The Story of the Prince

Harry Potter - J. K. Rowling
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The Story of the Prince
Summary
La prima guerra magica non è esplosa di colpo, non c’è stata una battaglia plateale ne schieramenti ben divisi. I Mangiamorte si sono insinuati nella comunità magica. Voldemort ha acquisito potere con pazienza e mentre uno dei più pericolosi signori oscuri di tutti i tempi si nascondeva dietro la facciata di un mago elegante e potente i giovani studenti di Hogwarts dovevano imparare a vivere in un mondo che presto sarebbe stato distrutto dalla guerra.I Malandrini non sono stati i soli studenti a combattere e perdere la vita, molti altri anche nella fazione opposta erano convinti di essere nel giusto e pur di perseguire i propri ideali hanno dato la vita.Questa è la loro storia.La storia di Severus Piton, Caradoc Dearborn, Regulus Black, Barty Crouch, Evan Rosier, Bruce Mulciber, Edmund Avery, Bellatrix, Andromeda Black e molti altri.
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NATALE

Regulus si sporse dalla ringhiera delle scale allarmato, le grida di sua madre riempivano tutto il corridoio fin dalla cucina.
  «COME HAI POTUTO LASCIARLO ANDARE?»
  «Che avrei dovuto fare? Pietrificarlo?» urlo di rimando suo padre.
  «SEI UN IDIOTA!»
  «Ah io sarai un’idiota? Sei tu che lo hai cacciato»
  «Io non l’ho…» ci fu una botta, come qualcosa che viene infranto, forse un piatto.
  «Sei pazza?» la voce di suo padre vibrò.
  «Riportalo qui!» ordinò sua madre con la voce rotta
  «E come? Non sappiamo dove sia andato, se è fra quegli sporchi Babbbani può restarci, io non vado in mezzo a quella feccia»
  «È tuo figlio, Orion, maledizione!»
  «È anche il tuo, sei tu che gli hai…»
Ci fu un nuovo rumore di piatti rotti seguito da un tonfo più grosso. Regulus fece un passo scendendo i primi scalini. Non si erano mai messi le mani addosso, non che sapesse almeno, ma non li aveva mai nemmeno sentiti litigare in quel modo.
  «Calmati dannazione!»
  «Come faccio a calmarmi? Nostro figlio è la fuori da solo e tu pensi solo al tuo maledetto tè»
  «Tornerà» disse suo padre con sicurezza. «È un ragazzino, questo è solo uno stupido capriccio»
Sua madre doveva aver rotto qualcos’altro perché sentì una nuova botta prima di vederla attraversare il corridoio come una furia.
  «Dove vai?» le gridò dietro Orion.
  «A cercare mio figlio, razza di imbecille!» aprì la porta tanto forte che penso l’avrebbe staccata e se la richiuse dietro con un tonfo.
Regulus si sedette su uno scalino tenendo ancora una mano aggrappata alla fredda ringhiera. Si rese conto solo in quel momento di star tremando.

 

 

 

La mente assonnata di James faceva ancora fatica a connettere i pensieri. Le coperte calde lo avvolgevano come un sacco a pelo da cui faticò a uscire.
In lontananza c’erano delle voci, probabilmente dal pian terreno, suo padre stava parlando.
Chi poteva esserci il giorno di Natale?
Si mise in piedi sbadigliando e si avvicinò alle scale
  «Dai entra»
  «Sirius? Cos’è successo?» chiese Euphimia Potter allarmata.
James ebbe una scarica a quel nome.
Sirius era li?
Scese le scale di corsa e con un ultimo balzo fu davanti alla porta d’ingresso.
Il suo migliore amico aveva i capelli inzuppati di neve appiccicati sulla fronte, uno zaino gonfio sulla spalla sinistra e l’espressione di chi aveva passato la mattinata peggiore della propria vita.
Suo madre fece apparire con un colpo di bacchetta un asciugamano che mise sulle spalle di Sirius, mentre suo padre prendeva delicatamente il suo zaino.
  «Tesoro, vieni a sederti» propose Euphemia cingendolo per le spalle per guidarlo verso il divano del salotto alla loro destra.
Le labbra di Sirius vibrarono «Io non… non sapevo dove andare»
  «Tranquillo, sei sempre il benvenuto qui» lo rassicurò suo padre poggiando lo zaino vicino ai piedi del divano mentre si sedevano tutti e quattro.
Sirius rimase rigido, i lunghi capelli gocciolanti, mentre si tormentava le mani.
  «Ne ho avuto abbastanza» mormorò fissandosi le dita.
  «Non voglio più sapere nulla di loro»
James aggrottò la fronte, doveva aver litigato un’altra volta con i suoi genitori, ma non era mai arrivato a scappare di casa.
  «Puoi stare qui tutto il tempo che vuoi, Sirius» disse Euphemia dolcemente.
  «Oh non così in fretta» si intromise suo padre serio. Tutti lo guardarlo allarmati.
  «Prima devi rispondere a una domanda molto importante» annunciò Fleamont passandosi una mano fra i capelli grigi «Tè con o senza latte?»
Sirius rise teso. «Con, per favore»
Fleamont alzò le mani verso il soffitto «Oh, finalmente qualcuno con buon gusto in questa casa!» esclamò facendo ridere tutti.

 

 

 

Bellatrix osservò il viale principale che conduceva all’ingresso di Villa Lestrange dalla porta della sua camera da letto. Un piccolo gruppo di persone era ammassato vicino alla porta attorniato dal fumo di sigari e pipe. Suo padre, Cygnus Black, stava muovendo rapidamente la mano destra con un grosso sigaro acceso fra indice e medio.
Non riusciva a sentire le parole, ma sembrava preso dalla conversazione.
Sentì un brivido percorrerle il retro del collo quando lui incrociò il suo sguardo alzando gli occhi nella direzione della finestra.
Si trattenne dall’impulso di saltare indietro.
Odiava sentirsi così.
Ormai era una donna adulta e sposata. Eppure tutte le volte che suo padre era vicino si sentiva ancora quella bambina spaventata che si raggomitolava nelle coperte di notte per evitare che il mostro riuscisse a toccarla con le sue dita lunghe e sottili.
Chiuse gli occhi di scatto per scacciare i ricordi, si sforzò di sorridere a suo padre prima di voltarsi e uscire dalla stanza per tornare nella sala da pranzo.

 

 

 

Walburga misurava il salone di Black House nel Newcastle con lunghe falcate.
  «Sei sempre stato il suo parente preferito.»
  «Non che abbia l’imbarazzo della scelta» mormorò Alphard seduto mollemente sull’unica poltrona disponibile vicino al camino acceso.
Walburga lo fulminò con lo sguardo. «Hai sempre avuto un debole per i casi disperati.»
  «Non posso negarlo» sorrise Alphard.
  «Con quello che sta succedendo non possiamo permetterci di essere separati.»
  «Oh quindi riaccoglierete Andromeda?»
  «Noi non parliamo di quella traditrice del sangue.»
  «Noi chi?» Chiese Alphard alzando un sopracciglio.
  «Ha scelto di scappare con quel babbano»
  «Natobabbano» rettificò
Walburga mosse la mano come per scacciare una mosca
  «Cambia poco.»
  «Ti rendi conto che già due figli sono scappati? Non vorrei peccare di arroganza ma forse i vostri modelli di educazione non sono molto efficaci»
  «Due su cinque»
  «I due più intelligenti» commentò
Walburga lo ignorò. «Ti sei esposto troppo l’altra sera dai Malfoy, sai con chi sono in contatto.»
  «So cosa fanno con addosso maschere ridicole.»
  «Allora dovresti stare attento, invece che sfidare apertamente Abraxas.»
  «Ti preoccupi per me?»
Walburga non rispose, si limitò a guardare il fratello seria.
  «Se dovesse venire qui te lo farò sapere»
  «Me lo prometti?»
  «Parola di Black» assicurò Alphard disegnandosi una croce sul cuore.
Walburga annuì seria.
  «Ma se posso Wal…» Alphard si mise più dritto sulla poltrona. «Hai considerato la possibilità che sia andato da quel suo amico Potter?»
  «Certo che l’ho considerato» scattò lei.
  «Ma?»
Aprì la bocca un paio di volte senza dire niente.
  «Non andrò io a recuperarlo»
Walburga schioccò la lingua. «Lo so»
  «Bene» sorrise Alphard svuotando il bicchiere in un sorso prima di poggiarlo rumorosamente sul tavolo davanti a se. «Non posso più occuparmi dei tuoi problemi per te, sorellina»
  «Non ti ho chiesto di farlo» rispose lei infastidita.
  «Buon Natale, Walburga.»
Senza rispondere al fratello uscì’ dalla casa sbattendosi la porta dietro le spalle.

 

 

Charity si sentiva finalmente libera, l’aria soffocante di Hogwarts era ormai alle spalle. Dopo settimane di compiti, esami e lezioni, finalmente poteva rilassarsi a casa. Le era mancata la sua stanza, il suo letto morbido e sopratutto le era mancata sua madre.
Scambiarsi lettere non era la stessa cosa che essere li di persona. Anche se erano passati anni non si era completamente abituata a quella lontananza forzata.
Sua madre le aveva addirittura proposto di trasferirsi ad Hogsmeade il suo secondo anno, probabilmente vedendola triste. Ma era un’idea assurda, una babbana in un villaggio di maghi sarebbe stata fuori posto.
Però aveva apprezzato il gesto.
Camminare lungo le vie della città innevata, illuminata dalle luci natalizie fuori dai negozi, le diede un senso di pace che non provava da tempo.
Anche se ogni volta che tornava a casa si sentiva un po’ un’estranea, dopo mesi passati senza tecnologia anche la semplice luce artificiale la lasciava spaesata per qualche istante.
Sua madre l’accompagnò al Royal Opera House di Covent Garden a Londra. Aveva comprato i biglietti per il balletto quasi un anno prima.
Finalmente il giorno era arrivato.
Quando entrarono nel teatro alzò lo sguardo verso il soffitto decorato, i lampadari imponenti. Erano vicinissime al palco ancora chiuso dal sipario rosso.
L’aria aveva un odore di stoffa e legno.
Inspirò profondamente e sentì il cuore scaldarsi.
Aveva appena sei anni quando aveva deciso che il palco sarebbe stato la sua casa. Le sue prime lezioni di danza erano state come spiccare il volo. Ogni passo, ogni movimento, ogni giro la facevano sentire viva come nient’altro.
Quando però era apparsa la magia tutto aveva cominciato a crollare, i suoi poteri incontrollati l’avevano allontanata dal suo sogno. Invece di allenarsi con i passi di danza aveva dovuto iniziare a muovere una stupida bacchetta per sollevare oggetti o trasfigurare fiammiferi.
Non aveva avuto scelta, fu costretta ad abbandonare il suo sogno per qualcosa di più grande.
O almeno così le era stato detto dalla professoressa McGranitt quando venne a parlare con sua madre.
Le luci si spensero e il sipario iniziò ad aprirsi lentamente.
La musica le riempì con dolcezza le orecchie e venne trasportata in un’altra dimensione.
Le ballerine, con i loro corpi agili e perfetti, fluttuavano sul palco con una grazia che sembrava senza tempo. Il primo ballerino fece una presa perfetta della sua compagna e la sollevò con grazia, senza apparente fatica. Charity immaginò di essere al posto della ragazza, inclinò i piedi a terra per imitare la posizione. Immaginò il calore delle luci che illuminavano il paco sul suo volto. La testa iniziò a ondeggiare imitando le ballerine che si muovevano attorno alla coppia.
Un angolo della sua mente la fece risvegliare da quel sogno ad occhi aperti.
Ormai era troppo tardi, le sue dita erano abituate a tracciare incantesimi in aria con la bacchetta invece di aprirsi in arabesque.
Le lacrime iniziarono a scendere silenziose, scivolando lungo le sue guance, mentre osservava il palco.
Nessuna compagnia l'avrebbe mai accettata, nessun coreografo l’avrebbe mai scelta.
Non sarebbe mai diventata una ballerina.
In quel momento, mentre il sipario si chiudeva e il pubblico esplodeva in un applauso, Charity seppe che sarebbe sempre rimasta una testa fra tante nel pubblico.
Nessuna folla le avrebbe mai applaudito quindi applaudì lei per se stessa, con sentimento batté le mani cercando di trattenere le nuove lacrime, alzò lo sguardo verso il palco, e per un istante sognò ancora.

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