toglietemele, toglietemele!» urlò Simon agitando l’intero busto.
«Voglio parlare, voglio parlare!» urlava senza voce Henry, o almeno, era quello che sembrava dal labiale. Era una delle due ipotesi di Lydia, o quello o «Voglio ballare, voglio ballare!».
Alla fine si vide costretta a togliere l’incantesimo ad Henry, che, appena lo capì, spalancò la bocca per recuperare gli ultimi minuti di conversazione persa. Lydia lo bloccò all’istante. «Provaci e ti trasformo in una rana.» minacciò.
«Guarda che può farlo davvero. Ha la passione nel trasformare le altre persone in animali.» ricordò Lance con un brivido.
Lydia protestò. «E’ stato solo un incidente!»
«Ma è successo tre volte!»
«Un incidente ripetuto.» si limitò a rispondere Lydia, agitando lievemente la bacchetta in direzione di Simon. Le sue mani rimasero inchiodate dove erano. «Mi fanno male i muscoli!» ululò Simon.
«E va bene.» borbottò Lydia rialzando la bacchetta. «Finite incantatem!» pronunciò con maggiore convinzione, riuscendo così a liberare Simon. Il bambino iniziò a dondolare le braccia per far riprendere la circolazione. Lydia e Lance tornarono alla loro punizione, uno ritagliava mentre l’altra incollava e scriveva il nome degli animali. Simon ed Henry avevano iniziato a discutere tra loro su un coniglietto o qualcosa del genere, Lydia aveva smesso di ascoltarli appena li aveva sentiti parlare.
«E pensare che solo qualche ora fa eravamo circondati da maghi pronti ad ucciderci…» Lance osservò l’ultima immagine rimasta da sistemare. «Questo che animale è? Un pappagallo? O una gallina?» lo ruotò più volte, cercando di interpretare il disegno della sorella, non molto portata all’arte. «Potremmo mettere un punto di domanda e far decidere i bambini.» lo girò ancora una volta «O lo facciamo semplicemente sparire.» decise infine.
Lydia, nel frattempo, annuiva, in realtà senza prestare attenzione. Le prime parole di Lance le avevano riportato la mente a quella mattina. Nella fretta della fuga non aveva riflettuto molto su cosa stesse succedendo, ma ora, nella tranquillità di casa O’Brien, poteva permettersi di ripensare a quegli attimi terribili. E più ci pensava più qualcosa non le tornava, ma non riusciva a capire cosa.
Scosse la testa, tentando di tornare al presente, infastidita da quella sensazione di aver perso un pezzo importante, di non aver capito qualcosa di fondamentale. Odiava quella sensazione, era come quando si dimenticava qualcosa e sapeva di averlo dimenticato ma non riusciva a ricordare di cosa si trattasse. Sapeva anche che avrebbe continuato a darle fastidio fino a quando non avrebbe trovato una soluzione. Alzò un pennarello, decisa ad aggiungere qualche foglia per decorare il cartellone e cercare così di distrarsi. Si immobilizzò tenendo il pennarello verde davanti agli occhi. Verde.
«Non ci hanno uccisi.» sussurrò. Henry e Simon erano troppo impegnati a litigare tra loro per prestare attenzione alle sue parole, ma Lance le capì perfettamente.
Il ragazzo cosparse il retro dell’animale sconosciuto di colla «Non vorrai lamentarti per non essere stata uccisa, spero!» appoggiò il disegno sull’angolo libero del cartellone e fece pressione per farlo incollare bene.
Quando rialzò lo sguardo si rese conto che Lydia lo stava fissando. «No, non hai capito. Loro non ci hanno uccisi!»
Lance cercò di non perdere la pazienza «Ho capito, e ti ripeto che dovresti esserne contenta.» e pensando che la conversazione fosse finita, rubò il pennarello rosso dalle mani di Henry e disegnò un punto di domanda a fianco dell’ultimo disegno di Caitlin. Il bambino si affrettò a riprendersi il suo pennarello, lanciandogli uno sguardo offeso.
«Lance!» esclamò spazientita Lydia «Non hanno neanche provato ad ucciderci!» Lance si limitò a guardarla come se stesse dicendo cose senza senso. «Pensaci! Quando abbiamo incontrato quell’uomo in città, quando siamo andati a prendere Daniel, quel tipo ha cercato di ucciderci. Lo hai sentito anche tu! Ha provato a lanciare un Anatema che Uccide! Ma stamattina non hanno usato nessun Avada Kedavra. Neanche uno. E neppure altre maledizione che avrebbero potuto ucciderci!» e sventolò il pennarello verde per sottolineare il concetto.
«Ma hanno cercato di disintegrarci…»
«Ragiona! Siamo stati troppo fortunati! Katherine si è Spaccata, ma nessuno di noi è rimasto ferito nella fuga… Pensi davvero che tutti quelli che ci stavano inseguendo avessero una mira tanto pessima? Sono degli stupidi ma non penso proprio che abbiano lasciato dei completi idioti a sorvegliarci.»
Lance si fermò a riflettere, ricordando la mattinata. In effetti non erano stati colpiti nemmeno di striscio da nessun incantesimo troppo potente, erano tutti andati contro alberi e cespugli. C’era un’unica risposta possibile. «Non ci vogliono più uccidere.»
«Qualcosa è cambiato.» confermò Lydia. «E tuo padre ha detto che sospettano che qualcuno prende i bambini, se ha ragione, se davvero loro lo sanno, allora c’è solo un motivo per cui non ci vogliono morti…»
«Vogliono scoprire dove nascondiamo i bambini.» completò la frase Lance. Entrambi si voltarono a guardare Henry e Simon, ancora presi dal loro innocente litigio. Lydia sentì una forte ondata di nausea al pensiero che quei due bambini potessero finire nelle mani dei Mangiamorte, così come gli altri bimbi che finora avevano trovato rifugio a casa O’Brien.
Solo in quel momento Lydia si rese conto che avrebbe fatto di tutto per difenderli, non avrebbe permesso a quei mostri di toccarli o anche solo di avvicinarsi a loro.
Aveva fallito troppo volte. Aveva fallito con Alice, aveva fallito con… Lydia scosse la testa per allontanare gli incubi. No, aveva fatto una promessa, aveva stretto un giuramento, ma più di tutto lo doveva a se stessa e a quei bambini.
Li avrebbe difesi contro il male, o sarebbe morta provandoci.
Quando l’Espresso di Hogwarts giunse infine alla stazione di Hogsmeade, il buio era già calato e rendeva difficoltoso riuscire a distinguere i volti degli altri studenti. Sembrava una massa conforme, soprattutto avendo tutti indossato la stessa identica uniforme nera, che rendeva ancora più difficile riconoscere qualcosa. Capelli rossi. Doveva cercare dei capelli rossi, pensò Lance alzandosi in punta di piedi senza riuscire però a distinguere il colore dei capelli di nessuno. Provò anche a salire in piedi su una panchina ma ancora nulla.
«Primo anno! Primo anno!» Un uomo gigantesco li stava chiamando da un angolo della banchina. Ma certo, doveva essere Hagrid! Lance si era dimenticato che l’ingresso ad Hogwarts per gli studenti del primo anno avveniva con le barche, il che significava che stava davvero per incontrare la bambina dai capelli rossi. Lance scese con un salto dalla panchina e perse leggermente l’equilibrio a causa del peso del suo gufo sulla spalla sinistra. Il Prefetto che aveva fatto il giro del treno gli aveva detto di lasciare i suoi bagagli sul treno e che li avrebbe ritrovati nel suo dormitorio quella sera stessa, ma Lance non aveva voluto abbandonare il suo gufo, e così aveva aperto la gabbietta e quello, invece di volare verso la guferia della scuola, si era posato sulla sua spalla e non era ancora sceso. A Lance non dispiaceva. Lo faceva sentire meno solo.
Si fece largo tra la folla, tenendo come punto di riferimento la testa di Hagrid che sovrastava tutti, e quando riuscì finalmente a raggiungere il gruppo del primo anno, iniziò a guardarsi attorno per cercare la bambina dai capelli rossi, senza trovarla.
«Dovremmo esserci tutti!» disse Hagrid battendo le mani e causando una corrente d’aria che costrinse il gufo di Lance ad agitare le ali per mantenersi dritto.
Lance percepì la tristezza tornare nel suo cuore. Non aveva trovato la ragazza. E se si era confuso? Forse la bambina non frequentava il primo anno, magari era già al secondo e in chissà quale Casa.
«E’ un bel gufo.» disse una voce alle sue spalle. Lance si voltò e vide con enorme stupore davanti a sé la bambina dai capelli rossi. Non ci poteva credere. «Mio papà voleva prendermi un gufo ma io non ho la minima idea di come ci si prende cura di un gufo, e allora l’ha comprato lui.» Un’altra bambina era accanto a lei e si guardava attorno rapita. «Il tuo come si chiama?»
Lance abbassò lo sguardo imbarazzato. «Non gli ho ancora dato un nome.»
La bambina si avvicinò per osservare meglio il gufo. «Cosa ne dici di Teseo?»
«E’… è un bel nome.» ammise Lance, totalmente nel pallone. Aveva finalmente trovato la bambina, ma ora che l’aveva incontrata non sapeva cosa dirle. Come poteva chiederle di fargli compagnia per farlo sentire meno solo? E poi sembrava aver già fatto amicizia con l’altra bambina.
«Forza, è ora di andare!» esclamò Hagrid allontanandosi a grandi passi. Gli studenti del primo anno dovettero cominciare a correre pur di stargli dietro, con il terrore di perdersi in quei posti sconosciuti, e nella fretta di seguire il Custode, Lance perse di vista la bambina dai capelli rossi.
Corsero fino ad arrivare alle sponde del lago, dove li aspettavano delle piccole barchette. Lance sapeva cosa li attendeva, avrebbero navigato sul lago fino ad arrivare a scorgere Hogwarts, in una visione spettacolare. La sua famiglia ne aveva parlato talmente tanto che a Lance sembrava di averlo già vissuto. Salì sulla prima barchetta libera e fu per puro caso che la bambina dai capelli rossi e la sua amica salirono sulla stessa imbarcazione, insieme ad un ragazzo paffutello. Prima che Lance potesse pensare a cosa dire, le barchette iniziarono a muoversi da sole e, tra i mormorii estasiati dei bambini, la traversata del Lago Nero cominciò.
Il momento in cui finalmente svoltarono l’angolo e videro per la prima volta il castello di Hogwarts, fu per Lance uno dei più belli della sua vita.
Eccola lì, la scuola che aveva sempre sognato, così bella e maestosa, ricca di nuove possibilità. La luce della luna si rifletteva sulla superficie del lago rendendo la visione ancora più grandiosa. Lance era completamente senza parole. Fino a quando la bambina dai capelli rossi gli parlò.
«Comunque sono Lydia. Lydia Merlin.» e stese una mano verso di lui.
Lance si fermò un istante a guardare la mano tesa. «Lance O’Brien.» disse infine.
E i due bambini si strinsero la mano, mentre Hogwarts si stagliava maestosa dietro di loro.
FINE PRIMA PARTE