
Sirius
Io so' testardo
C'ho la capoccia dura
E per natura non abbasso mai lo sguardo
È un'esigenza
Perché c'ho 'na pazienza da leopardo
Severus Snape. Pidocchioso moccioso troppo affascinato dalle arti oscure, incapace di mantenere una igiene personale decente. Severus Snape era nel suo stesso anno e aveva la corporatura tipica di chi verrà spazzato via dalla prima folata di vento non appena avesse messo quel nasone troppo prominente su quel viso troppo pallido fuori dal portone d'ingresso.
Severus Snape lo stava guardando negli occhi.
Aveva cominciato all'inizio di quel terzo anno. Il rospetto costantemente ricurvo sul proprio calderone aveva alzato la testa e quegli occhi colmi di notte si erano fissati in quelli lunari di Sirius. E non si erano spostati.
La più sordida delle sfide.
Perché i Black non abbassano mai lo sguardo per primi. Nessuno sano di mente incrocia volontariamente lo sguardo di un Black, tantomeno con quella sfida negli occhi.
Per quanti tra i suoi compagni di scuola si professassero seguaci del Liberatore del Mondo Magico, colui che avrebbe reso nuovamente grande l'Inghilterra magica, gli avrebbe garantito la libertà di poter nuovamente fare tutto quelle ignominie che le assurde leggi dello Stato guidato da vecchi senza più spina dorsale ora gli impedivano di fare, nessuno di loro reggeva lo sguardo di Sirius Black. Solitamente bastava inchiodarli con quelle pupille d'argento, impugnare la bacchetta, alzare un sopracciglio, ghignare lentamente e persino Macmillan faceva dietrofront.
Tirarsi addosso fatture di ogni tipo? Nessun problema.
Prendersi a male parole nei corridoi con la stessa disinvoltura con cui si saluta un vecchio conoscente? Certo, perché no.
Incrociare lo sguardo di un Black? …
…
No. Per carità no.
C'era chi diceva che l'Abisso si trovasse sul fondo delle pupille di un Black.
Eppure, tra tutti quegli orgogliosi purosangue, quegli imbellettati figli di papà, Severus SNAPE era quello che gli teneva testa, che sosteneva il suo sguardo, che non mollava nemmeno un cm di terreno.
Solitamente dovevano esser portati via a forza da quegli scontri di sovrumana volontà. O gli altri facevano in modo che ci fosse sempre qualcuno a frapporsi tra i due. Solitamente ci pensava James. Certo, dopotutto c'era anche la questione della Evans a spronarlo, ma ad ogni modo il risultato non cambiava.
E Sirius aspettava. Il prossimo incontro temerario, la prossima sfida soddisfacente, sperando che l'altro si avvicinasse ancora un poco. Aspettava perché è ciò che i predatori fanno quando non vogliono che la propria preda scappi. La aspettano, la studiano, imparano a riconoscerne i passi, i silenzi, il respiro.
Finché non trovano la breccia perfetta e non azzannano alla giugulare.
E ora Severus Snape era nella sua Dimora Ancestrale.
Sirius lo osservava dall'altro lato della spaziosa cucina di Grimmauld Place mentre parlava con Dumbledore, il nugolo degli altri membri dell'Ordine della Fenice iniziava a saturare ogni spazio. Troppi di loro guardavano Sirius dall'alto in basso, come se ancora pensassero di esser migliori di lui.
Non lo erano.
Nessuno di loro.
E chiunque di loro osasse incrociare il suo sguardo non riusciva mai a sopportarne il peso.
Ogni. Singola. Persona.
Ognuno di loro l'aveva tradito, aveva pensato che avesse venduto i Potter a Voldemort, pensava che l'oscurità della sua Famiglia l'avesse infine avvolto e avesse mostrato i suoi veri colori.
Tranne Severus Snape. Che aveva sempre pensato il peggio di lui.
Severus Snape lo stava guardando negli occhi.
E la luce negli occhi di Sirius si fece nuovamente famelica.
Severus
E so' testardo
E non mi ferma niente
Vado sempre avanti fino al mio traguardo
Indifferente
E non m'importa gnente se ritardo
Black era tutto ciò che Severus non sarebbe mai stato e avrebbe voluto essere: ricco, affascinante, spavaldo e dannatamente sicuro di sé. Un cortigiano bello e popolare.
L'aveva odiato dal primo momento perché persino a 11 anni Black era stato un alieno, inamidato in una divisa perfetta, che attraversava il mondo che sapeva gli appartenesse.
Quando Lily, invece di finire in Slytherin, era stata smistata nella stessa Casa di Black, Severus aveva arricciato le labbra. Lui e l'amica si erano ripromessi di superare insieme tutti gli ostacoli dovuti al fatto di non esser cresciuti in una famiglia magica, quindi, nonostante la presenza dell'altro, Severus aveva sperato che potesse finire anche lui nella sua medesima casa ma il Cappello Parlante non aveva minimamente preso in considerazione l'idea.
" Hai coraggio, ma non abbastanza. "
Maledetto cumulo di vecchi stracci. Gli avrebbe dimostrato quanto coraggio potesse avere.
Lily era sua amica: non avrebbe mai permesso che Black - o quella sua congrega di cialtroni pendenti dalle sue labbra - gliela portassero via.
Ma evidentemente le vere amicizie non reggono allo smistamento. E lei si era lasciata abbindolare dalle parole di quel Potter, sulla magia bianca e la magia nera, aveva prestato orecchio alle cialtroneria di quel barattolo di Peter Pettigrew sul fatto che ogni Mago Oscuro fosse uno Slytherin, si era abbeverata dai racconti dell'orrore - ovviamente esagerati, Regulus non sembrava minimamente traumatizzato dall'esperienza, e nemmeno l'altro Black, a dirla tutta - che raccontava Black sulla propria Famiglia. E aveva smesso di pensare con la sua testa e anche lei gli aveva voltato le spalle.
Per questo Severus aveva iniziato a prestare più attenzione a quella banda di casinisti. Dimenticandosi però di controllare i propri e il loro comportamento inaccettabile verso Lily e le sue amiche mezzosangue.
Pessima idea.
Primo perché i suoi compagni di Casa, se lasciati a briglia sciolta, erano subdoli come un orango tango durante l'ora del tè, e secondo perché aveva iniziato a guardare davvero quell'alieno.
Sirius Black non piegava la testa, non abbassava lo sguardo, non retrocedeva di un passo sulle proprie convinzioni. Sirius Black, a differenza di suo fratello, molto più sfuggente, non era una presenza che potesse essere ignorata. Né quando si comportava da giullare in Sala Grande, né quando ululava il proprio divertimento per uno scherzo ben riuscito e, meno che mai, quando ti puntava gli occhi addosso e snudava la propria bacchetta.
Era un non-detto abbastanza evidente in tutta la scuola: non sfidare apertamente Sirius Black.
Ma Severus voleva riavere Lily. E quel gruppo di ciarlatani gliel'aveva messa contro.
Così Severus s'era ritrovato a guardare Sirius negli occhi. E a non abbassare più lo sguardo.
E aveva avvertito il peso di quello sguardo, la potenza intrappolata in fondo a quelle iridi, la follia di quegli occhi troppo chiari. Ne era stato risucchiato, avvolto, soppesato e…
E non era stato risputato fuori come un boccone sgradevole.
Era rimasto lì.
Una sfida, anno dopo anno, a chi fosse il predatore e chi la preda. A chi nascondesse il dolore più grande. A chi fosse uscito dal proprio inferno con più potere.
Sirius non era uno Slytherin non perché non avesse ambizioni o non fosse astuto quanto piuttosto perché aveva già ottenuto tutto ciò che voleva: dare uno schiaffo alla sua Famiglia, ottenere il potere magico necessario alla propria indipendenza.
Ora, a testa alta, stava dimostrando al mondo il coraggio che aveva di andare fino in fondo a ciò che la propria ambizione gli avrebbe portato.
E Severus si ripromise che non gli sarebbe mai stato secondo, per nessun motivo. Si ripromise che avrebbe smascherato il gioco di Black, avrebbe dimostrato a Lily come quei suoi compagni di casa non fossero migliori dei propri. E lo avrebbe fatto sfidando Black, fino a farlo crollare.
Pessima idea.
Perché avvicinarsi a Black era pericoloso.
E ora Sirius Black era seduto al capotavola di una cucina disastrata in una Dimora troppo a lungo abbandonata a se stessa.
Ora Sirius Black era immobile, silenzioso e notturno e più pericoloso di quanto non fosse mai stato. Dumbledore lo voleva tenere a presiedere la nuova sede dell'Ordine della Fenice e Severus si stava chiedendo quanto - effettivamente - il vecchio preside si fidasse del suo ex-studente. Da una parte condivideva la scelta del preside, per più di una ragione - non ultima il fatto che in questo modo Black fosse nuovamente imprigionato. Dall'altra, Black era potente, era affamato, ed era spietato nel proprio attaccamento al giovane Potter e non averlo a disposizione era la più stupida delle prese di posizione alla vigilia di una nuova guerra.
Perché nessuno può permettersi di ignorare Sirius Black e sperare di passarla franca.
Pessima idea.
Nuovamente si sentì quegli occhi addosso. E, ancora una volta si ritrovò ad essere il solo a poter reggere il peso dello sguardo dell'altro. L'unico a non averlo tradito.
Ironico. Se non fosse così dannatamente tragico.
Sirius
Io so' de legno
E sembro muto e sordo
Ma le tue parole, sta' tranquillo che
Me le ricordo
E qualche volta me le segno
Ogni tanto, solo tra quelle vecchie mura, Sirius si sentiva perso. Quando in quel silenzio assordante tornava a udire conversazioni ormai dimenticate, Sirius si perdeva.
E il suo corpo diventava materia, era pietra e malta, acciaio e legno. Era quelle fondamenta ancestrali e quel maledetto tavolo nella bistrattata cucina. Era quella casa, intrisa di ricordi difficili da ignorare, echeggiante di voci strappate troppo presto alla vita, chi in un modo e chi in un altro. La vista e l'udito si perdevano mentre il corpo risuonava di ogni scricchiolio, di ogni illusione.
Dodici anni dentro Azkaban fanno male. Estirpano in modo spietato la parte di te stesso più profonda, anche quando sei tanto fortunato da non perdere il senno.
Il ronzio della riunione lo aveva avvolto, gettando la sua mente in un vortice di passato e presente. Chiuse per un momento gli occhi per eliminare quella sensazione, ma ora le voci non erano altro che quello: voci. Ma nella sua testa Arthur Weasley non aveva rughe attorno agli occhi, Remus ancora tutti i capelli di grano e James…
James.
James…?
"Black, ti stiamo per caso annoiando?"
La voce di Snape graffiò sui bordi della propria coscienza. Sirius strizzò gli occhi mentre precipitava contro la realtà a una velocità troppo elevata per non fare male. Il cuore in petto parve rincorrere quella caduta e un brivido gli attraversò le membra prima che riuscisse a sopprimerlo.
"Mi stavo giusto chiedendo se voi tutti aveste voglia di raggiungere un punto, o se avessi dovuto chiedere a Kreacher di preparare la cena per tutti. Per lo meno la cosa si sarebbe fatta interessante." riuscì a mantenere la voce salda e il tono annoiato, nonostante tutto.
Merito di sua madre prima e di Azkaban dopo, ovviamente: chi altri avrebbe potuto traumatizzarlo abbastanza da impedirgli di funzionare normalmente persino tra chi dovrebbe essere dalla sua stessa parte.
E se anche la sua pelle fosse ora più pallida, se tutti i suoi muscoli si fossero irrigiditi come sotto minaccia e se la sola parte morbida del proprio corpo fosse proprio quella stretta attorno alla propria bacchetta, pronta per un attacco… beh, nessuno se ne sarebbe comunque accorto.
Non c'era più chi se ne sarebbe potuto accorgere.
Aspettò ancora un istante prima di aprire gli occhi. Sapeva dove fosse Snivellus ma non era ancora abbastanza saldo per continuare la loro danza di sguardi. Quindi lo lasciò pigramente vagare sui suoi ospiti, inarcando un sopracciglio a quella manica di benpensanti, accogliendo come un onorificenza ogni loro espressione contrariata.
"Non siamo qui per farti un piacere, Black."
Dietro le labbra, Sirius serrò i denti. Severus Snape.
"Non sono qui per farti un piacere, Black."
Aveva pronunciato quelle medesime parole la prima volta che era riuscito ad assaggiarlo.
Così inappropriate da risentire ora, a Grimmauld Place, e proprio per questo così giuste.
Si fece scorrere una mano tra i capelli, spostando le onde nere da un lato all'altro. Un movimento ripetuto identico a se stesso per così tanto tempo ma che ora che i propri capelli erano così lunghi prendeva tutta un'altra drammaticità.
"Ovviamente." quelle pozze nere avevano sbarrato le porte nel tentativo di non dargli altro terreno, ma Sirius non aveva bisogno di affondare oltre. "Dopotutto siete qui per avere qualcosa da me o per il vostro personale piacere."
Le stesse parole di allora. Ma probabilmente Snape se le era da tempo dimenticate.
Severus
Io so' de coccio
Quello che dico faccio
Io so' uno che, comunque vada
Le promesse le mantiene
Che poi nemmeno me conviene
Molto
Merda.
Severus e si ricordava quelle parole e nonostante fossero passati anni il loro peso gravava ancora sulle sue spalle.
Era stata un'idea di Lily. E di quel caprone di un Potter. Un vago tentativo di farli andare d'accordo dopo anni di intensa rivalità. Non che con Potter le cose andassero meglio, ovviamente, ma lui aveva Lily da impressionare con la propria magnanimità, Black era il solito cane rabbioso.
"Non sono qui per farti un piacere, Black."
Quando Severus aveva raggiunto Sirius in quell'aula abbandonata l'aveva trovato sdraiato su una sedia in bilico sui sostegni posteriori, mentre con una gamba si puntellava al banco e l'altra stava distesa davanti a lui. Una sigaretta a fumare tra le sue labbra e lo sguardo annoiato a leggere i passi di un libro preso in prestito dalla Biblioteca.
Merda.
Anche a distanza di anni quell'immagine, quei capelli tagliati di fresco e la divisa su misura portata con quella disattenzione di chi si è costruito un personaggio su tali piccoli dettagli gli faceva ribollire il sangue. E oggi, come allora, aveva fatto una promessa di essere perlomeno civile con l'altro. E come allora Black non gli rendeva la vita facile.
"Ovviamente." Black aveva sganciato la gamba dal tavolo e con un tonfo la sedia era tornata stabilmente a terra. Nel frattempo il libro era stato appoggiato sul banco e le dita diafane si erano distrattamente posate sulla copertina.
Severus si era ripromesso di dimostrare a Lily quanto i suoi compagni di Casa fossero pericolosi e questo, alla vigilia della fine del suo quinto anno, l'aveva portato a notare un particolare più di ogni altro. Ed era ciò che avrebbe estorto a Black quel pomeriggio.
"Dopotutto sei qui per avere qualcosa da me." Black si era alzato, aveva accorciato di qualche passo la distanza chi li separava per poi far scivolare una mano tra i capelli, orientando le onde nell'altra direzione, in modo che gli offuscassero un poco il viso.
Merda.
Ora più che mai, qualcuno avrebbe dovuto impedire a Black di usare i propri capelli come un'arma. Per affascinare o intimidire non aveva importanza: il punto era destabilizzare l'altro. E durante questa maledetta riunione a Grimmauld Place tutti i presenti si erano trovati a fissare cosa quelle onde scure facevano al volto di Sirius Black. Persino i primi accenni di argento in quella chioma erano qualcosa di seducente in uno come Black. Quanto inadeguato riuscissero a farti sentire quei capelli, quegli occhi, quella pelle d'alabastro ora ricoperta di tatuaggi, quel ghigno leggero sulle sue labbra.
Un brivido aveva colto i membri dell'Ordine e Severus dovette stringere i denti per non maledirli tutti. Black aveva ragione: lì tutti volevano qualcosa da lui. A cominciare da Remus che rivoleva l'amico di un tempo e non la reliquia che era scappata da Azkaban, per finire con Dumbledore che probabilmente avrebbe preferito non dover aver a che fare con Black e con tutto ciò che la sua innocenza comportava.
Il suo sguardo di ghiaccio aveva nuovamente provato a scavare sentieri tortuosi nel proprio ma si era infranto contro il proprio schermo occlumante.
"O forse è per il tuo piacere personale?"
Merda.
Tirare fuori le parole dalle labbra di Black era ancora più difficile di quanto non fosse stato ai tempi della scuola. E ogni volta che Sirius Black parlava, una parte dell'universo di cui faceva parte Severus si riallineava.
Severus era assolutamente convinto che Black fosse un Legilimens, probabilmente il migliore del suo tempo, perché nessuno poteva essere in grado di prevedere così bene come gli altri avrebbero reagito ad ogni stimolo, nessuno poteva prevedere tanto lontano da decidere se abbottonare o meno quel determinato bottone, se fosse meglio esser seduti diritti o se comportarsi come se si fosse ancora nelle proprie stanze con appena la giacca da camera a coprirlo.
Poi c'era stato Peter Pettigrew, e Severus stava ancora cercando di capire come quel topo li avesse fregati tutti.
Sirius
Perché so' un muro
E pure se t'ascolto fondamentalmente
So' sicuro
Che la tua vita è appesa a un filo
E io c'ho le forbici
Peccato.
Tanti anni prima quella conversazione aveva portato ad un esito molto più interessante. Severus Snape era capitolato, si era avventato sulle labbra di Sirius come un pellegrino assetato che raggiunge il suo tempio.
Ora, invece, erano tutti lì ad arrovellarsi su un qualcosa di assolutamente inutile, come proteggere una Profezia.
Sirius si adagiò sullo schienale, sollevando da terra le gambe anteriori della sedia, una mano a tamburellare sul vecchio piano di legno del tavolo della propria cucina.
"Tutta questa discussione è ridicola." Prese la parola, facendo scorrere nuovamente lo sguardo sui presenti. "Harry ha il diritto di scegliere se sapere o meno cosa sia contenuto in quella Profezia."
Molly Weasley, come sempre, gli lanciò un'occhiata di disprezzo, ma c'era da aspettarselo: quella donna non l'aveva mai avuto in simpatia, e ora era convinta che Sirius non facesse altro che confondere Harry con James e non faceva che ripetere di come Harry fosse soltanto un ragazzino.
Sirius digrignò i denti. Come se chiunque, sano di mente o meno, potesse confondere un ragazzino con il proprio migliore amico. E faceva un male atroce, ogni volta che Harry si comportava come un estraneo, perché purtroppo era esattamente quello. Non aveva il modo di rispondere di Lily, né l'ironia spietata di James, non aveva quella pacata razionalità di Remus nel rigirarti un discorso né la stessa passione per tutto ciò che fosse nuovo di Sirius. O la rapidità di pensiero di… NO.
Respiro.
Piuttosto ogni tanto mostrava lati più simili a quelli di Snape con le sue frecciatine pungenti.
Harry non somigliava in nulla a James.
"Non per mia volontà," ricominciò, come se nessuno lo avesse interrotto, "non sono stato presente per i primi anni di scuola di Harry, ma non mi sembra che il mio figlioccio sia mai stato completamente al sicuro."
Tutti gli adulti nella vita di Harry iniziarono a parlare contemporaneamente giustificando le proprie azioni, ricordandogli come fosse stato impossibile per loro immaginare che Voldemort fosse ancora vivo.
Peccato.
Peccato che Dumbledore lo sapesse. E Sirius glielo fece notare.
E osservò con malcelata soddisfazione come tutti iniziarono a prendere le difese del Preside.
Persino Snape.
Che provò a riportare il discorso sulla Profezia.
Che spreco.
In quel momento Sirius si umettò il labbro inferiore, gli occhi a seguire i movimenti della bocca di Snape, a ricordarne il sapore. Con un ghigno soddisfatto osservò il decorosissimo professore di Pozioni della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts perdere per un istante il filo del discorso.
Chissà se si era fatto il biglietto da visita con quel ruolo tanto altisonante.
Quanto avrebbe voluto uccidere Snape una volta per tutte.
Ma il ragnetto piagnucoloso era più coriaceo di quanto non ci si potesse aspettare e, in qualche modo, era ancora vivo.
Peccato.
Nonostante fosse stato Snape, quella volta, ad avventarsi su di lui, era poi stato Sirius a prendere le redini di quella corsa, a pilotare quel reciproco tentativo di cannibalizzare la bocca dell'altro e Severus si era piegato a ogni suo desiderio, come se fossero i propri.
"Facciamo un gioco," gli aveva proposto Sirius leccandogli le labbra, "tu fai il bravo bambino e fai ciò che ti ordino, e tu puoi farmi una domanda. Una domanda per ogni volta che ti pieghi al mio volere."
E lo stronzo aveva accettato.
E Sirius sapeva, sapeva benissimo cosa avrebbe chiesto quello stronzo. Sapeva che tra le dita non aveva solo le testa dell'altro, ora in ginocchio davanti a lui. Sapeva cosa avrebbero chiesto quelle labbra, una volta abbandonato il proprio membro. Sapeva quanto potesse essere pericoloso quel gioco che l'altro non sapeva di star giocando.
Ma mentre la lingua di Snape rendeva turgido il proprio membro, mentre quelle labbra si chiudevano attorno la cappella e le guance s'infossavano in una suzione generosa, mentre quella punta andava poi a colpire il fondo della sua gola facendolo tossire, Sirius sapeva che aveva la vita di Severus Snape tra le proprie dita e che stava per recidere quel filo.
Peccato.
Che le cose non erano andate come aveva inizialmente sperato.
Ora, quello che un tempo era un ragazzino emaciato si era trasformato in un uomo altrettanto scheletrico e dall'aria altrettanto unticcia eppure… eppure il desiderio di vederlo capitolare stava sempre lì.
Solo che ora stavano dalla stessa parte.
O almeno così Dumbledore si ostinava ad assicurare.
Peccato.
Severus
Però
Se ancora un po' mi piaci
La colpa e dei tuoi baci
Che mi hanno preso l'anima
De li mortacci tua
Sirius si leccò un labbro.
Severus perse un respiro.
Poi tornò a discutere di come mantenere al sicuro la Profezia nel Dipartimento dei Misteri del Ministero della Magia. Ciò che tutti sembravano in quel momento non capire, Signore Oscuro in primis, era come fosse impossibile per ognuno di loro ascoltare direttamente la profezia e come solo il Signore Oscuro in persona potesse appropriarsene.
E così passarono un'altra mezz'ora a parlare di come fare in modo che nessuno trovasse il modo di trafugare la Profezia.
Senza guardare verso Sirius Black, che era tornato a osservarli discutere come un padrone pietoso che guarda i suoi sudditi azzuffarsi per un pezzo di pane. Doveva farsi passare l'ossessione morbosa per Black. Non era salutare, come non lo era stata quella per Lily. Anzi, probabilmente era anche peggio.
Ma se chiudeva gli occhi riusciva ancora a ricordare l'esatta tonalità di rosso dei suoi capelli, così diversa da quella degli Weasley che affollavano la stanza in quel momento, o come quegli stessi capelli brillassero d'oro quando colpiti dal Sole.
Severus non era qualcuno da poter amare alla luce del sole.
Non c'era riuscito con Lily, persino la loro amicizia aveva retto la luce del Sole.
Ora, forse, poteva ammettere per lo meno a se stesso che quegli ottusi grulli dei suoi amici non fossero il solo problema e che le amicizie che Severus si era scelto nella propria Casa fossero un ostacolo forse ancor più insormontabile dei cosiddetti Malandrini.
E se si leccava le labbra sentiva ancora il sapore della pelle di Sirius, l'impronta del suo corpo addosso al proprio.
Sentiva come se la propria essenza non gli appartenesse più, che tutti gli anni passati da solo fossero appartenuti a Black, come se quei baci di convenienza, di ricatto emotivo avessero un significato diversi, più profondo e atavico.
La voce di Dumbledore lo riscosse. "Sirius, dovremmo mettere Grimmauld Place sotto incanto Fidelius."
"Ovviamente. Dopotutto l'ultima volta ha funzionato così bene."
Innaturale, laconico, spietato.
Un brivido percorse la schiena dei presenti.
Black era uno stronzo. Era visibile sullo sguardo di tutti i presenti che avevano amato Lily Evans e James Potter.
Remus aveva un'espressione devastata sul viso.
Ma Black non lo aveva degnato di uno sguardo, gli occhi fissi su quelli di Dumbledore. Severus non avrebbe mai pensato di vedere il vecchio preside battere in ritirata, piegare la fronte davanti a qualcuno, ammettere sconfitta. Eppure eccolo lì, senza la condiscendenza che lo contraddistingueva, ammettere che questa volta avrebbero fatto maggiore attenzione, che si proponeva lui stesso di essere il Custode.
Le sopracciglia di Black salirono fino all'attaccatura dei capelli.
Black non si fidava. Non di un Preside che aveva salvato un Mangiamorte e condannato un innocente senza processo, senza prove se non circostanziali.
E, qualcosa dentro Severus si ruppe.
Perché Sirius aveva ragione: non c'era motivo, alcuno, perché dovesse fidarsi di chiunque lì dentro.
Sirius
Io so' De Chirico
Dico in un senso simbolico
C'ho un controllo diabolico
Quasi artistico
Del mio stato psicofisico
E se hai capito, mo' traducilo
Sirius si alzò dal proprio posto.
"Se volete sprecare il vostro tempo non sarò certo io a mettermi in mezzo."
Mosse appena un paio di dita e la vecchia bacchetta di Orion Black, che era rimasta nel suo studio dal 1979, tornò a volare tra le sue mani. "Io al momento ho bisogno di piegare questa piantagrane al mio volere."
Fece il semplice movimento per riposizionare i bicchieri nel lavello ma essi esplosero, insieme ai vetri del grosso lampadario che pendeva sopra il tavolo, rendendo la cucina praticamente inutilizzabile, oltre che pericolosa. Dover rimuovere i vetri era una di quelle mansioni che bisognava ripetere più e più volte, perché i piccoli frammenti avevano la brutta abitudine di arrivare ovunque. E anche i suoi ospiti sarebbero dovuti rimanere in quella cucina finché non fossero stati certi di non aver più pezzi di vetro nascosti addosso. "Scusatemi, credevo di aver risolto almeno questo incantesimo."
Poi i suoi occhi si posarono su Dumbledore e Snape. "Farò in modo che un incidente simile non si ripeta più, sarebbe un problema se succedesse quando i Weasley si trasferiranno qui in estate."
Se avesse potuto inserire maggior fiele in quelle parole lo avrebbe fatto, ma in pochi avrebbero apprezzato.
Con la medesima bacchetta recuperò un kit dallo scaffale più alto della dispensa e lasciò la cucina allo stato in cui l'aveva ridotta.
Non rispose a chi gli domandava di rimanere a pulire il disastro né al tentativo di Dumbledore di mediare tra Sirius e gli altri. Né si lasciò impietosire dallo sguardo di Remus che aveva capito tutto, come era logico che fosse.
Si diresse invece verso la biblioteca.
La bacchetta di suo padre non era esteticamente poi così tanto diversa da quella che era stata di Sirius, ma cambiava in alcuni aspetti fondamentali:La bacchetta paterna era quella del Capofamiglia, fatta con i legni di tutte le bacchette degli eredi prima di assumere il titolo e di una piuma di fenice, segno di rinascita. Ma la bacchetta di Sirius non si era mai fusa a quelle degli altri Capofamiglia, per questo ora Sirius stava vicino a un calderone ribollente di cera e, con un panno, stava lucidando ogni intaglio della lunghezza della bacchetta, ogni cerchio concentrico e ogni punto, e le due spirali che scendevano dal manico alla punta. In questo modo l'anima della bacchetta sarebbe tornata ad esser sigillata all'interno della bacchetta stessa.
Si fece rigirare la bacchetta tra le dita, saggiandone il peso e la flessibilità. Troppo rigida e troppo pesante per i suoi gusti, ma aveva un buon bilanciamento e, nonostante la lunghezza, era abbastanza maneggiabile.
Fece svolazzare un paio di incantesimi nella stanza e, in quel momento, Remus, Snape e Dumbledore invasero il proprio spazio.
Sirius, a differenza di suo fratello, odiava la solitudine ma, dopo Azkaban, troppo spesso si sentiva sommerso quando stava per troppo tempo attorno agli altri. E diventava sgradevole, o almeno questo era stato il commento ammuffito di uno dei suoi avi, prima che il dipinto non fosse ricollocato in soffitta.
"Sembra che la bacchetta sia nuovamente funzionante."
Sirius impugnò la bacchetta di sinistra e la sedia che richiamò a sé per far sedere il preside perse una gamba nel tragitto.
"Direi che può esser migliorata."
Avrebbe potuto evitare i malfunzionamenti? Certo che sì. Quando era perfettamente concentrato la bacchetta funzionava. Ma una bacchetta deve funzionare anche quando si è distratti, o non è la bacchetta adatta a te.
Prese lo scalpello e si ferì un dito, facendo colare il sangue dentro una piccola tazzina.
"A questa bacchetta serve una parte di me per funzionare correttamente."
Poi intinse i propri strumenti nel sangue appena colato e iniziò a intagliare il manico.
Conosceva quelle rune.
Erano le stesse che si era tatuato addosso con un ago di fortuna e la fuliggine dei bracieri.
"Non capisco il perché della vostra presenza qui. Ciò che potevate volere da me l'avete già avuto. La sede per il Vostro Ordine, la vendetta per le azioni di quando non eravamo che bambini, la mia innocenza."
"Mio ragazzo, permettimi di chiamarti Ollivander per aiutare…"
Gli occhi di Sirius inchiodarono il preside.
"Perché avvisare altre persone della mia presenza è una così buona idea." il preside abbassò la testa e Sirius vide gli altri due uomini scambiarsi uno sguardo.
Conosceva quello sguardo.
"Vi pregherei di andarvene, come potete notare tutti quanti, sto cercando di non ritrovarmi disarmato."
Severus
E so' tenace
Perché alla gente piace
Ma è evidente che con un coltello
Mi puoi fa' cambia' opinione
Aho, so' tenace
Ma mica so' cojone
Quelle labbra, mentre i vetri della cucina esplodevano. Quelle labbra dicevano che sapeva perfettamente cosa stesse facendo, che la bacchetta aveva funzionato male esattamente come Black aveva voluto. Non un frammento di vetro in meno, non uno in più.
Severus si era scrollato di dosso i suoi e aveva osservato gli altri.
Dumbledore aveva uno sguardo cupo, quello di Remus era perso, quasi disperato, quello della Signora Weasley esasperato, gli altri si stavano chiedendo più o meno a voce alta, se fosse davvero necessario utilizzare quel posto abbandonato come quartier generale dell'Ordine della Fenice. Qualcuno si azzardò persino a proporre di chiedere a Harry Potter di riutilizzare il maniero dei suoi nonni, quello che suo padre aveva concesso all'Ordine quando i suoi genitori erano morti. C'erano talmente tanti motivi per cui quella richiesta fosse ridicola che, fortunatamente, nessuno la prese in considerazione. Però era stata fatta, tanta era la repulsione per quei luoghi e tanta la vergogna per ciò che era stato fatto al proprietario di casa. E ciò che gli stavano ancora facendo.
Fortunatamente, quello non era un sentimento che Severus doveva provare: dopo che Lupin era diventato professore, lui e il pozionista avevano parlato e il peso della colpa che il licantropo si portava dietro Severus l'aveva solo adesso iniziato a provare. Per ciò che aveva fatto a Lupin, per aver permesso che il suo segreto venisse rivelato.
Prima di quello, solo un'altra volta Severus si era sentito in colpa: quando era morta Lily.
Per questo aveva seguito il preside e Lupin sulla tracce di Black.
E come volevasi dimostrare, lo avevano trovato a eseguire magie estremamente complicate con la medesima bacchetta che aveva professato non funzionare.
E, tanto per render chiaro il suo pensiero, Black ruppe la sedia che stava spostando per Dumbledore.
Dannazione se Black era bello.
Anche nel fare una cosa così poco da lui, come riparare la propria bacchetta.
Ma poi le parole dell'altro lo gelarono.
Sirius Black sapeva che il motivo principale per cui Severus fosse lì era per gongolare nel vederlo nuovamente, ingiustamente, in gabbia. Severus odiava gli specchi: odiava il riflesso che vi vedeva impresso sopra, le brutture del suo animo e quelle del suo corpo. E vide la condanna, negli occhi di Black piantati in quelli del Preside. Vide quanto lontana fosse la redenzione di tutti loro agli occhi dell'altro.
Dodici anni ad Azkaban.
Dodici anni di abusi in una minuscola cella a invecchiare anzitempo.
E per quanto potesse aver detto a Remus che ogni cosa era stata perdonata, Severus sapeva, per istinto, quanto questo fosse irreale.
E il risentimento di un Black non è qualcosa da prendere sottogamba.
Per questo quando il padrone di quella casa gli intimò di andarsene, Severus non se lo fece ripetere due volte. Una delle poche verità su cui babbani e maghi fossero d'accordo era quella di non svegliare un animale pericoloso dal suo sonno.
E Severus non aveva intenzione di essere il primo.
Ma apparentemente Remus Lupin non era del suo stesso avviso.
Gli lanciò un'occhiata preoccupata, quasi perdendosi la reazione infinitesima passata dietro le iridi di Black. Che non riuscì a comprendere.
Ma finalmente fuori da quelle stanze, con Dumbledore che aggiornava la seduta dell'Ordine alla prossima settimana, Severus si ritrovò a poter respirare nuovamente.
Sirius
Io so' de marmo
Ma tu m'hai sbriciolato
Perché so' testardo fino al punto
Che so' sempre innamorato
Pure se tu m'hai già scordato
(E infatti l'hanno vista ins-)
M'hanno informato
"Sono sicuro tu abbia di meglio da fare che vedere me intagliare il manico della bacchetta di mio padre."
Remus si morse brevemente il labbro.
"Perché ce l'hai con Dumbledore? E cos'era quella sceneggiata in cucina? Lo sai che è ancora difficile per gli altri accettare…"
"Accettare cosa? Che io sia innocente?"
Remus avrebbe preferito le urla. Glielo si leggeva in faccia. Invece si era beccato il sarcasmo: quello cattivo e viscido più comune in Regulus che non in suo fratello maggiore. Ma Sirius buttò la testa indietro e rise, fino a quasi farsi venire le lacrime.
Perché tutta quella situazione era assurda, così come era stato assurdo esser traditi di Peter. Esser battuti da Peter al suo stesso gioco.
Sirius aveva perso. Quando non era riuscito a capire che il traditore era Peter, quando Remus si era allontanato da lui, troppo infognato nei suoi problemi pelosi. Quando James era morto e la sola cosa che Sirius era riuscito a fare era stato consegnare il piccolo Harry alle mani di un gigante manovrato da un inetto che aveva condannato il suo figlioccio ad un'infanzia di abusi. Sirius aveva perso quando quello stesso barbagianni aveva testimoniato, anima e cuore, che Severus Snape fosse innocente e non aveva mosso un singolo dito per dimostrare al mondo che la giustizia, nel mondo magico, è la stessa per tutti.
Ma che senso aveva?
Sirius aveva perso.
Aveva perso nel momento in cui aveva visto gli sguardi complici passare tra Severus e Remus. Eppure era stato sicuro che dopo la bastardata che Snape gli aveva tirato alla fine del suo anno da professore, Remus avesse perso ogni possibile fascinazione per l'altro.
"Remus, vai a casa." Vai da lui , avrebbe voluto dirgli. "Sono sicuro che troverai qualcuno migliore di me con cui passare la tua serata."
Faceva male. Vedere l'unico amico che gli era rimasto entrare in rotta di collisione con colui che era stato la sua ossessione.
Colui di cui si era innamorato.
Faceva male ammetterlo, dopo tutto questo tempo.
Tornò a inzuppare gli strumenti nel proprio sangue per completare la bacchetta. Solo una cosa gli era ormai rimasta da fare: proteggere Harry.
E assicurarsi che Remus e Severus sopravvivessero per esser felici.
Dopotutto non aveva ancora perso.
Sorrise all'altro. In quel modo che faceva quando erano ragazzi, quello che significava che lui ci sarebbe stato, per lui, per loro. Non gli dovevano nulla, ci sarebbe stato perché quello era il solo posto dove voleva trovarsi.
Severus
Però
Se ancora un po' mi piaci
La colpa è dei tuoi baci
Che mi hanno preso l'anima
De li mortacci tua
Si passò la mano tra i capelli e la strinse all'altezza della nuca, tirando un poco.
Non era la stessa sensazione ma gli si avvicinava abbastanza. Dannato Black. Dannato lui e tutte le maledette sensazioni che era ancora in grado di fargli provare.
Puntellò i gomiti sulla propria scrivania e posò la fronte sulle proprie mani.
Era rientrato a Hogwarts con il Preside e ancora non riusciva a credere che quella giornata fosse finalmente finita. Voldemort era tornato, ma nemmeno gli incontri con lui erano tanto estenuanti come esser faccia a faccia con Sirius Black.
Tutti parlavano del coraggio dei Potter e dei Longbottom, di tutte quelle volte che si erano trovati faccia a faccia con il Signore Oscuro e ne erano usciti vincitori.
Nessuno sembrava ricordare che ogni singola volta, dietro ognuno di loro, c'era Black a combattere anima e sangue per assicurarsi che rientrassero a casa vivi. Nessuno di loro pareva ricordarsi del numero esorbitante di tiratori scelti che era servito per far arrendere Black quando Pettigrew aveva finto la sua morte. O di come probabilmente solo lo stato di delirio in cui Black si trovava aveva permesso loro di catturarlo.
Le fiamme del camino del proprio ufficio si tinsero di verde e Remus Lupin ne uscì, una bottiglia in una mano.
"Credo ne abbiamo bisogno entrambi."
Severus congiurò un paio di bicchieri puliti. "Cos'è successo dopo che sono andato via?"
Remus si mise seduto e aprì la bottiglia con un colpo di bacchetta. Poi riempì i due bicchieri in un evidente tentativo di prolungare la dovuta risposta. "Credo…" iniziò, per poi fermarsi.
Severus odorò il vino elfico che l'altro aveva portato, poi innalzò un sopracciglio "Cosa, Lupin."
"Credo che Sirius abbia deciso di farla finita."
NO.
Severus prese una profonda sorsata di liquido ambrato e deglutì a forza. "Cosa intendi." Non una domanda, ma l'ordine di spiegarsi.
"Ha quell'aria… quella di chi ha preso una decisione. E… mi ha sorriso, come faceva un tempo, dicendomi di andare a casa, fondamentalmente di farmi una vita lontano da lui." la voce di Lupin tremava leggermente. "Non credo che sia… a breve. Ma… ma non credo che progetti di uscire vivo dalla guerra che sta per arrivare. Ed è… un pessimo stato mentale da avere quando si entra in guerra."
Severus rimase fermo ad ascoltare.
Poi buttò giù il rimanente contenuto nel suo bicchiere.
E Remus sorrise. Sirius, forse, era salvo. Se Severus non l'avesse ucciso prima.
"Ma li mortacci sua…"