
Betty Crowe
Eileen Moore
Betty Crowe
«Mamma, perché alcuni bambini sono così cattivi?» chiese un giorno Eileen Moore a sua madre.
Una bambina, Betty Crowe, non la lasciava proprio stare. Tutti i giorni, all’asilo, trovava nuovi modi per deriderla o farle del male ed Eileen era stanca di tali ingiustizie. Quella mattina Betty aveva usato le sue forbici arrotondate per tagliarle una ciocca di capelli, Eileen aveva cercato di essere forte come le diceva sempre sua mamma, ma appena si era vista allo specchio del bagno e aveva notato i parecchi centimetri di capelli mancanti, era scoppiata in lacrime e neppure la maestra era riuscita a consolarla.
«Sono gelosi.» rispose bruscamente sua madre. Stava tentando di pettinarle i capelli in un’acconciatura che avrebbe nascosto il danno. «Perché tu, mia cara, sei proprio un angelo.»
Sua mamma lo ripeteva spesso, a lei, alle sue amiche, alle altre mamme; non faceva altro che vantarsi di sua figlia, anche se nessuno poteva negare che Eileen assomigliasse realmente ad un angelo. Era di una bellezza straordinaria sin da quando era nata e sembrava proprio destinata a diventare sempre più bella crescendo: lunghi e folti capelli color ebano, il viso delicato, occhi grandi e di un verde splendente, ed anche nei movimenti dimostrava una grazia innata.
Ma Eileen non si sentiva un angelo, e neppure voleva esserlo. L’unico suo desiderio era trascorrere una giornata tranquilla all’asilo. «Come posso farla smettere, mamma?»
«Devi imparare a difenderti dai babbani, Eileen.» Sua madre le accarezzò dolcemente una guancia «Tu sei speciale, bambina mia, e arriverà un giorno in cui diventerai una grande strega e i babbani tremeranno al tuo cospetto. Provieni da una nobile famiglia Purosangue e devi essere rispettata come tale, non dimenticarlo.»
Eileen non avrebbe potuto dimenticarlo neanche se avesse voluto. Sua madre non faceva altro che sottolineare quanto il loro sangue fosse puro, tanto che, in un primo momento, si era categoricamente rifiutata di iscrivere la figlia in una scuola babbana. Era stato il marito a convincerla, sostenendo quanto fosse importante per Eileen trascorrere del tempo con altri bambini della sua età, senza dover rimanere costantemente chiusa in casa con solo loro, suo fratello e l’elfa domestica come compagnia. Ed Eileen sarebbe stata felicissima di questa scelta se non fosse stato per i continui dispetti di Betty Crowe. Ne aveva abbastanza, e avrebbe dato qualsiasi cosa pur di farla smettere.
«Come faccio a difendermi da lei?»
Il giorno dopo Eileen seguì il consiglio di sua madre. Betty smise di tirarle i capelli ma, all’uscita da scuola, la maestra fermò il padre di Eileen per “scambiare due parole”.
Suo padre rimase in silenzio per tutta la strada verso casa. Quando entrarono nella villa, Eileen si allontanò senza una parola, voleva andare a salutare suo fratello e a raccontargli come era riuscita a zittire Betty Crowe, anzi, come era riuscita anche a farla piangere, un’impresa che considerava impossibile… nessuno l’aveva mai vista con le lacrime agli occhi! Con il cuore ancora traboccante di soddisfazione, la bambina iniziò a salire la scalinata principale prima di essere fermata dalla voce del padre.
«Aspetta, Eileen.» La bambina si voltò verso di lui «La maestra mi ha detto che hai dato un pugno alla tua compagna di giochi.» Eileen sorrise, di sicuro suo padre sarebbe stato fiero di lei. Aveva dimostrato a quella babbana quale era il suo posto. Certo, pensò, sarebbe stato più divertente usare la magia, ma sarebbe presto arrivato anche quel giorno. Doveva aspettare ancora qualche anno e poi avrebbe potuto usare incantesimi, maledizioni e persino pozioni per vendicarsi dei prepotenti.
«Perché lo hai fatto?»
«Perché mi faceva i dispetti» rispose convinta.
«E ti sembra un buon motivo per picchiare qualcuno?»
Eileen cominciava a sentirsi confusa. «La mamma mi ha detto che devo fare così quando gli altri bambini mi fanno male. Ha detto che devo difendermi in tutti i modi e che quando sarò grande mi insegnerà delle maledizioni da usare contro le persone cattive con me, ma adesso sono ancora piccola e non posse fare le magie…»
Suo padre sospirò, aveva sulla fronte la ruga che gli spuntava sempre quando era triste. «Vieni qui» le disse dolcemente, stringendole una mano e accompagnandola verso una poltrona. Eileen odiava sedersi nel gigantesco salone d’ingresso; tutte le sedie, anche i divani all’apparenza più maestosi, erano duri e scomodi, e sua mamma si arrabbiava se qualcuno osava sporcare i mobili riccamente intarsiati. Fortunatamente, fu il padre a sedersi sulla scomoda poltrona e a prenderla in braccio, facendola accomodare sulle sue ginocchia. «Eileen…» La bambina inclinò lievemente la testa per poterlo guardare negli occhi. «Quello che hai fatto oggi… capisco che volevi solamente difenderti, ma non è stato un comportamento corretto. Oggi non ti sei difesa, hai attaccato un’altra bambina e le hai fatto tanto male.»
Eileen corrugò la fronte. «Ma la mamma ha detto che devo fare così con i bambini che si credono più speciali di me…»
Suo padre scosse la testa. «Sono sicuro che la mamma non voleva dire così. Ti ricordi quando siamo andati al parco settimana scorsa?» Eileen annuì. «Quel giorno mi hai detto che tu odi i bulli.» Era vero, Eileen all’asilo aveva sentito la maestra dire ad un’altra che Betty Crowe aveva degli “atteggiamenti da bulla”, per questo motivo il pomeriggio al parco giochi aveva dichiarato convinta quanto odiasse tutti i bambini che si comportavano allo stesso modo.
«È vero. Sono cattivi e si comportano male.»
«Ecco, oggi anche tu ti sei comportata male e sei stata cattiva nei confronti di Betty.» Eileen rimase senza fiato e fissò a bocca aperta il padre. «Hai ferito una bambina e l’hai fatta piangere.»
«Ma Betty mi ha fatto male per prima! Hai detto che dare un pugno è cattivo, ma allora come faccio a farla smettere?» Forse non doveva fare niente, doveva lasciare che le tagliasse i capelli, le sporcasse i vestiti, che le spezzasse i pastelli e le rovinasse tutti i suoi disegni e lavoretti. Però così non le sarebbe mai piaciuto andare all’asilo. Allora forse era meglio rimanere a casa, come voleva la mamma; avrebbe giocato con suo fratello e si sarebbe divertita lo stesso, anche se le sarebbe dispiaciuto dire addio alla sua maestra e ai suoi amici.
«Ci sono altri modi.» la rassicurò il padre. «La violenza non si risolve con altra violenza. Ricordalo sempre.»
«Non capisco.» rispose sconsolata la bambina.
«Prima di tutto se Betty ti fa male tu devi dirlo subito alla maestra. E se non funziona dì a Betty stessa che quello che sta facendo è sbagliato, vedrai che si accorgerà dei suoi errori e smetterà di darti il tormento.»
Eileen dubitava fortemente che potesse succedere.
La settimana successiva Eileen corse dal padre non appena comparve alla porta dell’asilo. «Papà, papà! Ha funzionato!» urlò abbracciandolo. Il suo sorriso sembrava illuminare l’intera scuola.
«Cosa, angelo mio?» Dopo un breve saluto alla maestra, i due si diressero verso gli spogliatoi per recuperare giacca e stivaletti.
«Betty oggi ha strappato il mio disegno.»
«Mi dispiace, tesoro…»
«Non fa niente!» esclamò Eileen saltellando attorno al padre «Mi sono ricordata cosa mi hai detto! Non ho pianto e non le ho dato un pugno! Sai cosa ho fatto?»
«No, cosa?»
«Le ho detto che mi dispiace per lei! Perché è cattiva e nelle storie che leggiamo i cattivi non vincono mai.»
«E ha smesso di darti fastidio?»
«No, no!»
Suo padre la guardò confuso. Il sorriso di Eileen divenne ancora più luminoso, i suoi occhi brillavano. «Ho preso un altro foglio e ho fatto un altro disegno, e sai che cosa ha fatto lei? L’ha strappato! Di nuovo!»
«Cosa?»
«Sì! E lo sai cosa le ho detto?»
«Cosa le hai detto?»
Eileen saltellò più in alto. «Che non mi importa! Può strappare tutti i miei disegni, tanto posso farne altri, anche più belli! E lei se ne è andata e mi ha lasciata in pace per tutto il giorno! Oh, papà, è stata una bellissima giornata, e sono sicura che ha funzionato! Sono sicura che non mi darà più fastidio, perché non si diverte più se io non ci rimango male!»
E funzionò davvero. Betty la lasciò stare per diversi giorni e quando tentò di nuovo di farle un dispetto, Eileen rispose nello stesso modo, dimostrando che il suo comportamento non la disturbava, anzi, dispiacendosi per lei perché facendo così non era riuscita a fare amicizia con nessuno. Betty si arrabbiò moltissimo ma da quel momento non le diede più fastidio.
Con il trascorrere del tempo però, Eileen si accorse di non essere più così felice.
«Ora è cattiva con gli altri bambini.» sospirò un giorno, mentre beveva il tè con la madre.
«Tieni dritta la schiena e le gambe ferme. Se la nonna vedesse come mangi i pasticcini morirebbe dalla vergogna.» Eileen posò il dolcetto con un altro sospiro. «È ancora crudele con te?» le chiese infine sua madre quando fu soddisfatta della nuova postura.
«No… mi lascia stare. Ma – »
«Allora non c’è nessun problema, angelo mio - stai ferma con le gambe! Devi ricordati che il portamento è importante. Non che abbia molta importanza da quando…» Sua madre posò la tazza sul piattino, lo sguardo improvvisamente vacuo «Non posso neanche immaginare cosa succederà nei prossimi anni. Nessuno avrà più rispetto delle famiglie Purosangue, non senza di Lui.» Gli occhi della donna si velarono ma Eileen era ormai abituata a questi improvvisi sbalzi di umore. Capitava sin troppe volte che la madre si perdesse nei suoi pensieri, era così da diversi mesi, l’attimo prima parlava con loro, il momento successivo fissava il vuoto e raccontava di un passato scomparso e di un futuro rubato. «Finalmente avevamo il rispetto che meritavamo… devi capirlo Eileen, angelo mio, devi ricordarti che la nostra famiglia è superiore alle altre.» Eileen annuì. Lo sapeva, sua mamma non faceva altro che ripeterlo, soprattutto negli ultimi mesi, da quel giorno di ottobre. Eileen ricordava perfettamente la sera in cui era andata con il padre e il fratello a fare dolcetto e scherzetto nel quartiere. Si era divertita come mai prima, erano rimasti fuori fino a tardi per partecipare ad una festa del quartiere e lei aveva mangiato tutti i dolci babbani che le avevano messo nel cestino perché sapeva che sua madre li avrebbe subito gettati non appena fossero tornati a casa. Ma quando erano rientrati, la madre aveva ignorato completamente i dolcetti e i loro racconti. L’avevano trovata seduta al tavolo del soggiorno, una breve pergamena stretta tra le mani, le lacrime che scendevano copiose inondandole le guance. Aveva mormorato qualcosa di un certo Signore Oscuro che era stato ucciso da un neonato, anche se Eileen era sicura di aver capito male. Come avrebbe potuto un bambino più piccolo di lei e di suo fratello sconfiggere questo Signore Oscuro di cui la mamma aveva parlato spesso con reverenza? I bambini erano stati mandati subito a letto, ma Eileen aveva sentito i suoi genitori litigare furiosamente quella notte. Non aveva compreso le cose che dicevano. Sua mamma parlava di onore, sangue, nobiltà; suo padre di vittime innocenti, guerra ed odio. La mattina dopo aveva provato a chiedere spiegazioni a suo padre, ma lui si era limitato a rispondere con un «Ti racconterò tutto quando sarai grande, tesoro.»
Nel frattempo però sua madre stava ancora fissando il vuoto, così Eileen tentò di attirare nuovamente la sua attenzione. «Non mi piace quando Betty fa male agli altri bambini.»
Finalmente sua madre si riscosse dal suo torpore. «Non fa niente. L’importante è che non dia fastidio a te.»
Eileen però continuava a pensarci e quando quella sera il padre le rimboccò le coperte e le diede il bacio della buonanotte, lo fermò. «Betty Crowe dà fastidio agli altri bambini.»
Suo padre si sedette sul bordo del letto, al suo fianco. «E come ti fa sentire?»
Eileen si prese del tempo per pensarci. «Sono arrabbiata. E anche un po’ triste. A me piace tanto andare all’asilo adesso che non mi fa i dispetti. I miei compagni invece sono tristi e piangono. Mi dispiace vederli tristi.»
«Quindi non vuoi che gli altri bambini soffrano?»
«No.»
Suo padre le sorrise e la avvolse in un abbraccio. «Se non vuoi che siano tristi allora aiutali.»
«Ma come papà? La mamma ha detto che devo pensare solo a me.»
Un’ombra oscurò per un istante il volto del padre. «La mamma si sbaglia.» disse piano «Quando Betty ti faceva i dispetti tu avresti voluto che qualcuno ti aiutasse?»
«Sì.» rispose Eileen con tristezza. «Ma nessuno l’ha fatto.»
«Perché non sapevano come farlo! Invece tu sai come far smettere Betty, quindi puoi aiutare anche gli altri.»
Eileen fece fatica ad addormentarsi quella sera, ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva i volti tristi dei suoi amici. Si rese conto che anche lei non era ancora contenta di andare all’asilo, come poteva esserlo se i suoi compagni non erano mai del tutto felici? Fu così che decise che avrebbe davvero seguito il consiglio di suo padre e cercato di aiutarli.
Tre giorni dopo si presentò l’occasione perfetta.
Anche quel pomeriggio fu suo padre ad andare a prenderla all’asilo, ed Eileen gli corse incontro con un grande sorriso. Mentre uscivano dall’edificio, la maggiore parte degli altri bambini li fermarono per abbracciare Eileen e ringraziarla.
«Perché ti ringraziano?» le chiese il padre curioso, mentre percorrevano la strada verso casa.
«Perché li ho aiutati! Come hai detto tu!» Eileen era molto orgogliosa di sé stessa, era finalmente riuscita a difendere anche gli altri bambini e non si era mai sentita così felice in tutta la sua vita. «Oggi siamo usciti in cortile a giocare, alcuni miei amici volevano giocare con la sabbia allora abbiamo costruito insieme un grande castello, era alto alto. Così!» mise una mano all’altezza del naso. «Era proprio bello, abbiamo costruito anche il fossato! Hogwarts ha un fossato, papà?»
Suo padre ridacchiò. «No, tesoro.»
Eileen non riuscì a nascondere la delusione. «Peccato… Dovrebbero metterlo, tutti i castelli ne hanno uno… Comunque era un fossato tanto, tanto alto!»
«Profondo.» La corresse dolcemente suo padre.
«Profondo.» ripeté Eileen «Volevamo mettere anche il ponte ma è arrivata Betty, e lo sai cosa ha fatto?»
«No, cosa?»
«Ha distrutto il nostro castello!»
«No!»
«Sì!» gridò la bambina con voce strozzata «E lo sai cosa le ho detto?»
«Cosa le hai detto?»
«Che è stata cattiva e che è perché è cattiva che nessuno vuole giocare con lei!»
«Quindi non ha più fatto niente?»
«No! Ha tirato i capelli ad Ava e le ha rubato la molletta con la farfalla. E lo sai cosa ho fatto? Mi sono messa davanti a lei e le ho detto di ridarmi subito la molletta! E Betty si è messa a ridere! E allora io le ho detto che se non me la ridava l’avrei trasformata in una lumaca. Esiste un incantesimo per trasformare le persone in lumache, vero? E lei continuava a ridere, e io mi sono arrabbiata e subito… SBAM!» urlò battendo le mani «Tutta la sabbia del nostro castello distrutto è volata addosso a Betty! Era talmente tanta che l’unica parte di lei che si vedeva era la mano che teneva la molletta. Allora ho preso la molletta. Poi le maestre sono corse, hanno detto che è stato il vento.» Suo padre sapeva bene che non era stata colpa del vento, gli episodi di magia di Eileen erano sempre più frequenti, e in altre occasioni sarebbe stato preoccupato per le conseguenze di tali incantesimi accidentali ma non guastava che questi potessero aiutarla a non avere più problemi a scuola.
Eppure, due settimane dopo, trovò Eileen seduta sul suo letto con lo sguardo rivolto a terra e l’espressione corrucciata.
«Cosa succede?»
Eileen stringeva al petto il suo pupazzo preferito a forma di Snaso, lo faceva solamente quando era davvero turbata. «È Betty…» I suoi occhi si riempirono di lacrime.
«Ti ha fatto ancora del male?»
Eileen scosse la testa.
«Ha fatto qualcosa agli altri bambini?»
«No.» rispose in un sussurro la bambina. Si strofinò il pugnetto sul naso lasciando una scia di muco sul labbro tremante.
«Non capisco, piccola mia. Cosa ha fatto?»
Una lacrima sfuggì al controllo della bambina. «Niente!» Il padre passò un braccio sulle spalle della figlia e la strinse a sé. «È questo il problema. Non fa niente! Non gioca, non canta, non dice le filastrocche. È sempre da sola e tanto triste.»
«Stai piangendo perché lei è triste?» chiese il padre, sbalordito.
Eileen annuì e cercò di asciugare con la manica del pigiama le lacrime che le scorrevano sulle guance.
Per la prima volta, suo padre si rese davvero conto di quando fosse generoso il cuore di Eileen. Per un attimo si sentì sopraffare dal sentimento di orgoglio e amore che provava per la figlia. «Se non vuoi che si senta sola allora vai da lei.»
«Ma non ricomincerà a trattarmi male?»
«No, sono sicuro di no.»
Il giorno dopo Eileen raccontò al padre che quella mattina, quando aveva visto Betty seduta ad un tavolino da sola, le si era avvicinata e le aveva chiesto se voleva giocare con lei. Il viso di Betty si era illuminato di gioia ed erano corse insieme alla pista delle macchinine. Certo, c’era stato un momento in cui Betty le aveva rubato di mano la macchinina rossa, ma Eileen le aveva spiegato che avrebbe potuto semplicemente chiedere il permesso e avrebbe fatto volentieri cambio con la sua, ed avevano ricominciato a giocare tranquillamente.
La settimana successiva Eileen era ancora più contenta. Alcuni dei suoi amici si erano uniti a lei e Betty per giocare insieme, e il giorno dopo il gruppo era aumentato fino a quando, l’ultimo giorno di scuola, tutta la classe si era unita ai giochi. E nel momento in cui erano arrivati i genitori, tutti erano corsi a salutare con gioia Betty Crowe, promettendole che avrebbe giocato insieme anche durante l’estate.
«Ora sono tutti contenti, anche Betty.» disse Eileen saltellando verso la porta di casa.
Il padre la fermò nel giardino e si inginocchiò di fronte a lei. «Sono molto fiero di te, Eileen. Sei stata brava, altruista e coraggiosa. Sei davvero speciale, angelo mio.» Le diede un bacio sulla fronte e la strinse forte a sé.
Eileen ricambiò l’abbraccio. Non era mai stata così contenta in tutta la sua vita: Betty aveva imparato a trattare meglio gli altri, i suoi amici erano finalmente felici e suo padre era orgoglioso di lei.
Fu in quell’esatto momento, avvolta dall’abbraccio del padre e con il cuore traboccante di pura gioia, che Eileen si fece una promessa. Avrebbe sempre cercato di aiutare le persone, di proteggerle dal male ad ogni costo e di diventare come la vedeva suo papà. Un angelo.