
Capitolo 8 - Promesse
Capitolo 8
Promesse
La prima sera dopo il suo ritorno dal Ministero, Lydia era emotivamente esausta. Tutti quei discorsi con Lance e suo padre l’avevano prosciugata, eppure quando si svegliò la mattina successiva dal suo ennesimo incubo, il mondo le sembrò meno buio. Non sapeva nemmeno il perché, in fondo il senso di colpa per non essere riuscita a salvare Alice era ancora presente, ma allo stesso tempo le parole del giorno prima del signor O’Brien e di Lance avevano iniziato a farsi largo nella sua mente. E per ringraziarli del sostegno che le avevano dimostrato, quella mattina Lydia si alzò e raggiunse gli altri in tempo per la colazione.
E così avviò una nuova routine.
La signora O’Brien non solo evitava di chiederle di curare i bambini, ma le proponeva attività completamente diverse che Lydia accettava con piacere. Passò i giorni successivi a curare il giardino, fare pulizie, preparare la tavola o aiutare il signor O’Brien a cucinare.
Le giornate passate in casa erano inframmezzate con altre in cui Lydia, Lance, Katherine e Duncan si alternavano ad andare a recuperare altri bambini. In quei giorni infatti, tre nuovi bimbi vennero accolti in casa O’Brien.
La ciurma si allargava e anche i danni che combinavano. Bastò un solo giorno di pioggia per fare constatare a tutti che un inverno intero con i bambini chiusi in casa sarebbe stato insuperabile, per questo motivo furono tutti coinvolti in un nuovo progetto che avrebbe reso una parte del giardino vivibile anche durante i mesi più freddi. Iniziarono montando un vecchio tendone che la famiglia O’Brien aveva immagazzinato nel seminterrato.
«Come minimo tutta questa fatica non serve a un bel niente. La guerra deve finire prima dell’autunno, non posso perdere un altro semestre.» si lamentò Caitlin, trasportando uno dei grandi pali di sostegno. Gli altri la lasciarono parlare. Sapevano fin troppo bene che la guerra non sarebbe terminata tanto velocemente ma nessuno di loro ebbe il coraggio di accennarlo a Caitlin.
Una volta montato il tendone, con l’aiuto di un pizzico di magia, Lydia e Lance furono incaricati di occuparsi dei giochi da sistemare al suo interno.
«Abbiamo solo una vecchia altalena e uno scivolo arrugginito. Dovrete andare a comprarne dei nuovi.» disse una mattina il signor O’Brien, estraendo dal portafoglio diverse banconote babbane.
Caitlin, che era stata intenta fino a quel momento a lamentarsi per la noia, sdraiata sul pavimento, si rialzò di colpo. Gli occhi le luccicavano per l’emozione. «Vado anche io!» urlò e corse nell’atrio ad indossare le scarpe.
Il signor O’Brien sospirò impercettibilmente. «Mi dispiace cara, ma devi restare qui.»
Caitlin riemerse dal ripostiglio con un cipiglio minaccioso. «E invece vado.»
«E’ troppo pericoloso.»
Lydia osservava con curiosità lo scambio di battute, mentre Lance si limitava a fissare il soffitto, del tutto indifferente alla scena a cui stavano assistendo.
«Vanno a fare la spesa, papà! La spesa! Cosa ci può essere di pericoloso nel fare la spesa!?» urlò Caitlin.
«Magari potrebbe caderti accidentalmente una palla in testa.» rispose Lance, che alla fine non era così indifferente al discorso «O una casetta, sai, come alla Malvagia Strega dell’Ovest.»
Caitlin rivolse la sua rabbia verso Lance. «Tu stanne fuori.»
Lance si limitò ad un sorriso sghembo e si avviò verso il ripostiglio. «Fate come volete, io intanto mi preparo.» disse frugando per terra alla ricerca delle sue scarpe. Anche Lydia avrebbe dovuto seguire il suo esempio ma la scena a cui stava assistendo era più interessante.
Caitlin tornò a rivolgersi a suo padre. «Come dicevo, nessun pericolo. Tranne il dover sopportare la stupidità di Lance.» Si piegò mentre un calzino disperso nella pila di scarpe e lanciato da Lance le volava sopra la testa. Lydia decise che era meglio allontanarsi prima che si scatenasse un pandemonio e così si avvicinò alla porta d’ingresso, pronta a scappare in caso di bisogno.
«Ti ho detto di no, Cait.»
«No!» protestò Caitlin «Tu hai detto che non potevo partecipare alle missioni, ma non hai mai detto nulla sull’uscire per fare compere.»
«Cait…»
«E’ vero, papà! E sai che sono chiusa qua dentro da un mese! Hai presente cosa vuol dire? Non so più neanche se esiste ancora un mondo là fuori! E ho bisogno di uscire, ne va della mia salute mentale.»
A Lydia non sfuggì lo sbuffo ironico di Lance, e neanche a Caitlin considerando l’occhiata che gli lanciò. Lydia mise una mano sulla maniglia della porta d’ingresso. «Insomma, papà» continuò Caitlin «non ti sembra che io stia già soffrendo abbastanza? Vuoi negarmi anche questa piccola gioia?»
Un’ora dopo, Lydia si stava aggirando in un negozio babbano di giocattoli, Caitlin accanto a lei, chiedendosi ancora come avesse fatto il signor O’Brien a cedere alle suppliche e minacce della figlia. Caitlin, invece, era al settimo cielo, e saltellava da una parte all’altra del negozio. Non si poteva dire la stessa cosa di Lance, che passò la maggior parte della loro uscita senza dire una parola e con un’espressione torva stampata in viso. Certo non aveva aiutato il fatto che, durante le loro spese, Caitlin era scomparsa mandandoli nel panico e tornando tranquillamente dieci minuti dopo come se nulla fosse. Lydia aveva deciso che era meglio tenersene fuori e non aveva indagato. E così avevano ripreso il loro giro.
Era una giornata calda di fine agosto e per sopportare l’afa decisero di infrangere una delle regole fondamentali e fermarsi in un chiosco a prendere un gelato, promettendosi a vicenda di non raccontare a nessuno di quel piccolo strappo. Senza neanche sapere il perché, Lydia capì che Caitlin l’avrebbe riferito a Duncan appena tornati a casa. E dopo quella breve pausa furono pronti a concludere i loro acquisti.
«Che cosa ci manca?» chiese Lydia cercando di spiare dentro la sua borsa. Il signor O’Brien l’aveva incantata per renderla infinitamente più spaziosa e dall’apertura poteva intravedere gli scatoloni dei giochi da esterni. Era stata una bella idea ma era anche stato imbarazzante dover andare a nascondersi in tutti i vicoli che trovavano per infilare quei giochi nella borsa, senza parlare del fatto che per farli passare avevano strappato praticamente metà cerniera.
Lance avvicinò la testa per guardare anche lui. «Le altalene ci sono, gli scivoli sì…» iniziò ad elencare. «Le casette dove sono finite?»
Lydia cercò di spalancare ancora di più la cerniera, provocando una piccola lacerazione accanto ad essa. «Ops…Comunque ci sono, sono sotto l’altalena. Non mi ricordo più cosa ci ha detto di prendere tuo papà… Aveva parlato di qualcosa per arrampicarsi?»
«Bella domanda…» rispose Lance infilando la mano nella borsa per accertarsi che le casette ci fossero davvero. «Ha fatto un elenco anche dei giochi vietati ma non lo stavo ascoltando.»
«Neppure io.» ammise Lydia.
«Ragazzi.» Lydia e Lance si voltarono verso Caitlin, che li guardava con un misto di frustrazione e divertimento. «Forse è meglio se la smettete di fissare una borsetta minuscola, e Lance, hai perso metà braccio.»
Al rallentatore, Lydia e Lance abbassarono nuovamente lo sguardo verso la borsetta e il braccio di Lance ancora dentro di essa, che effettivamente, visto dall’esterno, sembrava tranciato di netto. Con la stessa lentezza rialzarono gli occhi verso un vecchietto che li guardava esterrefatto da una porta in fondo al vicolo. Caitlin gli rivolse un cenno di saluto. Lance ritirò il braccio come scottato.
«Siamo illusionisti!» sparò Lydia, sperando di essere convincente.
Il vecchietto intanto stava continuando a ripetere le stesse azioni, come bloccato in un circolo senza fine: a bocca spalancata si toglieva gli occhiali, li puliva in un angolo della camicia e poi li indossava di nuovo, strizzando gli occhi come se potesse aiutarlo a capire le stranezze a cui stava assistendo. Caitlin ridacchiò. «Oh, dai.» sbottò Lydia «Non si vedeva solo metà braccio, se questa è la cosa più strana che abbia mai visto ha avuto una vita monotona.»
«Non penso che sia per quello.» continuò a ridacchiare Caitlin. «Ma più per tutto il resto.» disse indicando i volti dei due maghi.
Lydia si portò una ciocca di capelli davanti agli occhi. Stavano tornando rossi. Si voltò verso Lance e scoprì che anche su di lui gli effetti della Pozione Polisucco stavano svanendo, facendolo tornare quello di sempre. Caitlin, che aveva mantenuto per tutto il tempo il suo vero aspetto, trovava quella situazione molto divertente. Lo stesso non si poteva dire del povero vecchietto, che continuava a pulire ostinatamente i suoi occhiali, tanto che Lydia temette potessero rompersi a forza di sfregarli. «Dici che fargli un Oblivion è immorale?»
«Non penso che sia un problema.» rispose Lance.
«Andiamo, di solito sei tu la mia bussola morale!» protestò Lydia.
Lance si rivolse al vecchietto. «Mi dispiace signore, ora dobbiamo proprio andare, venga a trovarci al nostro spettacolo domenica pomeriggio al parco comunale. La aspettiamo!» e con un piccolo inchino afferrò Lydia e Caitlin e iniziò a camminare a grandi passi per le vie del paese, gli effetti della pozione Polisucco completamente svaniti.
«Non ci credo!» protestò Lydia «Hai detto la frase che ho usato io al campeggio! Mi hai rubato l’idea!»
Questa volta Caitlin esplose in una vera e propria risata. «Pensa a quel povero signore quando domenica arriverà al parco e non vi troverà… gli si spezzerà il cuore!»
«E poi dove stiamo andando? Ci mancano i tavolini!» si ricordò Lydia, mentre Lance continuava imperterrito a camminare «E qualcosa su cui arrampicarsi. Forse.»
«Siamo in ritardo! Papà mi sbrana se non riporto Cait a casa in tempo!»
E Lydia capì il ragionamento che aveva fatto Lance. Se la loro pozione Polisucco aveva perso l’effetto voleva dire che erano passate le due ore che il signor O’Brien aveva concesso loro. «Ah.» disse semplicemente. Sì, erano nei guai. Lydia era appena entrata nelle grazie della signora O’Brien e aveva tutta l’intenzione di rimanerci il più possibile. «Dobbiamo tornare indietro.» sentenziò, accelerando il passo per seguire Lance.
Caitlin invece si limitò ad alzare gli occhi al cielo e continuò a farsi praticamente trascinare da Lance. «Quanto siete noiosi.» bofonchiò «E’ la mia prima giornata di libertà da non sapete quanto tempo! Voglio stare fuori ancora un po’. E poi il papà si arrabbia ancora di più se torniamo a casa in ritardo e senza aver comprato tutto quello che ci ha detto di comprare. Arrampicata compresa.»
Lydia e Lance si fermarono per riflettere.
«Effettivamente ha ragione.» dovette ammettere Lydia.
Lance sospirò. «E va bene. Ma solo dieci minuti, entriamo nel negozio e prendiamo il primo tavolino che troviamo.»
«Venti minuti.» sentenziò Caitlin.
«Perché devi sempre ribattere?» chiese Lance, infastidito.
Caitlin si strinse nelle spalle con una finta espressione innocente. «Perché mi sono appena ricordata che abbiamo dimenticato il tappeto elastico.»
Con un verso esasperato, Lance ammise la sconfitta.
E così mezz’ora dopo si ritrovarono fuori dal negozio con delle scatole talmente grosse che rinunciarono a priori di farle stare nella borsetta, accettando di doverle trascinare nel vicolo più vicino per Materializzarsi a casa O’Brien.
«E ora diretti a casa.» sentenziò infatti Lance, il volto madido di sudore per lo sforzo di spostare lo scatolone del tappeto elastico.
«Altro che non dare nell’occhio.» sibilò Lydia, guardandosi attorno freneticamente per controllare che non ci fosse nessuno di sospetto nei dintorni. Per fortuna erano appena usciti da un rinomato grande negozio di giocattoli e lì era normale vedere persone in quelle condizioni. Per sicurezza si nascose lo stesso il più possibile il viso con i capelli. Rimpianse la Pozione Polisucco che le permetteva di muoversi senza attirare attenzioni sul suo volto. Le mancava passare inosservata, ora invece sentiva addosso gli occhi di tutti anche se nessuno la stava guardando, però avevano dato fondo a tutta la Pozione a loro disposizione e non potevano assumerne altra, le ultime riserve erano conservate solo per estrema necessità o per le missioni ufficiali. Per fortuna entro pochi giorni sarebbe stata pronta quella nuova. In ogni caso era un motivo in più per aspettarsi la furia del signor O’Brien una volta tornati a casa. Nessuno aveva voglia di affrontarlo eppure anche Caitlin decise che era meglio non tirare troppo la corda e tornare a casa.
«Bene!» sospirò di sollievo Lance, asciugandosi il sudore con un braccio «Allora possiamo and- dove stai andando?» chiese stupito.
Lydia lo ignorò e, dopo aver lanciato un’occhiata alla vetrina del negozio di giocattoli, tornò dentro di corsa. Riemerse pochi minuti dopo, intenta a cercare di richiudere la cerniera rotta della borsa. Alla fine si arrese e mise la borsa sotto il braccio per tenerla chiusa. «Adesso possiamo andare.»
Appena misero piede in casa capirono che la signora O'Brien era furiosa.
«Come hai potuto, Dorian?» Le sue urla rimbombavano dalla sala da pranzo, raggiungendo i tre ragazzi appena entrati dalla porta d’ingresso.
«Lo sapevo.» sospirò Lance. Caitlin si limitò ad alzare gli occhi al cielo e a bofonchiare qualcosa sulle madri troppo protettive. Nel frattempo la signora O’Brien continuava a riversare la sua rabbia sul marito. «E senza avvisarmi! Potevi consultarmi e invece no, hai fatto di testa tua come al solito e adesso Caitlin è lì fuori da ore!»
«E se ce ne andassimo direttamente nelle nostre camere e scendessimo tra poco dicendo che siamo qui da un bel po’?»
Lydia era favorevole alla proposta di Caitlin. Anche Lance considerò l’idea e avrebbe potuto accettare se una voce alla loro destra non avesse urlato. «Sono tornati!» I tre ragazzi si voltarono di scatto verso Duncan, comparso all’improvviso dal salottino con un ghigno stampato sul volto. «Mi è toccato sentire queste urla tutto il pomeriggio, adesso è il vostro turno.» E schizzò via, su per le scale proprio mentre la porta della sala da pranzo si spalancava sbattendo contro il muro.
«Questa me la paga…» sibilò Caitlin.
«Eravamo preoccupati per voi!» urlò la signora O’Brien andando verso di loro a grandi passi. Il signor O’Brien si avvicinò più lentamente, le mani dietro alla schiena e stranamente sereno per essere uno che aveva dovuto sorbire le urla della moglie per ore. «Cosa vi è saltato in mente di stare fuori tutto il pomeriggio?! Senza neanche avvisare! Lance, come hai potuto accettare di portare Caitlin con te? Sai quanto è pericoloso là fuori!»
«Ma è stato papà a dire che poteva!»
«Quando mai hai ascoltato tuo padre!? E tu!» continuò la signora O’Brien puntando l’indice verso Lydia, la quale reagì d’istinto alzando le braccia per dichiarare la propria innocenza «Mi aspettavo un minimo di maturità almeno da te!» Ecco. Come aveva temuto, era stata poco tempo nelle grazie della signora O’Brien. Adesso avrebbe ricominciato a tormentarla per tenere i bambini, ne era sicura. «Sono delusa da tutti e tre.» disse accennando a Lydia, Lance e il marito. Lydia si chiese come mai Caitlin fosse stata risparmiata dalla sua furia. «E se provate ancora una volta a...»
Furono letteralmente salvati dai bambini che si stavano precipitando giù dalle scale, attirando per questo le attenzioni e i rimproveri della signora O’Brien. «No, Simon! Scendi dal corrimano!» urlò correndo verso la ciurma di bambini e dimenticandosi completamente di Lydia, Lance e Caitlin.
Katherine superò i bimbi e si avvicinò ai tre ragazzi. «Ho sentito le urla e ho portato i rinforzi.» ammise.
Lance la guardò ammirato «Ma tu come fai a stare con Duncan?»
Katherine rispose con una risata.
Il loro sollievo però durò poco, perché se la presenza dei bambini li aveva salvati dalla furia della signora O’Brien, ora dovevano fare i conti con i bambini stessi, che iniziarono a saltellare attorno a loro, cercando di spiare nella borsa rotta di Lydia. «Cosa avete preso?» stava chiedendo qualcuno.
«Ci sono le altalene?»
«E i palloncini?»
«E la giostra dei cavalli?»
Uno di loro tirò un lembo pendente della borsetta per riuscire a vederne il contenuto, strappando però del tutto il tessuto e causando la caduta di uno scatolone comicamente grande rispetto alla borsa stessa. Lydia si affrettò ad afferrare il lembo e stringerlo prima che ne cadessero altri e passò la borsetta a Lance, scaricando l’incombenza di impedire che gli scatoloni fuoriuscissero travolgendo i bambini. Il ragazzo afferrò la borsetta e la strinse in un abbraccio per bloccare la forza di gravità.
«Smammate.» ringhiò Lydia cercando di scacciare i bambini con le mani. Loro non recepirono il messaggio e continuarono a saltellarle intorno tutti emozionati. Solo un bimbo si teneva lontano, cercando allo stesso tempo di stare più vicino possibile alla signora O’Brien. Nonostante si trovasse lì ormai da qualche tempo, Daniel continuava a non riuscire ad accettare completamente la situazione e spesso preferiva la compagnia degli adulti rispetto a quella dei suoi coetanei.
Lydia spostò il braccio di Lance a forza, riaprendo uno spiraglio della borsetta e infilando una mano per recuperare l’ultimo oggetto che vi aveva messo. I bambini andarono completamente fuori di testa nel vedere il suo braccio scomparire e appena Lydia si allontanò avendo trovato quello che cercava, presero di nuovo d’assalto Lance per provare l’ebrezza di farsi scomparire anche loro un arto. Lydia ignorò le lamentele di Lance e si avvicinò a Daniel, inginocchiandosi davanti a lui.
«Ciao.» disse semplicemente il bambino, stupito dall’improvviso interesse di Lydia e torcendosi le mani. Fece un passetto verso la signora O’Brien, che di solito usava come scudo in qualsiasi rara interazione con gli altri.
«Ho qualcosa per te.»
Daniel bloccò immediatamente la sua fuga appena vide l’oggetto che Lydia gli stava porgendo.
«E' per me?» gli occhi di Daniel luccicavano, ma questa volta Lydia era certa che fossero lacrime di gioia.
«Ti avevo fatto una promessa.» sorrise lei.
Daniel fissò incantato la macchinina rossa fiammeggiante, ancora incredulo. Non era come la sua macchinina preferita, ma era comunque un giocattolo bellissimo, ed era solo suo. Lydia l’aveva intravista nella vetrina del negozio e le era tornata in mente la promessa che aveva fatto a Daniel durante la loro rocambolesca fuga.
«Grazie!» urlò Daniel abbracciando di slancio Lydia.
Appena sentì il bambino stringersi a lei, Lydia si irrigidì. presa completamente alla sprovvista da quell’improvvisa manifestazione d’affetto, ma il bambino non capì e si allontanò in fretta per andare a provare la sua nuova macchinina. Henry fu il primo ad avvicinarsi a Daniel, il quale per la prima volta non scappò a cercare la signora O’Brien ma gli mostrò orgoglioso il suo nuovo giocattolo ed iniziarono insieme a toglierlo dall’involucro di plastica. In pochi secondi furono circondati da tutti gli altri bambini.
«E’ ora di cena.» Katherine li spinse verso la sala da pranzo.
«Tutto bene?» Lance si era avvicinato a Lydia, ancora inginocchiata, immobile, persa nei suoi pensieri.
«Tutto bene.» rispose Lydia, e per una volta non mentì.
La cena fu disastrosa in quanto, nonostante i tentativi di Katherine di stemprare la situazione, la signora O’Brien si limitò a riprendere a riversare la sua ira sui tre ragazzi, incredula che fossero stati così incoscienti da passare un pomeriggio in giro tranquilli senza preoccuparsi né dei Mangiamorte né di loro che li aspettavano a casa preoccupati. Lydia iniziò a sentirsi davvero in colpa e fu l'unica ad ascoltare fino in fondo la ramanzina della signora O’Brien. Lance e Caitlin, invece, abituati ai rimproveri della madre, si erano distratti subito, fingendo solamente di ascoltare ed intenti in realtà a contendersi l’ultima fetta di pane, infine ingenuamente afferrata da Katherine.
Ma alla fine della cena, la signora O'Brien non desisteva e, quello che era iniziato come un rimprovero per essere stati fuori senza avvisare del ritardo, si era trasformato in un lamentarsi di tutto quello che i figli le avevano fatto passare da quando avevano cinque anni. A quel punto Lydia fu ben lieta di avere avuto la pazienza di ascoltare tutto il monologo della signora O’Brien, venendo ora premiata dal racconto di alcune perle con cui avrebbe potuto ricattare Lance per l’eternità.
«E sai cosa hanno fatto quei due?» domandò la signora O’Brien in modo retorico a Lydia «Hanno rubato la nuova bacchetta di Duncan e sono andati in giro per il paese a colorare tutti i gatti che trovavano.»
Il resto del tavolo era distratto. Il signor O’Brien stava cercando di far finire ai bambini le verdure scatenando le loro sonore proteste, Lance e Caitlin stavano ancora bisticciando per la fetta di pane rubata, mentre Katherine e Duncan, seduti di fronte a Lydia e Lance, stavano parlottando tra loro. Qualcosa sul non essere mai il momento giusto.
«Non so neppure come abbiano fatto! Di sicuro era un'idea di Caitlin e ovviamente Lance si è lasciato convincere che sarebbe stata una fantastica avventura!»
«Dovremmo dire una cosa.» Katherine cercò di attirare l’attenzione della tavola, senza successo. Lydia la zittì, presa dal racconto della signora O’Brien.
«Appena ce ne siamo accorti, Dorian è uscito a cercarli, non è stato difficile trovarli, ha solo dovuto seguire la scia di gatti color arcobaleno e trasformarli di nuovo nel loro colore naturale prima che qualche babbano li vedesse! Ci stavamo nascondendo e non volevamo essere raggiunti dalle squadre del Ministero, ma i miei figli non hanno mai capito cosa significa essere discreti.»
«Scusate...» tentò di nuovo Katherine.
«Sono riuscita per un soffio a distrarre la signora Jacobson prima che si rendesse conto che il suo prezioso gatto, vincitore per tre anni consecutivi del premio ‘il gatto dell’anno’ del paese, era diventato verde! Sai che cosa avrebbe fatto se lo avesse scoperto?»
Lydia annuiva, la storia si stava facendo sempre più interessante.
«Signora O’Brien?» la chiamò Katherine. La donna le fece cenno di aspettare.
«E loro cosa hanno fatto il giorno dopo? Hanno rubato la bacchetta di Dorian! E hanno ricolorato i muri della nostra casa rendendola fluo, ti giuro che illuminava tutto il quartiere! Avevano appena imparato i colori all’asilo ed erano un po’ troppo entusiasti sull’argomento. Quello sì che è stato un problema. Noi eravamo in casa e quindi non ci eravamo neanche accorti fino a quando quella sera due poliziotti babbani hanno bussato alla nostra porta con un ordine di ripittura immediata dell’immobile e multa per i danni conseguiti. A causa della nostra vernice, alcune macchine avevano rischiato di scontrarsi perché gli autisti erano rimasti accecati dalla nostra casa. Non sai che vergogna e che…»
«Mamma!» urlò infine Duncan per richiamare l'attenzione della madre. Lydia si voltò a guardarlo infastidita. Doveva proprio interrompere il discorso sul più bello?
«Ma che modi sono?» chiese la signora O’Brien, offesa. Lydia si rese conto che tutta la tavolata, bambini compresi, aveva smesso di parlare come Katherine aveva chiesto, tranne loro. «Sono sicura di averti insegnato le buone maniera, ragazzino. E non puoi trattarmi in questo modo, sono pur sempre tua...»
«Ci sposiamo!» esclamò Katherine esasperata. Lydia spalancò gli occhi presa totalmente alla sprovvista. «E’ da quando siamo tornati dal rifugio che volevamo dirvelo ma non abbiamo mai avuto occasione.» Katherine strinse la mano di Duncan, guardandolo teneramente negli occhi «Ci sposiamo e non potevamo tenerlo segreto un momento di più.»
«Sei sicura?» le chiesero all'unisono Lydia e Lance «Sei ancora in tempo per ripensarci.» continuò Lance.
«Sì, ne sono sicura.» rise Katherine. Caitlin urlò di gioia e corse ad abbracciare il fratello, seguita a ruota dalla signora O’Brien, con già le lacrime agli occhi. Andò dal figlio e lo stritolò in un abbraccio che Lydia non avrebbe pensato possibile per una donna così minuta. Il signor O’Brien si unì ai festeggiamenti mentre la moglie iniziava a singhiozzare emozionata, aggiungendo Katherine nel suo abbraccio spezza costole. Alla fine anche Lance superò il suo stupore e si alzò da tavola per andare a congratularsi con i futuri sposi. I bambini urlavano e saltavano, anche se forse non tutti avevano capito cosa stesse succedendo.
E Lydia non fece altro che alzarsi in piedi e fissare la scena imbarazzata.
Si sentiva un'intrusa nel vedere la famiglia O’Brien festeggiare. Una fitta di nostalgia le strinse lo stomaco, pensando ai suoi genitori e alla nonna, che in quel momento si trovavano dall'altra parte del Paese.
«Congratulazioni.» disse alla coppia, mentre sulla tavola comparivano torte, pasticcini, una bottiglia di Champagne e delle bibite babbane per i più piccoli. Lydia si guardò attorno alla ricerca di un posto dove andare per sentirsi meno in imbarazzo. Alla fine optò per avvicinarsi ad Henry, anche se l’effetto non fu quello sperato. Il bambino per una volta stava ascoltando rapito un discorso di Daniel e così Lydia si trovò senza il conforto delle sue chiacchere infinite e a sorseggiare il bicchiere di champagne, chiedendosi dopo quanto tempo avrebbe potuto defilarsi in camera sua senza mancare di rispetto a nessuno.
Fino a quando Lance si lasciò cadere sulla sedia accanto alla sua.
Lydia gli lanciò un’occhiata carica di dubbio e lui scrollò le spalle, allungandosi sul tavolo per recuperare un bicchiere di bollicine. «Non sembri tanto felice.» constatò Lydia mentre Lance beveva in un solo sorso tutto il contenuto del suo bicchiere.
«Io e mio fratello non abbiamo il rapporto migliore del mondo, diciamo che ci sopportiamo a stento. Caratteri troppo diversi.» si giustificò Lance, prendendo un nuovo bicchiere pieno. Lydia ricordava che durante gli anni passati insieme ad Hogwarts, Lance parlava a stento al fratello, non si avvicinava quasi mai a lui, o, in generale, al tavolo dei Serpeverde, e lei ne era sempre stata sollevata perché le poche interazioni che aveva avuto con Duncan erano state tutte spiacevoli e piene di saccenza. Ma in fondo Lydia non sapeva molto della famiglia di Lance considerando che aveva scoperto dell’esistenza di una sorella gemella solo quando se l’era ritrovata davanti.
«Come mai non vi sopportate?» Era una domanda che voleva porgli da anni e quella sembrava l’occasione giusta.
«Come ti sei procurata quella cicatrice?»
Lance bevve l’ultimo sorso di champagne mentre Lydia impallidiva, presa alla sprovvista dal repentino cambio di argomento. Sapeva che Lance se lo chiedeva da quando si era rincontrati ma di sicuro non si sarebbe aspettata la domanda a bruciapelo durante gli improvvisati festeggiamenti per Duncan e Katherine. Lance si accorse che le sue parole avevano dato l’effetto sperato e sorrise per rassicurarla «Abbiamo tutti qualcosa di cui non vogliamo parlare. Questo è il mio segreto, la cicatrice è il tuo.»
Lydia annuì, mentre il suo volto tornava lentamente al suo colore naturale. Le parole successive furono probabilmente frutto dello champagne bevuto più che della razionalità. «Potremmo fare un patto... Quando ci sentiremo pronti tu mi dirai il tuo segreto e io ti dirò il mio.» Appena pronunciò quelle parole si rese conto che effettivamente il pensiero che Lance scoprisse il mistero della sua cicatrice non le faceva così tanto ribrezzo. Strano per una che non lo aveva raccontato a nessuno tranne ad Alice, e anche in quel caso, perché praticamente costretta dai suoi genitori.
«Va bene.» concesse Lance, alzò il bicchiere vuoto «Festeggiamo questo patto con un brindisi. Anche se non si può brindare con un bicchiere vuoto, aspetta.» e con un colpo di bacchetta ne attirò un altro pieno nelle sue mani. «Ai nostri segreti!» esclamò infine alzando il bicchiere. Lydia alzò anche il suo e sancirono la promessa bevendone il contenuto.