
Vuoto. Barty sentiva solo vuoto dentro di sé, vedeva cerchiettini irradiarsi colorati da ogni fonte di luce, cominciavano a fischiargli le orecchie
In un mondo che urlava di vivere bene, pulito e perfetto, mettendo il numero verde prima delle scene di violenza, lui era una via di mezzo tra M. Hyde e il Grinch.
Celava dietro il sorrisetto sarcastico, che gli valeva tanti schiaffi, ciò che la psicologia definiva "depressione estrema", ma che rasentava il campo della psichiatria, ciò che l'avrebbe comunemente definito "matto come un cavallo", "fuori come un balcone", "strizzacervellico".
Trovava gradevole non percepire più niente, crogiolandosi nel mare di apatia che lo circondava.
Chiuse gli occhi e quando li riaprì si ritrovò nel prato del giardino di casa sua, sotto l'ombra di un acero profumato. Aveva sette anni nel ricordo che gli venne in mente e vide la figura di sua madre venirgli incontro con un po' di bende per ferite. Quel giorno il piccolo Bartemius aveva giocato a calcio con gli altri bambini del quartiere e si era sbucciato un ginocchio. Fissava ora la garza sul suo ginocchio, felice, mentre la donna era stesa accanto a lui e gli cantava alcune canzoni popolari nel momento.
"Tranquillo per il tuo ginocchio", disse tra una nota e l'altra, "il dolore è temporaneo. Se oggi stai male, domani starai meglio".
Eccome.
Se oggi prendo due anfetamine dopo mezz'ora starò meglio, al massimo.
Ricordava sé stesso giocare, poi andare a lavarsi, mettere una camicia, un sorriso finto, uno spruzzo di un profumo decisamente inadatto alla sua età.
Così qualche anno dopo, poco prima di Hogwarts, alla festicciola natalizia dei Black, si era rintanato in una stanzetta a leggere, aveva fatto per togliersi le scarpe, quando un ragazzino minuto si era schiarito la gola, facendolo girare di scatto.
Così aveva conosciuto Regulus Black, la sua stella nelle tenebre.
Quando tutta la galassia rotava attorno al sole, il suo centro di attrazione restava sempre l'amico, "amico", -amico?-, più amore matto e disperatissimo senza speranze.
Poi, all'ennesimo evento del buon Lumacorno si era assentato un attimo. Convinto di non essere visto si era acceso una sigaretta e versato un bicchierino di gin.
Regulus, con il solito tempismo per salvare l'amico da errori troppo gravi, aveva afferrato il bicchiere prima di Barty e se l'era bevuto, non badando alla sensazione di star andando a fuoco, che in fondo era anche gradevole.
Parlavano, piangevano, si cercavano. Poi, da un momento all'altro, si baciavano. Regulus scappava, convinto di non essere abbastanza, di non potere, avendo il terrore che la sua famiglia facesse del male all'amato. Poi aveva recepito la possibilità di morire da un giorno all'altro dimenticato dal mondo. Stava crollando verso l'inferno e voleva arrivarci con un amico, un amore.
E infatti era sceso in quel girone, ma ci era sceso trascinando malgrado tutto e tutti Barty con sé.
Affondavano insieme, cercando di sollevarsi l'un l'altro, sognando vite diverse da quelle, senza guardare in faccia il futuro, poiché non ce n'era uno.
E quella sera Barty nella sua fredda cella guardava le onde infrangersi violentemente sulle mura spesse della prigione, il vento echeggiando gli portava le risate maniacali della cugina di Regulus. Regulus.
Regulus che non era tornato, Regulus che era sparito da un giorno all'altro lasciandolo a cercare un'ancora cui aggrapparsi, lasciandolo annaspare per sopravvivere, Regulus il cui fiore sull'albero genealogico era appassito, lasciando un buco nel petto di Barty, una lama che ogni giorno tornava a riaprire la ferita come l'aquila di Zeus con Prometeo.
Barty sentiva una lacrima calda percorrergli la guancia. Uno sprazzo di umanità in quell'animo scheggiato sembrava illuminare le pareti ridotte in simili condizioni, Regulus restava sempre la lucina dell'uomo, la luce che brillava anche nel buio della sua mente dilaniata e offuscata dal dolore dell'essere sopravvissuto.