
Christmas Stocking- Dragon Ball
Di tutte le cose che Vegeta detestava del pianeta Terra - ed era un elenco molto, molto lungo, che solitamente iniziava con quei deboli e piagnucolanti abitanti- ce ne era una che assolutamente non riusciva a comprendere.
Dare la caccia ai nemici in ogni galassia, quella era una cosa ragionevole.
Allenarsi fino a quanto ci si sentiva svenire, quello sì che era un bel modo di passare le giornate.
Ipotizzare nuovi modi per uccidere, quello significava mettere a frutto il proprio tempo.
Ma decorare la casa con quelle stupide lucine, robe verdi che perdevano pezzi ogni volta che li sfiorava- vale a dire che li cercava di tirare giù, senza però riuscirci perché quella dannata terrestre aveva fatto in modo che si rigenerassero continuamente- vestirsi con quegli assurdi maglioni natalizi grandi più o meno quanto un fazzoletto…
Beh, forse su quelli non aveva poi così tanto da recriminare in fondo…
No, non doveva distrarsi. Ritornando al punto del discorso, non c’era nulla di più irritante di quel melenso clima di finta felicità per un tempo assolutamente orrendo, l’ossessione per quello stupido unico sole che avevano, le musichette assordanti che gli facevano rimpiangere che nell’ultimo combattimento non gli avessero perforato i timpani.
Già stare sulla Terra era una tortura.
Sopportare che Karooth fosse pensasse di essere un guerriero migliore di lui, ancora di più.
Ma vivere in quella casa… se solo avesse avuto un altro posto dove andare…
E come se non bastassero le giornate in cui capitava di incrociare qualcuno, adesso ci si era messa anche la terrestre ad occupare i suoi spazi la sera.
Che poi facesse qualcosa… si limitava a restare lì, seduta con una tazza in mano, a guardare le fiamme per ore.
«Mi stai disturbando», le disse, entrando nella stanza principale come una furia. «Ti sento qui fuori. Tu e questo stramaledetto pezzo di legno scoppiettante».
Bulma si era limitata a scrollare le spalle. «Ti vedo nervoso, dovresti rilassarti».
«Io sono un guerriero! Non ho bisogno di rilassarmi. Ho bisogno che tu te ne vada da un’altra parte e mi lasci concentrare...»
«Ah sì? E come mai ti basta solo la mia presenza per distrarti?».
Perché non posso fare a meno di sentire il tuo odore, i tuoi passi in corridoio, il tuo respiro. Perché non posso fare a meno di pensare a quanto tu sia bella.
«Fai troppo rumore. Come tutti i terrestri!».
Lei si era limitato a guardarlo con un sorrisetto, prima di tornare a concentrarsi nuovamente sul fuoco davanti a lei.
«Perché invece di perdere tempo non lavori alla navicella che mi hai promesso?».
«E chi te l’ha detto che non sto lavorando?»
«Il fatto che sei seduta lì a guardare nel vuoto?».
Silenzio.
Quella dannata donna non solo riusciva a mandarlo ai matti quando non la smetteva di parlare, ma persino quando stava zitta.
«Allora?» la incalzò, incrociando le braccia. «Cosa pensi di fare?».
«Guardare il fuoco. Bere la cioccolata che mi sono preparata. Pensare…. vuoi l’elenco completo? E tu? Perché stai lì a fissarmi?».
Perché non riesco a dormire, se so che tu sei così vicina.
Ma questo non glielo avrebbe detto neanche sotto tortura. Rimasero così, in silenzio, lui sulla porta a braccia conserte che continuava a guardarla torvo, e lei seduta in terra con il riverbero delle fiamme che le faceva brillare gli occhi, seguendo quei percorsi mentali che sapeva la portavano a mille galassie di distanza.
E lui aveva bisogno che lei percorresse quello spazio e quel tempo, che si allontanasse da lui e si perdesse nei suoi calcoli. Ne aveva bisogno per fare quello che era destinato a fare, per tornare nel suo mondo, per diventare il più forte. Ma, allo stesso tempo, l’unica cosa che voleva è che lei tornasse da lui.
Solo che era troppo orgoglioso per dirlo.
«Un giorno sarai contento di sederti qui con me!».
«Meglio la morte», sibilò, uscendo a passo di marcia, allontanandosi da lei, da quel divano e dal quel fuoco che rischiava di fargli dimenticare quanto fosse nato per il gelo siderale e non per un melenso focolare con troppe pigne sopra.
Lui era Vegeta, il principe dei Saiyan. Nient’altro.
***
Quello strano ragazzo non si era accorto di lui mentre era, accovacciato di fronte al camino, lo sguardo perso come se non avesse visto nulla di più bello. Aveva toccato quasi sfiorandoli i mille ninnoli di Bulma, con un timore reverenziale che strideva con il modo in cui l’aveva visto combattere, la rabbia con la quale si era rivolto a lui, dopo che era partito all’inseguimento dei cyborg, lasciando Bulma e il bambino lì.
Perché non li hai salvati?
Perché non mi interessa. A me interessa solo vincere.
C’era qualcosa di strano, qualcosa che non riusciva a decifrare e che sentiva come una carica elettrica sotto la pelle, la competizione che bruciava nelle sue vene.
«Non pensavo ne avessi una anche tu», gli aveva detto, indicando il camino, dove penzolava una roba strana con sopra il suo nome.
Vegeta chiuse in fretta lo spazio tra di loro, strappando la calza che Bulma si era ostinata a mettere e gettandola nel fuoco.
«Smettila di perdere tempo, è ora di allenarsi», ringhiò, prima di prendere il ragazzo per il braccio e trascinandolo fuori di peso. «Sarai anche un Saiyan bastardo, con quei capelli, ma non ti lascerò insultare la nostra razza così».
Lo aveva sentito trasalire, ma non aveva detto niente, forse finalmente anche la sua mente e non solo il suo corpo ragionavano come un vero Saiyan
Perché quelli come loro potevano essere solo una cosa: guerrieri.
E nient’altro.
***
L’odore dello zucchero e della cannella.
Le luci colorate che continuava a infastidirlo.
Le decorazioni che continuava a non capire.
Erano passati anni da quando era arrivato sulla Terra, eppure, quel periodo dell’anno continuava a infastidirlo almeno tanto quanto Bulma continuava ad amarlo. Anzi, a volte pensava che si divertisse così tanto per il puro gusto di infastidirlo.
L’aveva sentita alzarsi nel cuore della notte, il posto accanto al suo che diventava improvvisamente freddo, quasi che il calore venisse risucchiato dalla sua assenza. Aveva atteso che tornasse, gli occhi insistentemente chiusi per fare finta di dormire, per non darle la soddisfazione di sapere che, ancora dopo tanti anni, era la sua vicinanza a permettergli di riposare. Giorno dopo giorno si era infiltrata nei suoi pensieri, nei suoi movimenti, persino nei suoi scopi. Se ne era reso conto di colpo quando Bibidi gli aveva mostrato quella rabbia cieca che aveva cercato di nascondere persino a sé stesso per quello che era diventato... I Saiyan erano fatti per la guerra, non per quello...
Non per la famiglia.
E lui era il principe dei Saiyan. O lo era stato, quando quelle mura erano solo un posto come un altro, l’unico che potesse ospitarlo, e lei solo una bella ragazza con cui passare le notti…
Si alzò di colpo, cercando di scacciare quell’immagine debole che lo irrideva, marciando a grandi passi verso la stanza dell’allenamento, l’unico posto dove poteva tornare a essere sé stesso. Doveva riprendere le buone abitudini, tornare a dormire in una camera separata, riappropriarsi di quegli spazi che lei piano aveva invaso.
Lui era quello, era un guerriero, il principe Vegeta, non…
«Ce ne hai messo di tempo! Pensavo ti fossi addormentato sul serio».
Bulma era in salotto, seduta sul divano con un sorrisetto soddisfatto, mentre lui la guardava di sbieco, tenendosi a distanza. Testarda di una terrestre, era rimasta lì ad aspettarlo, sapendo che non avrebbe resistito a lungo.
«Ho fame. Per questo mi sono alzato, non certo per cercare te», aveva puntualizzato, sbuffando, ben sapendo che quelle erano solo parole al vento.
«Guarda: ho decorato il camino», aveva infatti risposto Bulma, non degnandosi neanche di dar segno di averlo sentito.
«Come devo farti capire che non mi interessa?»
«Forse dovrebbe, visto che questa è anche casa tua».
«O forse dovresti smetterla di comportarti come un’irresponsabile. Dì un po’, non è che hai chiesto di nuovo a Shenron di ringiovanirti di qualche anno? Sei strana? ...», chiese sospettoso. In realtà non è che gli importasse particolarmente della superficialità dei desideri di Bulma, era solo per irritarla almeno quanto lei irritava lui, chiedendogli di continuare a fissare un pezzo di arredamento.
«Sei un dannato scimmione testardo!».
«E tu una pazza che crede che quattro calze appese su uno stupido caminetto mi possano…».
Quattro?
Perché erano quattro?
C’era quella di Bulma, come sempre;
La sua, che aveva cercato inutilmente di distruggere e bruciare più volte e che ogni volta, anno dopo anno, tornava a sbeffeggiarlo;
Quella di Trunks, che da degno figlio di sua madre doveva essere la prima a essere appesa.
E poi ce ne era una piccola, assurdamente piccola. E rosa. Molto rosa.
No, non era possibile. Nella sua famiglia non nascevano femmine da generazioni, il che sicuramente aveva una spiegazione. A malapena riusciva a gestire il suo rapporto con Trunks…ma una figlia femmina?
Lui?
Il principe dei Saiyan? Il guerriero feroce che era stato sempre destinato a essere…
La sua mente diceva di uscire, scappare fino a che era ancora in tempo, rinchiudersi nella stanza della gravità fino a quando quella sensazione alla bocca dello stomaco non gli fosse passata, ma le sue gambe avevano deciso diversamente. Si lasciò cadere pesantemente sul divano accanto a Bulma, lo sguardo fisso davanti a sé che non riusciva a staccarsi da quella stupida cosa rosa che sembrava sbeffeggiarlo, la risatina che echeggiava nello scoppiettare del legno.
«Visto? Ti avevo detto che un giorno avresti apprezzato le mie decorazioni…» rise Bulma, appoggiandosi contro di lui, ancora incapace di muoversi.
Lui era Vegeta, nato principe dei Saiyan, uno dei guerrieri più forti dell’universo. Lo sarebbe sempre stato.
Ma, allo stesso tempo, non lo era più. O meglio, non solo.
Ora era anche un marito. E un padre.
E, dannazione a quando aveva messo gli occhi su quella dannata terrestre, persino qualcuno che iniziava ad apprezzare di stare seduto con sua moglie accanto a guardare le fiamme calde di un legno vero di cui non aveva mai pensato di aver bisogno. La soddisfazione di dirglielo, però, di certo non gliel’avrebbe mai data..
Questa storia partecipa alla challenge An Epic Christmas! indetta da Mari Lace e Shireith sul forum Ferisce la penna.”
Prompt : Caminetto