
Y Breuddwyn
Thy
kingdom come
Y Breuddwyn
1236
Rhiannon
stave correndo.
Gwily poteva vedere solo la sua schiena, una lunga cascata di riccioli
biondi
che s’alzava, mossa dal vento e dalla velocità.
‘Non mi prendi! Non mi prendi!’ cantava sua
sorella, era bimba, con il viso
roseo e grandi occhi. Le gote rosse di fiamma ed il sorriso svelto. Con
le
gambe tozze, correva svelta tra i prati verdi.
Oltre lei, oltre i suoi capelli, Gwily poteva vedere il cielo tingersi
di un
arancio intenso, con lembi di fuoco, dove il sole stava tramontando.
“Rhiannon!” aveva gridato,
“Aspettami!” aveva esclamato, ma mentre inseguiva
sua sorella, il mondo s’era capovolto, non era più
a Crey, era a Shrewsbury,
nella terra, nel fango, sporco di sangue, dalla testa ai capelli.
Marared, con quei suoi occhi neri-luccicanti, lo teneva in piedi, con
un
braccio; “Devi essere concentrato, bambino!” gli
aveva gridato contro Marared,
mentre lo sorreggeva, “Non … mi … sento
… bene” aveva sussurrato Gwily, perché
la cotta e l’armatura le pesavano sulle spalle, lo cuocevano
come una fornace.
Sentiva il sangue bollire nelle sue vene e sul suo viso, un occhio era
completamente offuscato, il respiro lo sentiva strozzato in gola,
così come le
gambe erano di budello.
Avrebbe voluto accovacciarsi, nonostante le proteste di Marared, per
spingerlo
a proseguire, bisognava proteggere la città.
Shrewsbury[1].
No, l’Inferno. Non
doveva cadere.
L’Assedio.
Sentiva l’odore del fuoco, bruciare anche la pietra. E
l’olio.
Il fragore delle spade, dell’armature, della guerra.
Ancora una volta il mondo si rovesciò ancora, questa volta,
non era più a Shrewsbury
durante l’assedio, ne era più nelle vallate di Crey[2]
nel Brycheiniog, non aveva
idea, però, di dove fosse, era un luogo nuovo ed ameno,
troppo bello perché lo
avesse mai visto ed anche lo avesse mai potuto immaginare.
Giardini verdi ed un lago da acque cristalline e luccicanti, come se
diamanti
scintillanti ne coprissero la superficie, il cielo azzurrissimo, come
nelle più
calde giornate d’estate.
“Rhiannon!” aveva urlato,
“Marared!” aveva chiamato, non ottenendo rispetto.
“Gwilyam!” si era sentito chiamare, con una voce
ruggente, ferma come mai una
voce gli era parsa, Gwily aveva ascoltato i discorsi del suo principe e
non
credeva che avrebbe mai potuto trovare, dopo allora, qualcuno che
potesse poi
irradiare nel suo cuore tanta sicurezza.
“Gwilyam figlio di Hywel e di Joan” era stato
chiamato ancora, davanti i suoi
occhi, era apparsa una figura.
Inesprimibile.
Lunghi capelli rossi come sangue, occhi d’oro liquidi,
intensi, sclera, iride e
pupilla, senza differenza. Il tono della pelle era ambra pura, quasi
come la
gemma stessa ed enormi ali dal piumaggio bronzeo, come quelle
d’un aquila. Non
riusciva a distinguere se la figura fosse d’un uomo o una
donna, ma non
sembrava importante in quel momento stabilirlo; era solo incantato da
quella
figura.
“Un angelo” aveva sussurrato esterrefatto ed
incantato Gwily.
La figura, avvolta in un vestito di fuoco s’era avvicinata a
lui, teneva tra le
mani un libro broccato di gemme preziose, “Si. Gwilyam figlio
di Hywel”, “Io
sono Uriele, Luce di Dio” aveva risposto l’angelo.
Gwily era crollato sulle ginocchia, sull’erba fresca di brina.
“Ascoltami Gwilyam, colui che desidera proteggere[3],
solleva i tuoi occhi
verso di me” aveva ordinato Uriele, “Oggi, io ho un
comandamento per te” aveva
annunciato.
Lui aveva ubbidito senza indugio, era nervoso sì, ma neanche
un briciolo di
paura animava il suo cuore, era pronto, “Alla prima luna da
isto momento, sui
tre faraglioni, non prima che in cielo non sorga la stella del
vespro” aveva
impartito.
Gwily aveva annuito, “Si!” aveva poi sostenuto,
sarebbe andato, avrebbe
eseguito, “Ma cosa dovrò fare?” aveva
chiesto poi, con una punta di timore,
“Adempiere al tuo destino, Gwilyam, figlio di Hywel,
dimostrare che sei degno
del nome che porti” aveva comandato Uriele.
Poi il mondo si era fatto di fuoco e luce accecante.
Nessun
luogo ameno, ai
suoi occhi si era presentata l’oscurità, aveva
impiegato qualche momento per
abituarsi, ma poi aveva riconosciuto i contorni ordinari della sua
camera. Si
era tirato su dal giaciglio con fatica, sentiva una spossatezza
divorare il
corpo, come se avesse dormito per cento anni. Aveva respirato a fatica,
poi
aveva indossato la coperta che teneva arricciata ai piedi del letto
come una
mantella, per ripararsi dal freddo, riparato solo dalla vestaglia
notturna. Si
era alzato dal suo letto e con passo felpato aveva abbandonato la sua
camera.
L’Intero fortilizio del Crygh, era avvolto in un buio pesto,
ma Gwily conosceva
ogni passò della sua casa, da non aver bisogno di luce per
orientarsi con
sicurezza, camminava comunque piano, felpato, per non svegliare gli
altri.
Si era arrestato di fronte la porta di Rhiannon, sua sorella maggiore
ed aveva
bussato tre volte, come era loro codice quando erano infanti.
Non avendo udito risposta lo aveva fatto altre tre volte.
Nel pieno delle tenebre, aveva udito il clangore della porta
rincalcinante, poi
nel buio una fiammella, il viso pallido nella penombra di Rhiannon era
apparso.
Nei suoi sogni era una bambina, invece, in quel momento appariva
davanti a lui,
donna, fatta e finita. “Gwily la luna è alta e il
sole lontano” aveva
sussurrato piano, senza acredine nella voce, ma con un tono teso, come
la corta
d’un arpa. Gli occhi azzurri erano tersi ed i capelli biondi
sfatti
incorniciavano un viso bianco come la polvere, illuminata solo dalla
candela,
Rhiannon sembrava una dama bianca.
“L’Arcangelo Uriele, spada infuocata di dio, mi
è venuto incontro” aveva
raccontato, avido di fervore lui. “Cosa stai
dicendo?” aveva domandato
Rhiannon, perplessa, aggrottando le sopracciglia bionde, “In
sogno. Sorella.
L’arcangelo Uriele!” aveva spiegato lui agitato,
allungando una mano, per
stringerle un bacio.
Rhiannon aveva disteso la fronte, “Allora torna a
dormire” era stata la pacata
risposta, pronta a chiudere di nuovo la porta davanti a lui. Ma Gwily
l’aveva
fermata, mettendo una mano sullo stipite dell’uscio, certo
che sua sorella non
lo avrebbe ferito. “Non capisci, Rhiannon,
l’Arcangelo Uriele mi ha detto di
essere alle tre faraglioni nella prima notte di Luna” aveva
detto tutto
concitato. Rhiannon aveva allungato la mano libera per posarla sulla
sua
guancia, le sue dita erano fredde, “Ne possiamo parlare
domani, dolce fratello”
aveva sussurrato, “Magari con il parroco” aveva
proposto, forzando poi un
sorriso calmo, prima di far cigolare nuovamente la porta per chiuderla.
Improvvisamente Gwilyam era di nuovo avvolto nel buio; si sentiva
frustrato che
Rhiannon, che era stata per lui sempre la sua ancora, non avesse
compreso la
potenza di ciò che era avvenuto. Senza perdersi
d’animo, Gwilyam aveva continuato
la sua camminata, per il buio corridoio, battendo contro
un’altra porta; solo
che questa si era aperta, scricchiolante, al suo tocco.
“Cerridwyn!” aveva bisbigliato nel buio.
Non aveva avuto risposta per un momento, così aveva chiamato
ancora quel nome.
“Gwily! Sei tu Gwily?” aveva sentito una voce
piccola, spaventata, e rumori nel
buio. Gwilyam aveva allungato i suoi piedi, percorrendo la piccola
stanzetta di
Cerridwyn facendo attenzione a non far scricchiolare le assi del legno.
“Non ho un cerino!” aveva detto sua sorella,
preoccupata. “Non ti preoccupare:
non ci serve” aveva detto Gwilyn raggiungendo il talamo dove
dormiva sua
sorella, era un lettuccio piccolo, adatto alle sue gambette corte.
S’era seduto
sul bordo, in pizzo, “L’arcangelo Uriele
è venuto per me” aveva raccontato.
Cerridwyn aveva risucchiato l’aria, rimanendo in silenzio,
anche se erano
nell’oscurità Gwilyn era certo che stesse
spalancando i grandi occhi scuri.
Cerridwyn non era veramente umana, secondo la loro madre, secondo tutti
nella
Valle, in vero, era una bambina delle fate.
“No, fratello, no” aveva piagnucolato Cerridwyn,
sentendola poi singhiozzare,
“Perché piangi, sciocchina, è una cosa
bella!” aveva risposto Gwilyn con più
vigore, confuso dal quell’improvvisa tristezza,
“No, che non lo è. Quando un
messaggero del Signore giunge, raramente porta con sé
deliziose novelle, ma
sempre ingrati compiti” aveva sussurrato sua sorella, la sua
voce tremava.
“Come la Vergine Maria fu investita del ruolo
d’esser Madre di Nostro Signore Gesù
e come Abramo portò Isacco sul monte” aveva
aggiunto.
Gwilyn aveva allungato una mano, raggiungendo con la mano il capo di
sua
sorella, con tentennamenti, per accarezzare la sua nuca, come fosse
stata
quella di un felino. Il crine di Cerridwyn era dello stesso colore di
quello di
Gwilyam, un giallo opaco, come il fieno secco, così come i
capelli sottili e
lisci come paglie, diverso dal colore pieno e splendente di Rhiannon.
“Sei una fata, senza alcun dubbio, colombella”
aveva stabilito poi,
“L’Arcangelo Uriele mi ha fatto una
richiesta” aveva ammesso.
I singhiozzi di sua sorella si erano fatti sempre più forti.
La porta era cingolata nuovamente, una luce traballante, aveva
introdotto la
mano bianca di Rhiannon, e poi il resto di se.
“Lo sapevo, che non mi avresti dato retta” aveva
detto sua sorella maggiore,
atona, mentre li raggiungeva, alla sottoveste bianca, come lui, aveva
avvolto
una pesante, drappeggiata sulle spalle come una mantella scura,
“Andate a
dormire, se nostra madre dovesse scoprirvi, si infurierebbe”
nonostante quello
di Rhiannon fosse un rimprovero, la sua voce era stata calma come un
mare
piatto.
La loro sorella più piccola, aveva singhiozzato nuovamente,
“Rhia, un destino
malevolo attende nostro fratello, come tutti i tormentati
eroi” aveva detto
lacrimosa. Rhiannon si era anche accomodata sul letto, tenendo ancora
tra le
mani una lucerna, con la candela, illuminando tenuemente i loro visi.
“Colombella” aveva detto con un tono di miele la
maggiore, “Gwily ha solo avuto
un sogno vivace, il sermone di domenica scorsa è stato
sentito” aveva stabilito
Rhiannon, senza perdere la sua pacatezza, ma senza perdere la sua
animosità
Gwily aveva raccontato il suo sogno, sottolineando
l’importanza della sua
missione.
Rhiannon aveva sbuffato, “Domani, parlerai con il
prete” aveva stabilito, con
un tono rugginoso, “Poi dopo le sue illuminanti parole,
valuteremo se valga la
pena, per Gwily viaggiare per raggiungere queste leggendarie tre
scogliere”
aveva ripreso, “Ma ora: dormite” aveva stabilito,
alzandosi, gli occhi azzurri
erano puntati su di lui, Gwily aveva annuito, imitandola poi, poi
Rhiannon si
era chinata per dare un bacio sulla fronte di Cerridwyn con dolcezza,
facendo
attenzione a non far rovesciare la cera dalla candela. “Non
permettere che i brutti
pensieri abbiano la meglio” aveva sussurrato, materna,
spostando i capelli
della bambina, dietro l’orecchio.
Quando
si erano chiusi la
porta alle spalle, sua sorella maggiore le aveva rivolto uno sguardo
ferreo,
non c’era ne sprezzo né rabbia, Rhiannon era
sempre posata, in quasi tutto ciò
che faceva ed in quasi ogni circostanza, sempre obbligata ad apparire
in quella
maniera, da bambina non era così, era vivace, piena di vita
e senza peli,
onesta e schietta, come lo era stato loro padre. La riservatezza era
un’eredità
di Magdalene, la loro madre. “Cosa?” aveva chiesto
colpevole Gwilyam davanti lo
sguardo di sua sorella, quasi glaciale, “Cerridwyn
è una creatura sensibile,
dovresti avere più riguardo di ciò che le
dici” lo aveva rimproverato, sempre
morigerata.
“Proprio perché è così
sensibile, lo ho detto a lei” aveva ammesso onesto lui,
“Certo volevi essere vezzeggiato ed ammirato” aveva
ripetuto Rhiannon, calma,
“Ma non puoi spaventare nostra sorella in questa maniera, ne
andartene ad
Abertawe da un giorno all’altro, perché un angelo
te lo ha detto!” la voce era
stata appena un sussurro e non c’era fuoco ne accusa nella
sua voce, Gwilyam
poteva sentire le parole di sua sorella, affilate come lame.
“Sei l’uomo di
casa, hai delle responsabilità” aveva detto densa,
“Con la mamma, con Cerridwyn
e con Morgenna?” aveva chiesto.
Gwilyam aveva sentito quelle ultime parole, piovere su di lui, come
fuoco.
“Scusami, Rhiannon” aveva ammesso poi alla fine,
con un tono sommesso,
stringendosi meglio la coperta che indossava come una manta. Era stato
stupido
ed impulsivo. “Aspetta, hai detto Abertawe?” aveva
domandato lui, confuso dal
nome della città che sua sorella aveva detto.
“Ecco, perché sicuramente non puoi
andare” aveva stabilito Rhiannon con tono
calmo, “Non avevi neanche capito a quali faraglioni dovevi
recarti” aveva
detto.
“Le tre Scogliere di Abertawe, certo!” aveva
esclamato Gwily con entusiasmo,
spingendo sua sorella a pigiare una mano sul suo viso per zittirlo.
“Così
vuoi andartene?
Comprensibile” aveva detto Morgenna il mattino dopo, mentre
camminavano verso
il pozzo; era sua sorella minore, sebbene a separarli fossero pochi
anni, era la più diversa tra loro fratelli, inglese come la
loro madre, con i
capelli castani e gli occhi chiari come le acque. “Hai
ascoltato la
conversazione?” aveva domandato lui, confuso, da quella sua
inaspettata confessione.
Sarebbe stato ingiusto dire che non amava Morgenna, ovviamente,
l’amava, anche
se non aveva con lei lo stesso stretto legame che aveva con le sue
altre
sorelle. Lei era come la loro madre, per natura, fredda come
l’inverno.
Morgenna aveva continuato a camminare, spostando fili di capelli scuri
dietro l’orecchio,
aveva passato il quattordicesimo anniversario da qualche mese e Gwily
aveva già
sentito sua madre cominciare a parlare di un possibile matrimonio per
lei. “Non
hai mai posseduto la voce di un allodola, fratello, quanto mai di un
airone”
aveva detto con una punta di cattiveria Morgenna, “Omen
nomen” aveva
replicato lui.
“Le lezioni del parroco, sono utili, vedo, stai imparando
qualcosa” aveva
dichiarato Morgenna, “Parlo anche inglese meglio di un inglese[4]”
aveva replicato lui,
senza scomporsi.
Poi si era voltata verso sua sorella, Morgenna aveva ereditato
l’altezza da
loro padre, per questo a poco più di quattordici anni, era
alta come lui a diciasette.
“Che ne pensi?” aveva domandato Gwily,
“Ora vuoi il mio parere, adorato
fratello?” aveva chiesto lei con una punta di sarcasmo, Gwily
aveva inghiottito
la bile ed aveva annuito, “Ovviamente: vai” aveva
risposto sua sorella, “Non si
può fuggire agli ordini di nostro signore.”
Gwily aveva ridacchiato, “Dal mondo tutto
m’aspettavo, tranne che sapere che
tu, concordavi con me” aveva esclamato. Morgenna aveva
sollevato lo sguardo,
sorridendo in maniera un po’ sinistra e sghemba,
“Ovviamente, sarò felice di
aiutarti” aveva ammesso sua sorella, “Se, mi
permetterai di venire con te”
aveva stabilito quella.
Lui aveva aggrottato le sopracciglia, confuso, da
quell’inaspettata richiesta,
sua sorella aveva ripreso a parlare, senza dargli il tempo di formulare
domande. “Mamma vuole sistemarmi con un
bell’inglese tutto ripulito, Rhiannon
vuole darmi in moglie a suo cognato, perché non
può sposarlo lei e lo zio
vorrebbe farmi sposare quella capra di nostro cugino” aveva
spiegato, spiccia.
“E poi, da solo, ti perderesti in un bicchier
d’acqua, Gwily” aveva stabilito con
voce secca, mentre posava il secchio sulla muratura del pozzo, dove
finalmente
erano giunti.
Lui era ancora sconvolto da tutta quella schiettezza,
“Inoltre: forse tu
frequenterai le lezioni del parroco, ma io conosco molti più
demoni di te”
aveva stabilito piccata, mentre osservava Gwily assicurare la corda per
calare
il secchio.
“Qui non ci sono demoni” aveva risposto lui, ovvio,
“E cosa pensi un angelo
voglia da te?” aveva risposto retorica lei, “Se non
che tu ti unisca ai suoi guerrieri?”
aveva chiesto Morgenna.
“Io? Uno shadowhunters?”
[1] In realtà da non esperta di storia inglese, Shrewsbury è stata tra gallesi ed inglesi una specie di pallina da pinpong, in questo caso, si fa riferimento all’assedio del 1232.
[2] Mentre effettivamente il Brycheiniog esiste, la Vallata del Crey è una mia invenzione.
[3] Gwilyam è la versione gallese del nome William (dal germanico: Willihelm, traducibile in desiderio/volontà e elmo/protezione) che può essere tradotto in diversi modi: ho scelto Colui che desidera proteggere, perché mi sembrava adatto.
[4] Nozione assolutamente inutile: tecnicamente non stanno parlando inglese, ma gallese.