
“Era in un giardino
quando cominciò a correre
con delle zampe che non sentiva sue;
ed era in un giardino
quando il suo cuore
non corse più.”
31 ottobre 1981, Riddle Mansion
Era la notte di Halloween più silenziosa che Remus avesse mai assaporato, nonostante la luna piena fosse in agguato per rendere quella serata una rispettabile notte degli orrori.
L’orrore più grande per Remus, nelle ore che si apprestava a vivere, non sarebbe stata la luna, per una volta nella sua breve vita.
I ciottoli su cui si infrangevano i suoi passi sembravano essere appena stati depositati sul terreno, ma Remus sapeva fossero lì da molti anni ormai.
La villa che interrompeva la vista del tramonto al di là della collina pareva sul punto di crollare, sembrava di starla guardando un attimo prima che la sua struttura cedesse per sempre. La ghiaia su cui Remus muoveva i suoi passi era l’unico sfrigolio nel silenzio, l’unica sensazione che gli diceva ch’era lì, che lo stava per fare davvero.
La risata di ghiaccio che non aveva mai sentito, ma che Peter aveva descritto bene, si sommò al rumore che producevano le suole pesanti di Remus, e la sua bacchetta fu subito tra le sue dita.
Era una sorpresa che non si aspettava Voldemort, di vedere un lupo mannaro vagare tranquillamente per la sua proprietà poche ore prima la luna piena, così come si assicurò di far sapere a Remus. Una sorpresa non gradita se avesse saputo le intenzioni con cui Remus si era recato lì.
Andò contro Peter e tutto quello che James e Lily gli avevano proibito di fare, e quando si ritrovò a scagliare un lampo di luce verde dalla sua bacchetta non provò rimorso.
Non puoi provare rimorso se tutto ciò che senti è dolore. Vuoi solo fare più male a chi ti ha ferito.
E Remus era ferito da capo a piedi alla fine di quello scontro. Erano ferite mortali, e lui sapeva riconoscerle. La sua esperienza con le ferite, suo malgrado, era molto vasta.
“Expecto Patronum”.
Il luogo più comodo in quel momento sembrava il muro di mattoni caldi di casa Riddle,
“Sirius, scusa. Ti giuro che non volevo finisse così.”
La spiegazione di cosa fosse successo lasciò senza fiato Remus in più punti, e lasciò annoiato il suo lupo iridescente accanto a lui, accucciato ad aspettare che il suo padrone finisse di parlare e lo lasciasse correre nell’imbrunire per portare le sue parole al loro destinatario.
“Harry ora è salvo. James e Lily lo sono, tu lo sei Sirius. Non seguire Peter, non lo troverai, si starà nascondendo e non voglio che tu lo vada a cercare, perché non saresti te stesso Pads. Trova me, ti prego. Trova me prima che questo sia l’ultimo addio che possa darti. Trova me prima che sorga la luna e portami via da qui. Voglio stare solo con te e nessun altro, non voglio nessun altro ora. Sto pensando solo a te, se questo sarà il mio ultimo pensiero sappi che è per te, come lo sono stati tutti i pensieri che ho avuto da quando ho compiuto undici anni. Sei stato la mia stella fissa nel cielo, ho cercato solo te per ogni notte per dieci anni. Ti amo. Ti amo così tanto. Trovami prima che l’ultimo modo che abbia per vederti sia guardare nel cielo.”
Con il respiro corto, Remus inviò il suo patronus.
E appena il soggiorno dell’appartamento di Sirius e Remus lo accolse, Sirius capì che qualcosa non andava. Che Remus era in pericolo.
Ma immaginare che la persona che ha l’altra metà della tua anima stia male e sapere per certo che sia sul filo del rasoio tra la vita e la morte è tutta un’altra storia. Forse con Remus doveva esserci abituato, a vedere sempre il modo più tragico in cui le cose sarebbero potute andare, ma non era mai pronto. E, di certo, non era pronto a questo. Non era pronto al gesto eroico di Remus che ora lo stava per lasciare da solo. Lo aveva chiamato la sua stella, ma la sua luna stava per lasciarlo a brillare nel cielo da solo, a splendere molto di meno. Sirius non poteva, non poteva immaginare, non poteva provare, non voleva sentire. Perché se avesse sentito sarebbe morto con lui.
Le sue mani si insanguinarono presto quando prese lo specchio gemello di James tra le mani e chiamò il suo nome tra le lacrime e i singhiozzi. Era Remus. Il suo Remus. Moony. Dovevano andare e dovevano fare presto.
La luna della sua stella. L’unica magia che conosceva si stava spegnendo.
James si era reso ben presto conto che gli incantesimi protettivi intorno alla sua casa di Godic’s Hollow fossero caduti, che qualcosa si fosse rotto. E poi Sirius aveva chiamato e James avrebbe voluto scappare per la prima volta nella sua vita. Avrebbe considerato la sua carriera da grifondoro conclusa con estremo piacere seduta stante. Lily aveva ascoltato e gli aveva dato la forza, gli aveva ricordato chi fossero Remus e Sirius. Chi fosse lui. E James era uscito di casa e lo avevano trovato.
Remus non era lui. Non era lui ch’era ricoperto di sangue di ferite magiche, non era lui ch’aveva gli occhi chiusi. Non era lui che sembrava non volerli aprire.
Sirius lo aveva pregato. Si era inginocchiato di fianco a lui e lo aveva preso tra le braccia, e aveva iniziato ad insultarlo e a ridere mentre lo faceva e a dirgli che doveva svegliarsi, che non ce la poteva fare senza di lui.
Glielo aveva ripetuto talmente tante volte che James l’aveva risentito nella testa per tutta la settimana dopo.
“Svegliati svegliati svegliati”
Ma Remus non si era svegliato.
“Apri gli occhi Moony”
Ma Remus non li aveva aperti.
“Sei un bastardo se non mi guardi subito e mi dici che stai bene”
E Remus era stato un bastardo, ma non l’aveva guardato. E non gli aveva detto che stava bene.
“Non voglio che sia troppo tardi. Non farmi essere arrivato tardi, lo sai che sono sempre puntuale Moons, dai. Non farmi fare brutta figura, c’è anche Prongs qui con me. Guarda che brutta figura mi stai facendo fare”
Sirius era arrivato in ritardo per la prima volta nella sua vita. E aveva fatto una figuraccia.
James sentiva la voce di Sirius nella sua testa come se potesse cullarlo in un sogno migliore ma lo teneva solo sveglio per tutta la notte.
Remus non era tornato e l’aver amato Sirius era stato il suo ultimo pensiero. A Sirius piaceva pensare che si fosse addormentato con la testa sul loro cuscino e che avesse iniziato a sognare una realtà talmente bella da non volerla abbandonare.
Solo questo lo aveva fatto svegliare nelle mattine dopo, quelle poche volte ch’era riuscito a prendere sonno.
Il suo ventiduesimo compleanno era passato come se non fosse mai avvenuto. James e Lily lo avevano solo abbracciato un po’ più forte, poco di più di quanto avessero iniziato a fare ogni giorno.
Ma Sirius non sentiva nulla: né dentro di sé, né al di fuori. Eppure ci avevano provato a fargli sentire qualcosa per tanto tempo. Lui stava solo assaporando una vita che non sentiva più sua, una vita che avrebbe avuto altri mille motivi per essere vissuta ma semplicemente non sembrava più degna della sua attenzione. Sirius voleva davvero farcela, per James e per Lily e per Harry, persino per Grattastinchi che non riceveva le sue coccole da mesi. Ma la situazione lo stava inghiottendo. Lo stava facendo affondare, precipitare, lo stava uccidendo.
Il pensiero di rimanere senza Remus non era contemplato in nessuna prospettiva che avesse provato a immaginare. Era sempre lui che lasciava gli altri, era sempre lui che andava via. Non Remus, mai Remus. Forse era stato un pensiero estremamente egoista, forse aveva solo provato ad evitarsi il dolore di vivere senza le persone che amava. E ora quelle ipotesi erano crollate e si era trovato davanti a un problema del tutto inaspettato, del tutto nuovo e di fronte al quale rimaneva in piedi completamente impreparato.
Remus non c’era più. Il suo primo compleanno senza di lui era passato e anche la mattina di quel Natale, che di festivo aveva solo il nome. Sirius avrebbe voluto un solo regalo quel giorno, ma era pronto a non ottenere nulla.
I giorni senza Remus non potevano essere definiti tali. Non c’era più l’odore del caffè appena apriva gli occhi al mattino, mischiato con il tè che Remus si ostinava a bere; non c’era il profumo dei biscotti appena sfornati (e carbonizzati perché Sirius e la cucina non erano minimamente compatibili). Non c’era più il bagnoschiuma di Moony nella doccia, quello che cadeva sempre nel mezzo della notte e li faceva saltare nel letto dallo spavento. Non c’era il suo odore nel letto, non c’erano i suoi vestiti nell’armadio. Sirius aveva fatto sparire tutto, aveva cancellato ogni traccia dell’uomo che amava, perché se avesse trovato ancora suoi pezzi in giro avrebbe iniziato a lasciarci i suoi. Ma, ovviamente, svuotare la casa da Remus lo aveva fatto stare ancora peggio. Ignorava i sentimenti che provava, accantonava il dolore che sentiva. Nonostante i passi di Moony non riecheggiassero più per casa, Sirius lo sentiva in ogni sospiro, in ogni scalino che scricchiolava e in ogni piatto che veniva sbattuto nel lavello. Era come se Remus vivesse in ogni attività che era rimasta a Sirius da fare.
Ma quando finiva nel letto ogni sera non v’era attività che tenesse.
Sirius sarebbe dovuto morire prima, toccava a lui dire addio, tra i due. E ora, invece, la sua magia si era spenta. Ora Sirius non era nemmeno più un mago. Era un babbano con un pezzo di legno in mano, qualcuno che lì non ci voleva stare. Non avrebbe mai amato nessuno come aveva amato Remus, come lo amava ancora. Sapeva che non poteva andare avanti, in nessun ambito disponibile. Senza Remus non era nulla. Non era nulla senza i suoi polpastrelli che sapevano di fumo che si ostinava a baciare ogni volta che non stringevano una sigaretta, non era nulla senza i maglioni troppo grandi che continuava a sottrarre al proprietario. Non era nulla con la conoscenza del cibo preferito di Moony che non avrebbe più avuto senso ordinare in più, non era nulla con la consapevolezza che quella casa fosse piena di una magia che non poteva tenere in piedi da solo. Alla fine gli era sempre piaciuto pensare che le loro magie si completassero, che nessuno dei due potesse continuare ad esistere senza l’altro. Gliel’aveva confessato in una notte d’estate, mentre un vento fresco soffiava dalla finestra e i loro corpi erano aggrovigliati l’uno all’altro.
Gli aveva detto che da quando l’aveva conosciuto la sua magia era stata molto più efficace, ma Sirius tendeva a dimenticare che magari fosse dettato dal fatto che avesse imparato a maneggiare la magia lo stesso anno in cui aveva conosciuto Remus. Eppure lui non glielo aveva mai fatto pesare: gli aveva detto ch’era vero, che anche la sua era cambiata, che l’avevano plasmata entrambi dopo essersi conosciuti. Così era più bello, così era più loro. Perciò ora, improvvisamente, Sirius la sua magia non sapeva più usarla. E non voleva nemmeno farlo, convinto che fosse la stessa magia che non aveva avuto successo nel salvare Remus. Che senso avrebbe avuto sfruttare una magia che non funzionava? Aveva provato a tenere la bacchetta in mano, ma traballava troppo; aveva tentato di pronunciare un incantesimo, ma la voce gli tremava troppo.
Non riusciva ad abbandonare le mura di casa ma andare via era l’unica cosa che volesse fare.
James non era riuscito a fargli fare nulla, James non stava avendo più alcun potere su di lui.
Non era Natale senza Remus. Ormai lo passavano insieme da dieci anni e passarlo senza di lui semplicemente non sembrava giusto. Quindi Sirius decise di non passarlo, e di non passare nemmeno quelli a seguire.
Quello sarebbe stato il suo ultimo Natale, l’ultimo ricordo che voleva avere, nonostante non fosse con Moony. Ma il suo ultimo ricordo non avrebbe comunque potuto contenere Remus, perciò non aveva senso aspettare che potesse farlo.
Forse James meritava qualche scusa, qualche spiegazione. Sirius era però convinto che Prongs potesse capire fino in fondo cosa stava attraversando, tutto ciò che stava pensando e tutti i motivi che lo avrebbero giustificato. Decise comunque di lasciare un biglietto a lui e uno a Lily.
Chiedeva scusa ad entrambi per non star mantenendo la promessa di rimanere lì per Harry, scrivendo però ch’era convinto che entrambi lo avrebbero capito. Loro potevano immaginare che non ci sarebbe mai stato Sirius senza Remus, che non ci poteva essere. Eppure loro due dovevano stare bene, dovevano riuscire a lasciarlo andare come lui non era riuscito a fare con Remus. Forse si era dato troppo poco tempo, ma sapeva che nulla sarebbe cambiato. Lo sapevano tutti. Aveva ringraziato entrambi e aveva chiesto loro di dare sempre due baci in più a Harry ogni volta che lo avrebbero coccolato: uno da parte sua e uno da parte di Remus. Li pregò di fare i bravi, di non cacciarsi nei pasticci, ricordò loro che ora avevano una famiglia e che erano i due ragazzi più coraggiosi che avesse mai incontrato.
Avrebbe voluto stringerli un’ultima volta, dirli che gli voleva un bene dell’anima. Che senza di loro non ce l’avrebbe fatta per molto tempo, e che erano stati abbastanza. Che avevano fatto il possibile ed erano stati i migliori. Ma che non potevano chiedergli di vivere una vita senza Remus. A malincuore, loro non potevano sostituirlo, non potevano tamponare al meglio la ferita che aveva lasciato. James e Lily si avevano l’un l’altro, e avevano Harry; se la sarebbero cavata.
“Remus, amore mio, non doveva andare così. Non doveva andare così un mese e mezzo fa, quando hai deciso che la tua vita valesse meno di quanto la valutassi io. Non doveva andare così quando ti ho ritrovato spento tra le mie braccia, quando ho sentito l’ultima scintilla di magia lasciare il tuo corpo. Non doveva andare così. Ho continuato a ripetermelo finché non l’ho fatto diventare un ‘non può andare così’. Perché non può. Non posso continuare a riempire una vita che è vuota di te. Mi manchi tu, mi manca il tuo profumo, le urla che mi riservavi quando ti facevo uno scherzo prima di andare a letto. Mi mancano le tue dita, le tue labbra, l’altezza per cui mi piaceva tanto prenderti in giro. Eri la mia scala al cielo, l’unico modo che conoscevo per salvarmi. Non ho mai pensato a come sarebbe stato stare senza di te, a come avrei fatto a sopravvivere. E ora che lo sto vivendo voglio subito dimenticarlo. Io non sono portato per questo, io non sono portato a stare senza di te; mi hai abituato male, non so stare senza di te da dieci anni. Non so svegliarmi senza sentire la tua magia che si desta intorno a me, non so svegliarmi senza il tuo sorriso caldo. E senza il tuo respiro, e senza i tuoi sbadigli. Senza di te. Non dovevi andare via così. Avrei preferito mi lasciassi per qualcun altro, per un altro motivo, avrei preferito non morissi. Avrei preferito andassi in esilio su un’isola sconosciuta come minacciavi di fare ogni volta che ti facevo arrabbiare, avrei preferito spedissi me altrove. Invece non hai parlato con me, mi hai tenuto fuori, mi hai tagliato via. E io ho dovuto tagliare via te col cuore che mi faceva male. Tu ce la potevi fare. Tu potevi esistere senza di me, ma come hai pensato che io potessi fare lo stesso? Sembra quasi che non mi conoscessi o che questa sia stata la tua vendetta finale. Un po’ esagerato, eh, Moons? Potevi farmela pagare in un altro modo, in migliaia di altri modi. Ma hai scelto il più crudele, quello che sapevi mi avrebbe ucciso esattamente come ha ucciso te. Perché lo hai fatto? Avrei voluto trovarti vivo, perché avrei avuto altre mille domande da farti e altri mille baci da darti. Avrei dovuto dirti lì che ti amavo, che non avrei mai smesso, che non ero nemmeno sicuro di sapere come si facesse a cessare d’amarti. Mi avevi chiesto di trovarti prima che tu dovessi trovarmi nelle stelle per vedermi l’ultima volta. Mi dispiace essere arrivato tardi. Mi dispiace che tu abbia dovuto cercarmi tra miliardi, quando tu eri l’unico che poteva avermi. Ero tuo mentre brillavo di meno, mentre mi scrutavi accanto alla luna. Ero tuo mentre chiudevi gli occhi, mentre probabilmente sospiravi ridendo dandomi dello stupido per non aver fatto in tempo a salutarti. Ero tuo mentre ti cercavo, mentre non avevo una mappa da seguire, mentre nessuna stella mi indicava che poco più su ti avrei trovato. Hai avuto un grande vantaggio nel cercarmi nel cielo. Quando ti ho trovato ho visto chiunque lì per terra tranne te. Perché non potevi essere tu, semplicemente non eri tu. Chissà dov’eri, in che foresta stavi correndo inseguendo la luna piena. Chissà dov’eri. Ed eri ai miei piedi, come avrei desiderato non vederti mai. Dovevi essere ai miei piedi per chiedermi di passare il resto della vita con te, dovevi essere ai miei piedi per allacciarmi le scarpe perché non mi andava di accovacciarmi. Dovevi essere ai miei piedi per stenderti prima di me su un prato sotto le stelle. Non così. Non doveva andare così. Mi hai fatto affrontare una realtà che mi spaventava e che mi ha spaventato ancora di più mentre la vivevo. Me la pagherai cara appena ti vedrò. Perché ti vedrò, il prima possibile. Quando sentirò il coraggio nelle vene. Pagherai il prezzo più alto. Appena ti vedrò. Tra poco”
Ora la bacchetta non vibrava più nelle sue mani e la voce non tremava. Non aveva paura e nemmeno coraggio, ma non provava nulla più da un po’ di tempo. Lo stava per raggiungere, lo stava per fare. Non in un giardino, non sotto una luna piena. In una serata fredda che non poteva essere riscaldata, in una casa ormai troppo vuota per lui.
Perché nessuno aveva mai conosciuto Sirius senza Remus al suo fianco e non c’era bisogno che iniziassero a farlo.