
Capitolo 10 - Pandizenzero
Capitolo 10
Pandizenzero
Era tutta la vita che Lance O’Brien aspettava con impazienza il giorno del suo undicesimo compleanno. Sin da quando aveva memoria, ricordava gli incredibili racconti su Hogwarts della sua famiglia, sui luoghi stregati, i fantasmi che giravano indisturbati nel castello, oltre che le straordinarie magie che venivano insegnate in quelle mura. Tutte le sere, prima di addormentarsi, provava ad immaginare i grandi saloni, le sale comuni, la guferia, il Lago Nero e la capanna di Hagrid, e ogni compleanno che passava significava che era un anno più vicino a realizzare tutti i suoi sogni.
Prima arrivò la lettera per Duncan. Lance urlò di gioia e saltellò per tutta la casa quando vide il gufo arrivare e consegnare il suo prezioso carico nel piatto della colazione di Duncan, ed era altrettanto agitato durante gli acquisti a Diagon Alley e quando accompagnarono Duncan al binario nove e tre quarti il primo settembre. Era talmente felice di essere lì: poteva finalmente vedere il luccicante Espresso di Hogwarts con i suoi occhi, insieme ad una folla di giovani maghi e streghe pronti ad andare nel posto dei suoi sogni. Era così su di giri da non accorgersi degli sguardi preoccupati dei suoi genitori, di quanto si sentissero fuori luogo durante il loro ritorno nel mondo magico.
«Calmati, Lance.» Caitlin gli diede una gomitata. Lance non se ne accorse neppure, era intento a guardare estasiato uno studente con un rospo su una spalla. Un rospo. Su una spalla! «Tanto tra pochi anni saremo noi su questo treno, e vedrai che noia che diventerà dover andare a lezione tutti i giorni!»
«Noia? NOIA?» strillò Lance «Potremo imparare dai più grandi maghi del mondo! Albus Percival Wulfric Brian Silente sarà il nostro Preside! E impareremo a volare, a fare magie e vedremo animali fantastici…» I suoi occhi si spalancarono «Magari ci faranno vedere un drago!» E al pensiero del drago ricominciò a saltellare attirando alcune risatine da chi si trovava nei dintorni.
«Piantala, scricciolo!» borbottò Duncan trascinando il suo baule «Non farmi fare brutta figura.»
«Gliel’ho detto anche io!» esclamò Caitlin.
«Ma ci sono i draghi!» urlò Lance, incapace di comprendere come mai sua sorella non saltasse di gioia come lui.
«Dopo questa: ciao, io non vi conosco e voi non conoscete me, non so se torno alle vacanze di Natale, ci vediamo quest’estate.» e detto questo Duncan si eclissò sull’Espresso di Hogwarts senza voltarsi a salutare i fratelli.
Per far calmare Lance, suo padre si fermò in un negozio di giocattoli accanto alla stazione di King Cross e gli comprò un peluche a forma di drago.
Quello stesso peluche fece compagnia a Lance negli anni successivi, passati nella sempre più impazienza di poter finalmente essere ammesso ad Hogwarts. Impazienza alla quale però, a volte, si mischiava una certa inquietudine.
«E se non mi accettano?» aveva chiesto la sera del suo decimo compleanno, mentre sua mamma gli rimboccava le coperte. «Magari si dimenticano di me. O la mia lettera si perde. O decidono che non sono abbastanza per Hogwarts.»
«Oh, piccolo mio, sono sicura che tra un anno esatto starai festeggiando l’arrivo della tua lettera. E tu e tua sorella potrete andare ad Hogwarts e vivere le vostre avventure. Devi solo avere pazienza!» e con un ultimo bacio ai figli, era uscita dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
La voce di Caitlin si alzò nell’oscurità. «Ha ragione la mamma. Tra un anno arriveranno le nostre lettere e andremo ad Hogwarts.»
Lance si rigirò nel letto, stringendo al petto il suo pupazzo drago. «E sarai mia amica anche ad Hogwarts, vero?» chiese preoccupato. Lui e Caitlin avevano vissuto tutta la loro vita uno a fianco dell’altra, sempre nella stessa sezione all’asilo e nella stessa classe a scuola, avevano gli stessi amici e passavano ogni singolo giorno insieme.
«Ma certo, stupido!» Caitlin sembrava offesa «Non ti ricordi? Dobbiamo andare nella Foresta Proibita insieme! Me lo hai promesso!»
«E nuotare nel Lago Nero.»
«Per conoscere le sirene!»
«E dobbiamo essere nella stessa Casa!» continuò Lance sollevato.
«Quello di sicuro. Dove ci smisterà il Cappello Parlante?»
Lance si voltò di nuovo a guardare il soffitto e le stelline luminescenti che papà vi aveva appeso anni prima. «Non lo so… Penso Serpeverde. La nostra famiglia è Serpeverde da generazioni… E Duncan è stato Smistato in Serpeverde.»
Caitlin ci pensò per alcuni minuti «Serpeverde non è male.»
Lance rimase in silenzio.
«Comunque non importa. L’importante è che saremo lì insieme.» continuò convinta Caitlin.
Il Fato però, aveva altri progetti.
Il giorno prestabilito per la missione arrivò più in fretta del previsto e i quattro giovani maghi di casa O’Brien lasciarono le mura protette per dirigersi verso uno dei tanti rifugi della famiglia. Questo rifugio in particolare, scoprì Lydia, apparteneva al fratello del signor O’Brien. Era un piccolo cottage sperduto in campagna, lontano da qualsiasi altra abitazione; abbastanza grande da poter ospitare tutti nel suo salotto e completamente abbandonato considerando la polvere che si addensava su tutte le superfici e l’odore di stantio che permeava ogni stanza. Oltre ai quattro ragazzi, erano presenti i rappresentanti delle altre due Case Sicure che collaboravano con loro: due signori di mezza età, due ragazze e un giovane della casa degli Yorgenben, e le due donne della casa Austen, dove avrebbero trovato rifugio i ragazzini che stavano per salvare. Inoltre c’era anche un ometto con un cappello particolarmente vistoso che era lì in rappresentanza dell’Ordine della Fenice.
L’improbabile gruppo stava attendendo che arrivasse l’ora prestabilita per l’inizio dell’operazione, sfruttando il tempo rimasto per rivedere le mappe e ricalcolare le vie di fuga disponibili. Si sarebbero mossi tutti contemporaneamente, così non avrebbero lasciato il tempo al Ministero di accorgersi che gli undicenni stavano cominciando a scomparire. Per questo motivo sarebbe stata necessaria la tempestività, il che significava che quel giorno avrebbero dovuto correre dei rischi pur di fare in modo di riportare tutti nel rifugio prima che i Mangiamorte potessero intervenire. E proprio per non perdere tempo prezioso, in quello stesso momento, un altro componente dell’Ordine della Fenice stava facendo il giro delle case per avvertire i genitori che i figli sarebbero dovuti partire prima del previsto. Così al loro arrivo, i ragazzi avrebbero già avuto il baule pronto e non sarebbero stati rallentati da genitori apprensivi. Mandare una persona in avanscoperta era stata una decisione rischiosa, per un breve periodo avevano considerato anche l’idea di rapire i bambini stessi durante la notte ma avevano constatato che avrebbe comportato rischi maggiori. Dovevano solo sperare che il mago o la strega dell’Ordine fosse così abile nel confondersi nella folla come continuava a ripetere l’ometto.
Mentre aspettavano il via libera, stanca di stare a guardare le mappe che ormai conosceva a memoria, Lydia passeggiava avanti e indietro in un angolo della sala. Odiava le attese. E non aiutava il fatto di trovarsi in un luogo ristretto con così tante persone. Si rese conto di non essere più abituata: in casa O’Brien avevano così tanto spazio da aver dimenticato cosa si provasse a stare in una stanza affollata.
«Come va il braccio?» Lydia alzò lo sguardo rivolgendolo stupita verso Lance. I due non avevano parlato molto i giorni precedenti, troppo presi dalla preparazione del piano, e il ragazzo l’aveva evitata per tutto il tempo libero. Conoscendolo doveva sentirsi in colpa per le sue ferite.
«Sto benissimo.» Lydia agitò il braccio per far vedere che riusciva ad utilizzarlo senza fatica, nonostante la mano e la spalla fossero ancora avvolte nelle bende.
Non avrebbe mai ammesso neppure sotto tortura che in realtà sentiva ancora delle fitte di dolore se lo usava troppo, o sarebbe stata messa in panchina. E non avrebbe di certo lasciato tutto il divertimento a Lance, Duncan e Katherine.
Iniziava a capire cosa doveva provare Caitlin.
«Lo sai che non è colpa tua, vero?» chiese fermandosi «Sono stata io ad essermi comportata da stupida dopo l’attacco. Potevo lanciare uno scudo difensivo senza buttarmi a terra e farmi investire da un intero servizio di stoviglie e zuppa.»
Lance scosse la testa affranto. «Era una questione tra me e mio fratello, non dovevi andarci di mezzo.»
«Se non volevo essere coinvolta non gli avrei puntato la bacchetta contro. Lance, sono adulta e diplomata. Ho preso la mia decisione.» Lydia si avvicinò alla lampada che si trovava in quell’angolo e tirò la cordicella per vedere se si accendeva. Rimase spenta. «E poi tu sei sempre stato al mio fianco a scuola, è ora che io ricambi il piacere.» Almeno da lui poteva farsi perdonare.
E forse glielo avrebbe anche detto se la porta del rifugio non si fosse spalancata di colpo andando a sbattere contro lo stipite ed attirando l’attenzione di dodici maghi con i nervi a fior di pelle. I due ragazzi sulla porta non sembrarono affatto turbati nel trovarsi presi di mira da una dozzina di bacchette. Il più basso di loro si limitò a spalancare le braccia e urlare con un sorriso a trentadue denti: «Siamo arrivati! Non volevate rubarci tutto il divertimento, vero?»
Lance fu il primo ad abbassare la bacchetta e dirigersi verso i due nuovi arrivati con un sorriso. «Certo che no.» disse «Ci sono abbastanza Mangiamorte per tutti!» e abbracciò il primo dei ragazzi. «Ciao Silas, ciao Cyril, che bello rivedervi!» Anche l’altro, Cyril, entrò nel rifugio, richiudendosi la porta alle spalle.
«Amici vostri?» borbottò uno degli Yorgenben.
«Cugini.» rispose Duncan andando a salutare i nuovi arrivati. A quelle parole anche gli altri maghi abbassarono le bacchette, tornando alle loro occupazioni.
Lydia invece rimase a fissare i due nuovi arrivati. Era sicura di averli già conosciuti. Assomigliavano in maniera spaventosa al signor O’Brien, più dei suoi stessi figli, anche se i loro occhi avevano un’espressione completamente diversa. Il più alto aveva qualche anno in più dell’altro, portava un orecchino a forma di dente di drago, i capelli corvini erano lunghi e legati in un codino, e la sua bacchetta era appesa alla cintura come se fosse una spada. Il fratello invece indossava una camicia con disegnati tanti boccini d’oro, parzialmente coperta da un mantello rosa, e sulla testa portava un cilindro nero. Era una vera e proprio accozzaglia di colori che eppure gli donava.
«Spero che tu abbia portato il cambio.» gli disse Duncan prima di scambiare una stretta di mano con entrambi e, miracolo dei miracoli, rivolgergli un sorriso sghembo.
Lydia era sicuro di averli già visti da qualche parte, ma dove?
«Katherine!» esclamò Silas «Che piacere rivederti!»
Lance tornò al fianco di Lydia. «Se non fanno un’entrata ad effetto non sono contenti. L’ultima volta che li ho visti hanno organizzato un vero e proprio spettacolo di fuochi d’artificio prima di Materializzarsi al centro di un cerchio di fuoco. Solo che stavamo per entrare in clandestinità quindi sono scattati gli incantesimi di protezione e si sono ritrovati con ustioni su tutto il corpo. Ho dovuto passare le successive ventiquattro ore chiuso in laboratorio a creare galloni interi di crema Rigenera Pelle e olio Allevia Bruciore.»
Silas si voltò verso di loro. «Lydia! Che piacere rivederti!» disse facendo un piccolo inchino e togliendosi il cilindro. Entrate ad effetto. Inchino. La conoscevano.
«Ci siamo visti alla Coppa del Mondo!» ricordò finalmente Lydia.
«Proprio così.» rispose Silas rindossando il cilindro.
Ma a quel ricordo se ne susseguì un altro. «Emh… non ci siamo più scusati per la tenda.»
«Nessun problema! Oltre a quella che vi avevamo prestato anche la nostra è finita in cenere… Quei Mangiamorte non hanno proprio rispetto per le proprietà altrui.» scherzò. «Allora, come stai?»
«Bene.» rispose Lydia, più per cortesia che per altro.
«Ho visto che ti sei procurata una bella cicatrice in faccia.» A queste parole Lydia spostò i capelli da dietro l’orecchio per lasciarli ricadere sul volto e coprirlo il più possibile. Serrò le labbra in una linea sottile e incrociò le braccia al petto. Se non fosse stato per la presenza di Lance si sarebbe voltata e se ne sarebbe tornata a casa. «Cyril ti invidierà da morire. Ha sempre desiderato una cicatrice tutta sua, dice che migliorerebbe i nostri affari.» Lydia decise di non voler sapere di quali affari si trattassero. Per fortuna Silas non si fermò ad attendere una risposta da parte di Lydia e continuò imperterrito il suo discorso. «Allora, come va a casa O’Brien? Ti hanno già fatta impazzire? Si sono già squartati? Io e Cyril abbiamo fatto una scommessa su quanto riusciranno a resistere quei tre prima di farsi fuori a vicenda.» disse indicando con un cenno Lance, non proprio contento della piega che stava prendendo la conversazione.
Lydia non riuscì a trattenersi. «Penso che dovreste scommettere su quanto tempo impiegheranno a scannare me.» disse ridendo, pentendosi appena vide l’espressione sul viso di Lance. Il ragazzo aprì bocca ma Lydia lo fermò prima che potesse espirare. «Se dici ancora una volta ‘scusa’ ti butto in pasto ai Mangiamorte. Lo giuro.» E bastò a zittirlo.
«Adesso sì che la situazione si è fatta interessante. Anche perché era una scommessa noiosa. Avevamo scommesso tutti e due che sarebbe stata Caitlin l’unica a sopravvivere e quindi ci è toccato scommettere contro papà, ora invece…» si grattò il mento pensieroso. Lydia si ritrovò a pensare che la signora O’Brien non avrebbe particolarmente gradito tali discorsi.
«Comunque bel mantello.» disse Lydia per togliersi dall’imbarazzo, ma Silas non recepì il messaggio e continuò a rimuginare.
«Silas ha una collezione di mantelli.» rispose Lance per lui. «Il suo sogno più grande è poter un giorno avere il Mantello dell’Invisibilità, ma si deve accontentare di possedere solo le sue copie scadenti.»
Le parole di Lance furono in grado di attirare l’attenzione di Silas. «Cugino! Non nominare il Mantello Che Non Deve Essere Nominato, lo sai che sarà sempre il mio più grande cruccio.» disse in un tono altamente drammatico e sventolando una mano.
Lance si avvicinò a Lydia e le sussurrò all’orecchio. «E anche la sua più grande spesa. Quattro anni fa ha contattato un rivenditore di Nocturn Alley che sosteneva di possedere il vero Mantello dell’Invisibilità. Ha sborsato mille galeoni per poi scoprire che il famoso Mantello era solo un mantello babbano maculato da signora.»
«Guarda che ti sento.» disse Silas. «E comunque non ho completamente buttato quei soldi. Quel mantello è uno di quelli che uso più spesso in inverno, è fenomenale contro il freddo e mi fa un figurino da far invidia a tutti voi.»
Lydia non riuscì a trattenere una risata, seguita a ruota da Lance.
«Ridete, ridete.» bofonchiò Silas sistemandosi il mantello rosa «Vedrete come sfigurerete questo inverno accanto a me.» Lydia cercò di fermare la risata, scatenando la reazione opposta e provocando un nuovo attacco di risate anche in Lance.
«Scusate.» Katherine era arrivata alle loro spalle, con un piccolo sorriso sulle labbra. Lydia tentò di ricomporsi e si asciugò di nascosto gli angoli degli occhi. «Vorrei parlarti un attimo.» disse sorridendo. Lydia si stupì ancora una volta nel constatare che quella ragazza non smetteva praticamente mai di sorridere o trattare con gentilezza chiunque, forse era questo il motivo per cui era l’unica a sopportare Duncan (se non si considerava Caitlin).
«Lance!» La voce poderosa che lo chiamò apparteneva ad uno degli Yorenberg, un omone grande come un armadio, con dei baffi a punta e la testa pelata. Era seduto al tavolo e osservava le mappe, solo che, viste le sue dimensioni, sembrava un adulto seduto ad un tavolino per bambini e Lydia doveva trattenersi dal ridere ogni volta che si voltava nella sua direzione.
Lance si scusò e si allontanò, lasciando Lydia ad affrontare da sola l’eccessiva gentilezza di Katherine. O meglio, aveva anche Silas considerando che era rimasto e sembrava intenzionato ad ascoltare tutto il discorso.
«Dimmi.» disse Lydia «O vuoi… emh… spostarti da un’altra parte?» Sperò che Silas recepisse il messaggio, invece il ragazzo si limitò a togliersi il cilindro per spazzolarlo, neanche minimamente intenzionato ad allontanarsi.
«Non fa niente. Silas è di famiglia.» Capendo che non si sarebbero mossi da lì, Lydia decise che tanto valeva mettersi comode e si sedette sull’orlo di una poltrona coperta da un lenzuolo, sollevando una nuvoletta di polvere che la fece starnutire. Katherine stava tormentando l’anello di fidanzamento. «Volevo dirti che mi dispiace per quello che è successo.» Silas smise subito di pulire il cilindro e si avvicinò di un altro passo per non perdersi neppure una parola. «Avrei voluto dirtelo prima ma… Comunque mi dispiace davvero, quando vuole Duncan sa essere veramente testardo, però dovevi vederlo dopo l’incidente. Gli è dispiaciuto che tu ti sia fatta male.»
Lydia stentava a crederlo. Posò lo sguardo su Duncan: sentendo chiamare il fratello aveva interrotto la sua conversazione con Cyril e si era avvicinato anche lui ad osservare la mappa con Lance e l’uomo gigante. Lance non doveva aver apprezzato la sua intromissione, infatti se ne stava in piedi rigido accanto al tavolo, senza rivolgere né una parola né uno sguardo al fratello. «Non sei tu a doverti scusare. Dovrebbe farlo Duncan.» E Lydia era sicura che non l’avrebbe mai fatto in tutta la sua vita. «E non dovrebbe scusarsi solo con me ma anche con Lance. Non aveva nessun diritto di dire quelle cose su Cedric.»
«Duncan ha solo detto quello che pensava. Non voleva offendere nessuno, e di sicuro non un ragazzo che è stato assassinato da Tu-Sai-Chi stesso. E’ solo che… ecco, lui e Lance non hanno mai avuto un bel rapporto ed hanno entrambi le loro ragioni per portare rancore.» Lydia dubitava anche che Duncan potesse portare rancore per qualcosa che aveva fatto Lance: quel ragazzo era un santo!
Eppure anche Silas stava annuendo energicamente. «Quei due è da anni che hanno dei problemi.» sentenziò sedendosi con un tonfo sulla poltrona su cui era seduta anche Lydia, scatenando una nuvola gigantesca di polvere, altri starnuti da parte della ragazza oltre che un vero e proprio senso di disagio in lei nel trovarsi così a stretto contatto con uno sconosciuto. D’istinto spostò di nuovo i capelli sul volto. «Anche papà dice sempre che è preoccupato per loro. E che ha già visto troppe famiglie rovinarsi per piccoli rancori diventati -come dice lui?- insormontabili.»
Il sorriso di Katherine si spense, un’evenienza più unica che rara. «Ci mancherebbe solo quello. Dovremmo intervenire prima che le loro discordie diventino davvero insormontabili.»
Lydia si rialzò e cercò di spazzolare i pantaloni per togliersi la polvere di dosso. «Penso che siano solo affari loro.»
«Vorrei solo che imparassero a comunicare e collaborare…» rispose Katherine.
«Penso anche che noi non dobbiamo intrometterci nelle loro questioni private.»
«Ma tu l’hai fatto quando hai puntato la bacchetta contro Duncan.»
«Questo sì che è interessante!» esclamò Silas.
Lydia scrollò le spalle. «Quello non era intromettersi. Era aiutare un amico, è una cosa diversa.»
Katherine si sedette sulla poltrona che Lydia aveva appena liberato, accanto a Silas e per niente imbarazzata dalla vicinanza. Rialzò un’altra nuvola di polvere che fece starnutire di nuovo Lydia. «Forse hai ragione.» disse pensierosa «Dovremmo starne fuori e aspettare che risolvano i loro problemi.»
Lydia si legò i capelli, lasciando una ciocca libera per continuare a coprire almeno un minimo la cicatrice ed ignorando il leggero dolore al braccio. «Comunque dovrai armarti di pazienza. Penso che dovremo aspettare ancora un po’ per vedere questa situazione risolta. Forse qualche mese, o qualche decennio. O ce li vedrei bene a perdonarsi sul letto di morte.» e li indicò proprio mentre Lance lanciava al fratello un’occhiataccia e si allontanava dalla mappa per tornare da loro.
Silas unì le dita delle mani e le avvicinò alla bocca, pensieroso. «Oppure dovreste trovare un modo per farli superare i loro problemi adesso.»
E fu in quel momento che Katherine si alzò di scatto dalla poltrona, Lydia poteva quasi vederle una lampadina accendersi nel cervello e si chiese se c’era un modo per spegnerla subito prima che potesse coinvolgere anche lei in qualsiasi cosa le fosse appena venuto in mente. «Ho un’idea!»
Troppo tardi.
Lydia odiava questa frase, era una delle espressioni che lei stessa aveva pronunciato più spesso durante i suoi anni ad Hogwarts quindi sapeva perfettamente che a quelle parole seguivano sempre disgrazie e catastrofi. Immaginava cosa poteva accadere se a pronunciarla era una persona che voleva portare la pace nel mondo, o pensando in piccolo, in quella strana famiglia in cui si era ritrovata. «Dovremo convincerli noi a parlarsi. Io convinco Duncan e tu Lance.» Katherine abbassò la voce per non farsi sentire da Lance, che era stato fermato a metà strada dal ragazzo della casa degli Yorenberg (quello che aveva la strana abitudine di giocherellare costantemente con uno yo-yo). «Dobbiamo solo convincerli a confrontarsi senza bacchetta in mano, non dovrebbe essere così difficile.» Lo diceva lei che era riuscita a sfuggire da una retata sul suo posto di lavoro. Per Lydia invece sembrava impossibile. «Così potranno finalmente parlare dei loro problemi e riusciranno a risolverli e tornare a comportarsi come normali fratelli.» Per essere una giornalista aveva una fervida immaginazione.
«E’ davvero una grande idea!» esclamò Silas alzandosi in piedi a sua volta e battendo le mani. «Avranno finalmente l’occasione di parlare a cuore aperto dei loro sentimenti e dei loro traumi e così torneranno di nuovo ad amarsi e giocare insieme. No, mi sa che per quello è un po’ troppo tardi.» continuò del tutto serio.
«O si ammazzeranno a vicenda nella maniera babbana. E in quel caso tu e tuo fratello avreste vinto la scommessa.» Lydia non apprezzava il piano, soprattutto considerato il patto che lei e Lance avevano stretto. Lance non voleva parlare di Duncan e Lydia lo capiva perfettamente, le sembrava ingiusto costringerlo a confrontarsi con il fratello con l’inganno. «E poi, hai appena detto che dovresti lasciare che siano loro a risolversi i loro problemi!»
Katherine si limitò ad alzare le spalle «In un certo senso li risolveranno da soli, noi cercheremo solamente di creare la circostanza giusta. Allora siamo d’accordo.» E allargando il suo perpetuo sorriso, Katherine si allontanò senza lasciare il tempo a Lydia di spiegarle che il suo piano non poteva funzionare e che lei non voleva avere nulla a che fare con tutto questo.
«Perché?» esclamò disperata Lydia.
Silas le diede qualche pacca sulla spalla per dimostrarle il suo supporto. «Dai, se proprio andasse male ti prometto di darti una percentuale della somma che mi dovrà papà per aver perso la scommessa.» Non le fu di nessun conforto.
Lydia non era agitata per la missione, di questo ne era certa. La sua unica vera preoccupazione in quel momento era il guaio in cui la troppo-gentile-troppo-sorridente Katherine l’aveva messa. Aveva cercato di rincorrerla per dichiararle tutte le sue perplessità e la sua ferma intenzione di non fare nulla del genere, ma sfortunatamente, proprio in quel momento, l’ometto dell’Ordine della Fenice ricevette un messaggio dal suo compagno che lo informò di aver finito il giro. Era ora di partire. E visto che ogni secondo era fondamentale, Lydia si ritrovò incastrata in quella situazione sin troppo scomoda. ‘Ehi, Lance, hai presente tuo fratello? Quello che odi (sentimento condiviso anche dalla sottoscritta, a proposito) e di cui non vuoi parlare? Ecco, penso che sarebbe un'ottima idea costringerti a dialogare con lui e sistemare tutti i vostri problemi.’ Come se i risentimenti di una vita intera potessero scomparire nel giro di un secondo.
Eppure aveva l’idea che Katherine l’avrebbe tormentata se le avesse comunicato il suo disappunto. «Un piano, mi serve un piano.»
«Ti ricordi il piano?»
Lydia sobbalzò e con un tono di voce più alto del normale esclamò «Non sto facendo nessun piano!» per poi realizzare che non era quello che l’amico le aveva chiesto. Il suo viso divenne dello stesso colore dei capelli e borbottò qualche parola senza senso mentre il suo cervello cercava di trovare una via di fuga dal guaio che aveva combinato (o una via di fuga generale).
«Lydia, cosa vuoi fare?» Lance si stava trattenendo per non alzare gli occhi al cielo e fare la sua solita faccia esasperata, Lydia ne era convinta.
«Intendevo...» Lydia si sistemò una ciocca di capelli sfuggita dalla coda «Che...» cercò di guadagnare tempo senza alcun successo «Che non ho intenzione di inventare un piano che non sia quello che abbiamo concordato.» sentenziò infine soddisfatta.
«Non che il piano sia così complicato.»
«E allora perché mi chiedi se me lo ricordo?»
«Perché quando siamo insieme tendiamo a non fare mai niente seguendo un piano.»
«Non è colpa mia!» si sentì in dovere di dire Lydia. ‘Non sempre’ aggiunse mentalmente, non volendogli dare la soddisfazione di condividere i suoi stessi pensieri. Aveva solo un piccolo problema… «A proposito, quale è il piano?»
«Le vostre pozioni.» Duncan si trovava al loro fianco da un po’ di tempo, di questo Lydia ne era certa, o non l’avrebbe guardata così male, o meglio, così peggio del solito. «Cercate di non rovinare tutto come sempre.»
Se questo era il tentativo di Katherine di far parlare i due fratelli, stava fallendo miseramente. E Lydia non aveva voglia di sentire di nuovo le loro liti e rimetterci anche l’altro braccio quindi prese la boccetta di pozione che Duncan le stava porgendo e la bevve in un sorso, sforzandosi per non vomitare davanti al Serpeverde. «Buona fortuna.» disse, e si avvicinò alla porta mentre sentiva il suo corpo cambiare lineamenti.
Il piano era semplice. Erano divisi in cinque coppie: Lydia e Lance, Katherine e Duncan, Cyril e Silas (che era stato costretto a lasciarsi trasfigurare i vestiti nonostante le minacce di trasformarli tutti in scarafaggi se avessero osato toccare il suo mantello), l’omone armadio (che si era trasformato, con grande stupore di Lydia, in un uomo mingherlino) e il ragazzo Yorgenben, e infine le due ragazze Yorgenben. Le due donne Austen invece erano tornate alla loro Casa Sicura, pronte ad accogliere tutti i nuovi arrivati. Infine l’ometto dell’Ordine della Fenice (Lydia non riusciva a ricordarsi il suo nome) era rimasto nel rifugio e sarebbe stato il loro punto di riferimento in caso si fossero verificati problemi. Ogni coppia aveva diversi ragazzi da andare a prendere, due se abitavano in zone critiche come le grandi città o Londra, tre se si trovavano in piccoli paesi. Dovevano andare nelle loro case, recuperare i bambini e poi dare loro una Passaporta che li avrebbe portati al sicuro.
A Lydia e Lance erano stati affidati tre ragazzi da recuperare in altrettanti luoghi sperduti della Gran Bretagna. E fu un grande sollievo quando le missioni per il salvataggio dei primi due ragazzi andarono alla perfezione. L’unico problema in cui incapparono furono gli strani comportamenti delle famiglie. Quando arrivarono a casa del primo bambino, i genitori aprirono loro la porta con gli occhi annebbiati, per poi salutare con voce fredda il figlio. Presero delle valigie che erano appoggiate in fondo le scale e uscirono, per salire in macchina e sparire all’orizzonte. Lydia rimase ad osservare la scena senza capire cosa stesse succedendo. «Pensi che siano sotto Imperius?» chiese preoccupata.
«Allora non stavi davvero ascoltando il piano!»
Lydia si voltò offesa verso Lance. «Certo che l’ho ascoltata, mi sono persa solo un attimo.» Ed era vero, quando il membro dell’Ordine della Fenice stava spiegando quella parte del piano, l’omone della famiglia Yorgenben aveva fatto il suo ingresso nel rifugio e non era da tutti i giorni vedere un uomo che poteva rivaleggiare Hagrid.
Lance estrasse dalla tasca un portachiavi e lo porse al bambino, anche lui ancora perplesso per il comportamento dei genitori. «Si comportavano così da quando è passata quella tipa.»
«La tipa è la strega dell’Ordine della Fenice.» spiegò Lance «Ha lanciato un Confundus su tutti i genitori in modo che lasciassero la casa appena arrivati noi.» Il bambino davanti a loro scomparve all’improvviso, la Passaporta a forma di portachiavi stretta nella mano. «Non volevamo che si trovassero qui quando arriveranno i Mangiamorte a cercare i ragazzi.»
Anche con la seconda ragazza si ripeté la stessa identica scena. Guardarono i genitori andare via con la stessa espressione trasognata e consegnarono la Passaporta alla bambina, aspettando che si attivasse per essere sicuri che non ci fossero dei problemi. Avevano deciso che il metodo delle Passaporte sarebbe stato più sicuro delle alternative, tra cui portare direttamente con la Materializzazione i ragazzi nella Casa Sicura o portarli con loro nella missione successiva: con le Passaporte programmate sarebbero arrivati subito al sicuro e allo stesso tempo loro non erano costretti a correre il rischio che tutti coloro che stavano compiendo le missioni fossero a conoscenza dell'ubicazione esatta di casa Austen.
Lydia sapeva che era ancora troppo presto per sentirsi soddisfatta, in fondo avevano portato in salvo due ragazzi ma ne mancava ancora uno. Eppure era sempre più convinta che sarebbe andato tutto per il meglio.
Ovviamente si sbagliava.
In un primo momento tutto andò come previsto: trovarono il ragazzo ad aspettarli nella cucina della sua casa, con il baule pronto, e dopo aver salutato i genitori, aveva preso in mano la paperella di gomma che fungeva da Passaporta e pochi secondi dopo era scomparso nel nulla, diretto verso quella che sarebbe stata la sua nuova casa. I genitori nel frattempo avevano ripetuto il siparietto già visto nelle altre case: avevano recuperato le valige e senza neanche aspettare che i due ragazzi uscissero, abbandonato la casa.
Dieci minuti dopo essere entrati, Lydia e Lance erano già sulla porta del retro pronti a tornare nel rifugio e vedere se anche a tutti gli altri era andata bene come a loro.
«Missione completata!» gioì Lance, la sua postura si rilassò visibilmente. Dovevano solo Materializzarsi e tornare a casa.
«Oh no.» Lydia si rese conto del grande errore che avevano commesso. Sapeva che mai e poi mai bisognava festeggiare prima che tutto fosse realmente terminato. Era una lezione di vita che aveva imparato soprattutto durante i lunghi anni passati ad Hogwarts. Portava solo guai.
E infatti i guai non tardarono ad arrivare sotto forma di un grido.
«LANCE!» Lydia e Lance si bloccarono, bacchetta alla mano e un incantesimo pronto sulla punta della lingua. Occorsero solo pochi istanti a Lydia per capire che l’uomo e la donna che stavano correndo verso di loro erano i travestimenti di due maghi che conoscevano molto bene.
«Katherine? Duncan? Cosa ci fate voi qui?» domandò stupita. E dopo dicevano a loro di seguire perfettamente il piano. Lydia era sicura che questo non ne facesse parte, o forse sì? Lo ammetteva, non era stata molto attenta durante il riepilogo finale, tutta colpa di Katherine e delle sue idee strampalate.
E se invece quell’improvvisata faceva parte proprio del suo piano malefico?
«Vi stavamo cercando. Dobbiamo andarcene. Ora.» Detto questo, Duncan afferrò il braccio di Lydia e quello di Lance mentre Katherine si aggrappava alla mano libera di Lydia. Girarono su loro stessi. E non si mossero di un centimetro.
«Questo è il momento in cui ci Materializziamo, ne sei capace?» borbottò Lydia, infastidita dalla presa ferrea dell’altro.
Duncan li lasciò andare senza alcuna delicatezza e tornò a stringere la bacchetta. «E’ troppo tardi…» I suoi occhi guizzavano da una parte all’altra della strada completamente vuota davanti a loro. «ABBASSATEVI!»
Non si fermarono a riflettere. Obbedirono semplicemente all'ordine e si buttarono a terra, mentre una maledizione volava sopra le loro teste, perché nonostante tutte le loro incomprensioni, se Duncan diceva di buttarsi a terra, loro si buttavano a terra.
Non ci fu bisogno di aggiungere altre parole. Lydia e Lance capirono all'istante: erano stati trovati.
«Correte!» Lydia fece leva sulle braccia per rialzarsi, ignorando completamente la fitta di dolore che ne scaturì ed iniziò a correre, seguendo gli altri nella direzione opposta rispetto a quella da cui era provenuta la maledizione. Non aveva mai corso così velocemente in tutta la sua vita, eppure le sembrava di non fare abbastanza. Alle sue spalle si alzarono delle urla e degli ordini. Erano nei guai.
Se l’ultima volta lei e Lance si erano trovati ad affrontare un solo mago, adesso ce ne erano di sicuro diversi e Lydia non si voltò a guardare quanti fossero per paura di rimanere indietro.
Un lampo rosso la mancò di pochi centimetri andando a centrare una macchina parcheggiata sul bordo della strada e facendo scattare l’antifurto.
Come avevano fatto a trovarli? Come mai Katherine e Duncan erano arrivati prima di loro? La mente di Lydia era piena di domande a cui non poteva dare una risposta, non ora che correva per salvare la propria vita. Non potevano Smaterializzarsi, Lydia aveva compreso che sulla strada era stato gettato lo stesso incantesimo anti-materializzazione che si trovava anche nel vicolo del Ministero. Katherine era la prima della fila, seguita a ruota dagli altri, solo Duncan si voltava indietro a lanciare maledizioni contro i loro inseguitori, gli altri erano concentrati sul muoversi il più velocemente possibile evitando i getti di luce che provenivano dalle loro spalle. La strada era stata fino a quel punto circondata da villette a schiera, ma queste si stavano diradando lasciando il posto a prati sempre più ampi. Un cartello stradale segnalò che la via era diventata a fondo chiuso e l’inizio, a pochi metri di distanza, di un percorso pedonale.
«Confringo!»
I quattro ragazzi furono costretti a buttarsi di nuovo a terra per evitare la maledizione e persero così alcuni preziosi secondi.
«Dobbiamo seminarli.» constatò Lydia alzandosi di scatto e ricominciando a correre ancora più veloce.
Erano arrivati alla fine della strada, il sentiero che iniziava da lì era ghiaioso e portava dritto ad un boschetto.
«Seguitemi!» urlò Duncan superando Katherine ed imboccando un bivio che Lydia non avrebbe mai visto se fosse stata sola. Forse se fossero riusciti a nascondersi in una parte del bosco abbastanza fitta avrebbero potuto gettare intorno a loro degli incantesimi difensivi e sfuggire almeno dalla loro vista. Ma Duncan non sembrava intenzionato a fermarsi, continuava a correre seguendo il sentiero.
«Dobbiamo nasconderci!» cercò di protestare Lydia. Si pentì immediatamente di aver perso quel fiato prezioso, incominciava a sentire i muscoli delle gambe bruciare e i polmoni reclamare più aria. E Duncan continuava a correre sul sentiero senza dare segno di averla sentita. Lydia contemplò l’idea di afferrare Lance e cercare un’altra via di fuga, se si fossero separati avrebbero avuto più possibilità di salvarsi.
«Attenti!» urlò Lance, dietro di lei. Gli altri si abbassarono mentre due incantesimi li raggiungevano. Senza l’avviso del ragazzo, Katherine sarebbe stata colpita. Dovevano andarsene dal sentiero! Lydia rallentò per affiancarsi a Lance, pronta a spingerlo tra gli alberi sempre più fitti, ma Lance si limitò ad accelerare e superarla. «Siamo a Pandizenzero?» chiese sorpreso.
Duncan continuò a non rispondere, così come Lydia continuò a non capire. Pandizenzero?
Ci vollero solamente pochi secondi per vedere cosa era realmente Pandizenzero.
Il sentiero finiva in una radura completamente vuota, o almeno all’apparenza. Duncan prese Katherine per mano e si volatilizzarono nell’aria.
‘E’ finito l'incantesimo di anti-smaterializzazione.’ pensò Lydia. Si sbagliava. Lance imitò il fratello, la prese per mano e percorsero l’ultimo tratto insieme, proprio mentre i Mangiamorte stavano recuperando terreno. Ed improvvisamente non vi era più solo una radura vuota, davanti ai loro occhi comparve una minuscola casa dalle pareti di sassi e il tetto spiovente. Katherine e Duncan erano già alla porta. Con un Alohmora fecero saltare la serratura, Katherine entrò mentre Duncan rimase indietro a tenere aperta la porta, la bacchetta puntata sul bosco che circondava la radura. Lance e Lydia non si fecero attendere, superarono Duncan ed entrarono a ‘Pandizenzero’.
Duncan fu l’ultimo ad attraversare la porta per poi sbarrarsela alle spalle. Erano tutti completamente senza fiato, i loro respiri erano affannati e le gambe bruciavano per lo sforzo, ma non persero tempo. Katherine era già alla finestra, Lydia la raggiunse cercando allo stesso tempo di regolarizzare il respiro. Scostò la tenda per vedere meglio, riuscendo finalmente a dare un’occhiata più precisa ai loro inseguitori. Si trattava di una decina di maghi e streghe a viso scoperto. Altri due rimasti indietro durante la corsa raggiunsero i confini della proprietà ed iniziarono ad aggirarsi intorno come gli altri, lanciando incantesimi e maledizioni per far cedere le protezioni. Delle crepe iniziarono a crearsi nell’aria sopra di loro. Katherine non perse tempo, socchiuse la finestra lo stretto indispensabile per riuscire a far passare la bacchetta ed iniziò a cantilenare nuovi e complessi incantesimi di protezione.
Fece appena in tempo.
Le protezioni originali esplosero con uno scoppio di energia che fece tremare l’intero edificio e buttò a terra anche alcuni dei loro nemici. Lydia si addossò alla parete finché le mura smisero di tremare, Katherine rimase impassibile e continuò i suoi incantesimi come se nulla fosse successo.
Lydia si scosse di dosso la polvere che era caduta dal soffitto e si rialzò per guardare fuori dalla finestra. Una nuova cupola di un tenue color oro si era creata sopra di loro. «Dici che reggerà?» chiese cercando di mascherare il terrore che provava. Katherine non rispose, troppo concentrata sul suo compito.
Lance si avvicinò alla finestra e guardò anche lui verso il cielo. «Riconosco quell’alone dorato.» sussurrò «E’ un vecchio incantesimo di protezione che abbiamo usato attorno alla nostra casa. E’ talmente antico che loro non dovrebbero conoscere il contro incantesimo.»
Lydia non riuscì a tranquillizzarsi. «Lance… se ci prendono…» Non riuscì neppure a finire la frase. Nelle settimane che ormai aveva trascorso a casa O’Brien il pensiero di trovarsi a dover affrontare i Mangiamorte l’aveva sfiorata qualche volta, ma senza dargli troppo peso, ora che invece si trovavano a soli pochi metri di distanza e avevano già fatto saltare le loro protezioni originali, la storia era diversa.
Terrore puro si diffuse nelle sue vene al pensiero di cosa avrebbero potuto fare a tutti loro se li avessero presi. Fu solo un tocco leggero su un braccio che le evitò un attacco di panico. «Lydia. Sono protezioni sicure. Resisteranno abbastanza a lungo da difenderci fino all’arrivo dei rinforzi.» La voce di Lance la calmò, i battiti del suo cuore decelerarono e si costrinse a respirare profondamente. Quando si voltò verso Lance fece finta che nulla fosse successo e sperò che anche lui facesse lo stesso. Per fortuna, Katherine era completamente immersa nei suoi incantesimi e non sembrava far caso a loro e Duncan si trovava sul lato opposto della stanza a controllare dall’altra finestra le retrovie. «Allora quale è il piano?»
Non che i piani funzionassero molto quando si trattava di loro.
Katherine smise di intonare i suoi versi e guardò preoccupata la piccola folla ammassata ai confini. Visto che gli incantesimi non facevano alcun danno alla nuova barriera, alcuni di loro si misero a tirare dei pugni, creando delle lieve increspature sulla superficie dorata. «Se ne chiamano altri siamo morti.»
Duncan tornò verso di loro e allontanò con delicatezza la fidanzata dalla finestra. «Non lo faranno, staranno cercando di individuare anche gli altri o rintracciare le Passaporte. E i tuoi incantesimi di protezione sono perfetti. Per ora siamo al sicuro.»
Il cuore di Lydia era tornato a battere ad un ritmo che poteva considerarsi quasi normale, ma il suo fiato era ancora dimezzato a causa della corsa e dello spavento. «Come avete fatto a trovarci?»
Fu Katherine a rispondere «Avevamo appena portato in salvo l’ultima ragazza quando ci siamo accorti che due tipi sospetti si stavano avvicinando. Ci siamo nascosti, e li abbiamo sentiti lamentarsi di essere arrivati troppo tardi, ma che ce ne erano ancora molti da controllare. Abbiamo subito capito che si erano accorti che i ragazzi stavano scomparendo e siamo corsi da voi...»
‘Ci avete salvato la vita...’ pensò Lydia, senza dirlo ad alta voce, un po’ per la mancanza di fiato, ma soprattutto per non dare la soddisfazione a Duncan di ammettere di essere ancora viva grazie a lui.
Lance si sedette per terra e Lydia lo seguì a ruota. Un sottile strato di polvere ricopriva la superficie ma non le importava, le sue gambe non l’avrebbero retta un secondo di più. Le massaggiò per cercare di lenire il bruciore dei muscoli.
«Avremo fatto scattare i sensori quando siamo entrati.» disse ricordando le misure di sicurezza concordate con il signor O’Brien «Quindi ora dobbiamo aspettare qui fino a quando vostro padre verrà a cercarci, giusto? Si accorgerà dei Mangiamorte e verrà con dei rinforzi. L’Ordine della Fenice ha promesso il suo aiuto in caso qualcosa fosse andato storto e direi che qualcosa è proprio andato storto.» Il silenzio accolse le sue parole. Lydia guardò gli altri perplessa. «Arriveranno i rinforzi, vero?» O si era persa un’altra parte fondamentale del piano?
Duncan e Lance si scambiarono uno sguardo e già questo preoccupò Lydia.
«Vostro padre arriverà, giusto?» chiese di nuovo, mentre un dubbio si insinuava nella sua mente.
Lance fissò un punto imprecisato del soffitto. «Il problema è che papà non sa che abbiamo protetto anche questa casa...»
«Lo sapevo!» esclamò Katherine inorridita «Non era nelle mappe, non aveva senso!» poi si rivolse al suo fidanzato «Perché ci hai portato qui? Come hai potuto fare una cosa così stupida?»
Duncan sollevò le mani in segno di resa. «Ci siamo salvati la vita solo perché ci trovavamo così vicini a questa casa! Pensa a quanto siamo stati fortunati che ci abbiano beccato proprio dove avevamo un rifugio a sole poche centinaia di metri di distanza!»
Fortuna o erano loro che possedevano edifici in mezza Gran Bretagna e probabilmente anche oltre, pensò Lydia.
Katherine invece era furiosa. «Rifugio, è così che lo chiami?» gridò «Quelli hanno impiegato un minuto per distruggere le vostre misure di sicurezza, ci stavano per ammazzare tutti!» Lydia si stupì nel constatare che anche Katherine era un essere umano capace di arrabbiarsi invece che sorridere in ogni istante della sua vita.
«Le ho create un po’ di anni fa, non ero molto esperto.» bofonchiò Duncan. Lydia trovò interessante vedere il suo comportamento con Katherine. Se fossero stati lei o Lance a insultarlo così li avrebbe buttati direttamente nelle mani dei Mangiamorte, i quali continuavano ad urlare dal limitare del bosco.
«E perché le hai create allora!?» urlò Katherine «Perché avete tenuto nascosta la casa a vostro padre?»
«Perché non sa che l’anno scorso facevamo uscire di nascosto Caitlin. In un paese qui vicino vive una sua amica, di solito uno di noi la accompagnava e in caso di emergenza ci trovavamo qui. Operazione Pandizenzero.» A Lydia sembrò di intravedere un piccolo sorriso sulle labbra di Duncan, cosa che poi dichiarò impossibile.
«E non possiamo mandare un Patronus a vostro padre per dirgli dove siamo?» chiese Lydia.
«Non con così tante persone lì fuori a fissarci» rispose Katherine squadrando ancora con occhi di fuoco il fidanzato «Se intercettassero il mio Patronus potrebbe condurli dritti a casa O’Brien.» E così erano tagliati fuori da ogni comunicazione.
Lance tentò di cambiare argomento. «Il tuo incantesimo è ancora la soluzione più sicura ma dobbiamo comunque rafforzare le difese. In caso qualcos’altro vada storto.»
Lydia era ancora sdraiata sul pavimento impolverato, i muscoli le facevano talmente male che le tremava tutto il corpo, ma si rialzò comunque a fatica. Lance aveva ragione, dovevano fare in modo che quelle difese riuscissero a resistere anche ad un attacco massiccio considerando che non sapevano per quanto avrebbero dovuto trattenersi, oppure si sarebbero trovati in trappola.
Senza dire una parola aprì la porta e si fermò nella piccola porzione di foresta compresa nella cupola dorata, Lance e Duncan seguirono il suo esempio.
I Mangiamorte stavano ancora tentando di distruggere le loro protezioni, urlando ordini e imprecazioni, girando attorno ai confini in cerca di una falla. Per quanto Lydia sapesse che c’era un forte incantesimo a dividerli, il suo cervello le stava urlando di scappare, nascondersi, mettersi in salvo. Le occorse una grande forza di volontà per ignorare il suo stesso istinto e compiere il suo dovere. Ripensò a tutti gli incantesimi studiati il mese precedente e durante gli anni di scuola ed iniziò a recitarli, la bacchetta puntata verso il cielo, un sottile filo argenteo che raggiunse la cupola d’oro e si intrecciò ad essa creando una rete sopra di loro.
Era difficile concentrarsi con le urla dei Mangiamorte e il rimbombo delle loro maledizioni fallite. Seguendo l’istinto, Lydia si avvicinò a Lance e non appena le loro braccia si sfiorarono si sentì meglio.
Non era sola, aveva qualcuno al suo fianco.
Si focalizzò solamente su quel pensiero. Chiuse gli occhi e svuotò la mente, si concentrò sul calore del corpo di Lance e sugli incantesimi che stava pronunciando, riuscendo così ad escludere i rumori provenienti dall’esterno. Erano ancora lì, in sottofondo, ma le facevano meno paura.
«Non possiamo fare più di così.» Duncan si massaggiò il braccio rimasto sollevato per diversi minuti di fila. Anche il braccio di Lydia aveva perso la circolazione ed era attraversato da un lieve formicolio che si aggiunse a quello che già provava nelle gambe oltre che all’altro braccio ferito. «Farò io il primo di guardia. Voi cercate qualcosa da mangiare.» Lydia e Lance non provarono neanche a convincerlo a cambiare idea. Era innegabile che Duncan fosse meno stanco di loro. Lydia voleva solo sdraiarsi sul divano che aveva intravisto e riposare i muscoli per qualche ora, ma soprattutto, voleva allontanarsi dalle figure nere che continuavano ad aggirarsi intorno alla proprietà.
Mentre loro erano fuori, Katherine aveva reso la casa di nuovo vivibile: la polvere era scomparsa, le finestre spalancate cercavano di scacciare l’odore di muffa e alcune luci magiche erano accese in tutta la stanza andando a sostituire le lampade non funzionanti a causa della mancanza di corrente.
«Abbiamo solo cibo in scatola, mi dispiace.» detto questo Katherine uscì a fare compagnia al fidanzato.
Lydia e Lance erano troppo stanchi per protestare, presero due scatolette tra quelle contenute in uno scomparto della minuscola dispensa, fecero comparire due bicchieri e aprirono la spina scoprendo che non c’era acqua corrente, un problema facilmente risolvibile con un semplice incantesimo. Sfortunatamente con il cibo non sarebbe stato altrettanto semplice. Stupide Cinque Eccezioni alla Legge di Gamp.
Si sedettero al tavolino della cucina. Lydia approfittò di quel primo momento di quiete per guardarsi attorno. La casa era davvero piccola, dalla porta aperta intravide una sola camera da letto e un’altra porta che doveva condurre al bagno; la sala in cui si trovavano era adibita metà a cucina e l’altra metà a salotto con un divano, una poltrona e pochissimi mobili. La stanza era divisa a metà dal tavolo al quale erano seduti. Le pareti erano spoglie, negli angoli del soffitto erano visibili delle macchie nere incrostate di muffa. Sembrava una casa vecchia che aveva un urgente bisogno di una ristrutturazione. Lydia strappò la linguetta della sua scatoletta scoprendo di averne aperta una di funghi, una delle poche cose che non sopportava. Ma Katherine aveva detto che le provviste erano limitate e quindi ignorò il proprio disgusto e ne mangiò due cucchiaiate prima di gettare la spugna e decidere che era meglio sopportare la fame. Visto che Lance sembrava apprezzare la sua porzione, Lydia rovesciò anche la sua parte nel piatto del ragazzo. Troppo stanca anche solo per spostarsi sul divano, rimase seduta sulla sedia, i gomiti appoggiati sul tavolo e picchiettò le dita della mano sana sulla superficie di legno.
Si accorse che anche le urla dei Mangiamorte erano scemate, una piccola speranza si accese nel suo cuore ma bastò un’occhiata alla finestra per mandarla in frantumi: erano ancora tutti lì fuori e non sembravano intenzionati ad andarsene.
«Come mai siamo ancora vivi?» Lydia non poté trattenersi. Ora che si era seduta ed allontanata dai Mangiamorte, il pensiero era tornato sulla loro fuga e sulla fortuna che avevano avuto ad arrivare lì. Si ritrovò a non riuscire a pensare ad altro.
«Solo fortuna, suppongo.» rispose Lance terminando la sua cena improvvisata.
Lydia scosse la testa. «Molta fortuna. Se Duncan e Katherine non fossero venuti ad avvisarci, se non fossimo stati così vicini ad un rifugio... Ora saremmo...» Un pensiero orribile le si insinuò nella testa. Si massaggiò le tempie cercando di scacciarlo. Lance le posò una mano sulla spalla ma Lydia non voleva essere consolata, in fondo tutti e quattro si trovavano nella stessa situazione. No, lei voleva solo capire come poteva essere scampata da morte certa per due volte. Perché lei sì e altri no? Si alzò di scatto, sfuggendo al contatto con Lance. Prese il suo piatto e quello vuoto di Lance e andò al lavabo; in mancanza di acqua corrente si limitò a pulirli con un Gratta e Netta.
«Lydia...»
«Dovremmo dormire.» tagliò corto lei posando i piatti con più forza del dovuto accanto al fornello.
Si vedeva che Lance non voleva lasciare cadere l’argomento ma lo sguardo di Lydia lo fece desistere. «C’è solo un letto matrimoniale in questa casa. Tu e Katherine potete dormire lì. Io starò qui con Duncan.» Dal tono di voce la prospettiva non lo allettava.
«Perfetto!» Lydia si avviò verso la porta aperta che portava alla camera da letto. Si fermò sulla soglia e si voltò di nuovo verso Lance. «Lo sai che Duncan ci ha salvato la vita, vero?»
La smorfia di Lance fu inequivocabile.
Lo sapeva e non gli piaceva per niente.
Il giorno dell’undicesimo compleanno di Lance e Caitlin, i due bambini si svegliarono presto. Corsero a spalancare la finestra e rimasero lì, fermi e immobili nonostante il vento freddo che entrava, a fissare il cielo. E poi ecco finalmente qualcosa muoversi nel cielo terso, un movimento lontano di qualcosa di infinitamente piccolo. Ad ogni secondo si avvicinava sempre più ed aumentavano le sue dimensioni, i suoi lineamenti si delineavano. Prima intravidero le ali, poi riuscirono a distinguere chiaramente il gufo che stava volando inconfondibilmente verso la loro finestra. Caitlin cercò la mano di Lance e la strinse forte. Lance fissava il gufo senza sbattere le palpebre, per paura che potesse scomparire. E infine il gufo arrivò, planò sopra la loro testa arruffandoli i capelli ed atterrò con grazia sul tavolo della cucina.
I loro genitori furono i primi a comprendere che c’era qualcosa di sbagliato.
I bambini corsero invece verso il gufo accorgendosi solo all’ultimo di quel particolare. «Solo una lettera? Pensavo ne mandassero due.» disse Caitlin. «Avranno risparmiato sulla carta.» si rispose da sola alzando le spalle e allungando una mano verso la zampa del gufo.
«Cait…» la chiamò suo padre. Sembrava triste. «Dovrebbero essere due…» disse semplicemente.
«Oh…» commentò Lance, interdetto «Non importa, sarà in ritardo l’altro gufo.»
«Giusto.» annuì Caitlin «Allora aspettiamo anche l’altro, così le apriamo insieme.» Ed ignorando completamente la lettera appena arrivata, corsero verso la finestra per tornare a fissare il cielo.
Essendo girati di spalle non videro il padre prendere la lettera appena arrivata e leggere l’intestazione, non videro la madre stringersi le mani al petto con gli occhi intrisi di lacrime. Non sentirono i loro bisbigli preoccupati.
«Un gufo!» urlò Lance agitando le braccia. Per un secondo i loro genitori ebbero la speranza che fosse stato solo un equivoco. Ecco l’altro gufo, era davvero solo in ritardo. Ma man mano che l’animale si avvicinava, riconobbero il gufo del loro figlio maggiore, così come fecero Caitlin e Lance. Caitlin prese il pacchettino dalla zampa di Argus che gli becchettò una mano e poi si avventò sul tavolo della cucina per rubare del cibo. Il maestoso gufo della scuola lo squadrò con disprezzo per poi ricominciare a bere il succo contenuto in un bicchiere. Lance prese la lettera incastrata nel nastro del pacchetto e la lesse velocemente. «E’ di Duncan. Ci fa gli auguri di buon compleanno e dice di scrivergli appena riceviamo la nostra lettera.» I bambini misero da parte lettera e pacchetto ancora incartato per riprendere a fissare il cielo. I due gufi intanto si erano ristorati e ripresero il volo per tornare a scuola.
Passò mezz’ora.
Un’ora.
Lance e Caitlin continuavano ignari a guardare il cielo, i loro genitori pregavano per un miracolo. Ma dopo un’ora e mezza dovettero arrendersi all’evidenza ed accettare il triste destino.
«Certo che è proprio in ritardo questo gufo…» commentò Caitlin sbuffando.
«Pensi che gli sia capitato qualcosa di brutto?» chiese Lance, preoccupato.
«Lance, Caitlin…» prese coraggio loro padre «Non c’è nessun altro gufo.»
I bambini si voltarono di scatto verso i genitori. «La lettera è davvero per tutti e due?» chiese Caitlin «Potevate dircelo subito! Non sento più le gambe a forza di stare qui in piedi!» e con un balzo raggiunse il tavolo ed allungò una mano verso la lettera che la madre stava tormentando. Lance corse al suo fianco.
«No, Caitlin…» Il padre guardò la moglie in cerca del coraggio per affrontare quel momento «Non c’è nessun altro gufo e non c’è nessuna altra lettera.»
Il significato di quelle parole si riversò su Lance e Caitlin come una doccia fredda.
Lo sapeva. Lance lo sapeva da anni, se lo sentiva di non essere abbastanza per andare ad Hogwarts. E anche Caitlin si voltò verso di lui. «Mi dispiace, Lance. Dovevamo andarci insieme…» Gli occhi di Lance si riempirono di lacrime.
«Cait…» disse la madre «La lettera è per Lance.»
E così il mondo di Lance si sgretolò in un istante.