
La lista
La lista
Erano diversi i motivi per cui Eileen era orgogliosa di sé stessa: aveva degli ottimi voti, i professori si erano congratulati ripetutamente per i suoi successi accademici, era un Prefetto modello ed un punto di riferimento per gli altri studenti, e durante le vacanze di Natale era riuscita a tener testa a sua madre e dirle in faccia dove poteva cacciarsi le sue stupide ideologie. Ma nulla di tutto questo la rendeva felice come il sapere di essere riuscita ad avvicinare Blake a Lydia Merlin.
Tutto andava come previsto. Suo fratello non aveva detto nulla sulle sue nuove conoscenze a loro madre, quindi lei non sarebbe riuscita a fermarlo e visto che anche gli amici di Blake ignoravano il reale legame che si stava instaurando tra loro, non avrebbero potuto distruggere quella appena sorta e fragile fiducia. Il passo successivo del piano di Eileen prevedeva il lasciare a Blake e Lydia il tempo necessario per formare una vera e propria amicizia prima che tutti gli altri si ribellassero contro di loro. Eileen sperava solamente che Kenston, O’Brien e Alice non creassero problemi. Ovviamente aveva calcolato il rischio di un’interferenza da parte loro ed aveva sfruttato le vacanze di Natale proprio per progettare dei piani di riserva per ogni evenienza. Era pronta a tutto.
O quasi.
Perché a gennaio si trovò a fare i conti con degli studenti con i quali aveva sperato di non dover più avere nulla a che fare.
La fine della tranquillità ebbe inizio con un gran frastuono durante il viaggio di ritorno verso Hogwarts.
Eileen scattò in piedi appena sentì le prime urla, con il distintivo da Prefetto già appuntato sul petto. Anche gli altri studenti si stavano affacciando dai propri scomparti per scoprire la causa dei rumori che provenivano dalla coda del treno, ma ebbero l’ottima idea di levarsi dalla strada di Eileen.
Era livida, sia con chi stava combinando il disastro sia con il Preside. Dopo cinque anni si era abituata ai problemi che sorgevano inesorabilmente sull’Espresso e come tutti gli anni, si chiedeva di chi fosse stata la geniale idea di far viaggiare centinaia di bambini ed adolescenti maghi su un treno per una giornata intera senza una figura adulta a sorvegliarli.
«Ma certo,» borbottò superando un gruppetto di ragazzini del primo anno «Lasciamo tutte le responsabilità ai Prefetti e ai Capiscuola. Oppure lasciamo che si ammazzino a vicenda... Sarà divertente!». Tra un insulto e l’altro giunse alla coda del treno, dove si era creata una piccola folla che le impediva di vedere cosa stesse accadendo. «Spostatevi!» urlò per farsi sentire sopra il chiacchiericcio frenetico. «Sono un Prefetto, lasciatemi passare!» Qualcuno si spostò, qualcun altro venne spostato a forza, fino a quando Eileen ebbe una chiara visione di due ragazzi sdraiati a terra, immobilizzati, e di una ragazza del terzo anno che si teneva un braccio, con le lacrime che scivolavano sul suo viso, mordendosi un labbro e tremando incontrollabilmente. E davanti a loro, Eileen vide Zachary Harris, Morwenna Ansley e Thaddeus Mills, tutti accumulati da un ghigno trionfante.
Con un gesto violento della bacchetta, Eileen liberò i due studenti vittime dell’incantesimo delle pastoie. «Portatela via.» ordinò loro appena si riuscirono ad alzare, indicando la terza ragazza. Tremava sempre di più ed Eileen notò subito che il suo braccio era gonfio, probabilmente rotto. «Andate a cercare un Prefetto, nel nostro vagone c’è una cassetta di primo soccorso, le occorre una pozione contro il dolore. Voi tre invece» aggiunse volandosi verso Harris, Ansley e Mills «Tornate subito nel vostro scompartimento. E cinquanta punti in meno a Serpeverde.» Sentì delle proteste levarsi da alcuni studenti alle sue spalle.
Harris, al contrario, scoppiò in una risata crudele. «Credi davvero che ci importi qualcosa dei tuoi stupidi punti?» Questa volta le proteste si levarono contro di loro.
«No.» rispose Eileen, con una calma che non pensava potesse appartenerle «Ma avete attaccato degli studenti più giovani e questa volta non siete stati abbastanza furbi da evitare testimoni. Sapete benissimo cosa significa.» Le sue labbra si tirarono in un gelido sorriso. «Rischiate l’espulsione, e snap» schioccò le dita «Le vostre bacchette spezzate. Buona fortuna nella vostra vita da reietti. Tutti voi altri, invece, tornate ai vostri posti!» esclamò infine alla folla accalcata alle sue spalle, senza però essere così ingenua da voltare le spalle ai tre Serpeverde che la fissavano furiosi.
Harris in particolare era livido. «Se qualcuno oserà raccontare quello che è successo ai professori farà la stessa fine di quella sudicia Sanguesporco.» gridò, per poi superare Eileen scontrandosi con forza contro la sua spalla e tornare insieme ai suoi due compagni nel loro scompartimento.
Eileen fissò per alcuni istanti la porta sigillata, con la sensazione che quello era solo l’inizio.
Eileen era diventata abbastanza grande da non aver paura delle minacce di persone che si credevano più potenti di lei; erano anni che non si lasciava intimorire da nulla e non avrebbe certo iniziato in quel momento. Appena tornata ad Hogwarts andò subito a riferire l’accaduto al professor Piton, il Direttore della sua Casa, un’ora dopo era nell’ufficio del Preside a ripetere di nuovo la vicenda ai professori lì raccolti. Lasciò lo studio soddisfatta di sé stessa per aver fatto il suo dovere.
Il giorno successivo alcuni studenti vennero chiamati nell’ufficio del Preside, erano tutti quelli che Eileen aveva visto nella coda del treno e che avevano assistito alla scena. Quando quella sera venne convocata dal professor Piton, era fermamente convinta che i tre Serpeverde fossero stati espulsi.
Non poteva essere più in errore.
«Non abbiamo prove certe di quanto sia accaduto sull’Espresso.»
Eileen non riusciva a crederci. «Vi ho raccontato cosa hanno fatto, circa venti studenti erano presenti quando è successo! Senza contare i tre che sono stati aggrediti!»
«Non usi questo tono con me, signorina Moore.» sibilò Piton.
Eileen si zittì all’istante, un lieve rossore a colorare le sue guance. «Mi scusi, signore…»
Il professore sembrò accettare le sue scuse considerando che continuò a parlare dopo un breve momento di silenzio che per Eileen si protrasse all’infinito. «Tutti gli studenti che abbiamo interrogato hanno negato la vicenda.» Eileen sollevò il volto di scatto, sorpresa. «E la signorina Collins ha sostenuto di essere semplicemente caduta.» Eileen prese fiato, pronta a protestare «E prima che aggiunga altro, le ricordo che lei è solo un Prefetto e non ha alcun potere decisionale sull’espulsione degli studenti di questa scuola, né il diritto di minacciarli.»
Eileen dovette respirare profondamente per non essere travolta dalla rabbia. «Quindi vi hanno riferito delle mie minacce di espulsione e voi avete deciso di concentrarvi su quelle invece che fermare i tre studenti che hanno ferito intenzionalmente un’altra studentessa.»
«Signorina Moore, le ricordo che sta parlando con un professore di questa scuola.» La voce di Piton era ridotta ad un sibilo, ma non per questo era meno pericolosa.
Eileen stentava a credere a ciò che stava accadendo. Si era sempre fidata dei professori, aveva riposto fiducia nella loro autorità, nel loro giudizio. E se fino a soli pochi istanti prima avrebbe reagito all’avvertimento di Piton chinando il capo e con parole di scuse, ora tenne lo sguardo alto, mentre una gelida rabbia strisciava sotto la sua pelle, reclamando giustizia. «Sull’Espresso di Hogwarts è stata compiuta un’ingiustizia e ho la chiara sensazione che nessuno, nessuno, stia facendo qualcosa al riguardo.» La sua voce era calma, monocorde, in netto contrasto con il tumulto che si agitava nel suo cuore. «Lei, il Preside, gli altri professori, avrete di nuovo il mio rispetto quando dimostrerete di condannare i reati commessi sotto la vostra tutela.» E per impedirsi di dire qualcosa di cui avrebbe potuto pentirsi, Eileen si alzò e prima che il professor Piton potesse fare qualsiasi cosa, era già lontana.
Corse via, nel tentativo di scappare dal professore, dalla delusione, dalle aspettative tradite. Solo molto più tardi, seduta sul pavimento della torre di Astronomia, nel mezzo della notte, si rese realmente conto di cosa avesse fatto. Aveva mancato di rispetto un professore, e non uno qualsiasi ma Severus Piton, l’unico che provava un vero e proprio odio nei confronti di tutti gli studenti. Neanche essere Serpeverde l’avrebbe salvata dalla sua rabbia.
Eppure, anche ora che si era calmata ed era di nuovo capace di riflettere lucidamente su ciò che era successo nelle ore precedenti, non provava paura, solo una rabbia contenuta a fatica.
Era sempre così, pensò sollevando lo sguardo verso il cielo stellato, gli adulti parlavano, parole nobili, certo, come responsabilità e dovere, ma mai una volta venivano intraprese azioni concrete che avrebbero davvero fatto la differenza.
Si sfregò gli occhi, esausta. L’ora del coprifuoco era passata da tempo, eppure non voleva tornare nella sua Sala Comune, non con i pensieri dell’Espresso, dell’ufficio del professor Piton, dei ragazzi che potevano compiere del male e rimanere impuniti a tormentarle la mente.
Erano solo scherzi, come diceva sua madre.
Erano solo ragazzi, come sosteneva suo padre.
Eileen strinse i pugni. Nessuno veniva mai giudicato colpevole per le azioni che conduceva. Era sempre stato così, sia nel mondo babbano che in quello magico, ed Eileen non riusciva a comprendere come fosse possibile, specialmente dopo ciò che era avvenuto solo pochi anni prima, dopo che il Male era riuscito a prendere potere e non certo solo per merito di un singolo mago, per quanto potente fosse, ma proprio perché circondato da altri che non si facevano scrupoli e che non sapevano cosa fosse la giustizia. Non avevano imparato nulla dalla Guerra dei Maghi.
Fu proprio questo pensiero a farle improvvisamente venire le vertigini. E se quei sussurri che strisciavano nella società magica fossero veri? Se Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato non fosse davvero scomparso come quasi tutti osavano sperare? Se il suo spirito fosse riuscito in qualche modo a rimanere aggrappato al loro mondo e ad ingannare la Morte? Avrebbe potuto tornare, in quel Paese in cui l’ombra del suo terrore aleggiava ancora minacciosa su chiunque avesse abbastanza intelletto da temerlo. E se fosse tornato, avrebbe cercato dei nuovi sostenitori. Eileen conosceva abbastanza sulla guerra da sapere che le sue fila annoveravano solitamente maghi e streghe senza scrupoli, pronti a tutto pur di distruggere la vita di coloro che non consideravano degni. Ed Harris, Mills ed Ansley non erano forse un esempio lampante di come avrebbero dovuto essere i Mangiamorte? Spietati e senza cuore. E anche se al momento erano solo studenti, nessuno faceva realmente qualcosa per fermarli. Sono solo immaturi, cresceranno, dicevano. Chissà quanti altri ragazzi erano stati definiti così dai loro professori e poi si erano rivelati dei mostri. Il Signore Oscuro in persona era stato uno studente di Hogwarts e per quanto il Male avrebbe potuto corrompere una persona a qualsiasi età, Eileen stentava a credere che nessun professore si fosse mai accorto dell’oscurità che divorava nel suo cuore.
Un colpo di vento la fece rabbrividire. L’incantesimo che aveva usato per riscaldarsi nel gelo di gennaio stava perdendo potenza, ma il pensiero continuava a tornare su Harris, Mills e Ansley, e su come Eileen da sola avrebbe potuto fare in modo che ciò che era avvenuto sull’Espresso non succedesse mai più. Loro non erano come Betty Crowe, Eileen non avrebbe risolto tutto ergendosi contro di loro, e di sicuro non stringendo amicizia. Non era più una bambina.
Sua madre l’avrebbe esortata a lasciar perdere, suo padre l’avrebbe riempita di belle e sagge parole senza però darle concretamente alcun aiuto o consiglio su cosa fare.
Era sola.
Sbatté velocemente le palpebre per scacciare le lacrime.
Era una ragazzina di quindici anni sola contro qualcosa di più grande di lei.
Un corvo gracchiò in lontananza. Eileen abbracciò strette le sue ginocchia e vi affondò il viso.
Lì, in cima alla torre più alta, nel castello più remoto, nella notte più buia, si sentì irrimediabilmente sola.
Le lacrime sfuggirono al suo controllo e i suoi singhiozzi si dispersero nella gelida notte.
Eileen visse i giorni successivi rinchiusa in un riflessivo silenzio. Le prime lezioni del trimestre furono tremende, la sua concentrazione era ormai inesistente e non aiutava il fatto che tutti i professori continuassero a ricordare che i G.U.F.O. si stavano avvicinando. Eileen smise di ascoltare i loro avvertimenti. I docenti avevano blaterato per mezz’ore intere su quanto fossero importanti i voti, li avevano minacciati dicendo che non avrebbero accettato chi non fosse riuscito a raggiungere un risultato soddisfacente, e come da quegli esami dipendeva la loro vita professionale e di conseguenza il loro futuro. Nessuno di loro, neppure uno, aveva anche solo accennato a ciò che era avvenuto sul treno, a quello che tutti continuavano a definire uno sfortunato incidente. Il messaggio per Eileen era chiaro. Ai professori non importava nulla di cosa i loro studenti facessero, l’unico obiettivo doveva rimanere solo e unicamente studiare.
Nel momento esatto in cui la lezione di Aritmanzia ebbe fine, scattò in piedi e se ne andò prima di tutti gli altri.
«Ehi, ehi tu!» Eileen rallentò il passo. Si era allontanata talmente in fretta dall’aula da essere completamente sola nel corridoio. Scosse il capo e tentò di ricominciare a camminare, ma la voce la fermò di nuovo. «Tu, Prefetto! Sono qui!»
Eileen guardò verso il muro. Una donna stava agitando le braccia all’interno di un dipinto, aveva le guance paonazze e la parrucca che indossava le stava scivolando su un occhio. Eileen spostò brevemente lo sguardo verso il ritratto successivo dove una ventina di minuscoli marinai agitavano delle bottiglie vuote, le loro voci erano talmente sottili che non riusciva a comprenderle ma non impiegò molto a capire di cosa si stavano lamentando. Si sfregò le tempie. Era già stata una giornata terribile ed ora si trovava a dover fare i conti con un ritratto ubriaco. «Mi dispiace, signora, ma devo correre alle serre, la lezione di Erbologia sta per iniziare.» Si stampò sulle labbra un finto sorriso e riprese a camminare, nella speranza di riuscire a scomparire nei gruppi di studenti che iniziavano ad affollare il corridoio.
«Fermati, sciocca ragazzina!» La signora del ritratto partì al suo inseguimento invadendo i quadri vicini e scatenando non poche sonore proteste dai loro abitanti, attirando anche qualche sguardo curioso dagli studenti di passaggio.
Eileen era ormai arrivata alla scalinata principale quando si arrese all’evidenza, i ritratti avevano la brutta abitudine di essere particolarmente insistenti e la donna non sembrava essere da meno. «Cosa succede?»
La signora si portò una mano al petto. «Non lo sai?» chiese fingendosi stupita. Le sue doti drammaturgiche erano scarse, anzi, inesistenti.
«No.» rispose secca Eileen.
«L’ho visto io! Con i miei occhi!» I suoi occhi erano talmente sottili ed annebbiati dall’alcol che Eileen dovette fare un enorme sforzo di volontà per trattenersi dal farglielo notare.
«Cosa ha visto?» chiese invece impaziente. Controllò l’orologio, mancavano dieci minuti all’inizio della lezione e doveva ancora attraversare metà castello.
«Stavo girovagando tra i dipinti del terzo piano, sai, lì ce ne sono alcuni delle vallate toscane e lasciami dire che sono sublimi!» Eileen si lasciò sfuggire un verso strozzato. I dipinti avevano anche la malaugurata abitudine di perdersi in lunghissimi racconti senza fine, uno degli effetti collaterali di essere tecnicamente immortali.
«Signora!» Eileen cercò di mostrarsi cortese, sperando che così la donna del ritratto l’avrebbe presa in simpatia e lasciata in pace «Con tutto il rispetto, ma non ho tempo ora.»
La signora sbuffò e borbottò sui giovani dei tempi moderni. Eileen mise una mano sul corrimano pronta a scendere le scale e correre a lezione.
«Aspetta! Aspetta! E va bene…» sbuffò di nuovo la donna «Conosci i tre Serpeverde che hanno combinato quel pasticcio sul treno?»
Il cuore di Eileen iniziò a battere come impazzito. Si voltò verso il ritratto, con gli occhi sbarrati dalla sorpresa «Sì.»
«Sono stati sospesi! Per due settimane! Verranno allontanati dal castello questa sera stessa! Era da anni che uno studente non veniva sospeso, e non solo quello! Il Preside stesso ha scritto anche ai loro genitori e ho sentito dire che sono furiosi e hanno già minacciato provvedimenti contro i professori e il Preside stesso, una totale mancanza di rispetto se vuoi il mio parere…» Il pianista a cui apparteneva la cornice in cui la donna si era intrufolata si mostrò molto interessato all’argomento e la signora si dimenticò completamente di Eileen.
Eileen non se ne accorse neppure.
Era successo. I professori si erano risvegliati dalla loro apatia, si erano accorti della gravità della situazione ed avevano agito. E non con una semplice punizione o una ramanzina sul rispetto degli altri, ma una vera e propria sospensione!
Assorta nei suoi pensieri, Eileen sollevò il piede per scendere il primo gradino della scalinata quando accadde qualcosa di molto strano.
Appena si mosse, percepì un colpo d’aria alle sue spalle e il secondo successivo si sentì sollevare da terra. Le stranezze però non erano ancora finite perché nell’esatto istante in cui Eileen si trovò sospesa nell’aria, in quel preciso millesimo di secondo, dei ripetuti crack si levarono dal suo braccio seguiti da un dolore mai provato prima. Atterrò pesantemente, perse l’equilibrio e rotolò sui gradini.
Doveva aver perso conoscenza per qualche secondo perché quando tornò ad essere consapevole di ciò che la circondava, sentì diverse urla, un chiacchiericcio agitato ed innumerevoli passi che scendevano la scalinata correndo verso di lei. Una nuova ondata di dolore al braccio le fece mordere il labbro per impedirsi di urlare. Non riusciva a muoverlo, non che volesse farlo, in quel momento avrebbe solo voluto svenire. Era sicuramente rotto.
Braccio rotto.
Le due parole le si impressero nella mente annebbiata di dolore. Erano importanti, ma non ne comprendeva il motivo. E poi un ricordo la colpì. Braccio rotto. «…Farà la stessa fine…» La nebbia si diradò dalla sua mente.
Spalancò gli occhi. Non riusciva a vedere bene, il nero ammantava gli angoli della sua visione. Dei volti preoccupati la stavano guardando dall’alto. Era sdraiata a terra. Non vi sarebbe rimasta a lungo. Perché le ossa non si spezzano da sole a mezz’aria, il vento non ha una forza tale da spingere una persona giù dalle scale e nemmeno esiste in un corridoio senza finestre.
Sapeva perfettamente chi era stato, e se questa era una sfida, erano destinati a perdere perché Eileen non li avrebbe mai lasciati vincere, perché sarebbe morta prima di farsi sottomettere.
Con una forza che non aveva mai pensato di possedere, piegò il braccio sano e lo usò per riuscire ad alzarsi. Una mano le si posò sulla spalla, forse per aiutarla o per costringerla a rimanere sdraiata.
«Lasciatemi.» ringhiò. Gli studenti attorno a lei arretrarono.
Il braccio pulsava con una tale violenza che Eileen sentì la bile risalirle dallo stomaco. Si fermò per riprendere fiato e deglutì, il senso di nausea peggiorò. Tornò a mordere il labbro inferiore, non si sarebbe lasciata sfuggire neanche un suono, non avrebbe dato loro questa soddisfazione. Con uno sforzo immane riuscì ad alzarsi, ondeggiò pericolosamente prima di riuscire ad appoggiare una mano sul muro e stabilizzarsi. Il sudore le imperlava la fronte, lo sentiva scivolare sulla schiena. Con tutta la grazia che la situazione le permetteva, si raddrizzò e sollevò il mento, un’espressione risoluta in viso.
Era circondata da studenti del quarto e del sesto anno che la guardavano, alcuni stupiti ma la maggior parte avevano un’inconfondibile sguardo di ammirazione dipinto sui loro volti. Ad Eileen non importava, stava cercando qualcuno in quella folla e lo trovò nascosto nella penombra del pianerottolo da cui era appena caduta. Sapeva che Harris sarebbe rimasto ad assistere alla sua caduta nella speranza di vedere il suo dolore. Eileen intercettò il suo sguardo, nei suoi occhi leggeva gli stessi sentimenti di coloro che la stavano circondando: stupore e ammirazione. Eileen gli rivolse un sorriso tirato. «Avete perso.»
Eileen non era stupida. Sapeva riconoscere i propri limiti ed un braccio con fratture multiple era stato un chiaro segnale. Se quello era l’inizio della vendetta del trio, non voleva sapere cos’altro avevano in serbo per lei. Fortunatamente, al ritorno dalla loro sospensione, vennero tenuti talmente sotto controllo da tutto il corpo docente (vivo o morto) della scuola che non si azzardarono a compiere nessun altro attacco. Il loro nuovo regno del terrore era finito prima ancora di iniziare.
E così tutto sembrò tornare alla normalità, per quanto potesse essere normale una scuola di magia e stregoneria.
Eileen però non riusciva a darsi pace.
Avrebbe dovuto essere contenta di come si fossero concluse le cose, braccio rotto a parte, eppure un tarlo le stava divorando le ore di velia. Perché erano dovuti arrivare fino a quel punto? Perché nessuno aveva fermato Harris, Mills o Ansley prima che arrivassero ad aggredire i loro compagni?
La risposta giunse con una semplicità disarmante.
Perché nessuno aveva parlato.
Tutti coloro che nel corso degli anni avevano assistito alle loro ingiustizie erano rimasti in silenzio, si erano voltati dall’altra parte ed avevano fatto finta di non vedere.
Un pensiero che successivamente definì stupido le attraversò la mente durante una delle sue innumerevoli notti insonni. Anche Betty Crowe sarebbe diventata così se lei non fosse intervenuta? Quella bambina scontrosa ed aggressiva che trascorreva le giornate a torturare gli altri sarebbe cresciuta e diventata come Harris, Ansley e Mills se lei non le si fosse opposta, se non le avesse successivamente offerto la sua amicizia? Dove sarebbe stata ora? Avrebbe ancora coltivato il sogno di diventare medico o il suo unico obiettivo sarebbe stato quello di trovare nuove vittime da torturare? Le persone potevano cambiare? Eileen si girò e si avvolse nelle coperte. Un cambiamento era possibile. Per Betty Crowe era stato relativamente semplice, in fondo era solo una bambina bisognosa, senza esserne consapevole, di aiuto. Chissà quante altre persone avevano bisogno di aiuto senza saperlo o volerlo ammettere.
Si rigirò sull’altro lato. Il chiarore della luna illuminava le acque del lago che vedeva dalla finestra, il tutto creava delle increspature verdastre che si muovevano sinuosamente e che davano al dormitorio un aspetto spettrale.
Harris, Ansley e Mills stavano finendo scuola ed erano talmente immersi nelle loro ideologie che sarebbe occorso tempo per convincerli a cambiare, se mai fosse possibile. E una volta che loro si fossero diplomati, qualcuno degli altri ragazzi avrebbe cercato di simularli e di prendere il loro posto? In quei giorni le era capitato fin troppo spesso di sentire studenti sussurrare che in fondo si era meritata quel trattamento per aver fatto la spia ai professori. E se iniziava tutto così? Da un sussurro, per paura di essere sentito dagli altri, che poi si trasformava in un urlo al mondo intero su quanto le persone si meritassero il male che veniva compiuto contro di loro? Magari se qualcuno avesse ascoltato i sussurri di Harris, Ansley e Mills e avesse fatto qualcosa al riguardo, non si sarebbero trasformati in urla feroci. Ma Eileen cosa poteva fare? Si coprì il volto con le mani. Il verde penetrò lo stesso tra le sue dita.
Cosa poteva fare lei da sola per cambiare le cose?
La risposta giunse sorprendentemente in un lampo.
Il primo passo.
Scattò a sedere e si tuffò fuori dal letto, rovesciò sulle coperte la sua borsa dei libri e una volta trovato il necessario corse nella Sala Comune. Era deserta, un silenzio innaturale permeava la stanza, le stesse increspature verdastre del dormitorio la riempivano, muovendosi sinuose sul soffitto e sui muri. Eileen si sedette su una poltrona accanto alle ampie vetrate, il suo posto preferito nonostante il freddo irradiato dal vetro che la separava dall’acqua del lago. Avvicinò il tavolino, il tappeto attutì il rumore, appoggiò la pergamena e la stirò con la mano, stappò la bottiglietta di inchiostro nero, intinse la penna ed iniziò a scrivere. Partì da loro, dai ragazzi che aveva sentito sussurrare, scrisse in modo chiaro i loro nomi insieme ad una breve descrizione dei comportamenti che avevano destato la sua preoccupazione non solo nei giorni precedenti ma andando indietro di mesi. Diversi eventi simili, altre frasi criptiche si risvegliarono dalla sua memoria. Su un altro foglio di pergamena scrisse altri nomi, quelli di coloro che avevano detto poco, ma non per questo dovevano essere dimenticati, insieme all’appunto di tenerli d’occhio per riuscire a farsi un’idea chiara su di loro. Dopo aver scritto tutto ciò che ricordava si fermò ad osservare il suo lavoro. Era solo l’inizio, mancava qualcosa. Intinse la piuma nell’inchiostro e aggiunse accanto ad ogni nome la parola Serpeverde. Perché se voleva portare un cambiamento nella scuola e nella vita delle persone il cui nome si trovava ora impresso in quella lista, non avrebbe potuto fermarsi solo alla sua Casa. C’erano tanti ragazzi che avevano bisogno di aiuto, tanti Betty Crowe che dovevano essere notati.
Eileen si impegnò con tutta l’anima nel suo nuovo progetto.
Passarono i mesi, la neve lasciò il posto alle prime giornate tiepide della primavera ed alcuni studenti seguirono la tradizione e cominciarono ad abbandonare il castello pieno di spifferi per godersi i primi giorni primaverili.
Eileen invece aveva solo due pensieri in mente: i G.U.F.O. e la lista.
Aveva intenzione di mantenere la promessa fatta a sé stessa e raggiungere voti alti in più esami possibili e, allo stesso tempo, voleva completare la lista prima della fine dell’anno scolastico. Era impegnata tutte le ore del giorno, i suoi pranzi erano sempre più corti e le notti insonni, eppure sentiva che ne valeva la pena. Stava finalmente facendo qualcosa di concreto e non avrebbe rinunciato ora.
Suo padre le scriveva spesso, preoccupato dalle sue sporadiche risposte, ma Eileen non gli dava importanza, avrebbe avuto tempo per parlargli una volta terminata la scuola. L’unico famigliare che rimaneva nei suoi pensieri era Blake. Nel corso di quei mesi, Eileen aveva tentato di trovare il tempo per controllarlo ma i ritmi serrati le avevano impedito di continuare. Con un forte senso di colpa aveva fatto un passo indietro con la speranza che la neonata amicizia con Merlin sarebbe stata abbastanza per tenerlo lontano dai guai.
Tutte le fatiche furono infine ripagate a giugno. Gli esami furono stressanti come previsto, le due settimane di prove volarono e l’ultimo giorno di scuola, Eileen uscì dalla Sala Grande tirando un grande sospiro di sollievo. Si sentiva leggera, come se da un momento all’altro potesse levarsi in volo. Le porte della Sala d’Ingresso erano spalancate e il suo istinto la spingeva a correre fuori, sdraiarsi sul prato e recuperare le ore di sonno perdute. Ma aveva un ultimo dovere da svolgere prima di potersi riposare.
Controllò per l’ennesima volta di avere l’occorrente nella borsa dei libri e si fece coraggio. Voltò le spalle alla bella giornata estiva e si fece strada fino all’ufficio del preside Silente. Presa dall’agitazione aprì nuovamente la borsa e frugò fino a quando le sue mani si strinsero attorno al foglio di pergamena. Ora che era arrivato il momento si trovò sopraffatta dai dubbi: e se il professor Silente si fosse arrabbiato per quello che aveva fatto? E se lo avesse considerato eccessivo? Eileen scosse la testa strizzando gli occhi. No, aveva lavorato mesi interi su quel progetto, vi aveva riversato la sua stessa anima. La paura fece spazio alla risoluzione. Non si sarebbe tirata indietro ora.
I suoi timori si volatilizzarono non appena iniziò a parlare e spiegare tutto: cosa l’aveva spinta ad iniziare la lista, come si era organizzata, i metodi che aveva usato per ottenere le informazioni e saperle distinguere dai semplici pettegolezzi. In tutto la lista comprendeva ventidue nomi, provenivano da Case diverse, anche se la maggior parte erano prevedibilmente Serpeverde, sia a causa del fatto che provenivano da famiglie conservatrici, sia perché per Eileen era stato più semplice tenerli d’occhio. Alla fine del rotolo di pergamena aveva aggiunto altri tredici nomi di ragazzi che avevano mostrato atteggiamenti sospetti ma senza essere particolarmente allarmati. Il preside la ringraziò e promise che avrebbe riflettuto sul da farsi. Ripensando alla sospensione di Harris, Zachery e Morris, Eileen credette alle sue promesse.
Quando si trovò di nuovo nel corridoio, Eileen si sentì piena di vita: era riuscita nel suo intento, la scuola era quasi finita e l’attendeva un’estate intera di riposo.
Proruppe in una mezza corsa, impaziente di uscire dal castello ed andare a sdraiarsi insieme agli altri sulle rive del lago. Tutti i suoi buoni propositi si infransero appena sentì una voce familiare levarsi alle sue spalle. Si voltò con una velocità tale che la sua borsa dei libri sbatté contro il muro, un rumore di vetro infranto la informò che le sue boccette di inchiostro erano andate in frantumi, non che a lei importasse. Perché Blake stava scendendo la scalinata della sala d’Ingresso accompagnato da Christopher Mills, Celia Harris e Aiden O’Neill. Aspetta, anche Merlin era sulla scalinata; Eileen si diede della stupida, si era agitata per nulla.
Scoprì presto che non era così.
«Levati dai piedi, Merlin. Anzi, facci un piacere e sparisci proprio dalla faccia della terra. Non abbiamo bisogno della feccia come te!» La risata crudele di Blake fu un pugno allo stomaco e al cuore di Eileen. Suo fratello si allontanò velocemente senza lasciare il tempo a Merlin di rispondere. Eileen era pietrificata, lo fissò mentre la superava senza neppure vederla ed usciva dal portone, circondato dai suoi amici.
Solo quando scomparve dalla sua vista riuscì a muoversi. Risalì i gradini due alla volta e si gettò davanti a Merlin che non fu felice di vedersela comparire davanti. «E adesso cosa vuoi? Darmi un’altra punizione!?» esclamò Merlin. Ad Eileen non sfuggirono le lacrime di frustrazione che bagnavano i suoi occhi.
«No.» si affrettò a dire. Cercò le parole giuste. «Tu e Blake siete amici.» Fallì miseramente. Eppure la sua mente era fissa lì, su quelle parole che continuavano a ripetersi nei suoi pensieri senza lasciarla ragionare lucidamente. Blake e Merlin erano amici, ne era sicura. Doveva essere solo un malinteso. Uno scherzo, di pessimo gusto ma comunque uno scherzo.
Merlin si sfregò gli occhi, cancellando ogni traccia delle lacrime. «Ti sbagli. Io e Blake non saremo mai amici. Non finché darà retta a persone come loro!» La sua voce ora era intrisa di veleno.
«Lydia!» Le due ragazze si voltarono verso lo studente biondo in fondo alle scale.
«Arrivo Lance.» rispose Merlin, e lasciò da sola Eileen.
Merlin e Blake erano amici. Ne era sicura, li aveva visti prima delle vacanze di Natale, erano insieme e si comportavano amichevolmente. Li aveva visti! E Blake aveva passato la maggior parte delle vacanze a parlare di Merlin, sempre a distanza di sicurezza da sua madre, ma ne aveva parlato! Cosa era successo? Cosa era cambiato in quel lasso di tempo, da Natale a giugno?
Lei.
Era Eileen ad essere cambiata, o per meglio dire, le sue priorità. Prima delle vacanze la sua priorità assoluta era stata avvicinare Blake a Merlin e finché tutte le sue energie si erano concentrate su quell’unico traguardo era andato tutto bene, ma dopo l’Espresso, Eileen aveva cambiato obiettivo ed aveva sperato di aver indirizzato Blake sulla strada giusta e che fosse ormai in grado di andare avanti senza il suo aiuto. Quanto si era sbagliata. Blake non era mai riuscito in tutta la sua vita a combattere contro ciò che gli altri si aspettavano da lui. Non era riuscito con loro madre, cosa le aveva fatto credere che ora sarebbe stato diverso? Era bastato che lei si allontanasse e Blake era tornato alle vecchie abitudini, alla certezza di quelli che lui non aveva mai smesso di chiamare amici. Per continuare l’amicizia con Merlin avrebbe dovuto mettere in discussione tutto, compreso sé stesso, e per quanto desiderasse ardentemente diventare suo amico, questo non era stato sufficiente ad allontanarlo dai suoi preconcetti, dal senso di conforto dato dall’essere la persona che tutti si aspettavano che lui fosse. Eileen però voleva che lui fosse migliore. Perché suo fratello non poteva semplicemente aprire gli occhi e rendersi conto di essere infelice?
“Posso aiutarlo io.” cercò di convincersi risoluta, una convinzione subito infranta dal peso della verità. Non poteva, per quanto lo desiderasse con tutto il cuore non sarebbe mai riuscita a stare costantemente al suo fianco, non avrebbe potuto proteggerlo per il resto della sua vita, e se il peggio fosse veramente accaduto, non sarebbe riuscita a farlo in una guerra magica.
Eileen si accorse solo in quel momento di essere tornata su suoi passi. Aveva inconsciamente attraversato porte e corridoi ed era tornata al punto di partenza: l’ufficio di Silente.
Meccanicamente pronunciò la parola d’ordine e salì la scalinata. Una volta arrivata in cima bussò e senza aspettare risposta, fece il suo ingresso nell’ufficio.
«Signorina Moore, a cosa devo il piacere di un’altra visita?» chiese il professor Silente. Eileen non rispose. La pergamena era ancora nell’esatto punto in cui l’aveva lasciata. Senza dire una parola si avvicinò alla scrivania, prese una piuma e, con la morte nel cuore aggiunse un ultimo nome sulla lista.
Blake Moore.